Le ragioni di un vegano

In riferimento a quanto discusso qui riporto ciò che ha scritto mio fratello sulle ragioni per cui è vegano. Chiarisce molti punti.

"Emiliano":
Io sono vegetariano per * ragioni:

La prima: non intendo essere partecipe della sofferenza e della morte di altri animali.

Mi preme qui chiarire che la mia scelta di ricorrere al termine animale è di carattere prettamente espositivo: chiamo animale un qualsiasi essere vivente appartenente al regno degli animalia dotato di un sistema nervoso. Questo perché? Perché in quanto essere umano io riconosco il dolore altrui solo nella forma consona al dolore mio proprio, e a tale principio mi attengo. Dolore è un termine coniato dall’uomo e che solo ad esso (e a tutti i rappresentanti del regno degli animalia forniti dell’organo atto a esplicare il sentimento del dolore) può confarsi. Ciò non significa che il resto degli animalia e i rappresentanti di tutti gli altri regni tassonomici siano indifferenti alle cause che in noi provocano dolore (per capirci: il taglio di una lama, un colpo di pistola, un pizzicotto), ma, se non altro per definizione (poiché è termine coniato dall’essere umano), non sono capaci del nostro dolore. In altre parole, non sono dotati di un sistema nervoso.

Gli esperimenti effettuati sulle piante (che denuncerebbero una forma di dolore anche nel regno vegetale) non fanno altro che constatare in loro la presenza di reazioni biologiche alle suddette cause. In altre parole hanno scoperto che la tendenza di una pianta (e, in particolare, di ogni altro essere vivente) è quella di opporsi al termine della propria esistenza. Chiamando le cose col loro nome, potremmo dire di avere scoperto che gli esseri viventi, in quanto viventi, tendono a vivere e non a morire. Ma ciò significa forse che un simile tipo di reazione biologica sia commensurabile a quella che avviene invece all’interno di un organismo dotato di sistema nervoso? No: dà solo conto del fatto che questi esseri non sono indifferenti alle cause del dolore. Queste reazioni potranno essere chiamate secondo scelte lessicali distinte, oppure rientrare, nel linguaggio comune, nel termine dolore, ciò non ha importanza; quello che però l’importanza, ce l’ha davvero, è la sostanziale differenza biologica dei due processi. Su questo, credo, non si possono ammettere divergenze (se però qualcuno ritiene di poter dimostrare il contrario, ben venga il suo contributo).

Ora, su che base si considera superiore (perché di questo si tratta) la reazione chimica degli animali (vd. nota iniziale) a quella del resto degli esseri viventi? Sulla base del concetto di dimostrabilità e non-dimostrabilità del dolore. I vitelli piangono, urlano e strepitano, e in ciò [di]mostrano il proprio dolore, al pari di cani, maiali, cervi ed elefanti. Le piante, invece, cosí come il resto degli esseri viventi privi di un sistema nervoso, si limitano a mostrare il putativo dolore tramite le reazioni chimiche. D’altro canto numerose reazioni chimiche avvengono sul nostro pianeta (e fuori di esso) senza che ne partecipino esseri viventi, cosí che la reazione chimica in sé non può esplicare il dolore. Tuttavia può esserne il tramite, in particolare una reazione elettro-chimica è ciò che permette al sistema nervoso di codificare e tradurre la sensazione del dolore. Ciò significa che il dolore nelle piante (stricto sensu) potrebbe essere mediato dalle reazioni chimiche, ma esso non è mai dimostrato. Ergo la non-dimostrabilità del dolore.

Vien da sé che questa interpretazione potrà essere confutata, un giorno, quando i mezzi scientifici avranno supplito a quelli biologici delle piante dimostrando l’esistenza del dolore anche nel resto degli esseri viventi. Ma sino ad allora io mi atterrò sempre a questo principio, poiché esso è l’unico che la scienza, oggi, possa suffragare.

Un’ultima considerazione. Le reazioni alle cause del dolore di un pesce potrebbero essere facilmente paragonabili a quelle di una pianta, poiché un pesce non piange, non urla e solo si agita. L’afflosciarsi o il decadere di una pianta potrebbe essere commensurato, sebbene esso avvenga in forma assai piú lenta, al dibattersi di un pesce. Tuttavia, eccezion fatta per i riflessi incondizionati, un animale privato del proprio sistema nervoso o di quegli elementi di esso che medino la percezione del dolore non dimostrerà in alcun modo il proprio patire, proprio perché non ne è in grado. Precisamente come una pianta. E in tal modo se ne deduce che la differenza fra un animale che dimostri il proprio dolore e uno che non lo faccia è proprio la presenza o meno del sistema nervoso. In conclusione, poiché è vero che un pesce è dotato di un sistema nervoso, è vero che soffre.

