La carriera accademica oggi

pier.paolo15
Salve a tutti,
in questo topic vorrei discutere dello stato della carriera accademica oggi. Lo apro sia perché so che sul forum scrivono diversi accademici, strutturati e non, che potrebbero conoscere meglio di me certe dinamiche, sia perché mi interessa l'opinione di chi invece è esterno all'ambiente. Nonostante se ne sia parlato diverse volte su questi lidi, faccio un breve riassunto della situazione attuale per chi non ne è al corrente e poi porrò qualche spunto di discussione. Sarò il più generale possibile, evitando di limitarmi solo all'Italia.

Nella stragrande maggioranza dei casi, oggi la carriera accademica inizia con un dottorato, durante il quale il candidato impara a fare ricerca sotto la guida di un supervisore e comincia a frequentare l'accademia nei suoi vari aspetti (corsi, seminari, scuole, convegni, soggiorni all'estero, ecc.). Il dottorato dura in media dai 3 ai 5 anni, ma la parte interessante viene dopo. Infatti, a meno di non aver avuto risultati strabilianti, chi vorrà continuare con l'accademia dovrà continuare con dei postdoc, che sono - semplificando al massimo - delle posizioni di ricerca a tempo determinato. Ciascuna di esse può durare da pochi mesi a 5 anni. In totale, il periodo passato come postdoc varia tra i diversi settori: in matematica e fisica in genere va dai 5 ai 10 anni, ma ho letto anche curriculum di persone che hanno ottenuto una posizione permanente dopo 12 anni di postdoc. Quasi sempre tra un postdoc e l'altro si cambia università, spesso si cambia anche stato. Inoltre, è questo il periodo in cui la maggior parte degli aspiranti abbandona. Infatti, al momento si stima che il rapporto tra le posizioni di dottorato aperte e le posizioni permanenti in accademia sia tra l'1% (!) e il 20%, per cui a un certo punto molti dovranno mollare. Ora le domande.

- Almeno nelle scienze pure, tutte le posizioni di ricerca sono finanziate dagli stati o dall'Unione Europea, per cui in teoria tali enti hanno il totale controllo della situazione. Dunque, la precarizzazione della carriera accademica è voluta, perseguita scientemente, o dovuta soprattutto alla scarsa attenzione da parte dei decisori?

- Di solito tutto ciò viene spiegato con la "mancanza di fondi". Questa motivazione non mi ha mai convinto del tutto. Infatti, a parità di fondi si può decidere di distribuire diversamente i tipi di posizioni aperte, o modulare diversamente i salari. E' quindi solo mancanza di fondi o è un cambio di mentalità?

- I postdoc, in generale, possono essere esperienze molto fruttuose per il giovane ricercatore, che così può apprendere nuove idee in gruppi di ricerca diversi e formare una rete di contatti internazionale. Tuttavia, è innegabile che a un certo punto molte persone continuano coi postdoc semplicemente perché non trovano altre posizioni disponibili, non perché vorrebbero ancora continuare o potrebbero verosimilmente trarre ulteriore profitto da questo stadio della carriera. Secondo voi, quanto tempo è necessario realisticamente per valutare se un candidato è idoneo o meno ad avere una posizione permanente? Cinque anni di postdoc, diciamo il tempo per un paio di postdoc in 2 stati diversi, non sono sufficienti? Se non sbaglio era più o meno la norma fino a 10 anni fa, e qualche decennio fa si assumeva direttamente dopo il dottorato. La scienza ne ha risentito particolarmente?

- Tale situazione non rischia di allontanare dalla carriera accademica persone particolarmente dotate, ma che non possono sobbarcarsi il costo di una scelta del genere? Le autorità nazionali ed europee non temono che tale carriera possa diventare molto poco attraente?

Grazie in anticipo a chi risponderà.

Risposte
xXStephXx
Non penso che l'insegnamento richieda una formazione lunghissima ma di sicuro qui va preso sul serio e conquistare gli studenti internazionali resta la prima priorità.

