Matematica - Il MIT è uno specchio per le allodole?
Breve preludio. Il titolo è volutamente provocatorio. Parlerò di MIT, ma il discorso è eventualmente estensibile ad altre università eccellenti per antonomasia.
L'altro dì ho speso un (bel) po' del mio tempo girovagando per i siti del MIT cercando di capire come funzionino lì le cose in termini di qualità della didattica/difficoltà degli esami et similia. Ne emerge, a mio avviso, un quadro interessante.
Da quanto ho potuto constatare, il voto di un esame si compone in generale di tre parti: valutazione di esercizi settimanali da consegnare al docente + 2 o 3 prove parziali da 50 minuti l'una + prova finale di 3 ore (o giù di lì).
Qui trovate la lista dei corsi con relativi link alle pagine dedicate.
In effetti le modalità d'esame sono pesanti (i compiti dati per casa sono molti, anche se di media difficoltà - questi, per esempio, mi sembrano piuttosto standard, mentre questi decisamente meno), nel senso che si è costantemente sotto pressione (tre midterms per corso fanno un fottio di esamini da preparare); d'altro canto la difficoltà degli esercizi proposti in sede d'esame mi è sembrata spesso ridicola (vi invito a confrontare questa prova parziale, direttamente dal sito di Gilbert Strang, con queste altre dell'esame di Geo I all'UniPd, esame quivi ritenuto canchero... Qui un esempio di compito di Calculus II... E' lungo, sì, ma davvero lungi dall'essere difficile).
E' un po' il mio pallino, quello di provare che anche in Italia ci sono realtà davvero eccellenti. Io ne sono fermamente convinto... Voi cosa ne pensate?
I miei parametri di giudizio sono di norma piuttosto severi e, salvo casi eccezionali, non ho da rimbrottare alcunché ai miei insegnanti. Fatico pertanto ad immaginare qualcosa di ancora migliore, anche se è ovvio che ci sia (c'è sempre, invero).
Edit. Segnalo anche questo.
Edit #2. Sistemato link rotto.
L'altro dì ho speso un (bel) po' del mio tempo girovagando per i siti del MIT cercando di capire come funzionino lì le cose in termini di qualità della didattica/difficoltà degli esami et similia. Ne emerge, a mio avviso, un quadro interessante.
Da quanto ho potuto constatare, il voto di un esame si compone in generale di tre parti: valutazione di esercizi settimanali da consegnare al docente + 2 o 3 prove parziali da 50 minuti l'una + prova finale di 3 ore (o giù di lì).
Qui trovate la lista dei corsi con relativi link alle pagine dedicate.
In effetti le modalità d'esame sono pesanti (i compiti dati per casa sono molti, anche se di media difficoltà - questi, per esempio, mi sembrano piuttosto standard, mentre questi decisamente meno), nel senso che si è costantemente sotto pressione (tre midterms per corso fanno un fottio di esamini da preparare); d'altro canto la difficoltà degli esercizi proposti in sede d'esame mi è sembrata spesso ridicola (vi invito a confrontare questa prova parziale, direttamente dal sito di Gilbert Strang, con queste altre dell'esame di Geo I all'UniPd, esame quivi ritenuto canchero... Qui un esempio di compito di Calculus II... E' lungo, sì, ma davvero lungi dall'essere difficile).
E' un po' il mio pallino, quello di provare che anche in Italia ci sono realtà davvero eccellenti. Io ne sono fermamente convinto... Voi cosa ne pensate?
I miei parametri di giudizio sono di norma piuttosto severi e, salvo casi eccezionali, non ho da rimbrottare alcunché ai miei insegnanti. Fatico pertanto ad immaginare qualcosa di ancora migliore, anche se è ovvio che ci sia (c'è sempre, invero).
Edit. Segnalo anche questo.
Edit #2. Sistemato link rotto.
Risposte
A Socio:
hai centrato la questione, qui non si tratta di scegliere fra un normalista ed un laureato al MIT, qui si tratta di rendersi conto che nel sistema Italia l'eccellenza non ha posto , con buona pace di tutta la retorica aziendalista e politica che ci propinano.
L'Italia è un sistema economico che ha vissuto per decenni sull'export a basso contenuto tecnologico in una logica di specializzazione internazionale del mondo a due blocchi. Dopo la caduta del muro di Berlino e l'entrata definitiva nello SME, l'Italia si è concentrata molto sulla gestione del debito pubblico, rendendo difficili sia gli investimenti privati che pubblici, fondamentali per la crescita e di conseguenza per la collocazione dei soggetti altamente qualificati.
