L'indole e la "predisposizione naturale" negli studi

byro1
Vorrei discutere con voi su un pensiero che a volte ho: tutti noi abbiamo capacità più o meno buone nei più vari argomenti. In questo forum ci si aspetta di trovare persone con ottime capacità matematiche, fisiche, ingegneristiche, informatiche etc...

persone simili, penso, bene o male sono versatili e riescono a comprendere e studiare anche materie affini alla propria prediletta. Un matematico spesso riesce discretamente anche in fisica, o in ingegneria e così via.

Però mi viene da pensare che solo in uno specifico campo si riesca a dare il meglio di se (almeno per persone comuni, non per individui oltre l'ordinario che furono menti eccelse in molti campi differenti. Ci si imbatte spesso in matematici-fisici). Così che una persona che decide di dedicarsi al suo campo potrà raggiungere risultati più importanti rispetto al caso in cui avesse deciso di dedicarsi ad altro.

Parlo di capacità spesso maturate negli anni dovute al contesto in cui si cresce, ma anche di predisposizioni che immagino possano esserci dalla nascita.

E qui il dubbio. Supponiamo che oltre alla predisposizione coltivata in un determinato campo di studi, una persona con una mente vivace trovi addirittura più interesse in un campo di studi differente. Dove le sue capacità e la sua forma mentis tendono a spiccare di meno, ad aiutarlo di meno, pur permettendogli di adattarsi discretamente.
A volte sono interessi che nascono per caso, altre sono convinzioni che maturano negli anni. Leggevo a tal proposito di persone che da un dato campo di studi, desideravano dedicarsi alla medicina dopo aver maturato una profonda necessità di aiutare direttamente il prossimo.

Partendo dal presupposto che non esiste una risposta univoca all'interrogativo "è meglio dedicarsi a ciò in cui si riesce bene o a ciò in cui si crede profondamente?" , voi cosa ne pensate?


(un esempio che trovo abbastanza calzante è quello di un centometrista con predisposizione genetica ad essere un campione nei 100m, che però coltiva profonda ammirazione verso ad esempio il salto con l'asta. Se l'atleta dicesse: "basta 100m, preferisco dedicarmi a quello in cui riesco peggio, ma mi paice di più", potrebbe dire addio a risultati degni di nota, ma approderebbe ad una disciplina che trova più piacevole; farebbe bene secondo voi? -sempre una cosa molto soggettiva-)

Risposte
byro1
"vict85":
Non penso esistono predisposizioni naturali. Ognuno è bravo in ciò che ha imparato ad esserlo.



in parte sono convintissimo sia così, magari per stimoli ricevuti da piccoli e poi per una serie di corcostante favorevoli allo sviluppo di un certo interesse; però penso che certe caratteristiche personali vadano oltre l'istruzione.

Ahimé non ho i mezzi per parlare con cognizione di causa di certi argomenti: troppo distanti da quel che studio, ma faccio qualche supposizione:

una persona dotata di memoria invidiabile (che è allenabile, ma fino ad un certo punto, temo) tende ad affrontare studi che richiedono anche una buona capacità mnemonica con molta più facilità rispetto a chi una memoria ferrea non ce l'ha. Chi, come me ad esempio, non ha una gran memoria, tende a dedicarsi con maggior successo a campi dove può cavarsela egregiamente anche senza dover ricordare molto. Ed è così che mi trovo assai bene a programmare, ma assai inpanicato nel dover memorizzare una serie di formule.

Non so...sarebbe bello potersi confrontare con qualcuno che studi effettivamente qualcosa di inerente il sistema nervoso, il cervello etc.. Potrebbe essere illuminante capire se si sa qualcosa sulle predisposizioni genetiche.


"Meringolo":


Questo è il nocciolo del discorso: perchè tendiamo a potenziare dove siamo bravi? Davvero per passione o a volte per comodità?


mi ritrovo molto in quel che dici e in particolare in quest'ultima domanda, che è poi quello che tentavo di chiedere senza trovare le parole adatte.

Penso ci siano periodi della vita in cui si tende a potenziare aspetti dove si è bravi, ma altri momenti della vita in cui ci si accorge che non sempre quello in cui si è bravi e dove si è investito molto tempo è poi quello che può essere una passione lunga una vita.

