Sull'ignoranza vera o presunta degli italiani
Navigando nella rete sono incappato in questo articolo:
http://www.butta.org/?p=14708
Mi è parso un articolo pieno di interessanti spunti di riflessione, rovinato però dalla presenza di troppi luoghi comuni.
Nessuno nega che l'istruzione (primaria, secondaria e universitaria) abbia i suoi bei problemini, ma francamente la scuola e l'università italiana non sono quel paese dei balocchi descritto dall'autore dell'articolo.
E penso sia forzato anche il paragone con il presunto passato glorioso. Non so voi, ma io tutte questi grandi competenze di base nei nati negli anni 30-40-50 non le vedo. E non credo nemmeno che la scuola dove i laureati in giurusprudenza insegnavano indifferentemente francese, filosofia o lettere fosse davvero di qualità superiore.
Certi commenti nei confronti dei docenti di oggi mi sono sembrati poi più frutto di livore personale che di reale analisi della situazione. Ci vengono ancora rinfacciati i 6 rossi, quando dall'anno scolastico 2007/2008 sono stati reintrodotti gli esami di riparazione...
Ad ogni modo, la tesi che sostengo è che certi problemi vengano da lontano, perché per precisa scelta ideologica si è ritenuto che per occupare posioni socialmente rilevanti non fosse necessario avere competenze matematiche. Non vedo, purtroppo, grandi differenze fra il ventenne medio e un sessantenne-medio in possesso di diploma di scuola superiore.
Ho partecipato alla discussione, inviando un commento col nick "Simone".
Ho ricevuto una risposta, fra l'altro assai maleducata, alla quale ho replicato nel seguente modo:
Se fossi un po’ più umile eviteresti di straparlare su questioni che ignori, evitando così anche qualche brutta figura.
Nessuno ha mai visto un insegnante compiaciuto dell’aver scritto aria fritta sul POF o sulla triade conoscenze/competenze/capacità. Ma è inutile spiegarti che quell’aria fritta è obbligatoria per legge. Non capiresti, perché sei talmente ottuso da prendertela con chi subisce tali norme anziché con chi le approva.
Il problema delle lacune degli italiani in campo scientifico viene da lontano, ma per capire queste cose occorre un minimo di conoscenza della storia della scuola italiana, cosa che tu non dimostri affatto di avere.
E dico questo, perché altrimenti ti saresti accorto che nell’impostazione gentiliana per la formazione della classe dirigente era richiesto il possesso di un’eccellente preparazione in campo umanistico, ma non era richiesta una altrettanto ottima preparazione in campo scientifico.
La matematica quindi veniva privata del suo ruolo culturale, che le sarebbe spettato in quanto parte integrante del pensiero umano, per diventare mera tecnica procedurale, ovvero un insieme di regole da imparare e applicare pedissequamente. Questa deriva è stata poi agevolata dall’accesso all’insegnamento di matematica di docenti che non avevano una preparazione culturale adeguata nel campo (che, per quanto tu non possa essere d’accordo, è fondamentale per far capire agli studenti il senso di quello che si sta facendo).
La vecchia scuola, da te tanto vantata, era quella che fino al 1967 proponeva alla maturità scientifica problemi stereotipati, tutti immancabilmente risolubili con un’equazione di secondo grado di cui si chiedeva la discussione al variare del parametro, ovviamente col metodo di Tartinville.
Tale assurda prassi ebbe fine solo quando il grande matematico Bruno De Finetti scrisse due durissimi articoli: “Come liberare l’Italia dal morbo della trinomite” e “Contro la matematica per deficienti”.
http://www.mathesisnazionale.it/archivi ... 25_329.pdf
http://www.mathesisnazionale.it/archivi ... 95_123.pdf
Se avrai la pazienza di leggerli ti accorgerai che il buon De Finetti mise il dito sulla piaga, mettendo nero su bianco quello che tutti sapevano, ossia che il 90% degli studenti applicava il metodo di Tartinville senza capire una cippa di quello che stava facendo (e siamo negli anni 60, quelli in cui secondo te tutti gli studenti capivano quello che studiavano).
Il problema quindi esisteva allora ed esiste ancora oggi perché è retaggio di un’ideologia che non considerava importante la conoscenza della matematica per entrare a far parte della cosiddetta “classe dirigente”. E infatti, vecchi e giovani, continuano ad avere difficoltà in tal senso, perché certe tradizioni pluridecennali sono dure a morire. Basta quindi con questa retorica, perché l’Italia è piena di cinquantenni e sessantenni diplomati le cui competenze di base sono di gran lunga inferiori a quelle del diplomato medio di oggi. E con questo non voglio certo affermare che la preparazione media dei giovani diplomati sia adeguata. Voglio solo dire che certi problemi vengono da lontano e capire questo è il primo passo per risolverli.
E lo stesso dicasi per le lingue straniere. Tu dici che oggi i giovani sono ignoranti in materia, mentre un tempo almeno sapevano districarsi col francese (insegnato dai laureati in giurisprudenza, che non lo conoscevano nemmeno loro). Ma per favore! Anche in questo caso si tratta di invertire la rotta rispetto ad una tradizione didattica che ha visto riprodurre nell’insegnamento delle lingue straniere metodologie tipiche dell’insegnamento della lingua latina. Che la cosa non funzioni lo sanno ormai tutti, e infatti molti docenti stanno cambiando metodologia. I programmi ministeriali però continuano ad essere assurdi, per cui anziché fare pratica linguistica per cinque anni, al triennio del liceo si analizzano testi letterari o si fa storia della letteratura, mentre nei tecnici e nei professionali si studia l’inglese tecnico specifico dell’indirizzo di studi.