Per rispondere alla tua domanda è come scegliere fra una Maserati ed una Ferrari, tutti sanno che sono delle super car, ma nessuno è così competente da poter scegliere la migliore per le sue esigenze e con ogni probabilità non saprebbe come usarla al meglio. Il problema è serio perché in generale chi seleziona il personale non ha le qualifiche per poterlo giudicare e collocarlo nel modo più produttivo e soddisfacente.
hai centrato la questione, qui non si tratta di scegliere fra un normalista ed un laureato al MIT, qui si tratta di rendersi conto che nel sistema Italia l'eccellenza non ha posto , con buona pace di tutta la retorica aziendalista e politica che ci propinano.
L'Italia è un sistema economico che ha vissuto per decenni sull'export a basso contenuto tecnologico in una logica di specializzazione internazionale del mondo a due blocchi. Dopo la caduta del muro di Berlino e l'entrata definitiva nello SME, l'Italia si è concentrata molto sulla gestione del debito pubblico, rendendo difficili sia gli investimenti privati che pubblici, fondamentali per la crescita e di conseguenza per la collocazione dei soggetti altamente qualificati.
Per rispondere alla tua domanda è come scegliere fra una Maserati ed una Ferrari, tutti sanno che sono delle super car, ma nessuno è così competente da poter scegliere la migliore per le sue esigenze e con ogni probabilità non saprebbe come usarla al meglio. Il problema è serio perché in generale chi seleziona il personale non ha le qualifiche per poterlo giudicare e collocarlo nel modo più produttivo e soddisfacente.
Comunque voi matematici siete terribili, e lo dico con simpatia. Ho fatto una domanda semplice e tutti a cambiarla per dare la risposta che preferiscono
Sarà anche vero che all'estero i laureati italiani son ben visti, però tendenzialmente prendono quelli bravi (invece dubito che uno studente straniero in gamba verrebbe in Italia a fare il dottorato o a lavorare). Poi di gente che eccelle ce ne sarà anche in Congo, ma non è detto che dipenda dal loro sistema universitario, semplicemente chi ha una certa mentalità ottiene risultati notevoli anche con mezzi scarsi (che poi, come avete già fatto notare, oggi chiunque abbia internet può studiare sugli stessi libri di testo di uno del MIT o anche seguirsi le videolezioni).

Sarà anche vero che all'estero i laureati italiani son ben visti, però tendenzialmente prendono quelli bravi (invece dubito che uno studente straniero in gamba verrebbe in Italia a fare il dottorato o a lavorare). Poi di gente che eccelle ce ne sarà anche in Congo, ma non è detto che dipenda dal loro sistema universitario, semplicemente chi ha una certa mentalità ottiene risultati notevoli anche con mezzi scarsi (che poi, come avete già fatto notare, oggi chiunque abbia internet può studiare sugli stessi libri di testo di uno del MIT o anche seguirsi le videolezioni).
"socio1985":
Mettiamo caso che avete un'attività e state cercando qualcuno che lavori per voi, così, senza avere ulteriori informazioni, dovete scegliere tra un laureato in matematica in italia e uno uscito dal MIT. Che decisione prendereste?
Come diceva delirium, forse è meglio puntualizzare la domanda.
1. Fra un laureato in matematica alla Normale e uno al MIT, chi scegliereste?
Posto che ogni persona fa caso a sé, ragionando in termini medi sceglierei un laureato alla Normale.
2. Fra un laureato in matematica in Italia e uno in un generico college USA, chi scegliereste?
Posto che ogni persona fa caso a sé, ragionando in termini medi sceglierei un laureato in Italia.
"Delirium":
[quote="Injuria"]Per Delirium: [...] Sul fatto che l'università italiana sia "sociale" ne dubito fortemente, tu stesso dici che esiste il baronismo e il familiarismo [...]
In realtà io non ho detto niente

Ti sei confuso con qualche altro utente.
Il titolo ha chiaramente un intento provocatorio: io personalmente non penso che il MIT sia uno specchio per le allodole, ci mancherebbe. Il fatto è che spesso ho sentito persone mitizzare certe blasonate università con frasi del tipo: "Beh, si è lauerato al MIT/ad Harvard/a Yale... Questa è una garanzia circa il fatto che sappia." Pertanto ho fatto il giro descritto in capothread per osservare quanto veramente sappia (in media, s'intende) in più un laureato in Matematica al MIT rispetto ad un laureato a Padova (o a Pisa o a Milano o alla Sapienza etc...), e mi è sembrato di osservare una differenza di \(\epsilon\) piccolo quanto vuolsi. E, ribadisco, parlo di Matematica, cioè di una realtà che sto cominciando a conoscere. L'idea di fondo che vorrei far passare è pertanto la seguente: per fare della Matematica di qualità basta un foglio di carta, una matita ed un cervello ben istruito.