Ciò giustifica la prima parte della prima ragione: la sofferenza [fisica] degli animali. Per la seconda parte, dirò quanto segue:

§2. si è parlato sino ad ora di sofferenza fisica degli animali, tuttavia è importante introdurre un secondo tipo di sofferenza, quella emozionale. Questa, per esempio, è quella che ogni bambino prova all’essere separato per la prima volta dalla madre, quella che tormenta un uomo all’essere estromesso dalla propria comunità, o quella di cui è vittima una giovane ragazza all’essere abbandonata dal proprio innamorato.

Per la sofferenza emozionale varrà naturalmente quanto detto circa la sofferenza fisica nei paragrafi precedenti. Con un’unica eccezione: per la sofferenza emozionale il sistema nervoso non è piú il [solo] canale mediatore, ma ne intervengono degli altri. Nella fattispecie il dolore emozionale è dovuto all’avvento dei cinque sensi (vista, udito, gusto, tatto, olfatto) e alla loro interpretazione cognitiva (cioè conoscitiva) da parte dell’organismo. Il perché gli animali siano esseri capaci di interpretazioni cognitive è presto detto: gli animali sono dotati di memoria (come recita il detto popolare: il gatto scottato ha paura dell’acqua fredda), poiché riconoscono il pericolo e imparano dall’esperienza (in un modo, non lo si vuol certo negare, assai piú primitivo del nostro), quindi conoscono.

Ciò che cosa significa? Che un animale privato sia dei cinque sensi sia della capacità di interpretarli (scil. del sistema nervoso), non è in grado di provare sofferenza emozionale. Per contro, un animale che ne sia fornito ne è invece capace. Venendo a esempi concreti potrei citare il cane, di cui si racconta che alcuni esemplari, per il dolore, si siano addirittura lasciati morire di fronte alla tomba del loro proprietario (dico proprietario per comodità, ma dovrei dire, almeno per alcuni casi, amico umano), o forse la vacca, i cui piccoli, strappati alle loro madri, spargono lacrime e levano gridi pietosi alla cruda mano padrona che li costringe a tale pena straziante. Ma gli esempi sono numerosissimi, e fra questi vorrei citare quello del gatto, vittima altrimenti di popolari stereotipi. Il gatto può essere animale affettuosissimo anche con l’uomo, richiedendo con miagolii insistenti non già il mangime nella ciotola, ma le affettuosità del suo proprietario.

Da ciò si conclude che gli animali sono allo stesso tempo esseri capaci di dolore fisico e dolore emozionale. Perché è importante fare questa distinzione? Perché non ammettendo la sofferenza emozionale di un animale se ne potrebbe giustificare una morte indolore in ragione del fatto che ogni causa di dolore viene a mancare. Tuttavia la sofferenza emozionale, come si è detto, c’è eccome.

L’unico mezzo cui qualcheduno potrebbe ricorrere sarebbe quello di privare un animale e dei cinque sensi e del sistema nervoso, rendendolo di fatto un ammasso di carne informe, seppur vivente. Di fatto, tale e quale o ancor piú misero di una pianta. Questa sarebbe davvero un’atrocità immonda, tuttavia, per i propositi di questa trattazione, voglio considerarla. L’attuazione di un simile progetto prevedrebbe l’intervento da parte dell’uomo sul naturale sviluppo degli organismi viventi, privandoli arbitrariamente del loro diritto di esistere nello stato in cui la natura ha dato loro vita.

Una soluzione possibile, ancorché ripugnante (per il gusto mio personale) e soprattutto non necessaria, sarebbe quella di creare in laboratorio, cosí come si riproducono oggidí organi umani, parti di animali private di un sistema nervoso, in altre parole cosce, petti e ali senza che vi sia stato mai un gallo o una gallina di cui queste membra abbiano fatto parte.

Ciò eviterebbe qualsiasi forma di sofferenza poiché non esisterebbe alcun animale in grado di patirla. Tuttavia la ragione per la quale non adotterei un simile metodo verrà spiegata piú avanti.

Per quanto riguarda la prima ragione non ho altro da dire.

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La seconda: non intendo essere partecipe della sofferenza e della morte di membri della mia stessa specie.