Il commento non è stato pubblicato.
In fondo alla pagine però il proprietario del blog fornisce la spiegazione:
Nota importante per i commenti: i commenti sono moderati, perché ho voglia che lo siano (sostanzialmente non ho voglia di prendermi la responsabilità delle eventuali diffamazioni che scrive il primo che passa). Abito a Praga, quindi se qui è notte io vado a godermi questa magnifica città, non sto chiuso in casa a moderare i commenti: aspettate. E comunque li modero quando mi pare.
Non sono ammessi commenti che possono configurare reati, quindi evitate di rivolgere insulti, a me o ad altri. Si possono esprimere gli stessi concetti anche senza insultare. Non sono ammessi altresì commenti che contengono stupidità.
Se non vedete il vostro messaggio comparire e siete sicuri di non aver insultato nessuno, probabilmente il vostro messaggio è stupido. La qualità media dei commentatori di questo blog è molto alta, prima di commentare rifletti e cerca di capire se ne sei all'altezza. Se non ne sei sicuro lascia perdere.
E alla fine vale sempre il concetto che questa è casa mia e faccio quello che mi pare.
I commenti sono chiusi dopo 30 giorni: se hai qualcosa da dire fallo subito oppure evita di rompere i maroni.
Non avendo insultato nessuno (l'aggettivo "ottuso" l'ho utilizzato esclusivamente per definire il suo modo di argomentare, non certo per offendere) deduco che il mio intervento è stato considerato stupido.
Pazienza, me ne farò una ragione.
Vorrei però sentire altri pareri, perché mi rendo conto che io, per quanto mi sforzi di essere obiettivo, sono pur sempre parte in causa, visto che di mestiere faccio l'insegnante di scuola secondaria superiore.
Che l'istruzione italiana abbia delle grosse difficoltà (specie in campo scientifico-matematico) mi sembra sia chiaro a tutti.
A vostro parere però queste dipendono per lo più:
- dalla qualità del corpo docente?
- dai tagli ministeriali?
- dall'eccessiva burocratizzazione della scuola?
- dall'impostazione dei programmi di insegnamento?
- dalla visione "gentiliana" dell'istruzione?
- dalla società che ormai non dà più importanza alla cultura?
- da altro (cosa?)
http://www.butta.org/?p=14708
Mi è parso un articolo pieno di interessanti spunti di riflessione, rovinato però dalla presenza di troppi luoghi comuni.
Nessuno nega che l'istruzione (primaria, secondaria e universitaria) abbia i suoi bei problemini, ma francamente la scuola e l'università italiana non sono quel paese dei balocchi descritto dall'autore dell'articolo.
E penso sia forzato anche il paragone con il presunto passato glorioso. Non so voi, ma io tutte questi grandi competenze di base nei nati negli anni 30-40-50 non le vedo. E non credo nemmeno che la scuola dove i laureati in giurusprudenza insegnavano indifferentemente francese, filosofia o lettere fosse davvero di qualità superiore.
Certi commenti nei confronti dei docenti di oggi mi sono sembrati poi più frutto di livore personale che di reale analisi della situazione. Ci vengono ancora rinfacciati i 6 rossi, quando dall'anno scolastico 2007/2008 sono stati reintrodotti gli esami di riparazione...
Ad ogni modo, la tesi che sostengo è che certi problemi vengano da lontano, perché per precisa scelta ideologica si è ritenuto che per occupare posioni socialmente rilevanti non fosse necessario avere competenze matematiche. Non vedo, purtroppo, grandi differenze fra il ventenne medio e un sessantenne-medio in possesso di diploma di scuola superiore.
Ho partecipato alla discussione, inviando un commento col nick "Simone".
Ho ricevuto una risposta, fra l'altro assai maleducata, alla quale ho replicato nel seguente modo:
Se fossi un po’ più umile eviteresti di straparlare su questioni che ignori, evitando così anche qualche brutta figura.
Nessuno ha mai visto un insegnante compiaciuto dell’aver scritto aria fritta sul POF o sulla triade conoscenze/competenze/capacità. Ma è inutile spiegarti che quell’aria fritta è obbligatoria per legge. Non capiresti, perché sei talmente ottuso da prendertela con chi subisce tali norme anziché con chi le approva.
Il problema delle lacune degli italiani in campo scientifico viene da lontano, ma per capire queste cose occorre un minimo di conoscenza della storia della scuola italiana, cosa che tu non dimostri affatto di avere.
E dico questo, perché altrimenti ti saresti accorto che nell’impostazione gentiliana per la formazione della classe dirigente era richiesto il possesso di un’eccellente preparazione in campo umanistico, ma non era richiesta una altrettanto ottima preparazione in campo scientifico.
La matematica quindi veniva privata del suo ruolo culturale, che le sarebbe spettato in quanto parte integrante del pensiero umano, per diventare mera tecnica procedurale, ovvero un insieme di regole da imparare e applicare pedissequamente. Questa deriva è stata poi agevolata dall’accesso all’insegnamento di matematica di docenti che non avevano una preparazione culturale adeguata nel campo (che, per quanto tu non possa essere d’accordo, è fondamentale per far capire agli studenti il senso di quello che si sta facendo).
