Priorità dell'istruzione.
Si discute molto dell'inadeguatezza del sistema formativo alle esigenze di competenze e cultura che richiede la società ed il mercato del lavoro. Sappiamo infatti che spesso e volentieri la formazione di base viene completata o per iniziativa individuale o per l'impegno di un'azienda aumentando i costi di questa ecc ecc...
Nemmeno dal punto di vista della cultura fondamentale l'universitario si difende bene (uso della lingua italiana, matematica di base).
Quali sarebbero, secondo voi, le priorità formative di uno studente universitario?
Se doveste elaborare una sorta di certificazione dell'universitario (a prescindere dall'indirizzo di studi), quali parametri mettereste? Quale livello di specializzazione?
ps
Speriamo non mi chiudano anche questa discussione
Nemmeno dal punto di vista della cultura fondamentale l'universitario si difende bene (uso della lingua italiana, matematica di base).
Quali sarebbero, secondo voi, le priorità formative di uno studente universitario?
Se doveste elaborare una sorta di certificazione dell'universitario (a prescindere dall'indirizzo di studi), quali parametri mettereste? Quale livello di specializzazione?
ps
Speriamo non mi chiudano anche questa discussione

Risposte
"Davide11":
Ho notato che c'è sfiducia sull'utilità della formazione specialistica in ambito lavorativo, addirittura ingegneria che dovrebbe essere la più professionalizzante.
In effetti c'è carenza in questo senso, soprattutto nei percorsi universitari di ingegneria formativi ( non so in quelli professionalizzanti ) e me ne accorgo io stesso durante il tirocinio che sto svolgendo ( da triennale ). Però una preparazione più teorica e meno specializzante può aiutarti a comprendere e risolvere problemi anche al di fuori del settore che hai scelto perchè un ingegnere del settore civile ambientale potrebbe essere impiegato in settori industriali o dell'informazione tipici di altri ingegneri, e viceversa. Per essere abilitato alla libera professione un ingegnere deve comunque effettuare un anno di tirocinio, come del resto altri laureati. Il probelma è che un approccio "pratico"in alcuni casi manca anche nei crediti che dovrebbero essere professionalizzanti, ad esempio per un ingegnere civile i moduli di pianificazione territoriale e gestione urbanistaca ; si affrontano le normative, le teorie della pianificazione, vengono analizzati tutti i tipi di piani territoriali e urbanistici esistenti, ma su 70/140 ore di corso non vengono mai dedicate ( a Genova, ma sfido anche altre università ) 5 ore per la stesura, seppure di massima , di un piccolo piano territoriale riassumendo ciò che si è appreso nella parte teorica
Potrei dire che per certi versi è simile al sistema dei paesi nordici.
Ovviamente dipende molto dalla carriera che lo studente vorrà intraprendere, se improntata alla ricerca o alla libera professione/impiego, ma restando nell'ingegneria, un metodo per apprezzare la didattica di altri paesi è sicuramente quello della doppia laurea ( solo in alcuni atenei in Italia,sostituendo 1 anno di specialistica in Italia con 2 all'estero ). Conosco un ragazzo che ha scelto questo percorso ed è veramente soddisfatto, ingegnere fisico di Torino con percorso al KTH in fisica teorica. A mio parere esperienze di questo tipo non solo contribuiscono alla formazione scientifica dello studente ma permettono a chi vi partecipa di distinguersi dagli altri laureati anche in ambito occupazionale. E soprattutto si nota come in Francia,Svezia, Svizzera...la scienza ( matematica,fisica,chimica, geologia..) venga valorizzata e massicciamente diffusa con successo anche nei politecnici e nei rispettivi percorsi formativi dedicati.
Per gli ultimi due punti escludo il vergognoso e comodo outsourcing che attuano le università, ma un uso continuo e trasversale di lingue e computer (es corsi curricolari in lingua e utilizzo di software professionali).Agree 100%.
Al di là delle competenze specifiche dei singoli corsi un qualunque laureato dovrebbe essere in grado di sostenere una discussione argomentando le proprie prese di posizione.
La "discussione" della "tesi" di laurea credo che avesse proprio questo come scopo: il candidato fa una (o più) affermazione e deve discuterla coi docenti motivandola.
È l'analogo del significato di "tesi" in matematica, dove l'argomentazione è in realtà il metodo ipotetico deduttivo.
E non deve uscire dall'università già "imparato", il mestiere lo si impara sul campo se il laureato ha imparato ad imparare.
La "discussione" della "tesi" di laurea credo che avesse proprio questo come scopo: il candidato fa una (o più) affermazione e deve discuterla coi docenti motivandola.