Anche non volendolo, bisogna registrare un sacco di cose settimana per settimana ed un'eventuale discrepanza rispetto ai programmi emergerebbe subito. Anche i testi degli esami vanno approvati.

hydro1
"pier.paolo":

Ma non so...l'atteggiamento di concentrarsi sulla ricerca a scapito della didattica, ai fini del raggiungimento della tenure, l'ho visto in tutta Europa. Il fatto che negli Stati Uniti la cosa sia vista diversamente mi fa piacere, ma non l'avevo mai sentita (in UK è la stessa cosa?).


Sì non credere che anche negli USA tu debba essere proprio un ottimo insegnante per raggiungere la tenure... Però essere pessimo creda dei seri problemi, il che è un bel passo avanti. Poi per il resto il circolo vizioso folle del publish or perish la fa da padrone ovunque.

pier.paolo15
"xXStephXx":
[quote="pier.paolo"]
Ecco, ma posso chiedere come mai si è giunti a quest'impostazione? A mio avviso l'insegnamento è una parte fondamentale del lavoro in università - in certi casi è quella che ha un impatto maggiore sulla società - per cui mi sembra assurdo che venga continuamente sminuito.


Molto probabilmente perché la lingua italiana è una barriera insormontabile. La mia università in UK ad esempio fa l'80% delle entrate grazie agli studenti internazionali. Tutto il resto sommato assieme fa solo il 20% (ed è un'univesità research+teaching).[/quote]

Ma non so...l'atteggiamento di concentrarsi sulla ricerca a scapito della didattica, ai fini del raggiungimento della tenure, l'ho visto in tutta Europa. Il fatto che negli Stati Uniti la cosa sia vista diversamente mi fa piacere, ma non l'avevo mai sentita (in UK è la stessa cosa?).

xXStephXx
"pier.paolo":

Ecco, ma posso chiedere come mai si è giunti a quest'impostazione? A mio avviso l'insegnamento è una parte fondamentale del lavoro in università - in certi casi è quella che ha un impatto maggiore sulla società - per cui mi sembra assurdo che venga continuamente sminuito.


Molto probabilmente perché la lingua italiana è una barriera insormontabile. La mia università in UK ad esempio fa l'80% delle entrate grazie agli studenti internazionali. Tutto il resto sommato assieme fa solo il 20% (ed è un'univesità research+teaching).

hydro1
"giuliofis":

Non è una scusa, è una parte del problema. Le università hanno tre missioni, considerarne una sola è sbagliato alla radice.


Sì ma non è necessario separare le carriere per dare maggior considerazione all'insegnamento, è una questione culturale. Negli USA la maggior parte delle posizioni sono ricerca+insegnamento, ma l'insegnamento è ritenuto importantissimo: le valutazioni degli studenti hanno un impatto pesante sulle valutazioni di tenure, tanto per dire.

12provaCiao
"hydro":
[quote="giuliofis"][quote="hydro"]E altrettanto importante dovrebbe essere la qualità dell'insegnamento, ragion per cui ad esempio in UK spesso parte dell'interview è una lezione di prova.

Finché in Italia i due percorsi non saranno distinti non si andrà da nessuna parte...[/quote]

Mah questa è un po' una scusa, il vero problema è che la qualità dell'insegnamento non interessa a nessuno perchè tanto le università sono valutate solo in base ai prodotti della ricerca.[/quote]
Non è una scusa, è una parte del problema. Le università hanno tre missioni, considerarne una sola è sbagliato alla radice.

pier.paolo15
"Albesa81":
[quote="pier.paolo"]posso chiedere come mai si è giunti a quest'impostazione? A mio avviso l'insegnamento è una parte fondamentale del lavoro in università - in certi casi è quella che ha un impatto maggiore sulla società - per cui mi sembra assurdo che venga continuamente sminuito.

Detto terra-terra: perché l'Italia è il paese del "conta solo la pratica", del "la teoria non serve a un [*beeeep*], sono solo [*beeeep*] mentali", del "lavorare vuol dire sporcarsi le mani con gli attrezzi, mica perdere tempo sulle boiate scritte nei libri", del "studiare fino a 24-27 anni è solo un modo per farsi mantenere più a lungo possibile dai genitori", ecc. ecc. ....[/quote]

Ma no, è così in tutto il mondo ormai.

Albesa81
"pier.paolo":
posso chiedere come mai si è giunti a quest'impostazione? A mio avviso l'insegnamento è una parte fondamentale del lavoro in università - in certi casi è quella che ha un impatto maggiore sulla società - per cui mi sembra assurdo che venga continuamente sminuito.

