Declino dell'insegnamento universitario?
Salve a tutti, vi scrivo per condividere alcune mie impressioni relative al mondo universitario. Parlando con persone che si sono laureate 30-40 anni fa, ho avuto l'impressione che all'epoca i docenti tenessero ai loro corsi, e soprattutto agli esami e alle tesi di laurea, molto di più di quanto sembra ci tengano oggi. Queste persone mi hanno parlato, ad esempio, di esami che duravano ore o addirittura intere giornate, di tesi corrette minuziosamente, di esami di laurea rinviati fin quando la tesi non fosse soddisfacente, e così via. Gli aneddoti - anche crudeli - sugli esami si sprecano. Invece, la mia esperienza e quella dei miei coetanei con cui ho parlato è stata diversa. I corsi che ho seguito sono stati di varia qualità, ma gli esami orali raramente hanno superato la mezz'ora e non mi sembra che si dia tutta quest'importanza alle tesi di laurea. Addirittura, ci sono facoltà di ingegneria in cui l'esame di Analisi I si fa mediante un test a risposta multipla! Durante il dottorato, inoltre, ho parlato con professori di tutto il mondo, e la maggior parte parlava dell'insegnamento essenzialmente come di una scocciatura che toglie tempo alla ricerca. Non nego che all'inizio quest'atteggiamento mi ha lasciato piuttosto basito, in quanto prima ancora di interessarmi alla ricerca mi ero interessato molto all'insegnamento universitario.
Mi sono dato varie spiegazioni di questo fenomeno. Una delle possibilità è che, negli ultimi decenni, la popolazione studentesca è cresciuta a dismisura, e questo potrebbe aver portato (ma non ne sono sicuro) a un abbassamento della qualità media. Se così fosse, i professori potrebbero essere demotivati dal confronto con studenti non realmente interessati o portati per la materia. Sicuramente incide anche il fatto che oggi la ricerca è valutata quantitavamente, anzi in Italia (ma credo in tutta Europa) è l'unica cosa valutata per le progressioni di carriera, e questo porta necessariamente gli accademici a concentrare su di essa i propri sforzi. D'altra parte, ho l'impressione che ci siano cause di più ampia portata, che coinvolgono tutto il rapporto tra l'odierna istituzione universitaria e il resto della società. Che ne pensate?
Mi sono dato varie spiegazioni di questo fenomeno. Una delle possibilità è che, negli ultimi decenni, la popolazione studentesca è cresciuta a dismisura, e questo potrebbe aver portato (ma non ne sono sicuro) a un abbassamento della qualità media. Se così fosse, i professori potrebbero essere demotivati dal confronto con studenti non realmente interessati o portati per la materia. Sicuramente incide anche il fatto che oggi la ricerca è valutata quantitavamente, anzi in Italia (ma credo in tutta Europa) è l'unica cosa valutata per le progressioni di carriera, e questo porta necessariamente gli accademici a concentrare su di essa i propri sforzi. D'altra parte, ho l'impressione che ci siano cause di più ampia portata, che coinvolgono tutto il rapporto tra l'odierna istituzione universitaria e il resto della società. Che ne pensate?
Risposte
Comunque io non mi riferivo alla formazione post laurea, là il discorso è diverso.
Io mi tengo nel mezzo.
Matematica pura -> PhD e 3% bet (oppure ci si specializza su altro più tardi).
Matematica applicata -> PhD ma ben finalizzato. A questo punto già non ha più senso mirare a prendere i postdoc di 1 anno. Le industrie raggiungono lo stesso livello di ricerca a condizioni molto migliori.
Roba ancora più applicata -> Subito in azienda, eventualmente anche formandosi in azienda.
Matematica pura -> PhD e 3% bet (oppure ci si specializza su altro più tardi).
Matematica applicata -> PhD ma ben finalizzato. A questo punto già non ha più senso mirare a prendere i postdoc di 1 anno. Le industrie raggiungono lo stesso livello di ricerca a condizioni molto migliori.
Roba ancora più applicata -> Subito in azienda, eventualmente anche formandosi in azienda.
"gugo82":
L'università, come il sistema d'istruzione nazionale, forma persone che -con livelli d'abilità e sofisticatezza sempre maggiori- ragionano con metodo su cose che conoscono e riescono a studiare con profitto argomenti, più o meno prossimi agli ambiti dei propri titoli di studio, che non conoscono.
