Gestione manageriale delle università anche in Italia si può
ciao a tutti
Quando si parla di gestione manageriale delle università, si fa subito riferimento alle migliori università
americane che riescono a gestire "budget" di MILIARDI DI DOLLARI.
La classifica per asset (patrimoni) gestiti:
1) Harward 29,2 miliardi di dollari
2) Yale 18,0
3) Standford 15,2
4) Princeton 13,0
5) MIT 8,4
IMPRESSIONANTE !!! NON E' VERO !!!
Logico pensare e auspicare che un giorno anche le nostre università
possano essere gestite con spirito manageriale.
In America il rettore dell'università, prima che un accademico è un buon amministratore: di uomini e di denari.
Tant'è che occupa buona parte del suo tempo a caccia di finanziamenti, che servono per assumere i professori migliori, costruire biblioteche, laboratori e dormitori, creare nuovi corsi, distribuire borse di studio ai meritevoli senza mezzi finanziari.
Inoltre in questo modo si liberebbero risorse per la scuola pubblica dalle elementari alle scuole medie superiori, carenti di risorse, e sinceramente da come sono messe ...di risorse ne hanno veramente bisogno. In più il proliferare di nuove università e facoltà dagli argomenti più disparati dilapidano le risorse perchè il budget statale non può aumentare e la cifra va divisa in sempre più enti e filiali universitarie. In America dove sono private, le università si crescono in numero ma molte se non sono in grado di avere iscritti, ...chiudono. Quelle pubbliche italiane no !!. Tempo fa è uscito un articolo sul corriere della sera che evidenziava appunto l'esistenza in Italia di corsi universitari con una sola persona iscritta !!Sono centinaia questi corsi di laurea con pochi iscritti, si fanno ugualmente e si pagano i professori. L'Università la Sapienza di Roma ha 200 sedi o filiali in tutto il centro-sud Italia!!. Con migliaia di docenti che prendono uno stipendio, ma sono tutti preparati e abili ad insegnare ? . Ecco queste cose con una gestione manageriale o privatizzazione difficilmente si verificano perchè sarebbero costi improduttivi e sprechi non possibili.
Ma nonostante il nostro sistema pubblico esistono della realtà come Università di Ferrara dove il nuovo rettore è riuscito con una buona amministrazione (quindi tagli di corsi superflui e inserimento professori qualificati e sinergia operativa) a creare un piccolo Mit italiano ( per chi vuole articolo in sezione Formazione-Scuola-Università). Quindi anche in un sistema pubblico, attivando una buona amministrazione e buone idee, come quella di ricercare fondi privati ( FUND RAISING)
si può fare molte cose positive.
a voi la parola.
Http://www.alagoas.it
Quando si parla di gestione manageriale delle università, si fa subito riferimento alle migliori università
americane che riescono a gestire "budget" di MILIARDI DI DOLLARI.
La classifica per asset (patrimoni) gestiti:
1) Harward 29,2 miliardi di dollari
2) Yale 18,0
3) Standford 15,2
4) Princeton 13,0
5) MIT 8,4
IMPRESSIONANTE !!! NON E' VERO !!!
Logico pensare e auspicare che un giorno anche le nostre università
possano essere gestite con spirito manageriale.
In America il rettore dell'università, prima che un accademico è un buon amministratore: di uomini e di denari.
Tant'è che occupa buona parte del suo tempo a caccia di finanziamenti, che servono per assumere i professori migliori, costruire biblioteche, laboratori e dormitori, creare nuovi corsi, distribuire borse di studio ai meritevoli senza mezzi finanziari.
Inoltre in questo modo si liberebbero risorse per la scuola pubblica dalle elementari alle scuole medie superiori, carenti di risorse, e sinceramente da come sono messe ...di risorse ne hanno veramente bisogno. In più il proliferare di nuove università e facoltà dagli argomenti più disparati dilapidano le risorse perchè il budget statale non può aumentare e la cifra va divisa in sempre più enti e filiali universitarie. In America dove sono private, le università si crescono in numero ma molte se non sono in grado di avere iscritti, ...chiudono. Quelle pubbliche italiane no !!. Tempo fa è uscito un articolo sul corriere della sera che evidenziava appunto l'esistenza in Italia di corsi universitari con una sola persona iscritta !!Sono centinaia questi corsi di laurea con pochi iscritti, si fanno ugualmente e si pagano i professori. L'Università la Sapienza di Roma ha 200 sedi o filiali in tutto il centro-sud Italia!!. Con migliaia di docenti che prendono uno stipendio, ma sono tutti preparati e abili ad insegnare ? . Ecco queste cose con una gestione manageriale o privatizzazione difficilmente si verificano perchè sarebbero costi improduttivi e sprechi non possibili.
Ma nonostante il nostro sistema pubblico esistono della realtà come Università di Ferrara dove il nuovo rettore è riuscito con una buona amministrazione (quindi tagli di corsi superflui e inserimento professori qualificati e sinergia operativa) a creare un piccolo Mit italiano ( per chi vuole articolo in sezione Formazione-Scuola-Università). Quindi anche in un sistema pubblico, attivando una buona amministrazione e buone idee, come quella di ricercare fondi privati ( FUND RAISING)
si può fare molte cose positive.
a voi la parola.
Http://www.alagoas.it
Risposte
Cheguevilla se ti dovessi candidare in politica fammelo sapere che ti voto!
Non sto scherzando.
Non sto scherzando.
Attraverso la ragionevolezza di Marco e Davide, stiamo venendo a capo della questione.
Come sottolineato da Davide, che ha ripreso il mio discorso, un sistema di tipo privatistico tende ad allargare la disparità sociale, portando a differenti condizioni di partenza e tendendo quindi ad un effetto ricorsivo.
Marco evidenzia come la meritorcrazia debba essere intesa come la tendenza a premiare il risultato.
Le domande di Davide su quale fosse il risultato pongono la questione sul corretto piano di analisi, scindendo l'aspetto positivo da quello normativo.
La conclusione a cui giunge Marco è interessante, ribadendo che l'attuazione o meno della meritocrazia, e quindi dell'efficienza del sistema, non dipende direttamente dalla forma di controllo; pertanto, non è l'aspetto normativo a subire variazioni in dipendenza della forma proprietaria.
Al contrario, lo Stato ha ben fermo l'aspetto positivo, e lo stesso aspetto si riflette direttamente sulla collettività, mentre un privato non è vincolato nell'attuazione di scelte di carattere positivo.