Ci possono essere, mi ripeto, motivazioni che spingono una persona a snobbare un propro talento (innato o acquisito che sia, è da approfondire) a favore di campi in cui non si riesce bene con facilità. Mi capita appunto di chiedermi spesso cosa valga la pena di fare, e l'assenza di una risposta univoca (come poi per quasi tutte le domande di questo tipo) è fastidiosa. Perché una persona A può dire che conviene sfruttare le proprie abilità, una persona B può dire di fregarsene e di seguire la propria passione sempre e comunque, anche se non coincide con un campo dove siamo bravi.



Un esempio sciocco che mi è venuto in mente scrivendo: alcuni miei amici si stupivano nel vedermi testardamente giocare ad un gioco dove sono palesemente negato (questione di riflessi da allenare per lo più). Io molto tranquillamente dicevo che non mi interessava: che mi divertivo molto nonostante fossi negato e che addirittura lo preferivo a giochi dove sono più bravo. Qui la risposta è semplice, perché è solo un gioco. Quando si tratta di dedicare anni della propria vita a qualcosa, la risposta è molto più difficile per me

Meringolo1
Mi ero posto la domanda anche io qualche tempo fa.
In particolare me l'ero posta quando, cominciando a studiare matematica, ho avuto qualche problema ad assimilare certe cose, arrivando a chiedermi se davvero la matematica facesse per me. Ho sempre pensato che l'approccio matematico fosse qualcosa di innato, anche se si può coltivare e migliorarlo.
Credo di capire Byro quando si chiede se le persone fanno quello che gli riesce meglio a prescindere dalla passione che hanno in quella disciplina, o imboccano strade più difficili (in apparenza) per passione.
Io non ho mai capito se, davanti alle prime difficoltà di un tempo, mi sono appassionato alla matematica proprio per la sfida che sentivo mi avesse lanciato, oppure per semplice passione incondizionata (e per incondizionata intendo non per comodità dei primi risultati).

Ora a distanza di anni, le cose sono cambiate, ovvio.
Ma sono ancora convinto che il talento per la matematica sia (anche) una predisposizione naturale.


"vict85":
Siccome tendiamo a potenziare dove siamo bravi e a cercare di evitare il resto finiamo per essere bravi in una cosa e meno negli altri.


Questo è il nocciolo del discorso: perchè tendiamo a potenziare dove siamo bravi? Davvero per passione o a volte per comodità?

vict85
Non penso esistono predisposizioni naturali. Ognuno è bravo in ciò che ha imparato ad esserlo. Nel senso che una serie di eventi semi-casuali hanno portato a particolari preferenze e ad una particolare preparazione di base. Siccome tendiamo a potenziare dove siamo bravi e a cercare di evitare il resto finiamo per essere bravi in una cosa e meno negli altri.

Quando si arriva a livello universitario si è bravi in un settore perché non è facile recepire tutte le informazioni necessarie per tutti i settori che potenzialmente ci interessano. Quelli che sono bravi in più di un settore semplicemente si tengono informati su più settori (per quanto non sia affatto facile bisogna dire che esistono settori di confine e che fino all'800 le conoscenze di base per i vari settori erano molto più limitate).

Certe persone ad un certo punto della loro esplorazione finiscono per rendersi conto che l'argomento non gli interessa poi più di tanto e pertanto finiscono nella loro ricerca di altro in settori anche molto diversi. Sinceramente non ci vedo nulla di strano.

Nell'atletica nessuno diventa un campione senza allenarsi giornalmente per il risultato. Gambe lunghe possono anche aiutare ma senza allenamento non sei comunque nulla. Se un centometrista decidesse che non gli piace più correre smetterebbe proprio con l'atletica. Cambiare vorrebbe dire perdere tutti gli sponsor e comunque deludere tutti. Se gli piacesse più il salto con l'asta, avrebbe cambiato quando era in tempo. E poi non sono sicuro che le doti fisiche delle due discipline siano così diverse (a parte forse questioni di masse muscolari che dipendono dall'allenamento).
In compenso ci sono velocisti che in età più avanzata si sono dedicati a distanze più lunghe.

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