Ovviamente, come dici tu (e sono perfettamente d'accordo con te), l'università non è soltanto una fucina atta a sfornare laureati: è e deve divenire parte attiva nella formazione sociale ed etica degli individui (anche se qui si potrebbe discutere sulla definizione di università... Voglio dire, uno potrebbe rimbrottare che il compito dell'università è soltanto quello di fornire un titolo di studio legalmente riconosciuto, punto).
"socio1985":
Mettiamo caso che avete un'attività e state cercando qualcuno che lavori per voi, così, senza avere ulteriori informazioni, dovete scegliere tra un laureato in matematica in italia e uno uscito dal MIT. Che decisione prendereste?
La tua domanda è mal posta. In Italia ci sono infatti 68 università statali, che si guardano bene dall'essere tutte allo stesso livello. Una riformulazione più democratica potrebbe essere la seguente: "chi scegliereste, tra un laureato alla Normale di Pisa ed un laureato al MIT?" oppure "chi scegliereste, tra un laureato in Italia ed uno negli Stati Uniti?"[/quote]
Si potrebbero prendere entrambi. La visione di due realtà diverse arricchirebbe un team di lavoro.
Sì, mi sono confuso fra Delirium e Ryukushi, ovviamente mi riferivo all'ultimo post di quest'ultimo (non mi piace quotare, altrimenti viene la pagina troppo lunga).
Sulle facoltà di matematica concordo, l'insegnamento della matematica non richiede grandi investimenti e comunque abbiamo un'ottima tradizione e gli studenti non faticano a competere anche all'estero.
Sulle facoltà di matematica concordo, l'insegnamento della matematica non richiede grandi investimenti e comunque abbiamo un'ottima tradizione e gli studenti non faticano a competere anche all'estero.
"Delirium":
[quote="Injuria"]Per Delirium: [...]
[quote="socio1985"]Mettiamo caso che avete un'attività e state cercando qualcuno che lavori per voi, così, senza avere ulteriori informazioni, dovete scegliere tra un laureato in matematica in italia e uno uscito dal MIT. Che decisione prendereste?
La tua domanda è mal posta. In Italia ci sono infatti 68 università statali, che si guardano bene dall'essere tutte allo stesso livello. Una riformulazione più democratica potrebbe essere la seguente: "chi scegliereste, tra un laureato alla Normale di Pisa ed un laureato al MIT?" oppure "chi scegliereste, tra un laureato in Italia ed uno negli Stati Uniti?"[/quote][/quote]
Era volutamente posta in questi termini, d'altra parte la discussione verteva su università italiane/MIT. La tua risposta conferma la mia idea che il paragone è un po' "improbabile".
"Injuria":
Per Delirium: [...] Sul fatto che l'università italiana sia "sociale" ne dubito fortemente, tu stesso dici che esiste il baronismo e il familiarismo [...]
In realtà io non ho detto niente

Ti sei confuso con qualche altro utente.
Il titolo ha chiaramente un intento provocatorio: io personalmente non penso che il MIT sia uno specchio per le allodole, ci mancherebbe. Il fatto è che spesso ho sentito persone mitizzare certe blasonate università con frasi del tipo: "Beh, si è lauerato al MIT/ad Harvard/a Yale... Questa è una garanzia circa il fatto che sappia." Pertanto ho fatto il giro descritto in capothread per osservare quanto veramente sappia (in media, s'intende) in più un laureato in Matematica al MIT rispetto ad un laureato a Padova (o a Pisa o a Milano o alla Sapienza etc...), e mi è sembrato di osservare una differenza di \(\epsilon\) piccolo quanto vuolsi. E, ribadisco, parlo di Matematica, cioè di una realtà che sto cominciando a conoscere. L'idea di fondo che vorrei far passare è pertanto la seguente: per fare della Matematica di qualità basta un foglio di carta, una matita ed un cervello ben istruito.
Ovviamente, come dici tu (e sono perfettamente d'accordo con te), l'università non è soltanto una fucina atta a sfornare laureati: è e deve divenire parte attiva nella formazione sociale ed etica degli individui (anche se qui si potrebbe discutere sulla definizione di università... Voglio dire, uno potrebbe rimbrottare che il compito dell'università è soltanto quello di fornire un titolo di studio legalmente riconosciuto, punto).