Questi sono i motivi fondamentali per cui, a mio parere, è preferibile un controllo di tipo pubblico del sistema di istruzione, fermo restando che in Italia il metodo amministrativo debba essere radicalmente riformato favorendo criteri di efficienza quali, ad esempio, la meritocrazia.
Come sottolineato da Davide, che ha ripreso il mio discorso, un sistema di tipo privatistico tende ad allargare la disparità sociale, portando a differenti condizioni di partenza e tendendo quindi ad un effetto ricorsivo.
Marco evidenzia come la meritorcrazia debba essere intesa come la tendenza a premiare il risultato.
Le domande di Davide su quale fosse il risultato pongono la questione sul corretto piano di analisi, scindendo l'aspetto positivo da quello normativo.
La conclusione a cui giunge Marco è interessante, ribadendo che l'attuazione o meno della meritocrazia, e quindi dell'efficienza del sistema, non dipende direttamente dalla forma di controllo; pertanto, non è l'aspetto normativo a subire variazioni in dipendenza della forma proprietaria.
Al contrario, lo Stato ha ben fermo l'aspetto positivo, e lo stesso aspetto si riflette direttamente sulla collettività, mentre un privato non è vincolato nell'attuazione di scelte di carattere positivo.
Questi sono i motivi fondamentali per cui, a mio parere, è preferibile un controllo di tipo pubblico del sistema di istruzione, fermo restando che in Italia il metodo amministrativo debba essere radicalmente riformato favorendo criteri di efficienza quali, ad esempio, la meritocrazia.
A mio avviso la meritocrazia ha una semplice definizione:
- prefiggersi un obiettivo e perseguirlo al meglio.
Questo principio generale si applica in modo diretto a varie categorie:
futuri studenti universitari: voglio seguire il corso X che ha una forte connotazione matematica/umanistica/artistica/...
Al fine di essere ammesso devo dimostrare di avere le capacità e le conoscenze necessarie. Il metro di giudizio diventa il superamento di un test (non intendo 4 domande a crocette; intendo un VERO test).
Vantaggi dell'applicarsi: si viene ammessi
Svantaggi del non applicarsi:non si viene ammessi
studenti universitari: ho attuato una scelta e devo dimostrare di meritarmi il titolo/voto/.. che conseguirò. Il metro di giudizio diventano gli esami/progetti/compiti (si, io reintrodurrei i compiti all'università). Il livello di integrità etica richiesto deve essere molto elevato e le punizioni, in caso di frode, esemplari. Vantaggi dell'applicarsi: I migliori ottengono l'accesso a progetti che offrono grandi opportunità ma che sono in numero limitato (scambi con altri paesi, opportunità di svolgere ricerca fin dai primi anni di università, internship con aziende prestigiose,...).
Svantaggi del non applicarsi: Minore qualità delle opportunità a cui si ha accesso, minore flessibilità del piano degli studi, etc...
professori: definisco la mia linea di ricerca e dimostro di essere in grado di dare un contributo significativo in tale campo. Il metro di giudizio diventa il numero di pubblicazioni su peer reviewed journals, numero di citazioni, abilità di ottenere finanziamenti, etc...
vantaggi dell'applicarsi: i più produttivi (o in genere chi persegue al meglio i propri obietivi) si vedono avantaggiati nella redistribuzione delle risorse interne (un nuovo laboratorio, una travel allowance per andare alle conferenze, una promozione da associato ad ordinario, possibilità di scegliere quali corsi insegnare,...)
svantaggi del non applicarsi: limitatezza dei fondi disponibili, peggiore ripartizione del carico di lavoro, mancato accesso a cariche di responsabilità, mancata promozione...
rettorati e "piani alti": definisco l'obiettivo che voglio far conseguire all'università che ho in gestione e il tempo necessario. Dimostro di saper fornire una guida consistente verso traguardi ambiziosi ma realistici. L'obiettivo in questo caso non è semplicemente lo scalare le graduatorie (che magari interessa di più alle università "d'eccellenza"); puo benissimo essere il ridurre in numero degli abbandoni, abbassare il tempo medio per conseguire una laurea, accrescere la percentuale dei laureati che trovano un lavoro soddisfacente dopo X mesi, etc. Il metro di giudizio è costituito da indagini Xennali (quinquennali credo sia in genere un buon compromesso) da parte del ministero dell'istruzione in coordinamento con il ministeri dell'industria (o vari acronimi usati oggi).
Tutto questo non richiede la privatizzazione del sistema universitario (la privatizzazione potrebbe semplificare la transizione a un tale tipo di modello, ma non è strettamente necessaria); richiede "solo" un governo con le spalle larghe, capace di reggere all'urto delle proteste che si leverebbero a causa della transizione da un sistema buonista e "socialista" come quello attuale ad uno meritocratico come definito in precedenza.
Questo è cio che interpreto io come gestione manageriale dell'università: definire um metro di giudizio per ciascun soggetto operante all'interno dell'organizzazione e, basandosi sulle performance così misurate, ripartire le risorse.
- prefiggersi un obiettivo e perseguirlo al meglio.
Questo principio generale si applica in modo diretto a varie categorie:
futuri studenti universitari: voglio seguire il corso X che ha una forte connotazione matematica/umanistica/artistica/...
Al fine di essere ammesso devo dimostrare di avere le capacità e le conoscenze necessarie. Il metro di giudizio diventa il superamento di un test (non intendo 4 domande a crocette; intendo un VERO test).
Vantaggi dell'applicarsi: si viene ammessi
Svantaggi del non applicarsi:non si viene ammessi
studenti universitari: ho attuato una scelta e devo dimostrare di meritarmi il titolo/voto/.. che conseguirò. Il metro di giudizio diventano gli esami/progetti/compiti (si, io reintrodurrei i compiti all'università). Il livello di integrità etica richiesto deve essere molto elevato e le punizioni, in caso di frode, esemplari. Vantaggi dell'applicarsi: I migliori ottengono l'accesso a progetti che offrono grandi opportunità ma che sono in numero limitato (scambi con altri paesi, opportunità di svolgere ricerca fin dai primi anni di università, internship con aziende prestigiose,...).