Detto terra-terra: perché l'Italia è il paese del "conta solo la pratica", del "la teoria non serve a un [*beeeep*], sono solo [*beeeep*] mentali", del "lavorare vuol dire sporcarsi le mani con gli attrezzi, mica perdere tempo sulle boiate scritte nei libri", del "studiare fino a 24-27 anni è solo un modo per farsi mantenere più a lungo possibile dai genitori", ecc. ecc. ....

pier.paolo15
"hydro":
[quote="giuliofis"][quote="hydro"]E altrettanto importante dovrebbe essere la qualità dell'insegnamento, ragion per cui ad esempio in UK spesso parte dell'interview è una lezione di prova.

Finché in Italia i due percorsi non saranno distinti non si andrà da nessuna parte...[/quote]

Mah questa è un po' una scusa, il vero problema è che la qualità dell'insegnamento non interessa a nessuno perchè tanto le università sono valutate solo in base ai prodotti della ricerca.[/quote]

Ecco, ma posso chiedere come mai si è giunti a quest'impostazione? A mio avviso l'insegnamento è una parte fondamentale del lavoro in università - in certi casi è quella che ha un impatto maggiore sulla società - per cui mi sembra assurdo che venga continuamente sminuito.

hydro1
"giuliofis":
[quote="hydro"]E altrettanto importante dovrebbe essere la qualità dell'insegnamento, ragion per cui ad esempio in UK spesso parte dell'interview è una lezione di prova.

Finché in Italia i due percorsi non saranno distinti non si andrà da nessuna parte...[/quote]

Mah questa è un po' una scusa, il vero problema è che la qualità dell'insegnamento non interessa a nessuno perchè tanto le università sono valutate solo in base ai prodotti della ricerca.

12provaCiao
"hydro":
E altrettanto importante dovrebbe essere la qualità dell'insegnamento, ragion per cui ad esempio in UK spesso parte dell'interview è una lezione di prova.

Finché in Italia i due percorsi non saranno distinti non si andrà da nessuna parte...

hydro1
La qualità dei lavori viene (in teoria) valutata in fase preliminare, e determina, insieme al cv, la shortlist. Ovviamente se uno degli applicanti è nettamente superiore a tutti gli altri l'interview diventa quasi una formalità, ma altrimenti le commissioni oneste tengono in conto il modo in cui un candidato presenta il proprio lavoro perché è una qualità molto rilevante ad esempio nelle application per i grant, che poi alla fine sono la cosa più importante. E altrettanto importante dovrebbe essere la qualità dell'insegnamento, ragion per cui ad esempio in UK spesso parte dell'interview è una lezione di prova.

xXStephXx
Mi incuriosisce quest'aspetto. Giusto per curiosità. Ma quindi la presentazione dei propri lavori ha un ruolo determinante nella scelta finale? Non è come se la qualità dei lavori fosse in un certo senso già nota a priori per altri fattori come citazioni, riviste, lettere di raccomandazione (o conoscenza diretta dei candidati)?

hydro1
"pier.paolo":

Sono sicuro che in generale non ci siano il tempo e la voglia di valutare approfonditamente i candidati ai concorsi. Ma, almeno riguardo la produzione scientifica e limitatamente a matematica (non saprei in altri settori), ho l'impressione che sia veramente difficile. La ricerca è molto settoriale oggi, e credo sia impossibile per un commissario - poniamo - di geometria valutare correttamente la produzione di candidati che fanno geometria completamente diversa dalla sua. Sulle capacità oratorie e didattiche certamente si può dire di più, ma oggi sono valutate poco se non nulla, almeno in Italia.


Questo è vero, nel senso che fare una classifica oggettiva dei candidati è pressoché impossibile. In alcuni posti infatti l'idea è: seleziono i 4-5 candidati che sulla carta sembrano migliori, e li considero uguali. Dopodichè stilo una classifica basata esclusivamente sull'intervista/talk/lezione di prova, dove posso mettere tutti sullo stesso piano. Non è complicato, ma richiede fatica da parte della commissione.

pier.paolo15
"hydro":

Già, ma sai perché succede? Perché è un equilibrio di Nash del sistema. Anche il fatto che tutti i ciclisti si dopino ad esempio non porta nessun vantaggio a nessuno, anzi globalmente è una scelta stupida. Ma anche quello è un equilibrio di Nash: chi si sfila perde.


