Equazioni alle derivate parziali

GIOVANNI IL CHIMICO
Ciao a tutti, se consideriamo uno spazio di funzioni definite su un certo dominio, ad esempio un sottoinsieme di $RR^n$, che siano continue e derivabili il numero di volte che ci serve, vedi dopo, indichiamo il generico vettore di tale spazio con $phi(x_(i=1...n))$.
Consideriamo una equazione alle derivate parziali, lineare, e contenente derivate parziali anche miste fino all'ordine m_esimo, che genericamente identifichiamo $del_(x_(i=1...n))^(j))$, allora l'equazione è: $F(phi(x_(i=1...n)),del_(x_(i=1...n))^(j))=0$
In un certo senso potremmo considerare le derivate parziali come operatori che agiscono sulla funzione $phi(x_(i=1...n))$, quindi la combinazione lineare degli operatori di derivazione che costituiscono l'equazione è a sua volta un operatore, che chiamiamo $D$, l'equazione $F(phi(x_(i=1...n)),del_(x_(i=1...n))^(j))=0$
si può anche scrivere, applicando l'operatore alla funzione, come $Dphi=0$ quindi risolvere l'equazione significa cercare il nucleo di tale operatore $D$, ossia le soluzioni della funzione sono gli elementi di $kerD$.
Premesso che quanto sopra è una mia farneticazione, il discorso regge o c'è qualche falla mostruosa?

Risposte
elgiovo
@ Camillo: l'idea della formulazione debole è quella di verificare come si comporta una funzione
quando viene "moltiplicata" per una classe di funzioni test. Se tali funzioni rispondono a certe prerogative,
allora si possono indebolire le richieste di regolarità sulla funzione originaria, deviando le richieste sulle
funzioni test. Si trovano quindi delle soluzioni deboli, che devono essere poi "limate" per ritornare a soluzioni
forti (o classiche). Sono certo di essere stato troppo stringato, di sicuro david_e o altri sapranno dire qualcosa di più.

@ david_e e irenze: trovo molto interessante che si possano vedere le PDE sia come punto di arrivo che di partenza.
Se non erro la logica di david_e è contrapposta a quella del calcolo delle variazioni. I modi di procedere sono:
(1) problema di minimo $to$ PDE $to$ metodi numerici (ove non sia possibile una soluzione esatta);
(2) PDE $to$ problema di minimo $to$ calcolo delle variazioni.

Camillo
Una breve spiegazione sulla formulazione debole non andrebbe sprecata ( almeno per me )... :D

irenze
Beh, esiste una branca dell'Analisi, detta Calcolo delle Variazioni, che si occupa dei problemi di minimo. In Italia c'è una tradizione molto forte nel Calcolo delle Variazioni (basti citare De Giorgi) ed esso è ormai diventato per gli italiani quasi un sinonimo di EDP.
Ma su questo ti può dire sicuramente qualcosa di più preciso Luca Lussardi.

david_e1
Si ho capito quello che intendi, ma, per come la vedo io l'equazione (in forma debole) è il punto di arrivo del problema di minimo. L'equazione di Laplace non è altro che l'imporre il differenziale di Frechet del funzionale uguale a zero. Un po' come l'equazione:

$ f'(x) = 0 $

è la soluzione del problema $\text{min } f(x)$. Il fatto che poi ciò che si trova con l'equazione di Laplace sia un minimo è conseguenza della coercività e della convessità del funzionale.