Svantaggi del non applicarsi: Minore qualità delle opportunità a cui si ha accesso, minore flessibilità del piano degli studi, etc...
professori: definisco la mia linea di ricerca e dimostro di essere in grado di dare un contributo significativo in tale campo. Il metro di giudizio diventa il numero di pubblicazioni su peer reviewed journals, numero di citazioni, abilità di ottenere finanziamenti, etc...
vantaggi dell'applicarsi: i più produttivi (o in genere chi persegue al meglio i propri obietivi) si vedono avantaggiati nella redistribuzione delle risorse interne (un nuovo laboratorio, una travel allowance per andare alle conferenze, una promozione da associato ad ordinario, possibilità di scegliere quali corsi insegnare,...)
svantaggi del non applicarsi: limitatezza dei fondi disponibili, peggiore ripartizione del carico di lavoro, mancato accesso a cariche di responsabilità, mancata promozione...
rettorati e "piani alti": definisco l'obiettivo che voglio far conseguire all'università che ho in gestione e il tempo necessario. Dimostro di saper fornire una guida consistente verso traguardi ambiziosi ma realistici. L'obiettivo in questo caso non è semplicemente lo scalare le graduatorie (che magari interessa di più alle università "d'eccellenza"); puo benissimo essere il ridurre in numero degli abbandoni, abbassare il tempo medio per conseguire una laurea, accrescere la percentuale dei laureati che trovano un lavoro soddisfacente dopo X mesi, etc. Il metro di giudizio è costituito da indagini Xennali (quinquennali credo sia in genere un buon compromesso) da parte del ministero dell'istruzione in coordinamento con il ministeri dell'industria (o vari acronimi usati oggi).
Tutto questo non richiede la privatizzazione del sistema universitario (la privatizzazione potrebbe semplificare la transizione a un tale tipo di modello, ma non è strettamente necessaria); richiede "solo" un governo con le spalle larghe, capace di reggere all'urto delle proteste che si leverebbero a causa della transizione da un sistema buonista e "socialista" come quello attuale ad uno meritocratico come definito in precedenza.
Questo è cio che interpreto io come gestione manageriale dell'università: definire um metro di giudizio per ciascun soggetto operante all'interno dell'organizzazione e, basandosi sulle performance così misurate, ripartire le risorse.
Già in altre discussioni avevamo discusso di argomenti simili con Marco e Chegue trovandoci in linea di massima d'accordo.
Il problema è metterso d'accordo sulle parole usate cercando di non cadere nella pura retorica.
Ad esempio: in questi ultimi tempi, a destra e a manca, si sprecano i consensi sulle riforme atte ad indirizzare la società italiana verso la meritocrazia. E fino alle chiacchere siamo tutti compiaciuti di usare questa parola: "meritocrazia".
Il problema è sulle soluzioni da adottare. Come è tipico del nostro modo di pensare andiamo sempre a cercare le soluzioni altrove: il modello scandinavo, quello USA, l'educazione asiatica ecc. ecc...
Ad esempio: bene, mettiamo che sono il Ministro dell'Università e della Ricerca e che raccogliendo tanti applausi cerchi di riformare il sistema per renderlo più meritocratico. Il primo problema che si pone è definire il merito, il secondo è poterlo misurare.
Come ha accennato Cheguevilla (mi sembra di aver capito questo fra le sue righe) è che i sistemi selettivi generano diseguaglianze sociali che tendono ad aumentare nel lungo periodo. Definendo il merito (sempre nelle scarpe del ministro) dovrei fare in modo che le diverse condizioni di partenza degli individui non contino nulla nel processo di selezione, ma questo è possibile?
Un sistema privato non ha alcun incentivo a porsi queste domande: si seleziona non lo studente che merita, dato che il termine per un privato ha un significato relativo, ma il migliore in termini di prestazioni scolastiche.
Poi c'è da accordarsi sul significato di "gestione manageriale" perchè così è ambiguo: che vuol dire? Gestione orientata al massimo profitto? Al massimo livello di output? Alla massima ualità degli output) Se sì come misuro la qualità degli output dato che sono gli studenti?
Alla prossima...
Il problema è metterso d'accordo sulle parole usate cercando di non cadere nella pura retorica.
Ad esempio: in questi ultimi tempi, a destra e a manca, si sprecano i consensi sulle riforme atte ad indirizzare la società italiana verso la meritocrazia. E fino alle chiacchere siamo tutti compiaciuti di usare questa parola: "meritocrazia".
Il problema è sulle soluzioni da adottare. Come è tipico del nostro modo di pensare andiamo sempre a cercare le soluzioni altrove: il modello scandinavo, quello USA, l'educazione asiatica ecc. ecc...
Ad esempio: bene, mettiamo che sono il Ministro dell'Università e della Ricerca e che raccogliendo tanti applausi cerchi di riformare il sistema per renderlo più meritocratico. Il primo problema che si pone è definire il merito, il secondo è poterlo misurare.
Come ha accennato Cheguevilla (mi sembra di aver capito questo fra le sue righe) è che i sistemi selettivi generano diseguaglianze sociali che tendono ad aumentare nel lungo periodo. Definendo il merito (sempre nelle scarpe del ministro) dovrei fare in modo che le diverse condizioni di partenza degli individui non contino nulla nel processo di selezione, ma questo è possibile?
Un sistema privato non ha alcun incentivo a porsi queste domande: si seleziona non lo studente che merita, dato che il termine per un privato ha un significato relativo, ma il migliore in termini di prestazioni scolastiche.
Poi c'è da accordarsi sul significato di "gestione manageriale" perchè così è ambiguo: che vuol dire? Gestione orientata al massimo profitto? Al massimo livello di output? Alla massima ualità degli output) Se sì come misuro la qualità degli output dato che sono gli studenti?
Alla prossima...
"Cheguevilla":
Escluso le scuole gestite dal clero, su cui ho seri dubbi riguardo il fine ultimo, tutte le scuole hanno fini di lucro.
Non mi si racconti che le scuole che consentono di fare i 5 anni in uno sono di qualità e lo fanno per il bene della Patria.
No, certo che le scuole che permettono di fare 5 anni in 1 sarebbero da far chiudere, ne conosco qualcuna.
Ma esistono anche scuole messe in piedi da cooperative di genitori per i propri figli: effettivamente il loro scopo non è il bene della Patria, ma quello dei loro figli.
Una delle caratteristiche delle università al top è dovuta alla selettività, attuata non durante il corso di studi (il graduation rate è nettamente sopra la media in tutte le "capolista") ma a monte, ossia all'atto dell'ammissione.
Questo processo ha il duplice vantaggio di cui parlavo prima: chi è preparato si trova in un ambiente stimolante, chi non lo è va da qualche altra parte dove il livello è consono alla sua preparazione.