Io nel mio piccolo cerco sempre di stimolare questo aspetto nei miei studenti. Ormai, le conoscenze le trovano ovunque, siamo ampiamente surclassati dai computer sia come contenitori di informazioni che come capacità e rapidità di calcolo. I nostri sforzi, come umani, devono andare altrove. Purtroppo, trovo spesso un muro se non proprio ostilità...
E' un problema di visioni diverse dell'istruzione pubblica e della società.
Per me la funzione dell'istruzione pubblica non è professionalizzare e preparare al mercato del lavoro[nota]Anche perché di fatto diventa un inseguimento del mercato del lavoro in cui si resta sempre indietro.[/nota], ma formare, dare conoscenze e dare a tutti uguali possibilità e opportunità, attenuando le disuguaglianze che ci possono essere in partenza (fa parte del 'rimuovere gli ostacoli etc. etc.' della Costituzione).
Certo, il problema della professione è un problema serio, a cui non ho risposte univoche, e capisco che esistano scuole tipo istituti tecnici e commerciali. Tuttavia ho sempre avversato la natura classista di queste scuole, che rendono se non altro più difficile l'accesso all'università, per la preparazione meno adatta a continuare gli studi, o proprio per una preparazione di base di qualità inferiore.
E resta un fatto che siano scuole destinate a chi ha minoiri mezzi economici.
Detto questo, non ho soluzionio in tasca, si apre un difficile discorso, anche perché le mie competenze in materia sono insufficienti.
Per me la funzione dell'istruzione pubblica non è professionalizzare e preparare al mercato del lavoro[nota]Anche perché di fatto diventa un inseguimento del mercato del lavoro in cui si resta sempre indietro.[/nota], ma formare, dare conoscenze e dare a tutti uguali possibilità e opportunità, attenuando le disuguaglianze che ci possono essere in partenza (fa parte del 'rimuovere gli ostacoli etc. etc.' della Costituzione).
Certo, il problema della professione è un problema serio, a cui non ho risposte univoche, e capisco che esistano scuole tipo istituti tecnici e commerciali. Tuttavia ho sempre avversato la natura classista di queste scuole, che rendono se non altro più difficile l'accesso all'università, per la preparazione meno adatta a continuare gli studi, o proprio per una preparazione di base di qualità inferiore.
E resta un fatto che siano scuole destinate a chi ha minoiri mezzi economici.
Detto questo, non ho soluzionio in tasca, si apre un difficile discorso, anche perché le mie competenze in materia sono insufficienti.
@ gabriella127:
[/quote]
Grazie... Ma sono le basi proprio.
Il problema è che anche chi è laureato spesso le ignora, sicché poi ti ritrovi a discutere addirittura con PhD che fanno delle affermazioni a dir poco azzardate.
Il "declino della didattica" non è figlio del "sistema feudale" (cosa che pure ho letto[nota]Ed è davvero imbarazzante, poiché il "sistema feudale" è un metodo di gestione e distribuzione di potere (fondamentalmente, di potere economico); quindi che senso ha parlare di "sistema feudale" riguardo la didattica?[/nota]), quanto piuttosto -secondo me- dell'ignoranza o, nel migliore dei casi, della scarsa riflessione sull'utilità e sul ruolo che la buona didattica ricopre nello sviluppo globale della società.
"gabriella127":
[quote="gugo82"]L'università non forma una persona per un lavoro: a quello devono pensare le aziende e le amministrazioni pubbliche e i laureati stessi.
[...] L'università, come il sistema d'istruzione nazionale, forma persone che -con livelli d'abilità e sofisticatezza sempre maggiori- ragionano con metodo su cose che conoscono e riescono a studiare con profitto argomenti, più o meno prossimi agli ambiti dei propri titoli di studio, che non conoscono.



Grazie... Ma sono le basi proprio.
Il problema è che anche chi è laureato spesso le ignora, sicché poi ti ritrovi a discutere addirittura con PhD che fanno delle affermazioni a dir poco azzardate.