"socio1985":
Mettiamo caso che avete un'attività e state cercando qualcuno che lavori per voi, così, senza avere ulteriori informazioni, dovete scegliere tra un laureato in matematica in italia e uno uscito dal MIT. Che decisione prendereste?
La tua domanda è mal posta. In Italia ci sono infatti 68 università statali, che si guardano bene dall'essere tutte allo stesso livello. Una riformulazione più democratica potrebbe essere la seguente: "chi scegliereste, tra un laureato alla Normale di Pisa ed un laureato al MIT?" oppure "chi scegliereste, tra un laureato in Italia ed uno negli Stati Uniti?"
Mettiamo caso che avete un'attività e state cercando qualcuno che lavori per voi, così, senza avere ulteriori informazioni, dovete scegliere tra un laureato in matematica in italia e uno uscito dal MIT. Che decisione prendereste?
Per Delurium:
non fraintendiamo il mio post, non ho detto che le università italiane siano da buttare,ci sono molti professori italiani al MIT formati delle università italiane ho solo specificato, in contrapposizione al titolo del post che il MIT deve essere visto come un modello. Stiamo parlando dell'eccellenza a livello mondiale, l'influenza culturale del MIT è enorme, quindi non possiamo dire che sia tutto fumo quello vendono. Attenzione sto parlando del MIT e non del sistema universitario o educativo americano nel suo complesso, sto prendendo in considerazione il meglio che il sistema americano ha prodotto.
Sul fatto che l'università italiana sia "sociale" ne dubito fortemente, tu stesso dici che esiste il baronismo e il familiarismo, un'università così non è tanto sociale, se per sociale si intende dare un'opportunità di alta formazione a tutti oltre che di accesso alla carriera universitaria. Questo si ricollega al discorso dell'etica: studenti etici richiedono professori etici.
Studi e statistiche indicano che in Italia, fra i paesi sviluppati, la mobilità sociale e fra le più difficoltose.
Dunque revisionerei il tuo pensiero su questo aspetto.
non fraintendiamo il mio post, non ho detto che le università italiane siano da buttare,ci sono molti professori italiani al MIT formati delle università italiane ho solo specificato, in contrapposizione al titolo del post che il MIT deve essere visto come un modello. Stiamo parlando dell'eccellenza a livello mondiale, l'influenza culturale del MIT è enorme, quindi non possiamo dire che sia tutto fumo quello vendono. Attenzione sto parlando del MIT e non del sistema universitario o educativo americano nel suo complesso, sto prendendo in considerazione il meglio che il sistema americano ha prodotto.
Sul fatto che l'università italiana sia "sociale" ne dubito fortemente, tu stesso dici che esiste il baronismo e il familiarismo, un'università così non è tanto sociale, se per sociale si intende dare un'opportunità di alta formazione a tutti oltre che di accesso alla carriera universitaria. Questo si ricollega al discorso dell'etica: studenti etici richiedono professori etici.
Studi e statistiche indicano che in Italia, fra i paesi sviluppati, la mobilità sociale e fra le più difficoltose.
Dunque revisionerei il tuo pensiero su questo aspetto.
Si, qua in Italia l'etica sta solo sulla carta.
E le cose sono o possono essere molto diverse da come appaiono, per capire le
realtà universitarie in Italia è inutile leggersi manifesti, programmi, descrizioni dei corsi e numero di cfu,
bisogna per forza esserci dentro, apprendere i meccanismi, sbatterci la testa insomma.
E le cose sono o possono essere molto diverse da come appaiono, per capire le
realtà universitarie in Italia è inutile leggersi manifesti, programmi, descrizioni dei corsi e numero di cfu,
bisogna per forza esserci dentro, apprendere i meccanismi, sbatterci la testa insomma.
Riguardo al codice d'onore, anche le università italiane hanno un codice etico; ad esempio, quello della Sapienza (art. 3) riporta:
"[...] costituiscono violazione dell'etica accademica da parte degli studenti:
a. la mancanza di lealtà e di correttezza, gli inganni e le scappatoie, la copiatura e i falsi nelle prove d'esame [...]"
Poi, vale il solito discorso un po' qualunquista: negli USA praticamente non esistono nemmeno gli evasori fiscali, e chi evade le tasse è considerato da tutti un delinquente, mentre in Italia abbiamo avuto anche Presidenti del Consiglio che hanno sostenuto che evadere le tasse non è, tutto sommato, da considerarsi un reato.