La vecchia scuola, da te tanto vantata, era quella che fino al 1967 proponeva alla maturità scientifica problemi stereotipati, tutti immancabilmente risolubili con un’equazione di secondo grado di cui si chiedeva la discussione al variare del parametro, ovviamente col metodo di Tartinville.
Tale assurda prassi ebbe fine solo quando il grande matematico Bruno De Finetti scrisse due durissimi articoli: “Come liberare l’Italia dal morbo della trinomite” e “Contro la matematica per deficienti”.
http://www.mathesisnazionale.it/archivi ... 25_329.pdf
http://www.mathesisnazionale.it/archivi ... 95_123.pdf
Se avrai la pazienza di leggerli ti accorgerai che il buon De Finetti mise il dito sulla piaga, mettendo nero su bianco quello che tutti sapevano, ossia che il 90% degli studenti applicava il metodo di Tartinville senza capire una cippa di quello che stava facendo (e siamo negli anni 60, quelli in cui secondo te tutti gli studenti capivano quello che studiavano).
Il problema quindi esisteva allora ed esiste ancora oggi perché è retaggio di un’ideologia che non considerava importante la conoscenza della matematica per entrare a far parte della cosiddetta “classe dirigente”. E infatti, vecchi e giovani, continuano ad avere difficoltà in tal senso, perché certe tradizioni pluridecennali sono dure a morire. Basta quindi con questa retorica, perché l’Italia è piena di cinquantenni e sessantenni diplomati le cui competenze di base sono di gran lunga inferiori a quelle del diplomato medio di oggi. E con questo non voglio certo affermare che la preparazione media dei giovani diplomati sia adeguata. Voglio solo dire che certi problemi vengono da lontano e capire questo è il primo passo per risolverli.
E lo stesso dicasi per le lingue straniere. Tu dici che oggi i giovani sono ignoranti in materia, mentre un tempo almeno sapevano districarsi col francese (insegnato dai laureati in giurisprudenza, che non lo conoscevano nemmeno loro). Ma per favore! Anche in questo caso si tratta di invertire la rotta rispetto ad una tradizione didattica che ha visto riprodurre nell’insegnamento delle lingue straniere metodologie tipiche dell’insegnamento della lingua latina. Che la cosa non funzioni lo sanno ormai tutti, e infatti molti docenti stanno cambiando metodologia. I programmi ministeriali però continuano ad essere assurdi, per cui anziché fare pratica linguistica per cinque anni, al triennio del liceo si analizzano testi letterari o si fa storia della letteratura, mentre nei tecnici e nei professionali si studia l’inglese tecnico specifico dell’indirizzo di studi.
Il commento non è stato pubblicato.
In fondo alla pagine però il proprietario del blog fornisce la spiegazione:
Nota importante per i commenti: i commenti sono moderati, perché ho voglia che lo siano (sostanzialmente non ho voglia di prendermi la responsabilità delle eventuali diffamazioni che scrive il primo che passa). Abito a Praga, quindi se qui è notte io vado a godermi questa magnifica città, non sto chiuso in casa a moderare i commenti: aspettate. E comunque li modero quando mi pare.
Non sono ammessi commenti che possono configurare reati, quindi evitate di rivolgere insulti, a me o ad altri. Si possono esprimere gli stessi concetti anche senza insultare. Non sono ammessi altresì commenti che contengono stupidità.
Se non vedete il vostro messaggio comparire e siete sicuri di non aver insultato nessuno, probabilmente il vostro messaggio è stupido. La qualità media dei commentatori di questo blog è molto alta, prima di commentare rifletti e cerca di capire se ne sei all'altezza. Se non ne sei sicuro lascia perdere.
E alla fine vale sempre il concetto che questa è casa mia e faccio quello che mi pare.
I commenti sono chiusi dopo 30 giorni: se hai qualcosa da dire fallo subito oppure evita di rompere i maroni.
Non avendo insultato nessuno (l'aggettivo "ottuso" l'ho utilizzato esclusivamente per definire il suo modo di argomentare, non certo per offendere) deduco che il mio intervento è stato considerato stupido.
Pazienza, me ne farò una ragione.
Vorrei però sentire altri pareri, perché mi rendo conto che io, per quanto mi sforzi di essere obiettivo, sono pur sempre parte in causa, visto che di mestiere faccio l'insegnante di scuola secondaria superiore.
Che l'istruzione italiana abbia delle grosse difficoltà (specie in campo scientifico-matematico) mi sembra sia chiaro a tutti.
A vostro parere però queste dipendono per lo più:
- dalla qualità del corpo docente?
- dai tagli ministeriali?
- dall'eccessiva burocratizzazione della scuola?
- dall'impostazione dei programmi di insegnamento?
- dalla visione "gentiliana" dell'istruzione?
- dalla società che ormai non dà più importanza alla cultura?
- da altro (cosa?)
