Pensieri sull'educazione

apatriarca
In questo periodo mi sto preparando per un colloquio in una delle grosse aziende di Silicon Valley e ho avuto modo di riflettere su alcune caratteristiche dell'educazione nelle scuole (non necessariamente in Italia).

Si fa spesso notare come ci sia la tendenza nei colloqui ad aspettarsi un ambiente ostile e competitivo, in cui ci sono domande a trabocchetto e con significati nascosti. In realtà gli esaminatori e i reclutatori vogliono che tu abbia successo e stanno spendendo un sacco di tempo e denaro per farti il colloquio*. Se ti fanno domande in momenti difficili è spesso per fornirti dei suggerimenti e aiuto, non per metterti più in difficoltà. Per molte persone questi colloqui sono insomma degli esami. E sfortunatamente non è l'unica situazione in cui questo trauma/malessere si fa sentire nonostante nella vita, al di fuori di scuola/università/concorsi/quiz, le interrogazioni non esistano. La collaborazione è molto più comune e non c'è spesso nulla di male nel dire che non si sa qualcosa (per quanto ci faccia stare male).

Se penso poi a quale (a mio parere) sia l'obiettivo della formazione primaria, quello d'imparare a imparare e a risolvere problemi, mi viene da chiedermi perché forzare nelle nuovi generazioni questo trauma. Perché creiamo un ambiente ostile e competitivo e insegniamo loro che la vita è fatta così?! Lo stress può certamente diventare un incentivo per imparare, ma a lungo andare crea dei traumi che ci portiamo avanti da adulti.

Perché poi dare l'aspettativa che esista sempre una risposta corretta e perfetta alle domande e ai problemi? È raramente così nel mondo reale. Risposte approssimate, compromessi e soluzioni imperfette sono molto più comuni. Saper trovare queste risposte e accettarle è importante. Perché lasciare che sia la vita a insegnarlo? Oltretutto è proprio perché non esiste una risposta unica e corretta alle domande che esistono la maggior parte dei lavori "di concetto".

Perché infine essere così interessati al nozionismo quando pure gli insegnanti, quando non hanno insegnato un argomento per un po' di tempo, se lo devono ripassare. Alla fine ormai abbiamo Google.

* Parlo principalmente dei colloqui per questo tipo di aziende. Ci sono certamente situazioni in cui questo non è vero. Per esempio nel caso in cui si voglia dare solo la parvenza di oggettività, ma si voglia in realtà dare il lavoro a qualcuno di particolare. Credo ci sia tuttavia da chiedersi se valga a questo punto la pena di andare a lavorare in ambienti di questo tipo (se si ha scelta ovviamente).

Risposte
gabriella127
Che non fanno granché domande sul CV e personali mi sembra segno di serietà.
Io ho fatto colloqui con aziende molti anni fa, dopo la laurea, non molti dato il reciproco sentimento di antipatia.
Be', la prima domanda che mi facevano è se ero fidanzata e che faceva il mio fidanzato. Un'azienda mi disse che poiché io ero a Roma e il mio fidanzato a Napoli, avrei reso poco sul lavoro.
L'unico posto dove sono stata e non hanno mai fatto domande personali era la Banca d'Italia, il cui livello era infinitamente superiore.
Spero che ora non sia più così per le donne che fanno colloqui.

xXStephXx
A scanso di equivoci, ho applicato per posizioni come quant researcher, quant trader, quant developer, systematic trader, algo-trader. In tutti i casi mi sono prima di tutto sincerato che non fossi quello che fissa i 4 monitor mettendo gli ordini a manella. Poiché in tal caso sarei io in primis a non voler lavorare da loro. :-D