Ricordati che il processo di selezione avviene sia da parte dell'università che da parte dello studente, pertanto dopo un periodo di assestamento si raggiungerebbe uno stato di equilibrio, con i migliori studenti ammessi nelle migliori università, mentre gli altri ammessi in università meno selettive. Come sottolineato prima, questo processo non è irreversibile, ossia, se a 20 anni scopro di avere una passione folle per qualcosa, posso benissimo mettermici anima e corpo e dimostrare di meritarmi l'ammissione nella migliore università.
Questo processo non necessita la privatizzazione del sistema universitario (anche se per un'università privata il processo di selezione è più semplice da attuare) ed è attuabile da subito.
L'università non è la scuola dell'obbligo; non ha il compito di insegnare l'uguaglianza e mettere a contatto i primi con gli ultimi. Questi compiti spettano alle scuole primarie e superiori. Un fallimento da parte di quest'ultime non puo e non deve riflettersi sul sistema universitario. Aspettarsi che il sistema universitario colmi le lacune della formazione scolastica è sbagliato, illusorio e controproducente.
Il diritto allo studio è un diritto condizionato all'impegno profuso. Fino ad una certa età studiare è un'obbligo; oltre diventa una scelta. Tale scelta non è priva di sacrifici, pertanto chi è disposto a compierli non deve vedersi penalizzato da chi, nonostante abbia formalmente attuato una scelta, non si comporta di conseguenza.
Questo processo ha il duplice vantaggio di cui parlavo prima: chi è preparato si trova in un ambiente stimolante, chi non lo è va da qualche altra parte dove il livello è consono alla sua preparazione.
Ricordati che il processo di selezione avviene sia da parte dell'università che da parte dello studente, pertanto dopo un periodo di assestamento si raggiungerebbe uno stato di equilibrio, con i migliori studenti ammessi nelle migliori università, mentre gli altri ammessi in università meno selettive. Come sottolineato prima, questo processo non è irreversibile, ossia, se a 20 anni scopro di avere una passione folle per qualcosa, posso benissimo mettermici anima e corpo e dimostrare di meritarmi l'ammissione nella migliore università.
Questo processo non necessita la privatizzazione del sistema universitario (anche se per un'università privata il processo di selezione è più semplice da attuare) ed è attuabile da subito.
L'università non è la scuola dell'obbligo; non ha il compito di insegnare l'uguaglianza e mettere a contatto i primi con gli ultimi. Questi compiti spettano alle scuole primarie e superiori. Un fallimento da parte di quest'ultime non puo e non deve riflettersi sul sistema universitario. Aspettarsi che il sistema universitario colmi le lacune della formazione scolastica è sbagliato, illusorio e controproducente.
Il diritto allo studio è un diritto condizionato all'impegno profuso. Fino ad una certa età studiare è un'obbligo; oltre diventa una scelta. Tale scelta non è priva di sacrifici, pertanto chi è disposto a compierli non deve vedersi penalizzato da chi, nonostante abbia formalmente attuato una scelta, non si comporta di conseguenza.
Marco, non sono convinto che il tutto sia dovuto esclusivamente alla forma privatistica di amministrazione dell'ente.
Secondo me sono altri i punti che fanno la differenza, a partire dalle opportunità e collaborazioni offerte in ambito di ricerca dalle imprese locali.
Inoltre, ci sono i problemi legati al diritto allo studio che devono essere presi in considerazione.
La forte disparità tra chi può permettersi un'istruzione di livello e chi no è causa di forti contrasti sociali in America.
Ho il terrore solo ad immaginare il più roseo dei futuri possibili.
Secondo me sono altri i punti che fanno la differenza, a partire dalle opportunità e collaborazioni offerte in ambito di ricerca dalle imprese locali.
Inoltre, ci sono i problemi legati al diritto allo studio che devono essere presi in considerazione.
La forte disparità tra chi può permettersi un'istruzione di livello e chi no è causa di forti contrasti sociali in America.
chi ha detto che si debba prendere esempio dalle scuole private italiane? Io ti ho portato ad esempio le università private straniere e tu mi ritorni con se scuole paritarie italianeCosa credi che uscirebbe in Italia privatizzando le università?
Ho il terrore solo ad immaginare il più roseo dei futuri possibili.
Cheguevilla, io ti stimo come interlocutore, ma quanto ti metti di proposito le fette di salame sugli occhi non lo sopporto!
Allora, visto che per te è difficile notare ti metto un bel link:
http://ed.sjtu.edu.cn/rank/2004/top500(1-100).htm
Altra cosa: chi ha detto che si debba prendere esempio dalle scuole private italiane? Io ti ho portato ad esempio le università private straniere e tu mi ritorni con se scuole paritarie italiane.... mah
Allora, visto che per te è difficile notare ti metto un bel link:
http://ed.sjtu.edu.cn/rank/2004/top500(1-100).htm
Altra cosa: chi ha detto che si debba prendere esempio dalle scuole private italiane? Io ti ho portato ad esempio le università private straniere e tu mi ritorni con se scuole paritarie italiane.... mah
Infine è facile notare come le migliori università del mondo siano tutte private.Tipo la Sorbonne o le università dei paesi nordici?
Non è così facile notare quanto affermi.
deve esserci qualcosa nella gestione privata di un'università che porta all'eccellenza. io individuo questo elemento "in più" nella possibilità per un ente privato di essere completamente meritocratico, dall'inizio alla fine.Il sistema nordico è superiore e riesce a colmare e superare questa barriera.
Com'è da interpretare questa frase?Escluso le scuole gestite dal clero, su cui ho seri dubbi riguardo il fine ultimo, tutte le scuole hanno fini di lucro.
TUTTI gli istituti secondari ....
oppure LA MAGGIOR PARTE DEgli istitui secondari ...
Non mi si racconti che le scuole che consentono di fare i 5 anni in uno sono di qualità e lo fanno per il bene della Patria.
"Cheguevilla":
Sottolineo inoltre come gli istituti secondari privati italiani siano a scopo di lucro, generando pertanto un'inefficienza nell'allocazione dei costi della collettività.
Com'è da interpretare questa frase?
TUTTI gli istituti secondari ....
oppure LA MAGGIOR PARTE DEgli istitui secondari ...
Nel primo caso posso smentirti conoscendo più d'una scuola (ma ne basta una sola per invalidare la tua affermazione) non a scopo di lucro; nel secondo caso puoi dirmi su quali basi lo affermi? nel senso che io conosco poche scuole non statali, e credo che numericamente prevalgano quelle non a scopo di lucro, ma non sono assolutamente una statistica attendibile, vista l'esiguità del numero. Da come scrivi sembra che tu, invece, conosca più precisamente la situazione.