Il "declino della didattica" non è figlio del "sistema feudale" (cosa che pure ho letto[nota]Ed è davvero imbarazzante, poiché il "sistema feudale" è un metodo di gestione e distribuzione di potere (fondamentalmente, di potere economico); quindi che senso ha parlare di "sistema feudale" riguardo la didattica?[/nota]), quanto piuttosto -secondo me- dell'ignoranza o, nel migliore dei casi, della scarsa riflessione sull'utilità e sul ruolo che la buona didattica ricopre nello sviluppo globale della società.
"gugo82":
[
L'università non forma una persona per un lavoro: a quello devono pensare le aziende e le amministrazioni pubbliche e i laureati stessi.
[...] L'università, come il sistema d'istruzione nazionale, forma persone che -con livelli d'abilità e sofisticatezza sempre maggiori- ragionano con metodo su cose che conoscono e riescono a studiare con profitto argomenti, più o meno prossimi agli ambiti dei propri titoli di studio, che non conoscono.



"hydro":
[...] un altro dei problemi è che i voti di laurea sono completamente schiacciati verso l'alto. Nell'università dove ho studiato io solo le capre si laureavano con meno di 110 alla magistrale (la triennale era paradossalmente molto più selettiva). Se invece venisse usato sensatamente tutto il range dei voti disponibili si tamponerebbe un po' il problema perchè anche le aziende avrebbero uno strumento in più per selezionare.
When a measure becomes a target, it ceases to be a good measure (Goodhart's law).
Se i dipartimenti vengono valutati anche sul voto e sul tempo di uscita degli studenti dai cc.dd.ll. ad essi incardinati c'è poco da fare...
"hydro":
[...] perché nel nostro sistema lo stato paga soldi sonanti per permettere alle persone di laurearsi, che senso ha farlo se poi il 50% dei laureati in filosofia o in legge finisce a fare cose completamente diverse da quello per cui hanno studiato?
E cosa c'entra?
L'università non forma una persona per un lavoro: a quello devono pensare le aziende e le amministrazioni pubbliche e i laureati stessi.
Se si scrivono o si pensano cose come quelle scritte sopra, si ragiona come Confindustria, che punta al risparmio dei soci chiedendo di dirottare fondi delle università (e quindi dello Stato, visto che l'università è quasi totalmente pubblica) verso attività di formazione che non competono o competono solo marginalmente a queste ultime.
L'università, come il sistema d'istruzione nazionale, forma persone che -con livelli d'abilità e sofisticatezza sempre maggiori- ragionano con metodo su cose che conoscono e riescono a studiare con profitto argomenti, più o meno prossimi agli ambiti dei propri titoli di studio, che non conoscono.
Potrei sbagliare ma penso che rispetto a 30-40 anni fa il livello dei top sia anche aumentato. E anche il livello medio considerando che addirittura c'era chi non sapeva l'inglese (e quindi verosimilmente non ha mai letto paper in autonomia). Il dubbio a me viene rispetto al secondo dopoguerra. Rifarei la stessa domanda ma tornando ancora più indietro. Almeno a Roma a quel tempo non c'era ombra di paragone, erano tutti top sia in analisi che geometria.
"axpgn":
[quote="vict85"] E se il numero di eccellenze viene mantenuto, che problema c'è ad avere dei laureati a livelli più bassi che in passato?
Per esempio che crolli un ponte in più? Oppure se un ingegnere ora vale come un geometra, teniamoci i geometri come erano una volta e non spendiamo soldi per fare ingegneri che valgono come geometri ...
Estremizzazioni a parte, non è così banale l'argomento ... IMHO
[/quote]
Quoto in pieno. Tra l'altro anche senza pensare ai casi estremi, il numero dei laureati dovrebbe essere tale da poter essere assorbito dal mercato del lavoro. Non per cattiveria ma perché nel nostro sistema lo stato paga soldi sonanti per permettere alle persone di laurearsi, che senso ha farlo se poi il 50% dei laureati in filosofia o in legge finisce a fare cose completamente diverse da quello per cui hanno studiato? Poi aggiungerei che un altro dei problemi è che i voti di laurea sono completamente schiacciati verso l'alto. Nell'università dove ho studiato io solo le capre si laureavano con meno di 110 alla magistrale (la triennale era paradossalmente molto più selettiva). Se invece venisse usato sensatamente tutto il range dei voti disponibili si tamponerebbe un po' il problema perchè anche le aziende avrebbero uno strumento in più per selezionare.