Risposte
"Camillo":
Operare con i radicali è ostico per molti, moltissimi ..purtroppo non parliamo poi di esponenti frazionari negativi !!!
non trovo dove sia la "questione della radice quadrata
Hai ragione, mi sono spiegato male. Mi riferivo al fatto pesantemente criticato dall'autore del post sul blog che uno studente in sede di esame di Laurea affermi che il moltiplicare una determinata quantità per la radice quadrata di 3 equivale a eseguire la radice cubica della stessa determinata quantità. Negli esami ai quali ho assistito spesso sfondoni del genere sono causati dall'imparare a memoria e ripetere a pappagallo lotti di formule. Non essendo il cervello umano dotato di molta ROM succede che ci si ricorda male qualcosa, si viene corretti e l'emozione rischia di far sparare sfondoni.
"Zero87":
Oggi, in una triennale si fanno circa 18-20 esami (a seconda di come si impiegano i crediti liberi), mentre in molti dicono che nel vecchio ordinamento c'erano 15-16 esami in 4 anni e in tanti aggiungono che era più tosta l'università, ma questo ultimo commento è ininfluente a ciò che sto per dire.
Il punto è questo. Quando fai 18-20 esami diversi in meno tempo è molto più probabile di scordarti materie rispetto a quando ne fai 15-16 (addirittura in più tempo). Alla triennale ho dato 19 esami - di cui me ne saranno piaciute 2 o 3 di materie, ma anche qui, i gusti personali non c'entrano - e secondo me di almeno 6-7 se ne poteva fare a meno.
Alla magistrale altri 12 esami per un totale di 31 esami in 5 anni (nel mio caso 6 anni se andiamo a contare il fuoricorso...!).
Sono dell'idea che infarcire i cdl di materie non so su quale base aiuti a dimenticare le cose davvero importanti soprattutto se molti di questi corsi trattano materie che uno studente non trova "entusiasmanti".
In generale penso che uno bravo nel nuovo ordinamento sarebbe stato bravo anche nel vecchio. A prescindere da questo bisogna capire che la riforma del 3+2 è nata per venire incontro alla richieste di Confindustria che voleva del personale più competente di un geometra o di un perito da retribuire però con lo stesso stipendio.
A dire il vero c'erano già, da tempo, i diplomi universitari di durata triennale, che avevano un indirizzo professionalizzante. Non davano però il titolo di dottore e, soprattutto, non consentivano un'agevole prosecuzione degli studi (occorreva passare per la macchina infernale del riconoscimento degli esami).
Il grosso difetto del 3+2 è questa rincorsa verso le tendenze del momento nel mondo del lavoro, a scapito quindi della formazione di base che, per la sua generalità, non appare immediatamente spendibile.
La realtà è che le aziende italiane non vogliono investire nella formazione dei dipendenti e quindi vorrebbero che sia l'Università ad occuparsi della specializzazione in settori molto specifici. E' un errore, l'università deve fornire una preparazione generale di alto livello, adattabile a tutti i contesti.
Se al momento tira la "finanza matematica" NON è mica detto che i corsi di laurea in matematica debbano inserire miriadi di esami di questo argomento, a scapito della formazione generale. Il laureato in matematica, che diventi un insegnante di scuola secondaria, un programmatore, un quant o un divulgatore scientifico, deve avere approfondire nel corso di laurea l'analisi matematica, la geometria, l'algebra, la fisica matematica, il calcolo delle probabilità, la statistica e l'analisi numerica. Con questa base poi potrà specializzarsi in qualsiasi altro campo specifico. Se un'azienda vuole assumere un laureato in matematica (perché evidentemente apprezza le caratteristiche della sua formazione) per fargli analizzare i rischi e le possibilità di rendimento dei prodotti finanziari deve anche occuparsi della sua formazione.
Non possiamo pretendere che l'università insegua la moda del momento!
I corsi di laurea in matematica sono comunque fra quelli che hanno sofferto meno la riforma. Ma altri corsi di laurea, soprattutto quelli in ingegneria, hanno visto stravolta la loro struttura tradizionale.
Lo spezzattamento degli esami, con la loro conseguente moltiplicazione, porta inevitabilmente alle conseguenze da te rilevate.
C'è poi un abuso nel ricorso agli esami in itinere, che avrebbero un senso se si trattasse di prove scritte necessarie per l'ammissione all'orale. Ma quando la prova orale è assente finiscono per avere un effetto deleterio: viene infatti a mancare la visione di insieme.
Sia chiaro, l'università del vecchio ordinamento non è che fosse perfetta. In alcune università cerchi corsi di laurea erano strutturati in maniera tale da non consentire la conclusione degli studi nel periodo della durata legale. A seconda del professore titolare del corso, certi esami potevano richiedere un tempo enorme per la loro preparazione. Che dire poi di quei docenti che imponevano un lavoro di due anni per la sola tesi di laurea? Fino a quando era possibile laurearsi a 28-30 anni e trovare un buon lavoro il giorno dopo, questa situazione ha retto. Ma si è poi arrivati a un punto in cui essa non era più sostenibile.
"Vikhr":
D'altro canto mi resta difficile pensare che uno studente di Ingegneria arrivato all'esame di Laurea, sia pure Triennale, non abbia ancora capito come lavorare in modo disinvolto con potenze e radici e soprattutto che l'essere stato esposto quasi quotidianamente al concetto di una funzione e sua inversa ammettendo che la funzione in questione sia invertibile non abbia avuto qualche effetto.