Guarda, io al poli ci sono rimasto 3 anni e ti garantisco che la gente non se ne va a casa dopo 2 settimane...
A 14/17 anni non pensi all'università, ma sei conscio (o almeno dovresti esserlo) del fatto che ad un'azione segue una conseguenza. Non studi=non impari. E' un'equazione semplice e non necessita la maggiore età per essere compresa.
Inoltre la condizione di chi non è in grado di affrontare l'università appena uscito dalle superiori non è irreversibile. Se vogliono davvero entrare all'università, spendono un anno nel colmare le proprie lacune e una volta pronti possono entrare.
Riguardo al professore/esaminatore, se ti riferisci alla maturità sto con te, ma per quanto riguarda l'università il professore rimane l'esaminatore sostanzialmente ovunque (sicuramente lo è negli USA, e a quanto so anche altrove), ma cio non risulta essere un problema.
Parmalat: come dici tu i soldi sono stati sperperati in investimenti sbagliati, non con un'erronea gestione dei costi.
Infine è facile notare come le migliori università del mondo siano tutte private. Tieni presente che le rette pagate dagli studenti coprono una parte veramente minoritaria dei costi sostenuti da questi enti, quindi deve esserci qualcosa nella gestione privata di un'università che porta all'eccellenza. io individuo questo elemento "in più" nella possibilità per un ente privato di essere completamente meritocratico, dall'inizio alla fine.
A 14/17 anni non pensi all'università, ma sei conscio (o almeno dovresti esserlo) del fatto che ad un'azione segue una conseguenza. Non studi=non impari. E' un'equazione semplice e non necessita la maggiore età per essere compresa.
Inoltre la condizione di chi non è in grado di affrontare l'università appena uscito dalle superiori non è irreversibile. Se vogliono davvero entrare all'università, spendono un anno nel colmare le proprie lacune e una volta pronti possono entrare.
Riguardo al professore/esaminatore, se ti riferisci alla maturità sto con te, ma per quanto riguarda l'università il professore rimane l'esaminatore sostanzialmente ovunque (sicuramente lo è negli USA, e a quanto so anche altrove), ma cio non risulta essere un problema.
Parmalat: come dici tu i soldi sono stati sperperati in investimenti sbagliati, non con un'erronea gestione dei costi.
Infine è facile notare come le migliori università del mondo siano tutte private. Tieni presente che le rette pagate dagli studenti coprono una parte veramente minoritaria dei costi sostenuti da questi enti, quindi deve esserci qualcosa nella gestione privata di un'università che porta all'eccellenza. io individuo questo elemento "in più" nella possibilità per un ente privato di essere completamente meritocratico, dall'inizio alla fine.
Continuo a non essere d'accordo, per diversi motivi.
- A 14/17 anni non pensi assolutamente all'università, anzi.
- L'obiettivo della scuola è formare, non solo valutare.
- Per quanto oggettivo, un test resta un test, ed affidare ad un test l'accesso all'università mi sembra una leggerezza imperdonabile.
I corsi del primo anno sono molto frequentati nelle prime due settimane di lezione solamente, dopo di che la scrematura avviene per selezione naturale.
La "botta di culo a furia di ripetere un esame" si può verificare (escludendo le scopiazzature) in casi davvero sporadici se non si è preparati, ancora più sporadici se l'esame è gestito bene. Supponendo di riuscire a dare anche un esame all'anno, la storia è lunga...
La realtà è che la gente non abbandona perchè sa che il 18 lo ottiene non troppo tardi.
Uno dei problemi, secondo me, in Italia sta nella figura unica del professore/esaminatore. Separando queste due attività in due persone separate ed indipendenti, e l'esaminatore deve cambiare di volta in volta, si aumenterebbe la qualità della formazione. Di ciò sono fermamente convinto.
Su Parmalat, mi permetto di contraddirti: molti soldi sono andati a bagno con investimenti collaterali, ad esempio le imprese della figlia. Inoltre, stai attento a non confondere ciò che è uno scandalo da ciò che è una bancarotta.
La bancarotta significa non avere soldi per pagare le occorrenze e se mancano i soldi, un motivo ci sarà...
Infine, devo supporre che una grande impresa (vedi Parmalat) abbia obiettivi di lungo termine così come un'università.
- A 14/17 anni non pensi assolutamente all'università, anzi.
- L'obiettivo della scuola è formare, non solo valutare.
- Per quanto oggettivo, un test resta un test, ed affidare ad un test l'accesso all'università mi sembra una leggerezza imperdonabile.
I corsi del primo anno sono molto frequentati nelle prime due settimane di lezione solamente, dopo di che la scrematura avviene per selezione naturale.
La "botta di culo a furia di ripetere un esame" si può verificare (escludendo le scopiazzature) in casi davvero sporadici se non si è preparati, ancora più sporadici se l'esame è gestito bene. Supponendo di riuscire a dare anche un esame all'anno, la storia è lunga...
La realtà è che la gente non abbandona perchè sa che il 18 lo ottiene non troppo tardi.
Uno dei problemi, secondo me, in Italia sta nella figura unica del professore/esaminatore. Separando queste due attività in due persone separate ed indipendenti, e l'esaminatore deve cambiare di volta in volta, si aumenterebbe la qualità della formazione. Di ciò sono fermamente convinto.
Su Parmalat, mi permetto di contraddirti: molti soldi sono andati a bagno con investimenti collaterali, ad esempio le imprese della figlia. Inoltre, stai attento a non confondere ciò che è uno scandalo da ciò che è una bancarotta.
La bancarotta significa non avere soldi per pagare le occorrenze e se mancano i soldi, un motivo ci sarà...
Infine, devo supporre che una grande impresa (vedi Parmalat) abbia obiettivi di lungo termine così come un'università.
"Cheguevilla":in parole povere, se il sistema di istruzione secondaria produce individui non all'altezza di sostenere studi universitari, il problema non deve riflettersi sul sistema universitario.Secondo la tua teoria, se il sistema di istruzione secondaria produce individui non all'altezza di sostenere studi universitari, il problema deve riflettersi su questi stessi individui?
Che in tal modo sarebbero danneggiati due volte?
Sinceramente, non sono d'accordo.
Io invece sono assolutamente daccordo. Non hai fatto nulla durante 5 anni di superiori perchè tanto passavi con i debiti? Benissimo, ognuno ha il diritto di fare cio che vuole della propria vita; questo diritto è anche una responsabilità. Non sei obbligato ad andare all'università, ma se ci vuoi andare sta a te tenere un'atteggiamento consono ai tuoi obiettivi.