"vict85":
La qualità della didattica la si deve giudicare dai risultati e non da questioni assiomatiche.
E' sicuramente molto difficile valutare la qualità della didattica con un minimo di oggettività. Io per esempio sarei contento se gli esami (parlo sempre di matematica) venissero passati se e soltanto se il candidato ha capito in modo solido i 2-3 concetti di base del corso, anche senza saper dimostrare tutti i teoremi visti a lezione. Cosa che, e questo posso testimoniarlo con i miei occhi, non avviene assolutamente.
"vict85":
E se il numero di eccellenze viene mantenuto, che problema c'è ad avere dei laureati a livelli più bassi che in passato?
Per esempio che crolli un ponte in più? Oppure se un ingegnere ora vale come un geometra, teniamoci i geometri come erano una volta e non spendiamo soldi per fare ingegneri che valgono come geometri ...
Estremizzazioni a parte, non è così banale l'argomento ... IMHO
Cordialmente, Alex
Questi discorsi si facevano identici quanto ho iniziato io, ovvero quasi 20 anni fa (ho compiuto 19 anni nel 2004). La mia laurea in matematica l'ho iniziata nel 2007, quindi saranno 15 anni a settembre. Prima ho preso una laurea triennale in scienze politiche. Forse matematica non è cambiata tantissimo in questi 15 anni (seppur le applicazioni e le tecnologie lo sono), ma mia cugina ha iniziato scienze politiche questo settembre (altra università ma stesso codice di laurea) e ti assicuro che gli argomenti sono cambiati tantissimo. Il settore in cui lavoro (programmazione) è cambiato enormemente. Ai tempi in cui ho incominciato si tendeva a confrontare vecchio e nuovo ordinamento (e i professori si lamentavano di dover fare le stesse cose in meno tempo). Ma non si può certo dire che che erano cambiati gli insegnanti. Ovviamente non saprei commentare il livello di insegnamento al tempo del Covid, ma mia moglie ha iniziato un dottorato in scienze attuariali due anni fa e conosco persone più giovani e la situazione all'estero.
Io penso che vadano fatte due precisazioni. Il primo è che difficile non vuol dire meglio. Insomma, se si ha un buon insegnante, un esame oggettivamente difficile può sembrare facile. Se l'insegnante non è capace, un esame facile può essere difficilissimo. Il livello della didattica, poi, non ha nulla a che fare con l'esame: se tu studi per passare l'esame allora sbagli in partenza. Detto questo, la mia università era più facile di quella in cui mia moglie ha fatto matematica, ma sinceramente trovo che la didattica fosse meglio nel mio dipartimento. La qualità dell'insegnamento, poi, è indipendente dalla bravura del professore a fare ricerca (ai livelli bassi). Per fare una analogia, non è detto che un pianista di livello internazionale sia capace ad insegnare ad un bambino di 4 anni, ma certo può dare consigli fondamentali ad uno studente avanzato che voglia intraprendere la carriera concertistica.
Il secondo aspetto è che l'università ha uno scopo sociale ed è per questo che viene pagata per lo più dallo stato. Una volta le professioni che richiedevano una laurea erano meno, quindi una università con una forte selezione era più accettabile, ora le si richiede di formare più persone e non necessariamente al livello di "scienziati". Insomma, si sta a mio avviso tendendo verso il modello americano in cui vi è una richiesta di professionalità più applicate e forse multidisciplinari ai livello di laurea bassi e via via più formalità e selettività. Inoltre si lascia allo studente la libertà di studiare di più se lo vuole e non si può dire che le possibilità di farlo non siano tantissime. Molte più di quando ho iniziato io. Il punto è che l'università di 40-60 anni fa puntava ad avere pochi laureati ma con competenze il più avanzate possibili. Se non riuscivi a mantenere quello standard non gli interessava. Ora, invece, si cerca di formare il maggior numero possibile ad uno standard più basso e a dare le possibilità a chi desidera, e ha le capacità, di raggiungere gli stessi livelli dei laureati del passato. La qualità della didattica la si deve giudicare dai risultati e non da questioni assiomatiche. Tra l'altro, a discapito di quel che potrebbe sembrare, è più difficile insegnare per molti che per pochi, quindi serve una didattica migliore, e non peggiore, per far raggiungere un livello discreto a tante persone piuttosto che un livello di eccellenza per pochissimi. Anche perché spesso quelli che raggiungono l'eccellenza, sono persone che non hanno bisogno di essere spronati a raggiungerla.