"[...] costituiscono violazione dell'etica accademica da parte degli studenti:
a. la mancanza di lealtà e di correttezza, gli inganni e le scappatoie, la copiatura e i falsi nelle prove d'esame [...]"
Poi, vale il solito discorso un po' qualunquista: negli USA praticamente non esistono nemmeno gli evasori fiscali, e chi evade le tasse è considerato da tutti un delinquente, mentre in Italia abbiamo avuto anche Presidenti del Consiglio che hanno sostenuto che evadere le tasse non è, tutto sommato, da considerarsi un reato.
Anche io sono d'accordo con Injuria. Sicuramente un aspetto positivo in USA consiste
in questi codici etici o d'onore; una citazione di un tale codice è presente nel syllabus
del corso che ho linkato nel precedente post.
in questi codici etici o d'onore; una citazione di un tale codice è presente nel syllabus
del corso che ho linkato nel precedente post.
Ciao Injuria, sono abbastanza d'accordo con te.
Tornerò a sviluppare il mio punto di vista più tardi.
Tornerò a sviluppare il mio punto di vista più tardi.
"Injuria":
La domanda del post me la sono fatta più volte anche io. Di conseguenza mi sono interessato alla didattica delle grandi università americane pensando che se sono così quotate chissà cosa insegnano.
Alla fine ho constatato che i contenuti degli insegnamenti e le lezioni non differiscono di molto da quelli impartiti nelle università italiane di buona qualità.
Da questa discussione evinco che si giudicano le università solo dai contenuti della didattica e dalla difficoltà degli esami, errore che ho commesso anche io. All'università non si insegna solo la teoria, ma anche lo sviluppo di qualità umane e capacità che vanno oltre all'essere un contenitore di conoscenze.
Dalle testimonianze che leggo qui vedo che uno dei caratteri che distinguono il modello americano è dare scadenze e costringere lo studente a seguire i ritmi e rispettare tempi prestabiliti. Di recente ho letto uno studio dell'università di Padova sul tema preparazione universitaria/mondo del lavoro: gli studenti lamentano non tanto la preparazione teorica giudicata addirittura sovrabbondante, bensì altre "skills" in particolare la capacità di esporre con chiarezza ed essere convincente (pecca delle preparazioni tecnico-scientifiche), le capacità organizzative e di rispettare scadenze, la capacità di collaborare coi colleghi. Queste qualità nelle grandi università americane vengono sviluppate, chiaro che questo comporta una perdita di contenuti: non c'è limite a quello che la mente umana può apprendere, ma c'è un limite all'apprendimento in un determinato tempo, ne conseguono esami più facili, ma più incalzanti come tempi.
Altra cosa che invidio alle università americane è il codice d'onore che si basano sulla cooperazione, l'onestà ed il dovere di partecipare attivamente alla vita universitaria. Dalla mia esperienza queste cose in Italia mancano ed è un problema educativo serio: se uno studente pensa che copiando una tesi o un esame, oziando non rispettando nessuna scadenza e fregandosene delle relazioni, si laureerà comunque e troverà lavoro avremo persone che perseguono questa mentalità anche fuori le università e ciò danneggia la vita lavorativa e sociale.
Un fatto, forse banale per molti di voi, che ho scoperto di recente da uno studio è che il mercato del lavoro italiano predilige il titolo di studio ai tempi di conseguimento della laurea ed ai voti conseguiti. In pratica un laureato mediocre in ingegneria che si presenta sul mercato del lavoro a 30 anni ha più probabilità di trovare lavoro e di avere un salario più alto rispetto ad un laureato eccellente di filosofia o scienze politiche di 24 anni. Questo fatto mi fa pensare a due gravi difetti del sistema italiano: il primo è la scarsa credibilità delle università, un laureato eccellente non viene valutato come lavoratore eccellente o persona eccellente dal mondo esterno in pratica il mondo esterno è indifferente alle valutazioni delle università, gli interessa di più il titolo che altre qualità umane altrettanto importanti. Secondo, si da il messaggio che è meglio laurearsi a tutti i costi con tempi lunghissimi, magari barando e con un voto pessimo pur non essendo portati per una certa disciplina che dedicarsi ad altro, sfruttando ad esempio il diploma e lavorare subito, conseguenza nefasta: molti laureati vengono impiegati per lavori da diplomati con la sensazione che "ci sono troppi laureati" e il diploma non serve più.