Se tu non ti prepari adeguatamente per un certo percorso di studi e lo intraprendi comunque, sarai d'intralcio a chi invece ha seguito un percorso coerente.
E' vero che le colpe non sono TUTTE di chi arriva non preparato (però un buon 70% della colpa lo è), ma tantomeno lo sono di chi invece preparato lo è, pertanto se non è del tutto corretto scaricare interamente le conseguenze sugli studenti impreparati, lo è ancora di meno farle pagare a chi invece si è preparato a dovere.
Nel mondo reale, dove le cose non si possono cambiare da un giorno all'altro, la strategia del male minore spesso paga.
Tu dici che a furia di rimanere a bocca asciutta la gente poi abbandona; qui ci sono 2 cose da precisare:
1) I corsi del primo e secondo anno rimangono comunque intasati da gente che non ha le basi (perchè ad ogni anno c'è una "sfornata" di nuovi soggetti), quindi gli altri studenti sono comunque penalizzati.
2) a furia di ripetere un'esame, c'è la probabilità che ti capiti la tipica "botta di culo", o che tu riesca a copiare e quindi a tirare avanti, pertanto a bocca completamente asciutta non restano in molti.
Riguardo alla Parmalat, volgio farti notare che la gestione dei costi industriali non aveva alcun problema. La Parmalat è andata in bancarotta a causa di scandali finanziari che nulla avevano a che fare con l'industria stessa!
Altra cosa: la gestione dei costi industriali dipende eccome dal fine che si persegue. Un'azienda che cerca ritorni a breve privilegerà piccoli investimenti con un break even point basso, che paghino e portino introiti senza modifiche strutturali. Un'azienda che non ha obiettivi lucrativi nel breve termine (questo è il caso di un'impresa non a scopo di lucro) privilegerà investimenti di carattere strutturale.
in parole povere, se il sistema di istruzione secondaria produce individui non all'altezza di sostenere studi universitari, il problema non deve riflettersi sul sistema universitario.Secondo la tua teoria, se il sistema di istruzione secondaria produce individui non all'altezza di sostenere studi universitari, il problema deve riflettersi su questi stessi individui?
Che in tal modo sarebbero danneggiati due volte?
Sinceramente, non sono d'accordo.
Il problema, se vogliamo vedere, è il possesso del diploma superiore. Come all'università vengono regalati i 18, alle superiori vengono regalati i diplomi, soprattutto nelle scuole private.
Il punto è che la gente che il 18 non lo prende è comunque in classe a fare casino e a lamentarsi. Si ottiene un livellamento verso il basso delle classi che a mio avviso non ha senso.É vero nel breve periodo. Dopo un certo periodo a bocca asciutta...
Nella facoltà di informatica di Genova, durante le prime due settimane, fanno un corso che rappresenta in modo generalizzato i programmi del primo anno e l'esame si sostiene la prima/seconda settimana di ottobre.
I professori spiegano chiaramente il significato di quel "test".
Per quanto riguarda pubblico VS privato, il tuo esempio della Parmalat non fa testo, in quanto azienda a scopo di lucro (a differenza delle università private statunitensi).No, il mio esempio calza benissimo, dal momento che l'efficienza nella gestione dei costi prescinde dal fine.
Sottolineo inoltre come gli istituti secondari privati italiani siano a scopo di lucro, generando pertanto un'inefficienza nell'allocazione dei costi della collettività.
"Cheguevilla":
Sul metodo meritocratico, concordo in buona parte. Sono contrario al numero chiuso, ma sono contrario al lassismo.
Tutti devono poter studiare, ma la laurea la dovrebbe ottenere solo chi se lo merita. Insomma, il 18 regalato non dovrebbe esistere.
Per me, 18 significa che lo studente conosce la materia in maniera sufficiente. Questo è un punto su cui bisogna puntare il dito. E la causa di ciò, si badi bene, è di tipo politico economico.
Il punto è che la gente che il 18 non lo prende è comunque in classe a fare casino e a lamentarsi. Si ottiene un livellamento verso il basso delle classi che a mio avviso non ha senso.
Ci sono sostanzialmente due metodi con cui si puo attuare selezione per l'ingresso ai vari corsi: numero chiuso o soglia minima. Entrambi hanno pregi e difetti, ma a mio avviso, qualunque si scelga va bene, purchè se ne adoti uno.
Se non sei in grado di superare un test d'ingresso il problema è tuo, non del sistema che non ti garantisce il diritto all'istruzione! Vuoi continuare a studiare? Benissimo, spendi un anno a prepararti e a colmare le lacune che non ti hanno permesso di superare il test e poi ripresentati. Tu non ti sentirai forzato ad assistere a lezioni di cui ignori il significato, mentre chi quelle lezioni le capisce non si sente rallentato dalla presenza di studenti con chiare lacune di base.
Il diritto allo studio non equivale ad affermare che tutti possono entrare in qualsiasi corso di studi. Il possesso della licenza superiore è condizione necessaria ma non sufficiente all'accesso al successivo livello di istruzione (ossia all'università); in parole povere, se il sistema di istruzione secondaria produce individui non all'altezza di sostenere studi universitari, il problema non deve riflettersi sul sistema universitario.
Per quanto riguarda pubblico VS privato, il tuo esempio della Parmalat non fa testo, in quanto azienda a scopo di lucro (a differenza delle università private statunitensi).
Riguardo il copiare, avevo infatti detto "Un'altra perla tutta italiana è la tolleranza per lo scopiazzamento generalizzato".
gran parte dei fondi che le università hanno a disposizione (specialmente le private, ma anche le pubbliche) viene da donazioni dei cosidetti alumni, ossia dagli ex studenti che hanno avuto successoQuesto aspetto in Italia è assolutamente impraticabile.
Una cosa che apprezzo del sistema americano è quello delle sponsorizzazioni.
Infatti, mentre in Italia tutte le sponsorizzazioni vanno alle squadre di calcio, in America si decide di sponsorizzare le università.
la spesa media per un'università pubblica (nel proprio stato di residenza) è circa 8000/10000 dollari all'anno. I costi lievitano a $25000 - 30000/anno se si frequenta un'università pubblica al di fuori del proprio stato, e oltre se si sceglie una privata. Bisogna però ricordarsi che la pressione fiscale negli stati uniti è al 28% e non attorno al 50% come in italia, quindi non so chi paga di più per l'istruzione...Su questo punto sono stati scritti dei libri. A livello di conteggio, la convenienza è comunque nel sistema italiano, visto che lo spread tra la fiscalità americana e quella italiana non copre solo l'istruzione. Ma la cosa più importante è la corretta distribuzione dei costi.