Un aspetto però invece molto interessante è che non vengono fatte troppe domande scomode sul CV. A me non piacciono le persone che vogliono apparire pro-attive e che spacciano tutti i loro hobby per side jobs, e che per qualsiasi loro interesse cercano di ottenere una posizione di rilievo. Io non sono così e non mi piace dover fingere di essere così. Coltivo tuttavia tanti hobby come tutti, e quindi non mi piace neanche essere penalizzato per non aver mai elevato i miei hobby a qualcosa di più grande. Bene, gli hedge fund su questo sono molto secchi e diretti: non glie ne importa nulla. :smt023

gabriella127
Veramente non so dire se si tratta di old school, oppure che in un hedge fund o altri investitori istituzionali siano richieste abilità diverse che in un dottorato. Non credo che siano tanto sprovveduti da fondarsi su sistemi obsoleti.
Nella ricerca si chiede profondità di pensiero e riflessione, in un investitore finanziario si privilegia la velocità di reazione, il sapersi districarsi immediatamente e la capacità di lavorare sotto stress.
Sono comunque delle doti, ma non sono quelle che servono per fare ricerca.
Non ho esperienza diretta attuale, ma da quel che ho visto in passato le selezione nelle aziende in generale privilegia questi aspetti, il dubbio e la complessità non sono molto ben viste.

xXStephXx
Nel frattempo ho iniziato ad applicare per delle internship nel settore della finanza, in particolar modo hedge fund. E... le technical interview sono old school della peggior specie in realtà! Purtroppo esperienza opposta a quella di apatriarca, che presumo abbia applicato in un altro settore.

Qui il primo test di solito è basato sulla valutazione delle funzioni esecutive intese proprio come reattività visiva, accuratezza della memoria a brevissimo termine, svolgimento di operazioni aritmetiche a mente. Se a questo test non si rientra nel primo 1% - 5% della popolazione (a seconda dei casi) scatta il "We regret to inform you...". Puoi essere pure in procinto di conseguire un dottorato di ricerca ma non si scappa. :?
Se si supera questa fase poi c'è una video-call dove vengono fatte domande tecniche di problem solving. E questa fase devo dire che l'ho trovata onesta ed interessante finora, seppur old school. Io nel dottorato già da 3 anni ero arrivato al punto di poter ammettere onestamente cosa so e cosa non so. Capita un problema? Boh, non mi viene in mente nessun'idea ci penserò. Ci vogliamo pensare insieme? Va bene.
Nelle technical interview invece chiaramente c'è una sfida a risolvere il problema, possibilmente impiegando poco tempo e senza chiedere hint.

xXStephXx
Il corrispettivo matematico di quel tipo di educazione secondo me è che si guarda troppo spesso alla correttezza dei passaggi mentre l'idea dimostrativa, anche se corretta, viene svalutata completamente o addirittura ritenuta scorretta se c'è un errore di conto che ha portato fuori strada ad un certo punto.
Fino alla fine delle scuole superiori questo tipo di educazione è l'unico esistente. Gli insegnanti più aperti dicono che guardano sia l'idea sia il procedimento, ma alla luce dei fatti si dimostrano molto più abili nel premiare un procedimento corretto svolto con idea standard da libro scolastico.
All'università invece va meglio ma alla fin fine i tentativi a disposizione sono pochi fino al conseguimento della magistrale. :roll:

Un'idea bella invece, se si ha la possibilità di corregere i problemi o, meglio ancora, di pensare insieme a qualcun altro che nota i difetti, richiede solo tempo prima di arrivare al risultato giusto.

apatriarca
"hydro":

La realtà è un po' più complessa di così. I reclutatori delle grandi aziende non sono veramente interessati al tuo successo specifico, la quantità di soldi spesi per il reclutamento è completamente trascurabile e ci sono talmente tanti candidati che è irrilevante come risponda tu alle domande, perchè tanto uno che risponde bene lo trovano. E' vero però che la maggior parte delle persone recepisce le domande come un segno di ostilità, mentre queste generalmente non sono concepite nè come aiuto nè come strumento di offesa. Detto ciò i colloqui di lavoro sono la cosa più simile ad un esame che esista al di fuori del sistema educativo, e sarebbe sbagliato non trattarli come tali.


Sto parlando più che altro della fase finale di una serie di colloqui in cui (in situazioni diverse da quella corrente) ti invitano nella loro sede, pagandoti albergo e volo, e passi un'intera giornata a fare colloqui e conoscere persone. A questa fase del processo di selezione il numero di persone sono già molto ridotte (un 1% o meno forse) e quindi tendenzialmente il desiderio che tu sia quello giusto è più forte che nelle fasi di scrematura precedenti.