Cito questo
viewtopic.php?f=3&t=72994
[E' stata un'occasione per scoprire che questo forum possiede una funzione di ricerca avanzata!]
Oggi, in una triennale si fanno circa 18-20 esami (a seconda di come si impiegano i crediti liberi), mentre in molti dicono che nel vecchio ordinamento c'erano 15-16 esami in 4 anni e in tanti aggiungono che era più tosta l'università, ma questo ultimo commento è ininfluente a ciò che sto per dire.
Il punto è questo. Quando fai 18-20 esami diversi in meno tempo è molto più probabile di scordarti materie rispetto a quando ne fai 15-16 (addirittura in più tempo). Alla triennale ho dato 19 esami - di cui me ne saranno piaciute 2 o 3 di materie, ma anche qui, i gusti personali non c'entrano - e secondo me di almeno 6-7 se ne poteva fare a meno.
Alla magistrale altri 12 esami per un totale di 31 esami in 5 anni (nel mio caso 6 anni se andiamo a contare il fuoricorso...!).
Sono dell'idea che infarcire i cdl di materie non so su quale base aiuti a dimenticare le cose davvero importanti soprattutto se molti di questi corsi trattano materie che uno studente non trova "entusiasmanti".
Operare con i radicali è ostico per molti, moltissimi ..purtroppo non parliamo poi di esponenti frazionari negativi !!!
non trovo dove sia la "questione della radice quadrata
non trovo dove sia la "questione della radice quadrata
"Vikhr":
Due commenti al post originale:
1)Per quanto riguarda la questione della radice quadrata: davanti a uno sfondone del genere un professore di adesso potrebbe anche pensare "Poverino, si è emozionato...". E oggettivamente sostenere un esame è per alcuni soggetti un'attività veramente stressante dal punto di vista psicologico, a maggior ragione davanti ai propri famigliari. D'altro canto mi resta difficile pensare che uno studente di Ingegneria arrivato all'esame di Laurea, sia pure Triennale, non abbia ancora capito come lavorare in modo disinvolto con potenze e radici e soprattutto che l'essere stato esposto quasi quotidianamente al concetto di una funzione e sua inversa ammettendo che la funzione in questione sia invertibile non abbia avuto qualche effetto.
Appunto.
Ma ammettiamo anche che davvero quella laureanda non sapesse operare con i radicali. Vogliamo forse sostenere che questa sia la norma e non invece un caso rarissimo, se non unico? Trovo pertanto assai scorretto utilizzare un caso limite e poco rappresentativo per spalare letame sulla qualità di un sistema formativo.
Due commenti al post originale:
1)Per quanto riguarda la questione della radice quadrata: davanti a uno sfondone del genere un professore di adesso potrebbe anche pensare "Poverino, si è emozionato...". E oggettivamente sostenere un esame è per alcuni soggetti un'attività veramente stressante dal punto di vista psicologico, a maggior ragione davanti ai propri famigliari. D'altro canto mi resta difficile pensare che uno studente di Ingegneria arrivato all'esame di Laurea, sia pure Triennale, non abbia ancora capito come lavorare in modo disinvolto con potenze e radici e soprattutto che l'essere stato esposto quasi quotidianamente al concetto di una funzione e sua inversa ammettendo che la funzione in questione sia invertibile non abbia avuto qualche effetto.
2)Per quanto riguarda la critica della mancata stimolazione del ragionamento: io ho cominciato a pensare SPONTANEAMENTE in quel modo solo dopo aver messo piede nell'Università. Secondo me è anche una questione di libertà personale specie considerando che alle superiori ho scelto di ricoprire il ruolo del proverbiale "secchione".
1)Per quanto riguarda la questione della radice quadrata: davanti a uno sfondone del genere un professore di adesso potrebbe anche pensare "Poverino, si è emozionato...". E oggettivamente sostenere un esame è per alcuni soggetti un'attività veramente stressante dal punto di vista psicologico, a maggior ragione davanti ai propri famigliari. D'altro canto mi resta difficile pensare che uno studente di Ingegneria arrivato all'esame di Laurea, sia pure Triennale, non abbia ancora capito come lavorare in modo disinvolto con potenze e radici e soprattutto che l'essere stato esposto quasi quotidianamente al concetto di una funzione e sua inversa ammettendo che la funzione in questione sia invertibile non abbia avuto qualche effetto.
2)Per quanto riguarda la critica della mancata stimolazione del ragionamento: io ho cominciato a pensare SPONTANEAMENTE in quel modo solo dopo aver messo piede nell'Università. Secondo me è anche una questione di libertà personale specie considerando che alle superiori ho scelto di ricoprire il ruolo del proverbiale "secchione".
"Vikhr":
A prescindere dall'ignoranza o meno degli italiani, quello che secondo me conta è il valore della didattica, che per forza di cose deve includere degli stadi di verifica affinché se ne possa misurare in qualche modo l'efficacia sull'individuo per identificarne le competenze; valore che, sempre secondo me e secondo la mia esperienza di studente, è profondamente messo in discussione da tutto quello che può succedere (e succede) dentro sistemi come l'odierna Maturità, l'Esame di Stato, ma anche e soprattutto (è più facile, nevvero? Vedere il mio 3d sulla componente di "aiuto"...) l'esame della terza media (quello della quinta elementare è stato rimosso, anche se ciò è avvenuto dopo il mio), per non parlare di alcuni esami universitari che ho sostenuto, specie quelli del primo anno (secondo voi, è possibile superare un esame di Chimica Analitica, che richiede la padronanza del concetto di equilibrio chimico, per poi non superare l'esame di Chimica Generale, che è il primo esame di un futuro chimico e nel quale è fra gli altri concetti proprio introdotto e approfondito il concetto di equilibrio chimico tramite lo svolgimento di numerosi esercizi, si spera non meccanicamente? È successo e ho assistito personalmente al colloquio... tutto questo nel Nuovo Ordinamento, quello del 3+2 per capirci).