In conclusione il MIT non è uno specchietto per le allodole, è un modello al quale ci dovremmo ispirare non per i contenuti della didattica o per un corpo docenti straordinario, ma per lo sviluppo di qualità intangibili e non meno importanti delle nozioni apprese.
Non lo so, io credo che le Università americane, ma più in generale la società americana, abbiano un modello fin troppo, non saprei ben definirlo, "arrivista", mentre trovo il modello italiano, pur con la sua miriade di difetti, più "sociale": certo, la mia opinione è più dettata dall'impressione che ho della cultura americana, che deriva da libri, film ed articoli, e non da esperienza diretta. Ma lo studente americano punta a fare il proprio dovere per arrivare, mentre l'università italiana secondo me mette più al centro la formazione e l'apprendimento. E' indubbio che una parte di quel tipo di attività andrebbero prob sviluppate anche qua, ma io credo che la struttura base della didattica e dell'università italiana sia buona. Il miglioramento arriverà con maggiori finanziamenti, potenzialmente ben gestiti, e un sistema di selezione dei docenti meno baronesco.
Complimenti per la relazione! concordo in tutto..
Sono altri aspetti che mancano nell'università italiana e che non sono meno importanti.
Io non avrei saputo descrivere meglio l'università italiana, 10+
Sono altri aspetti che mancano nell'università italiana e che non sono meno importanti.
Io non avrei saputo descrivere meglio l'università italiana, 10+
La domanda del post me la sono fatta più volte anche io. Di conseguenza mi sono interessato alla didattica delle grandi università americane pensando che se sono così quotate chissà cosa insegnano.
Alla fine ho constatato che i contenuti degli insegnamenti e le lezioni non differiscono di molto da quelli impartiti nelle università italiane di buona qualità.
Da questa discussione evinco che si giudicano le università solo dai contenuti della didattica e dalla difficoltà degli esami, errore che ho commesso anche io. All'università non si insegna solo la teoria, ma anche lo sviluppo di qualità umane e capacità che vanno oltre all'essere un contenitore di conoscenze.
Dalle testimonianze che leggo qui vedo che uno dei caratteri che distinguono il modello americano è dare scadenze e costringere lo studente a seguire i ritmi e rispettare tempi prestabiliti. Di recente ho letto uno studio dell'università di Padova sul tema preparazione universitaria/mondo del lavoro: gli studenti lamentano non tanto la preparazione teorica giudicata addirittura sovrabbondante, bensì altre "skills" in particolare la capacità di esporre con chiarezza ed essere convincente (pecca delle preparazioni tecnico-scientifiche), le capacità organizzative e di rispettare scadenze, la capacità di collaborare coi colleghi. Queste qualità nelle grandi università americane vengono sviluppate, chiaro che questo comporta una perdita di contenuti: non c'è limite a quello che la mente umana può apprendere, ma c'è un limite all'apprendimento in un determinato tempo, ne conseguono esami più facili, ma più incalzanti come tempi.
Altra cosa che invidio alle università americane è il codice d'onore che si basano sulla cooperazione, l'onestà ed il dovere di partecipare attivamente alla vita universitaria. Dalla mia esperienza queste cose in Italia mancano ed è un problema educativo serio: se uno studente pensa che copiando una tesi o un esame, oziando non rispettando nessuna scadenza e fregandosene delle relazioni, si laureerà comunque e troverà lavoro avremo persone che perseguono questa mentalità anche fuori le università e ciò danneggia la vita lavorativa e sociale.
Un fatto, forse banale per molti di voi, che ho scoperto di recente da uno studio è che il mercato del lavoro italiano predilige il titolo di studio ai tempi di conseguimento della laurea ed ai voti conseguiti. In pratica un laureato mediocre in ingegneria che si presenta sul mercato del lavoro a 30 anni ha più probabilità di trovare lavoro e di avere un salario più alto rispetto ad un laureato eccellente di filosofia o scienze politiche di 24 anni. Questo fatto mi fa pensare a due gravi difetti del sistema italiano: il primo è la scarsa credibilità delle università, un laureato eccellente non viene valutato come lavoratore eccellente o persona eccellente dal mondo esterno in pratica il mondo esterno è indifferente alle valutazioni delle università, gli interessa di più il titolo che altre qualità umane altrettanto importanti. Secondo, si da il messaggio che è meglio laurearsi a tutti i costi con tempi lunghissimi, magari barando e con un voto pessimo pur non essendo portati per una certa disciplina che dedicarsi ad altro, sfruttando ad esempio il diploma e lavorare subito, conseguenza nefasta: molti laureati vengono impiegati per lavori da diplomati con la sensazione che "ci sono troppi laureati" e il diploma non serve più.