Quindi la domanda che ci si dovrebbe porre è: avete notato una riduzione del numero di ricercatori di altissimo livello? A me non sembra. E se il numero di eccellenze viene mantenuto, che problema c'è ad avere dei laureati a livelli più bassi che in passato? Sarebbe un problema se lo fossero tutti, altrimenti è solo un adattamento dell'università ai problemi del presente.
Io penso che vadano fatte due precisazioni. Il primo è che difficile non vuol dire meglio. Insomma, se si ha un buon insegnante, un esame oggettivamente difficile può sembrare facile. Se l'insegnante non è capace, un esame facile può essere difficilissimo. Il livello della didattica, poi, non ha nulla a che fare con l'esame: se tu studi per passare l'esame allora sbagli in partenza. Detto questo, la mia università era più facile di quella in cui mia moglie ha fatto matematica, ma sinceramente trovo che la didattica fosse meglio nel mio dipartimento. La qualità dell'insegnamento, poi, è indipendente dalla bravura del professore a fare ricerca (ai livelli bassi). Per fare una analogia, non è detto che un pianista di livello internazionale sia capace ad insegnare ad un bambino di 4 anni, ma certo può dare consigli fondamentali ad uno studente avanzato che voglia intraprendere la carriera concertistica.
Il secondo aspetto è che l'università ha uno scopo sociale ed è per questo che viene pagata per lo più dallo stato. Una volta le professioni che richiedevano una laurea erano meno, quindi una università con una forte selezione era più accettabile, ora le si richiede di formare più persone e non necessariamente al livello di "scienziati". Insomma, si sta a mio avviso tendendo verso il modello americano in cui vi è una richiesta di professionalità più applicate e forse multidisciplinari ai livello di laurea bassi e via via più formalità e selettività. Inoltre si lascia allo studente la libertà di studiare di più se lo vuole e non si può dire che le possibilità di farlo non siano tantissime. Molte più di quando ho iniziato io. Il punto è che l'università di 40-60 anni fa puntava ad avere pochi laureati ma con competenze il più avanzate possibili. Se non riuscivi a mantenere quello standard non gli interessava. Ora, invece, si cerca di formare il maggior numero possibile ad uno standard più basso e a dare le possibilità a chi desidera, e ha le capacità, di raggiungere gli stessi livelli dei laureati del passato. La qualità della didattica la si deve giudicare dai risultati e non da questioni assiomatiche. Tra l'altro, a discapito di quel che potrebbe sembrare, è più difficile insegnare per molti che per pochi, quindi serve una didattica migliore, e non peggiore, per far raggiungere un livello discreto a tante persone piuttosto che un livello di eccellenza per pochissimi. Anche perché spesso quelli che raggiungono l'eccellenza, sono persone che non hanno bisogno di essere spronati a raggiungerla.
Quindi la domanda che ci si dovrebbe porre è: avete notato una riduzione del numero di ricercatori di altissimo livello? A me non sembra. E se il numero di eccellenze viene mantenuto, che problema c'è ad avere dei laureati a livelli più bassi che in passato? Sarebbe un problema se lo fossero tutti, altrimenti è solo un adattamento dell'università ai problemi del presente.
"xXStephXx":
Confesso che a me piacerebbe poter vivere la situazione al tempo del 19° problema di Hilbert. Mi immagino che a quei tempi la selezione era notevole e probabilmente la mentalità dei professori era "o sei come voglio io o sei fuori".
Credo che questa sia stata la mentalità dominante fino a pochi decenni fa, ed è probabilmente ancora molto diffusa in Italia, si vedano i commenti più sopra...in altre parole, l'istituzione universitaria era di stampo feudale, ed è relativamente recente l'idea della competitività esasperata, con tutti i suoi corollari. Tra i suoi corollari, io individuavo proprio il declino della didattica.
"hydro":
Però al di là dei contenuti l'impressione che mi sembra avesse pier.paolo (e anch'io, che ascolto storie sul mondo universitario da quando sono nato) è che una volta ci fosse più serietà nel modo di fare didattica, i professori erano mediamente più esigenti e gli esami mediamente più tosti. Ma chiaramente non credo nessuno di noi possa portare una testimonianza diretta di questo fatto, può anche darsi che sia solo una delle mitizzazioni di cui parli tu.