Secondo me, le variabili da esaminare per condurre un'analisi dettagliata e non superficiale (da chiacchere da bar che io preferisco risparmiarmi) del fenomeno sono troppe. Tuttavia ho la sensazione che alcuni insegnanti agiscano in base a ordini provenienti dall'alto, specie quando si verificano dei risultati e dei cambiamenti di standard valutativi imprevedibili e repentini.
È inoltre da non trascurare la differenza dei metodi di conduzione degli stadi di verifica che ho accennato; l'esempio più lampante sono i test a numero chiuso in stile quiz diffusi nei sistemi scolastici USA e di altre Nazioni (il mio professore di Analisi 2 disse che spesso gli capita il fenomeno di studenti provenienti da altre Nazioni che svolgono scritti eccellenti, migliori in media di quelli consegnati dagli alunni italiani, ma che purtroppo al colloquio fanno pressoché scena muta perché non abituati agli esami divisi in parte scritta e orale e in particolare a svolgerne la seconda parte).
E' vero, esistono pressioni piuttosto forti per introdurre sempre più nella scuola italiane i cosiddetti test oggettivi. Al di là di questo, esiste comunque la libertà di insegnamento e quindi il ministro di turno può sbraitare quanto vuole ma non può obbligare alcun docente a utilizzare i test.
Personalmente li utilizzo solo come esercitazione in classe, perché comunque un test ben fatto può fornire spunti per la riflessione e per dei chiarimenti.
Nelle verifiche li utilizzo con la variante di "motivare la risposta", perché solo in questo modo si possono trarre reali indicazioni sul livello di preparazione dello studente, fermo restando che la valutazione è un fatto culturale. La preparazione di uno studente non può essere considerata una grandezza fisica, per cui quel numero che viene attribuito dal docente è semplicemente un modo per rendere conto di una riflessione che egli fa sulla base di determinati criteri. Ma penso che sia chiaro a tutti che non è possibile definire la definizione operativa della presunta grandezza fisica "preparazione dello studente". Bisognerebbe piantarla quindi con la solfa della standardizzazione delle valutazioni, perché non si va da nessuna parte.
Ad ogni modo in classe ci va il docente e quando chiude la porta dell'aula è lui e non il ministero a decidere quali metodologie didattiche adottare. Meno libertà c'è invece nella scelta degli argomenti da trattare. I programmi sono troppo vasti. Personalmente avrei preferito fare meno argomenti, ma in maniera più approfondita.
I nuovi programmi per il liceo scientifico prevedono che nel triennio debbano essere trattati argomenti prima non presenti nei come il calcolo delle probabilità, la statistica, la geometria analitica dello spazio e le equazioni differenziali. Era proprio necessario? E' chiaro quindi che queste scelte vincolano il docente, anche perché poi allo scientifico la matematica è oggetto di prova ministeriale.
Comunque tutto può essere discusso e analizzato e sono d'accordo con te che occorra evitare accuratamente le chiacchiere da bar.
Non tutti però sono d'accordo con questo principio. Nel link che ho citato prima infatti fra le altre cose si legge:
Punto che mi porterà tante critiche, ma io me ne sbatto le balle.
Gli insegnanti italiani sono mediamente di bassa qualità. Purtroppo è una cosa che nessuno ha mai il coraggio di dire perché gli insegnanti sono tanti. Quindi: 1- votano, 2- sono tanti coloro che hanno un parente insegnante e automaticamente si offendono.
Allora facciamo così: tu che stai leggendo e che hai una zia che insegna storia e geografia in una scuola media… ecco, facciamo che tua zia è la migliore insegnante del mondo, ok?
Quindi non rompetemi il **** dicendomi che non è vero, ché la mia insegnante di matematica era bravissima.
Sì, anche io alle superiori ho avuto un’insegnante di matematica bravissima, ma ho avuto anche una discreta dose di insegnanti pessimi, quando non proprio ignoranti come vacche. Gente che in una scuola non dovrebbe neanche mettere piede (o meglio, dovrebbe mettercelo per studiare, non per insegnare).
Questo progressivo degrado sarà stato pure inevitabile, perché nel giro di pochi lustri siamo passati all’istruzione di massa e abbiamo avuto necessità di ampliare il corpo docente imbarcando chiunque. Sarà che l’insegnamento paga poco e finisce per attirare i laureati di bassa qualità. Qualunque sia la motivazione rimane il fatto che la qualità del corpo docente è scarsa.
Certo, non è che uno può perdere tempo a replicare a tutte le fesserie che trova nella rete. Ma un intervento del genere mi fa rabbia non solo per il qualunquismo e la superficialità dell'analisi, ma anche per il fatto che a scrivere queste cose è una persona laureata fra l'altro in tempi recenti.