È l'analogo del significato di "tesi" in matematica, dove l'argomentazione è in realtà il metodo ipotetico deduttivo.
E non deve uscire dall'università già "imparato", il mestiere lo si impara sul campo se il laureato ha imparato ad imparare.
Ho notato che c'è sfiducia sull'utilità della formazione specialistica in ambito lavorativo, addirittura ingegneria che dovrebbe essere la più professionalizzante.
Tutto serve e tutto non è necessario.
Le priorità poste da Cheguevilla mi sembrano già avanzate così come il modello francese.
Poi, mi pare, che nell'attuale sistema vi è una grossa separazione fra il sapere ed il saper fare.
Senza teorizzare utopie sul sistema formativo perfetto per me le priorità sono:
- Solide basi delle discipline di base del corso
- Conoscenze matematiche e linguistiche avanzate
- Alfabetizzazione informatica
- Conoscenza di due lingue europee
Per gli ultimi due punti escludo il vergognoso e comodo outsourcing che attuano le università, ma un uso continuo e trasversale di lingue e computer (es corsi curricolari in lingua e utilizzo di software professionali).
Per ultimo punto un mio pallino: l'insegnamento e la pratica di un lavoro "manuale" attinente agli studi.
Qualcuno mi risponderà che in tante università di livello la formazione avviene già in questo modo...ma purtroppo non nella maggior parte.
Tutto serve e tutto non è necessario.
Le priorità poste da Cheguevilla mi sembrano già avanzate così come il modello francese.
Poi, mi pare, che nell'attuale sistema vi è una grossa separazione fra il sapere ed il saper fare.
Senza teorizzare utopie sul sistema formativo perfetto per me le priorità sono:
- Solide basi delle discipline di base del corso
- Conoscenze matematiche e linguistiche avanzate
- Alfabetizzazione informatica
- Conoscenza di due lingue europee
Per gli ultimi due punti escludo il vergognoso e comodo outsourcing che attuano le università, ma un uso continuo e trasversale di lingue e computer (es corsi curricolari in lingua e utilizzo di software professionali).
Per ultimo punto un mio pallino: l'insegnamento e la pratica di un lavoro "manuale" attinente agli studi.
Qualcuno mi risponderà che in tante università di livello la formazione avviene già in questo modo...ma purtroppo non nella maggior parte.
"cheguevilla":Sono perfettamente daccordo e aggiungo che il modello formativo che proponi è simile al modello francese!La somiglianza è del tutto casuale. Mia ignoranza, non conosco assolutamente nulla del modello francese.![]()
Potrei dire che per certi versi è simile al sistema dei paesi nordici.
Sono entrambi molto validi....

Sono perfettamente daccordo e aggiungo che il modello formativo che proponi è simile al modello francese!La somiglianza è del tutto casuale. Mia ignoranza, non conosco assolutamente nulla del modello francese.

Potrei dire che per certi versi è simile al sistema dei paesi nordici.
"cheguevilla":
Per quanto riguarda il laureato specialistico, il discorso cambia. A mio parere, l'effettiva utilità della laurea specialistica c'è solo per coloro che intendono dedicarsi alla ricerca, indipendentemente dal fatto che questa si svolga in ambito pubblico o privato.
Sono perfettamente daccordo e aggiungo che il modello formativo che proponi è simile al modello francese! Ecco un esempio per ingegneria, nel caso specifico al primo anno hai una formazione scientifica generale e dal secondo puoi scegliere indirizzi esclusivamente scientifici oppure ingegneristici ( anche se pochi in questo ateneo ),mentre nel successivo biennio :
http://www.polytechnique.edu/page.php?MID=215
E poi se vuoi continui con il dottorato.
In altre Ecoles francesi invece il discorso è più tradizionale ma la "specialistica" è rivolta nella maggior parte dei casi alla ricerca..a volte si trovano opzioni di biennio con un percorso dedicato alla professione e un altro dedicato alla ricerca, ovviamente molto diversi.
La domanda è talmente ampia da richiedere trattati scientifici di dimensioni epocali.
Dal basso della mia esperienza e dalla mia opinione, provo a sintetizzare quelle che secondo me sono le caratteristiche principali del laureato triennale.
- Solida conoscenza delle istuzioni fondamentali proprie del corso.
- Capacità di mantenersi aggiornato circa l'evolversi della materia affrontata.
- Sviluppo di un atteggiamento proattivo nei confronti delle problematiche poste dalla materia.
- Conoscenza, ad un buon livello, di almeno uno dei settori caratterizzanti la materia.
- Capacità proattiva e sviluppo di soluzioni adattive ai problemi che coinvolgono la materia.