Sì, era questo che intendevo. In realtà, come dicevo in apertura, gli aneddoti si sprecano! La mia insegnante del liceo non poteva fare a meno di ripetere che il suo esame di geometria differenziale consisteva in un'intera giornata in cui il professore distribuiva una domanda aperta a testa all'ora, diversa per ogni studente. Di fronte a una studentessa che aveva superato tutti gli esami e non riusciva a dare solo quest'ultimo, lui affermò lapidario "secondo me lei ha sbagliato facoltà". Ora, sicuramente non sento la mancanza di esami-supplizio in cui il professore si sentiva in diritto di divertirsi a piacimento sugli studenti, ma se oggi si pensa di organizzare lo scritto di Analisi I a ingegneria con un test a risposta multipla, cosa devo pensare? Quello che manca è un'analisi "quantitativa" della questione, ma non credo sia possibile portarla avanti.
"vict85":
Come molte cose che riguardano il passato, la verità è a mio avviso che non è affatto così. Basti pensare al fatto che si pensa che 30-40 anni il cibo fosse più sano anche se negli anni 80 moriva gente avvelenata per le cose che mettevano nel vino e che le strade fossero più sicure quando il numero di omicidi, già solo negli anni 90, era 5 volte quello attuale. La gente si dimentica e mitizza i tempi andati. Inoltre le esperienze lavorative e di vita ti formano ed è difficile distinguerla da quel che hai imparato prima.
Quello che voglio dire è che non è che l'insegnamento è peggio, è semplicemente diverso e non si sarebbe potuto mantenere l'insegnamento del passato.
Che si tenda a mitizzare ingiustamente il passato è verissimo. Probabilmente è anche vero che i programmi di 40 anni fa fossero diversi da quelli di oggi, ma quelli di 20 anni fa secondo me no. Anche perché per quanto la matematica faccia passi da gigante non ci sono tante rivoluzioni culturali interne che cambino il modo di insegnare analisi 1 o algebra 1. Però al di là dei contenuti l'impressione che mi sembra avesse pier.paolo (e anch'io, che ascolto storie sul mondo universitario da quando sono nato) è che una volta ci fosse più serietà nel modo di fare didattica, i professori erano mediamente più esigenti e gli esami mediamente più tosti. Ma chiaramente non credo nessuno di noi possa portare una testimonianza diretta di questo fatto, può anche darsi che sia solo una delle mitizzazioni di cui parli tu. Certo che il livello culturale medio si sia molto abbassato è una cosa che tutte le persone con il doppio della mia età sostengono, e a cui tendo a credere. Di conseguenza non mi è difficile credere che si sia abbassato anche il livello dell'insegnamento.
"vict85":
Parlando seriamente, una persona che studiasse con lo stesso programma e con lo stesso insegnamento di 30-40 anni non troverebbe lavoro né all'università né nel mondo del lavoro. Insomma, certe competenze si sono perse, ma alla fin fine si tratta di dover scegliere.
Questo non saprei. Parlando di matematica, perchè questo è il corso di laurea che conosco, probabilmente sarebbe un po' più difficile fare un dottorato, ma non credo proprio che sarebbe più difficile fare l'insegnante al liceo o il consulente, e credo che queste occupazioni coprano la maggioranza degli sbocchi professionali dei laureati.
Confesso che a me piacerebbe poter vivere la situazione al tempo del 19° problema di Hilbert. Mi immagino che a quei tempi la selezione era notevole e probabilmente la mentalità dei professori era "o sei come voglio io o sei fuori". E chi restava doveva per forza essere bravo.
La didattica di sicuro funzionava bene fintanto che le nozioni venivano trasmesse da maestro geniale ad allievo geniale, ma per il resto?

La didattica di sicuro funzionava bene fintanto che le nozioni venivano trasmesse da maestro geniale ad allievo geniale, ma per il resto?
Come molte cose che riguardano il passato, la verità è a mio avviso che non è affatto così. Basti pensare al fatto che si pensa che 30-40 anni il cibo fosse più sano anche se negli anni 80 moriva gente avvelenata per le cose che mettevano nel vino e che le strade fossero più sicure quando il numero di omicidi, già solo negli anni 90, era 5 volte quello attuale. La gente si dimentica e mitizza i tempi andati. Inoltre le esperienze lavorative e di vita ti formano ed è difficile distinguerla da quel che hai imparato prima.