In conclusione il MIT non è uno specchietto per le allodole, è un modello al quale ci dovremmo ispirare non per i contenuti della didattica o per un corpo docenti straordinario, ma per lo sviluppo di qualità intangibili e non meno importanti delle nozioni apprese.
Alla fine ho constatato che i contenuti degli insegnamenti e le lezioni non differiscono di molto da quelli impartiti nelle università italiane di buona qualità.
Da questa discussione evinco che si giudicano le università solo dai contenuti della didattica e dalla difficoltà degli esami, errore che ho commesso anche io. All'università non si insegna solo la teoria, ma anche lo sviluppo di qualità umane e capacità che vanno oltre all'essere un contenitore di conoscenze.
Dalle testimonianze che leggo qui vedo che uno dei caratteri che distinguono il modello americano è dare scadenze e costringere lo studente a seguire i ritmi e rispettare tempi prestabiliti. Di recente ho letto uno studio dell'università di Padova sul tema preparazione universitaria/mondo del lavoro: gli studenti lamentano non tanto la preparazione teorica giudicata addirittura sovrabbondante, bensì altre "skills" in particolare la capacità di esporre con chiarezza ed essere convincente (pecca delle preparazioni tecnico-scientifiche), le capacità organizzative e di rispettare scadenze, la capacità di collaborare coi colleghi. Queste qualità nelle grandi università americane vengono sviluppate, chiaro che questo comporta una perdita di contenuti: non c'è limite a quello che la mente umana può apprendere, ma c'è un limite all'apprendimento in un determinato tempo, ne conseguono esami più facili, ma più incalzanti come tempi.
Altra cosa che invidio alle università americane è il codice d'onore che si basano sulla cooperazione, l'onestà ed il dovere di partecipare attivamente alla vita universitaria. Dalla mia esperienza queste cose in Italia mancano ed è un problema educativo serio: se uno studente pensa che copiando una tesi o un esame, oziando non rispettando nessuna scadenza e fregandosene delle relazioni, si laureerà comunque e troverà lavoro avremo persone che perseguono questa mentalità anche fuori le università e ciò danneggia la vita lavorativa e sociale.
Un fatto, forse banale per molti di voi, che ho scoperto di recente da uno studio è che il mercato del lavoro italiano predilige il titolo di studio ai tempi di conseguimento della laurea ed ai voti conseguiti. In pratica un laureato mediocre in ingegneria che si presenta sul mercato del lavoro a 30 anni ha più probabilità di trovare lavoro e di avere un salario più alto rispetto ad un laureato eccellente di filosofia o scienze politiche di 24 anni. Questo fatto mi fa pensare a due gravi difetti del sistema italiano: il primo è la scarsa credibilità delle università, un laureato eccellente non viene valutato come lavoratore eccellente o persona eccellente dal mondo esterno in pratica il mondo esterno è indifferente alle valutazioni delle università, gli interessa di più il titolo che altre qualità umane altrettanto importanti. Secondo, si da il messaggio che è meglio laurearsi a tutti i costi con tempi lunghissimi, magari barando e con un voto pessimo pur non essendo portati per una certa disciplina che dedicarsi ad altro, sfruttando ad esempio il diploma e lavorare subito, conseguenza nefasta: molti laureati vengono impiegati per lavori da diplomati con la sensazione che "ci sono troppi laureati" e il diploma non serve più.
In conclusione il MIT non è uno specchietto per le allodole, è un modello al quale ci dovremmo ispirare non per i contenuti della didattica o per un corpo docenti straordinario, ma per lo sviluppo di qualità intangibili e non meno importanti delle nozioni apprese.
Beninteso: durante i 3 mesi di permanenza in Texas, non ho sperimentato sulla mia pelle come si senta uno studente di PhD in USA. Ero infatti un "Visiting scholar" (scholar non vuol dire scolaro o studente, ma "studioso"). Ho sempre lavorato alla mia tesi, avevo la mia scrivania con computer e tutto dove lavorare, e ho fatto anche due seminari; come se fossi un ricercatore visitatore, per intenderci. Se le cose fossero rimaste così anche al PhD, ci sarei tornato senza problemi (mi piaceva un sacco l'ambiente e tutto). Poi sono andato a vedere quali erano i ritmi... Un altro corso che avrei dovuto seguire al dottorato, oltre a quello cui accennavo nel precedente post, è questo (in buona parte una ripetizione di Analisi Funzionale, esame che ho già ampiamente fatto). Tenendo in conto questo, più altri due corsi a semestre, il carico settimanale di homework sarebbe stato davvero pesante. Tutto quel che dico trova riscontro nelle seguenti parole, che sono la testimonianza diretta di uno studente spagnolo che quest'anno ha iniziato questo stesso dottorato (sarebbe stato mio collega se avessi accettato anch'io); gli avevo scritto una mail per chiedergli un parere su come stessero andando le cose, il rapporto con i professori etc, e in un primo momento mi disse addirittura che avrebbe dovuto trovare uno slot di tempo libero per rispondermi, per quanto era occupato. Alla fine l'ha trovato, ed ecco cosa mi ha scritto...