Non fa una piega!

"hydro":

E' vero, matematica è meglio di altri corsi di laurea, soprattutto per quanto riguarda lo sfruttamento: ce n'è sicuramente molto molto meno che, per dire, a medicina o a legge. Certo anche lì gli episodi non mancano, parlavo giusto ieri con un mio collega che ha preparato tutte le slides per il corso del suo capo, perché lui poverino ha troppi impegni per poterlo fare. Ma il clientelismo è sempre algido, e anche all'estero c'è, anche se in misura minore e si fa un po' di più per nasconderlo. Ad esempio in Francia spesso mandano uno studente fresco di PhD a farsi un paio di anni di postdoc da un amico in un'altra città prima di riprenderlo come MCF da "esterno".


Ok, entro questi limiti sì...lo davo quasi per scontato.

"hydro":

Per ovviare a questo problema sono esistite da sempre le lettere di raccomandazione. Che infatti un tempo avevano senso, perché la ricerca scientifica veniva portata avanti da 1000 gentlemen in tutto il mondo, che dicevano quello che pensavano. Adesso il sistema è chiaramente collassato: tutti vogliono far assumere i propri studenti quindi tutti scrivono che sono dei geni. E le lettere di raccomandazione non servono più a nulla, ad eccezione forse di quelle scritte dalle superstar, che si possono permettere di dire quello che pensano davvero. La verità è che è possibile anche assumere uno "sconosciuto" ma bisogna a) aver voglia di valutare nel merito la produzione scientifica, le qualità oratorie, le qualità didattiche, eccetra, e questo comporta grande dispendio di tempo e fatica e b) bisogna avere i cojones di assumersi dei rischi.


Sono sicuro che in generale non ci siano il tempo e la voglia di valutare approfonditamente i candidati ai concorsi. Ma, almeno riguardo la produzione scientifica e limitatamente a matematica (non saprei in altri settori), ho l'impressione che sia veramente difficile. La ricerca è molto settoriale oggi, e credo sia impossibile per un commissario - poniamo - di geometria valutare correttamente la produzione di candidati che fanno geometria completamente diversa dalla sua. Sulle capacità oratorie e didattiche certamente si può dire di più, ma oggi sono valutate poco se non nulla, almeno in Italia.

"hydro":

Io, che sono un eretico totale, suggerirei la direzione completamente opposta: mettiamo la scelta in mano ad esperti completamente estranei al dipartimento, che non abbiano interessucoli da quattro soldi da difendere. Ma ovviamente le risposte sono sempre le solite: tu non capisci, le politiche interne, gli equilibri del dipartimento blablabla...


Questa soluzione sarebbe molto interessante se non ci fosse il problema che dicevo prima, e cioè che valutare un candidato che lavora al di fuori del proprio orticello è difficile...

hydro1
"pier.paolo":


Questo è interessante. Capisco che i professori siano contenti di "mettere il nome sugli articoli", ma se lo fanno tutti ciò si traduce in un vantaggio netto per nessuno, ti pare?


Già, ma sai perché succede? Perché è un equilibrio di Nash del sistema. Anche il fatto che tutti i ciclisti si dopino ad esempio non porta nessun vantaggio a nessuno, anzi globalmente è una scelta stupida. Ma anche quello è un equilibrio di Nash: chi si sfila perde.

"pier.paolo":

Per quanto riguarda il resto, sinceramente non ho visto tanto clientelismo e sfruttamento a matematica...l'ho visto, ma solo in piccole università in Italia e in determinate situazioni. Poi certo, non mi meraviglio del fatto che in altre facoltà sia la norma. D'altra parte, la carriera nomadica di cui parlavo sopra può essere anche utile per mettere un freno a certe dinamiche stantie, e in effetti in alcuni paesi non si può fare tutta la carriera accademica nella stessa sede.