A che gioco giochiamo? Si criticano la scuola e l'università italiana, dicendo che regalano diplomi e lauree a però nel proprio curriculum si ebiscono i titoli di studio conseguiti in Italia, grazie ai quali fra l'altro ha potuto lavorare all'estero. In base a quale criterio si può dire che il proprio titolo "vale" mentre quello degli altri no, pur essendo stato conseguito nelle medesime scuole e nei medesimi atenei? Se questa non è insopportabile arroganza e presunzione.
Che senso ha poi sparare sul mucchio parlando di "scarsa qualità" e addirittura di diffusa ignoranza degli insegnanti della scuola pubblica? Io non sopporto che una persona che ha una formazione di tipo tecnico-scientifico argomenti in questo modo, basandosi sul nulla o forse, al più, sulla sua esperienza personale. La stessa persona che vantava la scuola di una volta. Forse i laureati in giurisprudenza che un tempo insegnavano francese erano più preparati?
A prescindere dall'ignoranza o meno degli italiani, quello che secondo me conta è il valore della didattica, che per forza di cose deve includere degli stadi di verifica affinché se ne possa misurare in qualche modo l'efficacia sull'individuo per identificarne le competenze; valore che, sempre secondo me e secondo la mia esperienza di studente, è profondamente messo in discussione da tutto quello che può succedere (e succede) dentro sistemi come l'odierna Maturità, l'Esame di Stato, ma anche e soprattutto (è più facile, nevvero? Vedere il mio 3d sulla componente di "aiuto"...) l'esame della terza media (quello della quinta elementare è stato rimosso, anche se ciò è avvenuto dopo il mio), per non parlare di alcuni esami universitari che ho sostenuto, specie quelli del primo anno; a questo proposito, secondo voi, è possibile superare un esame di Chimica Analitica, che richiede la padronanza del concetto di equilibrio chimico e con il quale, per inciso, ho qualche difficoltà ma non di certo per gli equilibri (non mi sento attualmente di fare un colloquio che tenterebbe di rappresentare il mio primo eventuale 30 e Lode in un esame decisamente importante), per poi non superare l'esame di Chimica Generale, che è il primo esame caratterizzante e di base allo stesso tempo di un futuro chimico e nel quale è fra gli altri concetti proprio introdotto e approfondito il concetto di equilibrio chimico tramite lo svolgimento di numerosi esercizi, si spera non meccanicamente e che ho superato al primo appello ed esonerato, anche col massimo dei voti grazie all'orale? È successo e ho assistito personalmente al colloquio, lo svolgimento e l'andamento del quale lascio alla vostra fantasia... (tutto questo nel Nuovo Ordinamento, quello del 3+2 per capirci).
Secondo me, le variabili da esaminare per condurre un'analisi dettagliata e non superficiale (da chiacchere da bar che io preferisco risparmiarmi) del fenomeno sono troppe. Tuttavia ho la sensazione che alcuni insegnanti agiscano in base a ordini provenienti dall'alto, specie quando si verificano dei risultati e dei cambiamenti di standard valutativi imprevedibili e repentini.
È inoltre da non trascurare la differenza dei metodi di conduzione degli stadi di verifica che ho accennato; l'esempio più lampante sono i test a numero chiuso in stile quiz diffusi nei sistemi scolastici USA e di altre Nazioni (il mio professore di Analisi 2 disse che spesso gli capita il fenomeno di studenti provenienti da altre Nazioni che svolgono scritti eccellenti, migliori in media di quelli consegnati dagli alunni italiani, ma che purtroppo al colloquio fanno pressoché scena muta perché non abituati agli esami divisi in una parte scritta (molto spesso strutturata a numero chiuso anche di fronte a quesiti difficili) e in un'altra orale, da loro evidentemente saltata.
Guardate cosa ho trovato, è interessante:
http://www.lavoce.info/competenze-degli-italiani-siamo-i-peggiori/
Secondo me, le variabili da esaminare per condurre un'analisi dettagliata e non superficiale (da chiacchere da bar che io preferisco risparmiarmi) del fenomeno sono troppe. Tuttavia ho la sensazione che alcuni insegnanti agiscano in base a ordini provenienti dall'alto, specie quando si verificano dei risultati e dei cambiamenti di standard valutativi imprevedibili e repentini.
È inoltre da non trascurare la differenza dei metodi di conduzione degli stadi di verifica che ho accennato; l'esempio più lampante sono i test a numero chiuso in stile quiz diffusi nei sistemi scolastici USA e di altre Nazioni (il mio professore di Analisi 2 disse che spesso gli capita il fenomeno di studenti provenienti da altre Nazioni che svolgono scritti eccellenti, migliori in media di quelli consegnati dagli alunni italiani, ma che purtroppo al colloquio fanno pressoché scena muta perché non abituati agli esami divisi in una parte scritta (molto spesso strutturata a numero chiuso anche di fronte a quesiti difficili) e in un'altra orale, da loro evidentemente saltata.
Guardate cosa ho trovato, è interessante:
http://www.lavoce.info/competenze-degli-italiani-siamo-i-peggiori/
"enomis":
Alludi al thread in cui parlavi del problema dell'esame di quinta elementare in un film di don Camillo e Peppone?