Il lemma di Lax-Milgram ti dice che l'operatore $A$:

$ A : X \rightarrow \text{X*} \qquad \qquad < A u , v > = \int_{\Omega} \grad u \cdot \grad v dx + \int_{\Omega} u v dx $

è un isomorfismo fra $X$ e $\text{X*}$, quindi io lo interpreto più come un risultato di esistenza e unicità, mentre il fatto che il problema sia riconducibile a un minimo di un funzionale è più una cosa di contestualizzazione, ma, per come la vedo io, la strada logica da percorrere è:

minimizzazione di un funzionale (fisicamente minimizzazione dell'energia di un sistema) ---> equazione debole come caratterizzazione del minimo

elgiovo
Ti faccio un esempio, noto come problema di Dirichlet omogeneo:

${(-Deltau+u=fmbox( in )Omega sub RR^N),(u=0mbox( su )Gamma=del Omega):}$

dove $Delta u=sum_(i=1)^N (del^2u)/(del x_i^2)$ è il Laplaciano di $u$.
Una soluzione debole del problema è $u in H_0^1 (Omega)$ verificante

$int_Omega grad u grad v + int_Omega uv = int_Omega fv$, $forall v in H_0^1(Omega)$.

Applicando il teorema di Lax-Milgram nello spazio di Hilbert $H_0^1(Omega)$ alla forma bilineare

$a(u,v)=int_Omega (grad u grad v + uv)$ e alla forma lineare $phi:v to int_Omega fv$ si trova che

$u_(mbox(debole))=min_(v in H_0^1(Omega)){1/2 int_Omega (|grad v|^2+v^2)-int_Omega fv}$.

Mi chiedevo se esistono delle tecniche per risolvere problemi di minimo come questo.

david_e1
"elgiovo":
Avrei una domanda: dopo aver ben specificato lo spazio funzionale in cui si opera, aver integrato l'equazione
ed applicato il teorema di Lax - Milgram, ci si ritrova a dover risolvere problemi di minimo per trovare
la soluzione debole della PDE. Ci sono tecniche standard per la soluzione di questi problemi di minimo?

Intendi dire esattamente? Comunque, per il poco che ho visto io, di solito l'EDP e' il punto di arrivo di un problema di minimo, quindi il risolverla passando, di nuovo, a un problema di minimizzazione mi pare strano.

Numericamente i problemi di minimo sui funzionali li ho visti risolvere usando metodi tipo Newton (quando questo e' possibile). Ad ogni step bisogna risolvere numericamente una EDP. L'analisi ci dice come e quali problemi risolvere.

*** EDIT ***
Nel caso di funzionali del tipo di quelli che saltano fuori da Lax-Milgram, chiaramente e' sufficiente risolvere una sola EDP...

elgiovo
Avrei una domanda: dopo aver ben specificato lo spazio funzionale in cui si opera, aver integrato l'equazione
ed applicato il teorema di Lax - Milgram, ci si ritrova a dover risolvere problemi di minimo per trovare
la soluzione debole della PDE. Ci sono tecniche standard per la soluzione di questi problemi di minimo?

Chevtchenko
C'e' uno splendido articolo di Brezis che da' una panoramica generale sulla teoria delle EDP nel XX secolo. Se interessa posso provare a metterlo da qualche parte per il download.

david_e1
Per cominciare vorrei aggiungere che, in effetti, non è solo il metodo FEM a giustificare l'interpretazione sistematica delle EDP come equazioni operatoriali su opportuni spazi. Ci sono anche molte altre applicazioni e, per quello che ho visto io, molta della teoria moderna delle EDP si basa sulla formulazione delle equazioni in questa forma. Il teorema di Lax-Milgram ne è un esempio.

Il problema è solo che, ovviamente, è necessario ambientare opportunamente tutti questi discorsi, per dare un senso agli operatori. L'ambientazione ideale è quella degli spazi di Hilbert e, in particolare, molto spesso si lavora nella scala degli spazi di Sobolev. Gli operatori poi devono essere interpretati in senso debole. Il metodo FEM si costruisce prendendo, quindi, un sottospazio finito-dimensionale dello spazio nel quale si lavora e risolvendo il problema su quello spazio. La convergenza del metodo è garantita dal teorema delle proiezioni (il lemma di Cea ci dice che FEM è un metodo di proiezione). Quindi per rispondere sui requisiti minimi: deve valere il teorema delle proiezioni, quindi almeno dobbiamo essere in uno spazio di Banach completo (sui Banach vale il teorema di quasi-proiezione). In pratica poi si lavora sempre su spazi che siano di Hilbert e densi in $L^2$ in modo che l'azione degli elementi dello spazio duale sia esprimibile sottoforma di prodotti scalari $L^2$. Non ho mai visto esempi di studi teorici FEM su spazi non di Hilbert, ma credo che sia possibile fare qualche cosa.