Poichè l'istruzione è un servizio di pubblica utilità, ovvero, tutti traggono beneficio da un'istruzione elevata della popolazione, è giusto che parte del costo sostenuto per l'istruzione sia distribuito nella collettività.
Facciamo un esempio pratico: io non sono un ingegnere, ma traggo utilità dal fatto che il sistema di formazione prepari ingegneri di alto livello. E così via…
Sugli sprechi, ce n'è per tutti, non solo per il pubblico.
Il crack Parmalat ha dimostrato come possano esistere pessime gestioni dei costi anche nel settore privato.
Inoltre, università pubbliche non italiane hanno dimostrato alti livelli di efficienza, basti pensare ai modelli nordici.
Sul metodo meritocratico, concordo in buona parte. Sono contrario al numero chiuso, ma sono contrario al lassismo.
Tutti devono poter studiare, ma la laurea la dovrebbe ottenere solo chi se lo merita. Insomma, il 18 regalato non dovrebbe esistere.
Per me, 18 significa che lo studente conosce la materia in maniera sufficiente. Questo è un punto su cui bisogna puntare il dito. E la causa di ciò, si badi bene, è di tipo politico economico.
Sulle scopiazzature, bisognerebbe adottare senza mezze misure il metodo che riporta Marco83; aggiungo, a titolo di cronaca, che tale metodo non è peculiarmente americano, ma genericamente non italiano. Anche nelle università di quasi tutti gli altri stati, la copiatura è punita molto severamente.
C'è una cosa da precisare riguardo alle università private negli USA: benchè siano private, non sono a scopo di lucro (come non lo è gran parte del sistema sanitario).
Inoltre gran parte dei fondi che le università hanno a disposizione (specialmente le private, ma anche le pubbliche) viene da donazioni dei cosidetti alumni, ossia dagli ex studenti che hanno avuto successo.
Altro punto importante: la spesa media per un'università pubblica (nel proprio stato di residenza) è circa 8000/10000 dollari all'anno. I costi lievitano a $25000 - 30000/anno se si frequenta un'università pubblica al di fuori del proprio stato, e oltre se si sceglie una privata. Bisogna però ricordarsi che la pressione fiscale negli stati uniti è al 28% e non attorno al 50% come in italia, quindi non so chi paga di più per l'istruzione...
Concordo che una gestione più manageriale delle università possa portare dei gran benefici, soprattutto perchè passando dal settore pubblico al semi-privato si potrebbero tagliare i vari sprechi (tipo le 200 filiali della sapienza) e sopravviverebbe chi vale.
Adesso concedetemi un piccolo OT....
Nonostante molti non concorderanno con me, una delle cose più immediate da applicare è il metodo meritocratico. Negli USA per accedere a qualsiasi università si deve sostenere il test SAP (per il college) o GRE/GMAT/MCAT/MSTAT/.... (per la graduate school). L'accesso è a numero chiuso e basato su un metodo meritocratico. In Italia le università sono intasate di gente che si siede a scaldare i banchi arrivando alla laurea per inerzia.
Anche le università "d'eccellenza" hanno a che fare on questo problema. Io ho fatto la triennale al Politecnico di Milano; cio nonostante quando i professori si spingevano un pò più in la di quanto "la platea" era pronta ad accettare, subito si cominciava a fare casino, c'erano i tipici rincoglioniti con comportamento da scuole elementari, e ovviamente il professore dopo 5 minuti si stancava e tornava nel seminato. Tutto questo in nome di un millantato "diritto allo studio".
Situazioni del genere negli USA non solo non si presentano; sono proprio impensabili.
Un'altra perla tutta italiana è la tolleranza per lo scopiazzamento generalizzato. Sinceramente quante volte ad un'esame avete sentito gente ripresa perchè parlava ma senza nessun provvedimento serio intrapreso? Qui il primo giorno di lezione viene distribuito il programma del corso che contiene anche il codice di condotta etica. Questo comprende comportamento in aula, libertà o meno di cooperare per i compiti a casa, necessità di citare le proprie fonti, eccetera.
Copio e incollo da uno dei syllabus di un corso:
"All written work must be an independent effort. Final, written work turned in for grading must be individual effort. Similar parts of take-home assignments will have to be explained and the students are responsible for explaining such similar work. The minimum penalty for plagiarism is receiving a "0" for the entire assignment. In addition, a letter documenting the offense will be sent to the IT Conduct Code Coordinator. If more than one offense is recorded in the Conduct Code file, I will recommend probation, suspension or expulsion from the Institute of Technology.
Review the Conduct and Discipline Statement in the IT Bulletin. "
Inoltre gran parte dei fondi che le università hanno a disposizione (specialmente le private, ma anche le pubbliche) viene da donazioni dei cosidetti alumni, ossia dagli ex studenti che hanno avuto successo.
Altro punto importante: la spesa media per un'università pubblica (nel proprio stato di residenza) è circa 8000/10000 dollari all'anno. I costi lievitano a $25000 - 30000/anno se si frequenta un'università pubblica al di fuori del proprio stato, e oltre se si sceglie una privata. Bisogna però ricordarsi che la pressione fiscale negli stati uniti è al 28% e non attorno al 50% come in italia, quindi non so chi paga di più per l'istruzione...
Concordo che una gestione più manageriale delle università possa portare dei gran benefici, soprattutto perchè passando dal settore pubblico al semi-privato si potrebbero tagliare i vari sprechi (tipo le 200 filiali della sapienza) e sopravviverebbe chi vale.
Adesso concedetemi un piccolo OT....
Nonostante molti non concorderanno con me, una delle cose più immediate da applicare è il metodo meritocratico. Negli USA per accedere a qualsiasi università si deve sostenere il test SAP (per il college) o GRE/GMAT/MCAT/MSTAT/.... (per la graduate school). L'accesso è a numero chiuso e basato su un metodo meritocratico. In Italia le università sono intasate di gente che si siede a scaldare i banchi arrivando alla laurea per inerzia.
Anche le università "d'eccellenza" hanno a che fare on questo problema. Io ho fatto la triennale al Politecnico di Milano; cio nonostante quando i professori si spingevano un pò più in la di quanto "la platea" era pronta ad accettare, subito si cominciava a fare casino, c'erano i tipici rincoglioniti con comportamento da scuole elementari, e ovviamente il professore dopo 5 minuti si stancava e tornava nel seminato. Tutto questo in nome di un millantato "diritto allo studio".