Comunque no, non mi riferivo a quello. Il mio è un discorso più generale, che non riguarda la sola scuola elementare. Voglio dire che certe lacune sono diffuse, a parità di titolo di studio, in uguale percentuale nei ventenni come nei sessantenni.
Sì, infatti (e anche ad un film degli anni '80). Per il resto mi tiro giustamente fuori poiché... non conosco sessantenni con diploma di scuola superiore!

"Zero87":
[quote="enomis"]E penso sia forzato anche il paragone con il presunto passato glorioso. Non so voi, ma io tutte questi grandi competenze di base nei nati negli anni 30-40-50 non le vedo.
Se ti riferisci a un mio thread recente - non si sa mai, nel dubbio puntualizzo

Alludi al thread in cui parlavi del problema dell'esame di quinta elementare in un film di don Camillo e Peppone?
Comunque no, non mi riferivo a quello. Il mio è un discorso più generale, che non riguarda la sola scuola elementare. Voglio dire che certe lacune sono diffuse, a parità di titolo di studio, in uguale percentuale nei ventenni come nei sessantenni.
"Luca.Lussardi":
ci sono realtà fantastiche e nemmeno ce ne rendiamo conto. Tra queste c’è la preparazione scolastica e universitaria. I nostri migliori ragazzi competono nel mondo e vincono contro i migliori degli altri Paesi, tant’è che i dipartimenti universitari esteri sono pieni di genio italiano, cui vengono affidati i posti di responsabilità.
Ricordo anche un post di... di... (vict85?) in cui diceva che i libri di analisi che vanno in sudamerica da noi sarebbero al livello poco sopra scuola superiore.
"enomis":
E penso sia forzato anche il paragone con il presunto passato glorioso. Non so voi, ma io tutte questi grandi competenze di base nei nati negli anni 30-40-50 non le vedo.
Se ti riferisci a un mio thread recente - non si sa mai, nel dubbio puntualizzo

"Luca.Lussardi":
Non ho tempo per una risposta dettagliata, ma mi vengono in mente le recenti parole di Alfio Quarteroni; egli dice:
L’Italia è un Paese che si parla malissimo addosso, ha un tasso di autolesionismo impressionante: ci sono realtà fantastiche e nemmeno ce ne rendiamo conto. Tra queste c’è la preparazione scolastica e universitaria. I nostri migliori ragazzi competono nel mondo e vincono contro i migliori degli altri Paesi, tant’è che i dipartimenti universitari esteri sono pieni di genio italiano, cui vengono affidati i posti di responsabilità. Questo però fa capire quanto talento sprechiamo: il nostro sistema investe un mare di risorse per preparare i suoi giovani, poi, una volta pronti, cede gratis il “prodotto” ad altri che immediatamente lo valorizzano... Se avvenisse nel mondo aziendale sarebbe assurdo. Ebbene, noi siamo questo. Un Paese ricco di fantasie e intelligenze, ma che piazza solo i figli dei raccomandati, mandando all’estero i suoi cervelli migliori. Anche le nostre due figlie lavorano all’estero.
Appunto.
Quei cervelli migliori dove sono stati formati? Ovviamente nelle scuole e nelle università italiane, che evidentemente non sono così pessime come qualcuno le dipinge (senza con questo voler sminuire l'entità dei loro problemi).
Non ho tempo per una risposta dettagliata, ma mi vengono in mente le recenti parole di Alfio Quarteroni; egli dice:
L’Italia è un Paese che si parla malissimo addosso, ha un tasso di autolesionismo impressionante: ci sono realtà fantastiche e nemmeno ce ne rendiamo conto. Tra queste c’è la preparazione scolastica e universitaria. I nostri migliori ragazzi competono nel mondo e vincono contro i migliori degli altri Paesi, tant’è che i dipartimenti universitari esteri sono pieni di genio italiano, cui vengono affidati i posti di responsabilità. Questo però fa capire quanto talento sprechiamo: il nostro sistema investe un mare di risorse per preparare i suoi giovani, poi, una volta pronti, cede gratis il “prodotto” ad altri che immediatamente lo valorizzano... Se avvenisse nel mondo aziendale sarebbe assurdo. Ebbene, noi siamo questo. Un Paese ricco di fantasie e intelligenze, ma che piazza solo i figli dei raccomandati, mandando all’estero i suoi cervelli migliori. Anche le nostre due figlie lavorano all’estero.
L’Italia è un Paese che si parla malissimo addosso, ha un tasso di autolesionismo impressionante: ci sono realtà fantastiche e nemmeno ce ne rendiamo conto. Tra queste c’è la preparazione scolastica e universitaria. I nostri migliori ragazzi competono nel mondo e vincono contro i migliori degli altri Paesi, tant’è che i dipartimenti universitari esteri sono pieni di genio italiano, cui vengono affidati i posti di responsabilità. Questo però fa capire quanto talento sprechiamo: il nostro sistema investe un mare di risorse per preparare i suoi giovani, poi, una volta pronti, cede gratis il “prodotto” ad altri che immediatamente lo valorizzano... Se avvenisse nel mondo aziendale sarebbe assurdo. Ebbene, noi siamo questo. Un Paese ricco di fantasie e intelligenze, ma che piazza solo i figli dei raccomandati, mandando all’estero i suoi cervelli migliori. Anche le nostre due figlie lavorano all’estero.