Per quanto riguarda il laureato specialistico, il discorso cambia. A mio parere, l'effettiva utilità della laurea specialistica c'è solo per coloro che intendono dedicarsi alla ricerca, indipendentemente dal fatto che questa si svolga in ambito pubblico o privato.
Visto l'attuale livello di conoscenza e specializzazione nel mondo scientifico, non ha senso che la specialistica sia un'estensione della triennale, ma deve essere un approfondimento specifico di uno o pochi settori, possibilmente legati ed interdipendenti tra loro.
In ambito professionale, è sbagliata l'attuale impostazione per cui esistono avvocati, notai, commercialisti etc. di serie A e B. Al di là del problema consueto sugli ordini professionali.
La laurea specialistica non può essere un vantaggio per entrare nel mondo del lavoro. Questo perchè l'università, dato il suo carattere scientifico, non può e non deve essere una "preparazione al mondo del lavoro". Tanto più la laurea specialistica.
Al termine della laurea triennale è molto più formativo un master o uno stage in azienda, ma in generale una qualsiasi esperienza lavorativa, piuttosto che due anni di università che hanno come risultato il ritardo dell'ingresso nel mondo del lavoro, senza nulla aggiungere alle competenze lavorative dell'individuo.
L'idea che sta alla base di questa riforma (3+2) è ottima; purtroppo, come sempre accade in Italia, la sua formalizzazione non è stata delle migliori ed il suo recepimento all'interno del mondo accademico è stato più che altro un rigetto.
Cioè, gli atenei si sono comportati in maniera conservativa, facendo in modo di far cambiare meno cose possibile, cioè tentando, di fatto riuscendo, ad eludere la riforma. Senza scostarsi di un millimetro dall'eccellente post che Davide11 scrisse qualche giorno addietro riguardo la staticità del sistema e le rendite di posizione.
Dal basso della mia esperienza e dalla mia opinione, provo a sintetizzare quelle che secondo me sono le caratteristiche principali del laureato triennale.
- Solida conoscenza delle istuzioni fondamentali proprie del corso.
- Capacità di mantenersi aggiornato circa l'evolversi della materia affrontata.
- Sviluppo di un atteggiamento proattivo nei confronti delle problematiche poste dalla materia.
- Conoscenza, ad un buon livello, di almeno uno dei settori caratterizzanti la materia.
- Capacità proattiva e sviluppo di soluzioni adattive ai problemi che coinvolgono la materia.
Per quanto riguarda il laureato specialistico, il discorso cambia. A mio parere, l'effettiva utilità della laurea specialistica c'è solo per coloro che intendono dedicarsi alla ricerca, indipendentemente dal fatto che questa si svolga in ambito pubblico o privato.
Visto l'attuale livello di conoscenza e specializzazione nel mondo scientifico, non ha senso che la specialistica sia un'estensione della triennale, ma deve essere un approfondimento specifico di uno o pochi settori, possibilmente legati ed interdipendenti tra loro.
In ambito professionale, è sbagliata l'attuale impostazione per cui esistono avvocati, notai, commercialisti etc. di serie A e B. Al di là del problema consueto sugli ordini professionali.
La laurea specialistica non può essere un vantaggio per entrare nel mondo del lavoro. Questo perchè l'università, dato il suo carattere scientifico, non può e non deve essere una "preparazione al mondo del lavoro". Tanto più la laurea specialistica.
Al termine della laurea triennale è molto più formativo un master o uno stage in azienda, ma in generale una qualsiasi esperienza lavorativa, piuttosto che due anni di università che hanno come risultato il ritardo dell'ingresso nel mondo del lavoro, senza nulla aggiungere alle competenze lavorative dell'individuo.
L'idea che sta alla base di questa riforma (3+2) è ottima; purtroppo, come sempre accade in Italia, la sua formalizzazione non è stata delle migliori ed il suo recepimento all'interno del mondo accademico è stato più che altro un rigetto.
Cioè, gli atenei si sono comportati in maniera conservativa, facendo in modo di far cambiare meno cose possibile, cioè tentando, di fatto riuscendo, ad eludere la riforma. Senza scostarsi di un millimetro dall'eccellente post che Davide11 scrisse qualche giorno addietro riguardo la staticità del sistema e le rendite di posizione.
Forse sarebbe meglio se provassimo a definire le caratteristiche di uno studente che deve fare l'università. Mi sembra che le figure professionali dopo siano troppo diversificate per poter trovare degli elementi comuni che non siano ovvi.
Ma è solo una proposta, non voglio cambiare il tema.
ciao
Ma è solo una proposta, non voglio cambiare il tema.
ciao