Situazioni del genere negli USA non solo non si presentano; sono proprio impensabili.
Un'altra perla tutta italiana è la tolleranza per lo scopiazzamento generalizzato. Sinceramente quante volte ad un'esame avete sentito gente ripresa perchè parlava ma senza nessun provvedimento serio intrapreso? Qui il primo giorno di lezione viene distribuito il programma del corso che contiene anche il codice di condotta etica. Questo comprende comportamento in aula, libertà o meno di cooperare per i compiti a casa, necessità di citare le proprie fonti, eccetera.
Copio e incollo da uno dei syllabus di un corso:
"All written work must be an independent effort. Final, written work turned in for grading must be individual effort. Similar parts of take-home assignments will have to be explained and the students are responsible for explaining such similar work. The minimum penalty for plagiarism is receiving a "0" for the entire assignment. In addition, a letter documenting the offense will be sent to the IT Conduct Code Coordinator. If more than one offense is recorded in the Conduct Code file, I will recommend probation, suspension or expulsion from the Institute of Technology.
Review the Conduct and Discipline Statement in the IT Bulletin. "
Il discorso di metodico apre l'ennesimo dibattito sull'efficienza dei servizi pubblici.
La cosa che più mi ha impressionato del post di apertura è un evidente contenuto ideologico per cui basti trasformare qualsiasi cosa in una spa e tutto si risolve. Diversi economisti hanno dimostrato che non esistono evidenze di un aumento dell'efficienza privatizzando gli enti pubblici, ad esempio questo è stato dimostrato nel settore delle telecomunicazioni.
La seconda questione è il paragone USA-Italia: metodico confronta poche università di eccellenza statunitensi con il nostro sistema universitario, sarebbe più giusto, ovviamente, mettere a confronto i due sistemi nel complesso e sopratutto in quali realtà si sviluppano.
In USA c'è un settore privato molto più forte che in Italia capace di sostenere grossi sforzi finanziari, in Italia no. Basta pensare a quanta fatica fanno i "nostri ricchi" ad effettuare investimenti.
Su questo sono in totale disaccordo: se vogliamo proseguire con l'avventato paragone USA-Italia allora c'è da dire che il sistema pubblico in USA, a dispetto delle risorse disponibili, è nettamente inferiore ai sistemi pubblici dell' Europa continentale, compreso quello italiano.
Vale poi il commento di Cheguevilla: privato e pubblico hanno obbiettivi differenti e di conseguenza esistono pregi ed inefficienze sia pubbliche che private.
Se è vero infatti che le università pubbliche italiane presentano i difetti che tutti più o meno conosciamo è vero anche che in USA ci sono università che spendono molto per il marketing e la promozione e queste sono risorse tolte alla didattica.
Ultima questione, ma non meno importante: quanti di noi sarebbero disposti a sborsare le quote delle università private USA? Oppure vedere il giocatore di basket ammesso e voi rispediti a casa?
La cosa che più mi ha impressionato del post di apertura è un evidente contenuto ideologico per cui basti trasformare qualsiasi cosa in una spa e tutto si risolve. Diversi economisti hanno dimostrato che non esistono evidenze di un aumento dell'efficienza privatizzando gli enti pubblici, ad esempio questo è stato dimostrato nel settore delle telecomunicazioni.
La seconda questione è il paragone USA-Italia: metodico confronta poche università di eccellenza statunitensi con il nostro sistema universitario, sarebbe più giusto, ovviamente, mettere a confronto i due sistemi nel complesso e sopratutto in quali realtà si sviluppano.
In USA c'è un settore privato molto più forte che in Italia capace di sostenere grossi sforzi finanziari, in Italia no. Basta pensare a quanta fatica fanno i "nostri ricchi" ad effettuare investimenti.
Inoltre in questo modo si liberebbero risorse per la scuola pubblica dalle elementari alle scuole medie superiori
Su questo sono in totale disaccordo: se vogliamo proseguire con l'avventato paragone USA-Italia allora c'è da dire che il sistema pubblico in USA, a dispetto delle risorse disponibili, è nettamente inferiore ai sistemi pubblici dell' Europa continentale, compreso quello italiano.
Vale poi il commento di Cheguevilla: privato e pubblico hanno obbiettivi differenti e di conseguenza esistono pregi ed inefficienze sia pubbliche che private.
Se è vero infatti che le università pubbliche italiane presentano i difetti che tutti più o meno conosciamo è vero anche che in USA ci sono università che spendono molto per il marketing e la promozione e queste sono risorse tolte alla didattica.
Ultima questione, ma non meno importante: quanti di noi sarebbero disposti a sborsare le quote delle università private USA? Oppure vedere il giocatore di basket ammesso e voi rispediti a casa?
"Cheguevilla":
È sufficiente guardare alle scuole private in Italia: nel 99% dei casi si tratta di diplomifici che non producono assolutamente qualità, che invece dovrebbe essere l'obiettivo del sistema formativo.
Tu quando tiri fuori un numero lo fai sempre con buone ragioni, ovvero citando una qualche fonte. In questo caso qual è la tua fonte?
Perché 99% mi sembra piuttosto tanto, pur condividendo il fatto che molte scuole non statali si riducono a diplomifici.
Ma, mi sembra che il fenomeno non sia circoscritto a queste, ma interessi anche (seppur probabilmente in percentuale minore) gli istituti statali.
"Cheguevilla":
Ricordiamoci sempre che Stato e privato hanno obiettivi diversi nella gestione di un'attività.
Sì, generalmente hai ragione, ma questi obiettivi potrebbero non essere in contraddizione. E poi esistono realtà quali fondazioni, cooperative sociali, ONLUS e simili, il cui scopo non è far soldi.
Comunque concordo con te sulla complicazione della situazione: però quello che dice metodico rimane vero, circa la situazione americana, certo che applicarla in Italia non può essere una cosa rapida ed indolore.
Indubbiamente il sistema attuale non è ottimale, ma non è che facendolo diventare privato diventerebbe ottimale solo perchè è privato.
Scendiamo dalla barca dei sogni...
Ti faccio notare, una volta di più, che Stato e privati hanno obiettivi diversi.
Inoltre, il discorso è di una complessità tale da non poter essere ridotto ad un sistema manicheo bene-male tipico da salotto Brunovespiano.
Scendiamo dalla barca dei sogni...
Ti faccio notare, una volta di più, che Stato e privati hanno obiettivi diversi.
Inoltre, il discorso è di una complessità tale da non poter essere ridotto ad un sistema manicheo bene-male tipico da salotto Brunovespiano.