È certamente vero che un colloquio è la cosa più simile a un esame che la vita ti mette davanti, ma ci sono a mio parere comunque differenze fondamentali. Prima di tutto l'esame è reciproco, loro ti stanno valutando esattamente come tu stai valutando loro. Se si comportano da stronzi puoi sempre decidere di andartene via e con siti come Glassdoor possono anche farci una brutta nomea. Inoltre non è detto che siano loro ad avere più potere. Considera per esempio una situazione in cui tu stia facendo diversi colloqui in contemporanea e loro stanno cercando di coprire una particolare figura professionale da mesi senza riuscirci. È qualcosa che mi è capitato per quanto l'abbia scoperto solo dopo essere stato assunto. Dopodiché a farti il colloquio sono spesso persone con cui finirai a lavorare direttamente. Non vuoi certamente iniziare troppo con il piede sbagliato una relazione in cui dovrai stare insieme otto ore al giorno per un periodo prolungato.

Ma certamente mi trovo in una situazione un po' diversa da molte persone nel senso che stiamo parlando di colloqui per posizioni con un medio-alto livello di esperienza e competenze. Inoltre i colloqui non sono in Italia e sono in aziende con una mentalità forse un po' più moderna di quella che si trova spesso in Italia (per quanto sia da un po' che non faccio colloqui nel nostro paese). Credo tuttavia che se ci si può permettere di andarsene, l'approccio giusto sia quello di considerare l' "esame" come reciproco. Non sono loro a decidere del tuo futuro insomma.

"hydro":

Perchè la vità è un ambiente competitivo. Negare l'evidenza non aiuta nessuno. Quello che io penso sia giusto è insegnare come la cooperazione sia molto più efficiente dell'individualismo, anche perchè poi come dici giustamente tu nel 99% dei luoghi di lavoro la cooperazione è fondamentale. Però questo non può andare a scapito dell'idea per cui tu singolo debba essere preparato agli esami a cui la vita ti metterà di fronte. Il fatto che non riceverai un voto da essi non significa affatto che siano meno importanti, anzi. Gli esami e le verifiche che si affrontano a scuola sono una versione in miniatura della vita. La differenza è che se prendi 3 in un compito puoi recuperarlo e non succede nulla, se commetti un errore grave sul posto di lavoro rischi il licenziamento. Questo non vuol dire che tu debba vivere nell'ansia di poter commettere un errore ovviamente. La scuola dovrebbe metterti nelle condizioni di affrontare gli esami che verranno con serietà e tranquillità.


Non metto in dubbio che ci sia competitività nella vita, dopotutto siamo partiti dal parlare dei colloqui di lavoro... Tuttavia la competitività più importante è a mio parere quella verso se stessi e nella maggior parte delle situazioni sociali la cooperazione ha un ruolo maggiore. Commettere errori ha certamente delle conseguenze, ma la verità è che la qualità più importante da imparare è quella di saper imparare da essi per migliorare. Abbiamo commesso tutti degli errori e vissuto dei fallimenti più o meno importanti, ma chi ha successo è chi è riuscito a superarli e a trasformarli in successi.

Credo comunque che lo sport di squadra sia più efficace della scuola a insegnare cooperazione e competitività. La scuola tende troppo all'individualismo e alla punizione piuttosto che premiare la cooperazione e i successi.

"hydro":

Su questo sono più d'accordo. Sicuramente il sistema educativo italiano è molto sbilanciato in questo senso. D'altronde è anche vero che bilanciare nozionismo e pensiero critico è un compito molto, molto delicato, e i sistemi che sono sbilanciati dall'altra parte, dove si fanno ore e ore di discussioni ma si insegna poco, finiscono per formare peggio le persone. Anche perchè è vero che imparare tante cose a memoria serve a poco nell'epoca di google, ma di sicuro male non fa...