Quello che voglio dire è che non è che l'insegnamento è peggio, è semplicemente diverso e non si sarebbe potuto mantenere l'insegnamento del passato. Vi sono varie ragioni. Il primo fattore è che la scienza ha fatto passi di gigante. Quel che negli anni 80 era studiato dai post-doc adesso viene insegnato in triennale (non tutto, ma alcune cose sì). Insomma, se devi fare molto di più allora qualcosa devi toglierlo e altro lo devi ridurre. Ma un professionista di 40 anni di esperienza, che ha studiato le basi all'università e ha avuto 40 anni di lavoro professionale per imparare il resto, non può razionalmente giudicare quanto sia semplice insegnare 40 anni di esperienza in 3 anni di università. Un secondo fatto è che i lavori del giorno di oggi sono diversi e l'idea che l'università debba vivere per la sola conoscenza non è considerata adatta al mondo di oggi.
Parlando seriamente, una persona che studiasse con lo stesso programma e con lo stesso insegnamento di 30-40 anni non troverebbe lavoro né all'università né nel mondo del lavoro. Insomma, certe competenze si sono perse, ma alla fin fine si tratta di dover scegliere.
Quello che voglio dire è che non è che l'insegnamento è peggio, è semplicemente diverso e non si sarebbe potuto mantenere l'insegnamento del passato. Vi sono varie ragioni. Il primo fattore è che la scienza ha fatto passi di gigante. Quel che negli anni 80 era studiato dai post-doc adesso viene insegnato in triennale (non tutto, ma alcune cose sì). Insomma, se devi fare molto di più allora qualcosa devi toglierlo e altro lo devi ridurre. Ma un professionista di 40 anni di esperienza, che ha studiato le basi all'università e ha avuto 40 anni di lavoro professionale per imparare il resto, non può razionalmente giudicare quanto sia semplice insegnare 40 anni di esperienza in 3 anni di università. Un secondo fatto è che i lavori del giorno di oggi sono diversi e l'idea che l'università debba vivere per la sola conoscenza non è considerata adatta al mondo di oggi.
Parlando seriamente, una persona che studiasse con lo stesso programma e con lo stesso insegnamento di 30-40 anni non troverebbe lavoro né all'università né nel mondo del lavoro. Insomma, certe competenze si sono perse, ma alla fin fine si tratta di dover scegliere.
"xXStephXx":
Piuttosto penso che ci vorrebbe una seria educazione al rischio, da fare molto a priori. Si sa che in Europa solo il 3% dei dottorati ce la fa. Bene. Ciò andrebbe detto prima ancora di prendere la laurea.
Sono sicuro che invece non è del tutto chiaro. Probabilmente perché prima della riforma Gelmini era molto più facile entrare. Uno che ha finito il PhD nel 2010 non poteva immaginare cosa gli sarebbe toccato di lì a 10 anni.Vedeva i suoi maestri entrati nel '95 con 3 pubblicazioni e forse pensava di essere al pari...
Ma ora la situazione è chiara e va detta subito. Eventualmente anche con delle mosse mirate ad equilibrare forzatamente domanda ed offerta. Per me non sarebbe assurdo ad esempio pre-selezionare solo il top 7% in modo tale da garantire loro un successo del 50% nel lungo termine.
Tema molto interessante, avevo intenzione di aprire un'altra discussione a riguardo

"xXStephXx":
Se è giusto o sbagliato però è roba molto complessa.
Sì, il sistema anglosassone sotto questo punto di vista è estremamente diverso dal nostro, non so quale dei due sia migliore (dal punto di vista dello studente senza tanti mezzi).
Francamente non ammiro molto né il nostro né il loro sistema. Ci sono paesi europei in cui la qualità è alta come nel nostro paese, con costi minori e maggiori agevolazioni. Guarderei più a loro (Francia, paesi scandinavi, ecc.).
"giuliofis":
Io ne ho una di 29, assurdo.
[ot]...