In realtà, poiché la specie umana rientra nella mia definizione di animale quale essere dotato di un sistema nervoso, la prima parte della spiegazione sarebbe un’eco inutile della prima sezione, e intendo evitarla.

Ciò che invece è utile mostrare è come il rifiutarsi di mangiare carne di animale possa avere effetti sulla salute e l’esistenza dei membri della specie umana. Invito coloro i quali abbiano già avuto modo di venire a conoscenza dei princípi economici alla base di questa argomentazione a saltare a piè pari questa seconda sezione. Per chi è interessato esporrò come segue il mio pensiero:

§1. il primo punto sul quale è importante soffermarsi è l’idea della dispersione delle energie nella catena alimentare. Una semplice catena prevede che vi siano diversi livelli di esseri viventi, legati fra loro tramite rapporti di consumatore/consumato. In altre parole l’erba viene mangiata dal coniglio, che viene mangiato dalla civetta, che viene mangiata dal lupo, il quale, terminando la propria esistenza di morte naturale, finisce, col passare del tempo, decomposto e incorporato nel terreno. In quest’ultimo gli organismi bioriduttori trasformeranno le spoglie del lupo in sostanze riutilizzabili da altri esseri viventi, rimineralizzandole. Questi altri esseri viventi sono le piante (l’erba al principio della catena), alle quali spetta l’importante compito di trasformare questi minerali in sostanze nutritive per il proprio organismo, che permetteranno loro di crescere e svilupparsi. Naturalmente non solo i resti del lupo vengono assimilati, tramite i bioriduttori, dalle piante, ma anche quelli dell’erba, del coniglio e della civetta, nonché i loro scarti (i famosi concimanti). È importante però notare, a questo punto, che le sole piante, in quanto autotrofe, sono in grado di assimilare i decomposti e dare cosí vita a una nuova catena alimentare. Il resto degli anelli (il coniglio, la civetta, il lupo) no.

E questo che cosa significa? Che le piante sono indispensabili al funzionamento della catena e che senza di esse l’intero processo non potrebbe avere luogo. Di piú: significa che a mano a mano che la catena alimentare procede, di livello in livello, le energie e quindi le sostanze nutritive vengono disperse; altrimenti, della carcassa di un lupo, potrebbe cibarsi una civetta e ancora con la carcassa di questa civetta potrebbe pasturare un nuovo lupo, che a sua volta sarebbe mangiato da una civetta, e cosí via per migliaia e migliaia di passaggi senza che né le nuove civette né i nuovi lupi ne risentano, trovando sempre l’esatto quantitativo energetico del principio, trasferito di organismo in organismo senza subire alcuna riduzione. Ma ciò non avviene. Perché? Perché di passaggio in passaggio le energie vengono disperse, o meglio: vengono raccolte dal terreno e incorporate dagli organismi autotrofi.

Ora, è evidente che maggiore è il numero di livelli alimentari presenti nella catena maggiore sarà la dispersione di energie, creando, di conseguenza, penuria, poiché i processi degli autotrofi per la riutilizzazione dei decomposti sono assai piú lenti dei passaggi da un livello all’altro. In altre parole, impiega di meno un gatto a mangiarsi un uccellino che un pomodoro a crescere. Di contro, minore è il numero di livelli alimentari presenti minore sarà la dispersione di energie, creando, di conseguenza, abbondanza. E ciò, in ultimo, che cosa significa? Che se non vi fossero civette nella nostra immaginaria catena alimentare, il lupo avrebbe piú conigli di cui sfamarsi e i conigli avrebbero piú erba con la quale alimentarsi.

È facile dunque trarre da questo piccolo esempio ciò che interessa a questa trattazione. E cioè che nella catena, per esempio, [erba, vacca, uomo], eliminando l’anello [vacca] (ciò non significa, naturalmente, far estinguere le vacche, ma escluderle dalla nostra catena alimentare), l’uomo avrebbe molta piú erba (o piú segale, piú grano, piú granturco) di cui alimentarsi. E sta qui la chiave di volta, perché in un mondo in cui milioni e milioni di persone muoiono quotidianamente di fame, rifiutarsi di eliminare il livello [vacca] è rifiutarsi di concedere cibo e vita a milioni di nostri simili. E questo è un fatto.