In realtà credo che il sistema italiano sia molto meno sbilanciato di quello di altri paesi (USA per esempio). Allenare la memoria a imparare cose è certamente importante e quindi il nozionismo ha un ruolo nell'istruzione. Credo stia però cercando di proporre un approccio più pratico e meno puramente intellettuale. Alcune cose mi rendo conto di averle davvero imparate solo dopo anni che le ho studiate. A volte è necessaria la ripetizione dei concetti (magari sotto punti di vita diversi) più volte e vedere le cose nella pratica che interiorizzarle completamente.

gabriella127
Anche per me è come dicono hydro e di australopitechio: più il livello è alto, più sono modesti e non ti fanno sentire un imbecille, anzi, considerano quello che dici e ti rispondono nel merito.
E nella mia esperienza l'ho potuto constatare in tutti i campi, non solo nella matematica o in altre discipline, ma nello sport, negli scacchi e così via.

@ australopitechio Spero che insegnanti elementari come quelli che descrivi non ne esistano più.

hydro1
"austalopitechio":
In realtà credo proprio che paradossalmente chi più ha studiato sia capace di maggior modestia e all'università ho trovato professori di una capacità sconfinata e una modestia ancor maggiore, forse perché chi è lì sa cosa vuol dire affrontare davvero i problemi della vita da studio: non si finisce mai di sbagliare e imparare.


Nella mia esperienza vige una sorta di proporzionalità inversa: i matematici davvero forti, diciamo quelli che stanno nel top 1%, sono (generalmente) persone squisite, rispondono con gentilezza alle domande e non ti fanno sentire un idiota. Io penso che il motivo sia che sono consapevoli di non dover dimostrare nulla a nessuno, e non hanno motivo di mettere nessuno a disagio.

hydro1
"apatriarca":


Si fa spesso notare come ci sia la tendenza nei colloqui ad aspettarsi un ambiente ostile e competitivo, in cui ci sono domande a trabocchetto e con significati nascosti. In realtà gli esaminatori e i reclutatori vogliono che tu abbia successo e stanno spendendo un sacco di tempo e denaro per farti il colloquio*. Se ti fanno domande in momenti difficili è spesso per fornirti dei suggerimenti e aiuto, non per metterti più in difficoltà. Per molte persone questi colloqui sono insomma degli esami. E sfortunatamente non è l'unica situazione in cui questo trauma/malessere si fa sentire nonostante nella vita, al di fuori di scuola/università/concorsi/quiz, le interrogazioni non esistano. La collaborazione è molto più comune e non c'è spesso nulla di male nel dire che non si sa qualcosa (per quanto ci faccia stare male).


La realtà è un po' più complessa di così. I reclutatori delle grandi aziende non sono veramente interessati al tuo successo specifico, la quantità di soldi spesi per il reclutamento è completamente trascurabile e ci sono talmente tanti candidati che è irrilevante come risponda tu alle domande, perchè tanto uno che risponde bene lo trovano. E' vero però che la maggior parte delle persone recepisce le domande come un segno di ostilità, mentre queste generalmente non sono concepite nè come aiuto nè come strumento di offesa. Detto ciò i colloqui di lavoro sono la cosa più simile ad un esame che esista al di fuori del sistema educativo, e sarebbe sbagliato non trattarli come tali.

"apatriarca":

Se penso poi a quale (a mio parere) sia l'obiettivo della formazione primaria, quello d'imparare a imparare e a risolvere problemi, mi viene da chiedermi perché forzare nelle nuovi generazioni questo trauma. Perché creiamo un ambiente ostile e competitivo e insegniamo loro che la vita è fatta così?!


Perchè la vità è un ambiente competitivo. Negare l'evidenza non aiuta nessuno. Quello che io penso sia giusto è insegnare come la cooperazione sia molto più efficiente dell'individualismo, anche perchè poi come dici giustamente tu nel 99% dei luoghi di lavoro la cooperazione è fondamentale. Però questo non può andare a scapito dell'idea per cui tu singolo debba essere preparato agli esami a cui la vita ti metterà di fronte. Il fatto che non riceverai un voto da essi non significa affatto che siano meno importanti, anzi. Gli esami e le verifiche che si affrontano a scuola sono una versione in miniatura della vita. La differenza è che se prendi 3 in un compito puoi recuperarlo e non succede nulla, se commetti un errore grave sul posto di lavoro rischi il licenziamento. Questo non vuol dire che tu debba vivere nell'ansia di poter commettere un errore ovviamente. La scuola dovrebbe metterti nelle condizioni di affrontare gli esami che verranno con serietà e tranquillità.