Provo a fare un esempio di riscrittura di una EDP in forma operatoriale. In pratica la formulazione operatoriale coincide con quella debole, anche se, io la ritengo molto più comoda in molte situazioni. E' una cosa un po' complicata e io non sono molto bravo a spiegarla, spero solo di non confonderti le idee e di non dire cavolate! :-D

Prendiamo l'equazione:

$ \nabla \cdot \nabla u = f \qquad \qquad \qquad \Omega $

con condizioni nulle al bordo. Con forma debole:

$ a(u,v) = F(v) $

Si prende come spazio $X=H_0^1(\Omega)$ che è la chiusura topologica di $D(\Omega)$ in $H^1(\Omega)$ quindi si costruisce l'operatore come:

$ A : X \rightarrow \text{X*} \qquad A u : < A u , v > = a(u,v) $

dove $a$ è la forma bilineare indicando con $< \Lambda, v >$ l'azione di un operatore $\Lambda$ su un elemento $v$. A questo punto l'equazione si riscrive come uguaglianza di operatori:

$ A u = F \qquad \qquad \qquad \text{in } \text{X*} $

nota che le condizioni al contorno sono intrinseche nell'operatore $A$ e nella scelta dello spazio. L'operatore $A$ __non__ è il laplaciano, ma è un operatore globale su $u$.

Il metodo FEM quindi si costruisce prendendo un sottospazio $X_n$ di $X$ su tale sottospazio $A$ ed $F$ sono semplicemente una matrice e un vettore, rispettivamente. Quindi risolvendo il sistema lineare troviamo $u_n$ un'approssimazione della soluzione reale del problema che è la proiezione su uno spazio finito-dimensionale della vera soluzione. Nel metodo FEM si scelgono poi delle basi opportune di $X_n$, anche non ortogonali rispetto al prodotto scalare, di modo che poi i coefficienti del vettore soluzione del sistema lineare associato siano interpretabili come i valori che assume $u$ in certi punti.

Nei metodi di tipo spettrale si scelgono basi diverse per cui $u_n$ risulta essere il vettore dei coefficienti della trasformata discreta di legendre (o fourier o chebishev a seconda della base) della soluzione approssimata...

Ho dato per scontato il concetto di formulazione debole...

GIOVANNI IL CHIMICO
Cioè? Bisogna definire una opportuna di spazio metrico? Ci vuole anche la completezza? Ad esempio devono essere funzioni $L^p$ o simili?

david_e1
"GIOVANNI IL CHIMICO":
Ciao Luca, posto che questo è un risultato banale, da esso discende qualche cosa di utile per la teoria delle PDE o è solo una pura "curiosità"?
Giovanni

Le basi teoriche del metodo FEM saltano fuori da qui: crei una realizzazione finito dimensionale dell'operatore, che quindi diventa una matrice, e poi risolvi il sistema lineare...

*** EDIT ***
Ovviamente bisogna prima rendere rigoroso il tutto ambientando opportunamente questi operatori negli spazi di funzioni.

GIOVANNI IL CHIMICO
Ciao Luca, posto che questo è un risultato banale, da esso discende qualche cosa di utile per la teoria delle PDE o è solo una pura "curiosità"?
Giovanni

GIOVANNI IL CHIMICO
Boh, niente, non ci avevo mai pensato prima e mi è venuto in mente questo banale collegamento tra le cose che ho studiato in algebra e le equazioni alle derivate parziali, tipo quelle del calore o di navier... a volte mi accontento di poco.
Ciao
Giovanni

Luca.Lussardi
Ovviamente regge, ma quindi?

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