Alcuni numeri, per coloro i quali siano interessati: per produrre 1 chilo di carne di manzo sono necessari, in media, 10 chili di grano e 680 litri di acqua, viceversa, 1 chilo di pomodori richiede 190 litri di acqua, 1 chilo di patate 198, 1 chilo di farina 209. Ammettendo che per produrre 1 chilo di farina sia necessario 1 chilo di grano, si può attuare una conversione in acqua che renda meglio l’esempio: 10 chili di grano richiedono 2090 litri di acqua, ai quali vanno sommati i 680 litri necessari ad abbeverare la vacca, per un totale di 2770. Grossomodo, con 2770 litri di acqua si possono crescere oltre 13 chili di patate. Contro 1 di manzo.

Risposte
Faussone
Dato che questo argomento continua a ricorrere dico anch'io la mia.

Sono d'accordo che soprattutto noi occidentali dovremmo limitare l'uso di carne sia per motivi di salute che per motivazioni legate allo sviluppo sostenibile, sono d'accordo che gli animali dovrebbero essere allevati in condizioni dignitose e in modo da limitare il più possibile la loro sofferenza, ma al di là di questo non vado.

D'altronde di ragioni opposte alla scelta vegana ce ne sono di molto forti , dico solo quelle che ritengo imprescindibili.

Innanzitutto una dieta esclusivamente di origine vegetale, checché molti vegani sostengono, non è una dieta sufficientemente equilibrata e variegata, soprattutto in alcune fasce di età può essere molto dannosa. Basta sentire il parere di un qualunque serio nutrizionista.
L'uomo moderno infatti è sempre stato onnivoro, anzi le proteine animali hanno contribuito al nostro salto di qualità rispetto alle altre specie animali (se fossimo stati erbivori non saremmo arrivati a essere la specie dominante del pianeta, ok questo non è del tutto un bene ma tant'è).


A parte queste ragioni credo che essere vegani per contribuire a fare un piccolo passo verso un mondo migliore sia una bella utopia e come le utopie è del tutto inutile.
Può servire a stare in pace con la propria coscienza ma nulla più. (Detto per inciso non voglio sminuire chi lo fa per questo, lo stare in pace con se stessi essendo convinti di essere nel giusto è importante, anche se quando alcune scelte sconfinano in una sorta di fondamentalismo io sento un po' di disagio.)
Insomma mi sembra la solita solfa dello "spegnete la lucina dello standby del televisore per risparmiare corrente" oppure "uscite più spesso a piedi e lasciate a casa l'auto". Le scelte ambientaliste si devono fare ad un altro livello, non possono essere lasciate alla coscienza dell'individuo, perché lasciate al singolo non daranno mai un impatto sensibile.

"Steven":
Visto che nel topic passato non lo avevo precisato, ora ci tengo ad aggiungere che il veganismo prevede, ovviamente, un rifiuto di prodotti di origine animale non solo alimentari.
I prodotti citati, lana e pelle, e anche la piuma d'oca, non rientrano quindi negli acquisti di un vegano.
Appunto.

@gugo82: per favore la prossima volta che spari a zero fallo dopo esserti minimamente informato. Grazie.

Io ammiro Steven che riesce a rimanere composto di fronte a critiche fatte senza riflettere.

"gugo82":
Intanto non hai risposto... Ma vabbè, non volevo che lo facessi; ho scritto per far riflettere su un altro aspetto, che è quello che più mi irrita dello scritto riportato.
Riflettere su un altro aspetto dici. Secondo te chi riflette di più su queste cose, un vegetariano o un non-vegetariano?

Non lo dico per evitare di rispondere.
La mia risposta è questa: confondono tutti il muoversi verso una certa ideologia con l'assorbimento totale di tutti i cavilli (che cavilli per un vegano non sono) che tale ideologia comporta. Se non mangio animali ma uso calze di lana devo forse sentirmi tanto incoerente da decidere: o non indosso lana oppure riprendo a mangiare gli animali? Secondo me no. Come ho detto non si tratta di cambiare il mondo da oggi a domani ma di capire cosa permette i nostri gesti quotidiani.

Per la cronaca, io acquisto cose fatte di lana ma non cose fatte di pelle. Spero di avere un giorno anch'io la decisione di non fare uso di tessuti di provenienza animale.