"apatriarca":

Perché infine essere così interessati al nozionismo quando pure gli insegnanti, quando non hanno insegnato un argomento per un po' di tempo, se lo devono ripassare. Alla fine ormai abbiamo Google.


Su questo sono più d'accordo. Sicuramente il sistema educativo italiano è molto sbilanciato in questo senso. D'altronde è anche vero che bilanciare nozionismo e pensiero critico è un compito molto, molto delicato, e i sistemi che sono sbilanciati dall'altra parte, dove si fanno ore e ore di discussioni ma si insegna poco, finiscono per formare peggio le persone. Anche perchè è vero che imparare tante cose a memoria serve a poco nell'epoca di google, ma di sicuro male non fa...

austalopitechio
In realtà credo proprio che paradossalmente chi più ha studiato sia capace di maggior modestia e all'università ho trovato professori di una capacità sconfinata e una modestia ancor maggiore, forse perché chi è lì sa cosa vuol dire affrontare davvero i problemi della vita da studio: non si finisce mai di sbagliare e imparare.

Riguardo il mio aneddoto succedeva alle elementari, ricordo che venivano selezionati 4 candidati e fatte ripetere tabelline a raffica a mo di sfida faccia-faccia (dopo le tabelline ci si sfidava su divisioni a mente ecc ecc proseguendo nel programma). Chi perdeva subiva le risate della classe e veniva apostrofato come "somaro" dalla maestra e vederlo in lacrime mi sembrava una tortuna inutile; per quanto mi riguarda è ciò che mi fece optare per il classico rispetto allo scientifico.. di matematica non ne volevo più sapere dalle medie in poi.
Poi la paura è passata riapprocciandomi da autodidatta e capendone la sua bellezza ed eccomi qui a rompervi le scatole.

Però quello che voglio dire è che siamo esseri umani, veniamo a 'sto mondo nella difficolta del "non sapere"; anziché osteggiarsi in sfide su chi sia il migliore non è invece conveniente aiutarsi a capire come gira e spiegarci vicendevolmente le regole del gioco? La riflessione di apatriarca mi è piaciuta molto per questo.

gabriella127
"austalopitechio":
Perché infine essere così interessati al nozionismo quando pure gli insegnanti, quando non hanno insegnato un argomento per un po' di tempo, se lo devono ripassare.


Questa è una domanda davvero molto acuta [ ... ] la gente dimentica e lo si vede quotidianamente, esiste la curva dell'oblio .
Mi chiedo perché sia da ritenersi una vergogna quando siamo fatti così ed è fisiologico che succeda. Ma nessuno te lo dice e spesso diventa un sentirsi inadeguato quando accade.


Ricordo spesso un episodio a cui ho assisitito.
Un noto professore di algebra, considerato un algebrista di alto livello, durante un corso di Algebra I che seguivo, mentre dimostrava un teorema si è confuso e non riusciva a continuare. Allora si girò verso gli studenti e disse: "Scusatemi, non me lo ricordo: però ieri la lezione l'avevo preparata".
Secondo me ha dato una grande lezione di modestia e di vita, nel dire che uno del suo livello prepara le lezioni di algebra I e può dimenticare le cose.

Altro che quelli che scherniscono lo studente che non ricorda qualcosa.

austalopitechio
Perché infine essere così interessati al nozionismo quando pure gli insegnanti, quando non hanno insegnato un argomento per un po' di tempo, se lo devono ripassare.


Questa è una domanda davvero molto acuta[nota]Quantomeno per la mia sensibilità[/nota]: la gente dimentica e lo si vede quotidianamente, esiste la curva dell'oblio riguardo quanto hai imparato; eppure è qualcosa che non ti insegnano ad accettare a scuola, anzi, quando qualcuno dimenticava un concetto spesso e volentieri mi è capitato di vedere compagni scherniti da chi dovrebbe invece essere lì per insegnare.
Mi chiedo perché sia da ritenersi una vergogna quando siamo fatti così ed è fisiologico che succeda. Ma nessuno te lo dice e spesso diventa un sentirsi inadeguato quando accade.

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