"xXStephXx":
Secondo me non c'è nulla di strano nei concorsi perché se vogliono la crème de la crème e hanno 100 candidati tutti reputati eccellenti ad un certo punto della loro carriera, da fonti diverse, è chiaro che ci sarà molta variabilità tra i vincitori.
Senza dubbio. Peccato che non sia esattamente così, ci sono delle differenze tra i candidati. Anche piccole, ma ci sono.
"xXStephXx":
Piuttosto penso che ci vorrebbe una seria educazione al rischio, da fare molto a priori. Si sa che in Europa solo il 3% dei dottorati ce la fa. Bene. Ciò andrebbe detto prima ancora di prendere la laurea.
Sono sicuro che invece non è del tutto chiaro. Probabilmente perché prima della riforma Gelmini era molto più facile entrare. Uno che ha finito il PhD nel 2010 non poteva immaginare cosa gli sarebbe toccato di lì a 10 anni.Vedeva i suoi maestri entrati nel '95 con 3 pubblicazioni e forse pensava di essere al pari...
Ma ora la situazione è chiara e va detta subito. Eventualmente anche con delle mosse mirate ad equilibrare forzatamente domanda ed offerta. Per me non sarebbe assurdo ad esempio pre-selezionare solo il top 7% in modo tale da garantire loro un successo del 50% nel lungo termine.
Straquoto, è una cosa che sostengo da anni. E' una piramide assurda quella attuale, con una base larghissima e una punta strettissima, avrebbe molto più senso stringere la base alla grande.
Io avevo scritto ad inizio thread come la penso ma forse in modo confusionario.
Secondo me non c'è nulla di strano nei concorsi perché se vogliono la crème de la crème e hanno 100 candidati tutti reputati eccellenti ad un certo punto della loro carriera, da fonti diverse, è chiaro che ci sarà molta variabilità tra i vincitori.
Piuttosto penso che ci vorrebbe una seria educazione al rischio, da fare molto a priori. Si sa che in Europa solo il 3% dei dottorati ce la fa. Bene. Ciò andrebbe detto prima ancora di prendere la laurea.
Sono sicuro che invece non è del tutto chiaro. Probabilmente perché prima della riforma Gelmini era molto più facile entrare. Uno che ha finito il PhD nel 2010 non poteva immaginare cosa gli sarebbe toccato di lì a 10 anni.
Vedeva i suoi maestri entrati nel '95 con 3 pubblicazioni e forse pensava di essere al pari...
Ma ora la situazione è chiara e va detta subito. Eventualmente anche con delle mosse mirate ad equilibrare forzatamente domanda ed offerta. Per me non sarebbe assurdo ad esempio pre-selezionare solo il top 7% in modo tale da garantire loro un successo del 50% nel lungo termine.
Secondo me non c'è nulla di strano nei concorsi perché se vogliono la crème de la crème e hanno 100 candidati tutti reputati eccellenti ad un certo punto della loro carriera, da fonti diverse, è chiaro che ci sarà molta variabilità tra i vincitori.
Piuttosto penso che ci vorrebbe una seria educazione al rischio, da fare molto a priori. Si sa che in Europa solo il 3% dei dottorati ce la fa. Bene. Ciò andrebbe detto prima ancora di prendere la laurea.
Sono sicuro che invece non è del tutto chiaro. Probabilmente perché prima della riforma Gelmini era molto più facile entrare. Uno che ha finito il PhD nel 2010 non poteva immaginare cosa gli sarebbe toccato di lì a 10 anni.

Ma ora la situazione è chiara e va detta subito. Eventualmente anche con delle mosse mirate ad equilibrare forzatamente domanda ed offerta. Per me non sarebbe assurdo ad esempio pre-selezionare solo il top 7% in modo tale da garantire loro un successo del 50% nel lungo termine.
"giuliofis":
[quote="gabriella127"]Infatti. Se segui 20 persone puoi aiutare pure i ciucci.
Non solo, puoi aiutare gli eccellenti ad eccellere ancora di più.[/quote]
Certo, quello è scontato.
Credo che tu puoi capire che c'è una grande soddisfazione nel vedere uno studente che viene da te e sembra non capire una mazza, e che torna dopo un po' e ti snocciola l'argomento più difficile benissimo.
E anche vedere i bravi che ti dicono cose molto itelligenti.
Purtroppo si può fare poco, con grandi numeri.