E' vero, matematica è meglio di altri corsi di laurea, soprattutto per quanto riguarda lo sfruttamento: ce n'è sicuramente molto molto meno che, per dire, a medicina o a legge. Certo anche lì gli episodi non mancano, parlavo giusto ieri con un mio collega che ha preparato tutte le slides per il corso del suo capo, perché lui poverino ha troppi impegni per poterlo fare. Ma il clientelismo è sempre algido, e anche all'estero c'è, anche se in misura minore e si fa un po' di più per nasconderlo. Ad esempio in Francia spesso mandano uno studente fresco di PhD a farsi un paio di anni di postdoc da un amico in un'altra città prima di riprenderlo come MCF da "esterno".

"pier.paolo":

Per quanto riguarda la cooptazione in sé, secondo me il discorso è un attimino più complesso. Infatti, un professore che fa crescere degli allievi e poi è chiamato a sceglierne alcuni per l'assunzione li conoscerà molto meglio di una commissione asettica che legge il curriculum, fa qualche domanda e magari decide in base ai soliti parametri quantitativi.


Per ovviare a questo problema sono esistite da sempre le lettere di raccomandazione. Che infatti un tempo avevano senso, perché la ricerca scientifica veniva portata avanti da 1000 gentlemen in tutto il mondo, che dicevano quello che pensavano. Adesso il sistema è chiaramente collassato: tutti vogliono far assumere i propri studenti quindi tutti scrivono che sono dei geni. E le lettere di raccomandazione non servono più a nulla, ad eccezione forse di quelle scritte dalle superstar, che si possono permettere di dire quello che pensano davvero. La verità è che è possibile anche assumere uno "sconosciuto" ma bisogna a) aver voglia di valutare nel merito la produzione scientifica, le qualità oratorie, le qualità didattiche, eccetra, e questo comporta grande dispendio di tempo e fatica e b) bisogna avere i cojones di assumersi dei rischi. Magari prendere gente che sembra promettente, accettando il fatto che ogni tanto si riveleranno delle teste di cavolo (cosa che peraltro può succedere in ogni caso), ma puntando su persone che possono potenzialmente dare un contributo positivo al dipartimento, in qualche direzione magari inesplorata. Tra l'altro paradossalmente il sistema italiano è perfetto per questa cosa, visto che ci si può parare dietro al fatto che "il concorso ha decretato che X era il candidato migliore su basi oggettive". Ma di nuovo, bisogna avere la voglia e la forza di cambiare. Non facile. Molto più facile prendere il candidato che il commissario Y conosce.

"pier.paolo":

In linea di principio, il "maestro" potrebbe fare una scelta molto più ragionata. Che poi questo si presti a distorsioni di ogni tipo è indubbio, infatti la vera sfida sarebbe responsabilizzare adeguatamente chi prende le decisioni.


Questa ovviamente è la cosa che tutte le persone di buon senso chiedono a gran voce. Senza dubbio responsabilizzare è una via sensata, ma io credo che funzionerebbe davvero solo in alcuni dipartimenti, ovvero in quelli in cui è necessario trovare fondi esterni per poter lavorare. Lì sì che la responsabilizzazione funzionerebbe, perché se tu assumi tuo cuggino che non fa una mazza e non ottiene finanziamenti poi i tuoi colleghi vengono da te e giustamente ti fanno il mazzo. Ma in posti come i dipartimenti di matematica o di lettere io non credo che cambierebbe granché. Infatti abbiamo superato ormai da tempo il punto in cui i neoassunti sono degli incompetenti totali messi lì per parentele e favori incrociati (ok, forse non l'abbiamo superato del tutto, vedi gli scandali recenti a Catania e Roma). Come dice anche megas_archon, il livello dei candidati si è alzato moltissimo e chi vince i concorsi è quasi sempre un candidato ragionevole, che il suo articolo all'anno su un giornale X lo pubblica. A cosa servirebbe responsabilizzare chi l'ha assunto? Quello ti direbbe beh, guardate la produzione scientifica, il candidato che ho assunto lavora eccome. Io, che sono un eretico totale, suggerirei la direzione completamente opposta: mettiamo la scelta in mano ad esperti completamente estranei al dipartimento, che non abbiano interessucoli da quattro soldi da difendere. Ma ovviamente le risposte sono sempre le solite: tu non capisci, le politiche interne, gli equilibri del dipartimento blablabla...

pier.paolo15
"hydro":
[quote="pier.paolo"]

Su questo sono completamente d'accordo, non è necessario né auspicabile che tantissime persone si occupino di scienze pure. La mia idea sarebbe quella di selezionare meglio, fin dall'inizio, e rendere il percorso più stabile e vivibile per chi ne è all'altezza. Con gli stessi soldi e gli stessi stipendi, se puoi pagare 10 postdoc e un professore, puoi pagare 7-8 postdoc e 2 professori verosimilmente, abbattendo il precariato di un bel po' di punti percentuali.