(Ovviamente non ero più visiting researcher).
Hey Francesco,
Sorry for not having gotten back to you earlier. I'm really busy here and at some point I did write an email to you but I decided to let it sit on my unsent folder because I was particularly frustrated that day. The thing is that, for me, I have no time to do research here. Of course your experience may be different than mine but I have asked around and this has been / is being pretty much the same for first year students of the CSEM program. [size=105]It is not that the subjects are too difficult, it's just that you are given a big workload and are constantly bombarded with deadlines.[/size]
On the positive side we have (somewhat) easy access to the local supercomputer and many other perks. In my case I'm also part of one of the top research groups in my field, which is great (it'll be greater when I pass the qualification exams and get some time to catch my breath).
I just read in your profile that you are or have been a visiting researcher at UT. If you're currently here, we can talk in person and I can introduce you to some other people (for example my italian lab mates --who are great guys--).
Take care
(Ovviamente non ero più visiting researcher).
"fireball":
[quote="Delirium"][...]
Confermo quello che dici. Ho una laurea magistrale in Ingegneria Matematica e l'anno scorso ero stato ammesso a questo dottorato (dopo una permanenza di 3 mesi in quell'istituto a fare la tesi). Non ho accettato proprio per i motivi che hai specificato tu... Costantemente sotto pressione, compiti a casa, corsi ed esami a manetta... In più alcune prove d'esame sono ridicole: questa è la prova finale di un esame che avrei dovuto seguire, tanto per farsi un'idea; non l'avrebbe assegnata come appello neanche il mio prof. di Meccanica dei Solidi del secondo anno della triennale. Sembra una specie di scuola superiore a ritmi molto elevati. Anche queste slides ad una prima lettura danno l'idea di quanto uno debba prepararsi a sentirsi sotto pressione. Sarà che negli States i dottorati si iniziano dopo il Bachelor (che comunque a quanto ho sentito vale anche un po' meno della nostra triennale) e non dopo il Master. In ogni caso, l'impressione che si ha è che negli USA i dottorandi vengano trattati ancora come scolari e non come apprendisti ricercatori che collaborano con professori associati o ordinari.[/quote]
Bella testimonianza, forse molto deriva anche dalla capacità di marketing delle università americane. Anch'io credo che le nostre Università siano molto buone a livello didattico, i problemi principali sono di ordine organizzativo e di mancanza di risorse economiche. Altrimenti come ci si spiega che la maggior parte dei nostri che si trasferiscono lì vengano agilmente presi nelle università americane per dottorati et similia, o addirittura vengano già da giovani assunti come professori associati?
fireball, ti ringrazio per aver condiviso la tua esperienza personale!
"Delirium":
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Confermo quello che dici. Ho una laurea magistrale in Ingegneria Matematica e l'anno scorso ero stato ammesso a questo dottorato (dopo una permanenza di 3 mesi in quell'istituto a fare la tesi). Non ho accettato proprio per i motivi che hai specificato tu... Costantemente sotto pressione, compiti a casa, corsi ed esami a manetta... In più alcune prove d'esame sono ridicole: questa è la prova finale di un esame che avrei dovuto seguire, tanto per farsi un'idea; non l'avrebbe assegnata come appello neanche il mio prof. di Meccanica dei Solidi del secondo anno della triennale. Sembra una specie di scuola superiore a ritmi molto elevati. Anche queste slides ad una prima lettura danno l'idea di quanto uno debba prepararsi a sentirsi sotto pressione. Sarà che negli States i dottorati si iniziano dopo il Bachelor (che comunque a quanto ho sentito vale anche un po' meno della nostra triennale) e non dopo il Master. In ogni caso, l'impressione che si ha è che negli USA i dottorandi vengano trattati ancora come scolari e non come apprendisti ricercatori che collaborano con professori associati o ordinari.