Questo è verissimo, ma il problema è assai complicato da alcuni fattori. In primis, dubito che esista (almeno in Italia) anche solo una persona con il potere di agire nel concreto, tipo al ministero, che abbia la più pallida idea di quale sia la situazione. Nè tantomento che sia interessato/a a cambiarla. Tipicamente le leggi sull'università vengono fatte da persone che le università le hanno viste da lontano una volta, ma non ci hanno mai messo piede. [/quote]

Questo era proprio quello che temevo.

"hydro":
In secondo luogo, e qua sta il vero nocciolo del problema, l'élite che detiene tutto il privilegio, ovvero i professori, hanno tutto l'interesse a mantenere il sistema così com'è. Questo per svariati motivi. In primo luogo, avere uno stuolo di PhD e postdoc obbligati a produrre paper per sopravvivere ha come effetto il fatto che tu professore pubblicherai di più, perchè il tuo nome entrerà almeno in parte degli articoli scritti da loro. Tra l'altro questo in matematica è ancora ok perchè l'ordine dei nomi è alfabetico, quindi almeno gli autori sono paritetici, ma nelle discipline tipo chimica o biologia dove i progetti vengono portati avanti nei laboratori da poveri postdoc che lavorano 24/7, alla fine sul paper il primo nome, che è quello che conta di gran lunga di più, è quello del responsabile del progetto. Che spesso non ha fatto nulla all'atto pratico. In secondo luogo il fatto che il numero dei postdoc sia così più alto del numero delle posizioni permanenti rende la competizione selvaggia. E il risultato è che le persone sono disposte a fare di tutto per andare avanti, perchè altrimenti le chances di farcela sono bassissime. Chi trae vantaggio da questo? Di nuovo i professori, che possono bullizzare a piacimento le persone. Cosa che non potrebbero fare se fare carriera fosse più semplice, perché la gente potrebbe mandarli a quel paese più liberamente. E infine c'è anche un altro motivo, che da un certo punto di vista è il peggiore. Il fatto che il sistema di selezione sia basato quasi esclusivamente sul clientelarismo è una cosa nota a tutti. Quindi, tutti crescono con quest'idea. Quindi per arrivare ad ottenere una posizione devi quasi obbligatoriamente sottometterti alla logica del sistema. Quindi passi anni a vivere così, e quando finalmente, se sei fortunato/a, arrivi, la tua forma mentis si è adeguata. Hai ottenuto il posto per buona grazia di qualcuno, e finisci per pensare che quello sia il sistema giusto. E quindi lo perpetrerai. E inoltre, sarai fedele alla persona che ti ha cooptato. Chi ti ha cooptato ha sfruttato magari 10/20 persone, ha pubblicato senza fare granchè e alla fine ha anche ottenuto un alleato. Meglio di così...


Questo è interessante. Capisco che i professori siano contenti di "mettere il nome sugli articoli", ma se lo fanno tutti ciò si traduce in un vantaggio netto per nessuno, ti pare? Per quanto riguarda il resto, sinceramente non ho visto tanto clientelismo e sfruttamento a matematica...l'ho visto, ma solo in piccole università in Italia e in determinate situazioni. Poi certo, non mi meraviglio del fatto che in altre facoltà sia la norma. D'altra parte, la carriera nomadica di cui parlavo sopra può essere anche utile per mettere un freno a certe dinamiche stantie, e in effetti in alcuni paesi non si può fare tutta la carriera accademica nella stessa sede.
Per quanto riguarda la cooptazione in sé, secondo me il discorso è un attimino più complesso. Infatti, un professore che fa crescere degli allievi e poi è chiamato a sceglierne alcuni per l'assunzione li conoscerà molto meglio di una commissione asettica che legge il curriculum, fa qualche domanda e magari decide in base ai soliti parametri quantitativi. In linea di principio, il "maestro" potrebbe fare una scelta molto più ragionata. Che poi questo si presti a distorsioni di ogni tipo è indubbio, infatti la vera sfida sarebbe responsabilizzare adeguatamente chi prende le decisioni.

hydro1
"pier.paolo":


Su questo sono completamente d'accordo, non è necessario né auspicabile che tantissime persone si occupino di scienze pure. La mia idea sarebbe quella di selezionare meglio, fin dall'inizio, e rendere il percorso più stabile e vivibile per chi ne è all'altezza. Con gli stessi soldi e gli stessi stipendi, se puoi pagare 10 postdoc e un professore, puoi pagare 7-8 postdoc e 2 professori verosimilmente, abbattendo il precariato di un bel po' di punti percentuali.


Questo è verissimo, ma il problema è assai complicato da alcuni fattori. In primis, dubito che esista (almeno in Italia) anche solo una persona con il potere di agire nel concreto, tipo al ministero, che abbia la più pallida idea di quale sia la situazione. Nè tantomento che sia interessato/a a cambiarla. Tipicamente le leggi sull'università vengono fatte da persone che le università le hanno viste da lontano una volta, ma non ci hanno mai messo piede.

In secondo luogo, e qua sta il vero nocciolo del problema, l'élite che detiene tutto il privilegio, ovvero i professori, hanno tutto l'interesse a mantenere il sistema così com'è. Questo per svariati motivi. In primo luogo, avere uno stuolo di PhD e postdoc obbligati a produrre paper per sopravvivere ha come effetto il fatto che tu professore pubblicherai di più, perchè il tuo nome entrerà almeno in parte degli articoli scritti da loro. Tra l'altro questo in matematica è ancora ok perchè l'ordine dei nomi è alfabetico, quindi almeno gli autori sono paritetici, ma nelle discipline tipo chimica o biologia dove i progetti vengono portati avanti nei laboratori da poveri postdoc che lavorano 24/7, alla fine sul paper il primo nome, che è quello che conta di gran lunga di più, è quello del responsabile del progetto. Che spesso non ha fatto nulla all'atto pratico. In secondo luogo il fatto che il numero dei postdoc sia così più alto del numero delle posizioni permanenti rende la competizione selvaggia. E il risultato è che le persone sono disposte a fare di tutto per andare avanti, perchè altrimenti le chances di farcela sono bassissime. Chi trae vantaggio da questo? Di nuovo i professori, che possono bullizzare a piacimento le persone. Cosa che non potrebbero fare se fare carriera fosse più semplice, perché la gente potrebbe mandarli a quel paese più liberamente. E infine c'è anche un altro motivo, che da un certo punto di vista è il peggiore. Il fatto che il sistema di selezione sia basato quasi esclusivamente sul clientelarismo è una cosa nota a tutti. Quindi, tutti crescono con quest'idea. Quindi per arrivare ad ottenere una posizione devi quasi obbligatoriamente sottometterti alla logica del sistema. Quindi passi anni a vivere così, e quando finalmente, se sei fortunato/a, arrivi, la tua forma mentis si è adeguata. Hai ottenuto il posto per buona grazia di qualcuno, e finisci per pensare che quello sia il sistema giusto. E quindi lo perpetrerai. E inoltre, sarai fedele alla persona che ti ha cooptato. Chi ti ha cooptato ha sfruttato magari 10/20 persone, ha pubblicato senza fare granchè e alla fine ha anche ottenuto un alleato. Meglio di così...

"megas_archon":

La mia impressione vivendoci dentro è che il sistema produca un'enormità di deliverables ma molta meno informazione (nel senso tecnico) di quanto ne produceva sessant'anni fa; è quasi tutto rumore bianco.


Beh direi che questa non è la tua impressione, è proprio un dato di fatto.

pier.paolo15
"megas_archon":

- Almeno nelle scienze pure, tutte le posizioni di ricerca sono finanziate dagli stati o dall'Unione Europea, per cui in teoria tali enti hanno il totale controllo della situazione. Dunque, la precarizzazione della carriera accademica è voluta, perseguita scientemente, o dovuta soprattutto alla scarsa attenzione da parte dei decisori?


Ciò che si è fatto è voluto, ma probabilmente ci si aspettava solo fino a un certo punto gli effetti che le cause innescate nel 2008 hanno generato. A quei tempi protestammo molto per evitarlo (io ero uno studente molto giovane).


TI riferisci a un evento storico ben preciso? (crisi finanziaria?)

"megas_archon":

- Di solito tutto ciò viene spiegato con la "mancanza di fondi". Questa motivazione non mi ha mai convinto del tutto. Infatti, a parità di fondi si può decidere di distribuire diversamente i tipi di posizioni aperte, o modulare diversamente i salari. E' quindi solo mancanza di fondi o è un cambio di mentalità?


Si può; ma come esattamente? Qui l'università italiana merita di essere discussa a parte, è un discorso immenso. Oltre alla mancanza di fondi c'è un problema di scarsità di domanda e offerta enorme: serve davvero avere così tanti accademici? Dove li metti?


Su questo sono completamente d'accordo, non è necessario né auspicabile che tantissime persone si occupino di scienze pure. La mia idea sarebbe quella di selezionare meglio, fin dall'inizio, e rendere il percorso più stabile e vivibile per chi ne è all'altezza. Con gli stessi soldi e gli stessi stipendi, se puoi pagare 10 postdoc e un professore, puoi pagare 7-8 postdoc e 2 professori verosimilmente, abbattendo il precariato di un bel po' di punti percentuali.

"megas_archon":

Non c'è una durata precisa dopo la quale si può dire. I postdoc probabilmente non dovrebbero esistere o dovrebbero essere posizioni estremamente brevi "in attesa" di una tenure.


Credo fossero nati con questo scopo, e che questa fosse la normalità nel secolo scorso.

"megas_archon":
quel 3% oggi è selezionato molto meglio
Sì e no; il postdoc medio di oggi ha un CV che lo avrebbe messo due ordini di grandezza avanti ai docenti che gli sono stati maestri: perché? Perché la qualità della ricerca e il livello medio di competenza di è alzato esponenzialmente? No: interviene un semplice fattore evolutivo, se la peer pressure costringe a pubblicare molto, pubblicherai molto --e inevitabilmente molte schifezze. Con ciò intendo che "perdere" 5 anni per pensare a quello che scrivi, in modo da fare affermazioni ragionate, pertinenti e profonde, è un lusso che quasi nessuno riesce a permettersi, e invece si spinge a frammentare il proprio pensiero in una miriade di risultati preliminari e pressapochisti, molto spesso scrivendo gli articoli ex post, cioè dicendo "mi serve parlare di X perché va di moda / molta gente se ne occupa / tira alle conferenze / i referee non si lamentano se ne parli" invece che dire "questa idea è solida e merita di diventare una teoria profonda e ben sviluppata", perché se il postdoc medio dura un quinto del tempo che serve a fare questa seconda cosa, non ne troverai uno in tempo.

La mia impressione vivendoci dentro è che il sistema produca un'enormità di deliverables ma molta meno informazione (nel senso tecnico) di quanto ne produceva sessant'anni fa; è quasi tutto rumore bianco.


Concordo su tutta la linea.

xXStephXx
Ok, ho capito ora. Per il PhD a me sembra che domanda ed offerta siano equilibrate, nel senso che se uno si prepara bene entra al primo colpo ma alla fine riescono sempre a riempire tutte le posizioni. Forse c'è chi riesce ad evitare completamente la competizione venendo indirizzato nel posto giusto... Chiaramente è meno selettivo che tenere la media esami superiore al 29 nel complesso.

Per il postdoc da me è stato detto che ci riesce 1 su 3 e secondo me è salubre ma direi che l'offerta è già scarsetta rispetto alla domanda. Tanto per la maggior parte delle scienze applicate si va meglio fuori che dentro...

Quindi dici che il top 3% attuale è meglio di chi entrava prima ma forse lo sarebbe anche il top 10%, giusto? Bisognerebbe triplicare i fondi. :)


Forse lo scopo del precariato è che l'università si garantisce solo personale attivo, oltre a poterne assumere due al posto di uno. Le pubblicazioni moderne a me piacciono così, su Google trovo tutto.

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