A me motivazioni ideologico/patetiche come "non mi va di far soffrire gli animali" usate da gente che veste maglioni di lana (e le pecore/capre/conigli/alpaca non avranno freddo senza?) od calza scarpe di cuoio ovvero siede su poltrone di pelle oppure usa borse di coccodrillo (e le vacche/coccodrilli come faranno a vivere senza pelle?) non vanno giù; le trovo di una banalità mostruosa.
E quanto hai postato rientra in tale categoria.
Che ne sai tu.
Il vero punto a favore del vegetarianismo/veganesimo (o, quanto meno, a favore di un consumo molto più ridotto di carne) è la motivazione economico-medica: fa meglio all'organismo non abusare di prodotti d'origine animale e l'allevamento intensivo consuma molte più risorse della coltivazione.
Il resto è fuffa.
Il resto non è fuffa. Basta leggere il mio primo intervento in questo filone per capirlo. Forse non mettere l'uomo al centro dell'universo può aiutare.

gugo82
"Steven":
Però, da quello che vedo, il fratello di Martino, autore dello scritto, è vegano.
[...]
Visto che nel topic passato non lo avevo precisato, ora ci tengo ad aggiungere che il veganismo prevede, ovviamente, un rifiuto di prodotti di origine animale non solo alimentari.
I prodotti citati, lana e pelle, e anche la piuma d'oca, non rientrano quindi negli acquisti di un vegano.

Infatti gira per la città in zoccoli di legno olandesi... :-D

Ma, ambientalmente parlando, è più dannoso allevare una mucca per farne due paia di scarpe e qualche chilo di carne oppure bruciare petrolio per ricavare fibre sintetiche per le Nike ovvero abbattere un albero per farci degli zoccoli olandesi? (Qui sono serio.)

Ad ogni modo, mi ero perso l'incipit: non avevo capito scrivesse il fratello di Martino.
Tanti saluti anche a lui e complimenti per il coraggio a dormire senza coperte di lana.

Steven11
"gugo82":
A me motivazioni ideologico/patetiche come "non mi va di far soffrire gli animali" usate da gente che veste maglioni di lana (e le pecore/capre/conigli/alpaca non avranno freddo senza?) od calza scarpe di cuoio ovvero siede su poltrone di pelle oppure usa borse di coccodrillo (e le vacche/coccodrilli come faranno a vivere senza pelle?) non vanno giù; le trovo di una banalità mostruosa.


Figurati a me. :wink:

Hai descritto molto bene un fenomeno abbastanza rilevato da me in più di un contesto (tra amici, per strada, o spesso in tv!): l'ergersi a difensore delle povere bestie maltrattate, incassando i sorrisi degli uditori con qualche "sì è orribile" e simili.
Fondamentalmente è gente che gioca a fare l'alternativa, che magari il giorno dopo a cena sposa la causa dela foresta amazzonica abbattuta.

Però, da quello che vedo, il fratello di Martino, autore dello scritto, è vegano.
Il che, almeno per mia esperienza, è un fatto che incide sulla vita quotidiana un po' più del lusso di fare qualunquismo e ogni tanto di tirare fuori qualche leggenda metropolitana, come dice vict85.
Visto che nel topic passato non lo avevo precisato, ora ci tengo ad aggiungere che il veganismo prevede, ovviamente, un rifiuto di prodotti di origine animale non solo alimentari.
I prodotti citati, lana e pelle, e anche la piuma d'oca, non rientrano quindi negli acquisti di un vegano.

"gugo82":
D'altra parte, non vedo nemmeno cosa ci sia di male a consumare carne e prodotti d'origine animale ogni tanto; l'uomo è costruito per essere un predatore, quindi faremmo solo il nostro "dovere" (evoluzionisticamente parlando)...

Per la mia scala, il dovere a prendere misure contro l'abuso di risorse ambientali viene prima del fatto che la biologia ci dice che il nostro stomaco è "costruito" in grado di digerire anche carne.

gugo82
Intanto non hai risposto... Ma vabbè, non volevo che lo facessi; ho scritto per far riflettere su un altro aspetto, che è quello che più mi irrita dello scritto riportato.
A me motivazioni ideologico/patetiche come "non mi va di far soffrire gli animali" usate da gente che veste maglioni di lana (e le pecore/capre/conigli/alpaca non avranno freddo senza?) od calza scarpe di cuoio ovvero siede su poltrone di pelle oppure usa borse di coccodrillo (e le vacche/coccodrilli come faranno a vivere senza pelle?) non vanno giù; le trovo di una banalità mostruosa.
E quanto hai postato rientra in tale categoria.

Il vero punto a favore del vegetarianismo/veganesimo (o, quanto meno, a favore di un consumo molto più ridotto di carne) è la motivazione economico-medica: fa meglio all'organismo non abusare di prodotti d'origine animale e l'allevamento intensivo consuma molte più risorse della coltivazione.
Il resto è fuffa.


P.S.: D'altra parte, non vedo nemmeno cosa ci sia di male a consumare carne e prodotti d'origine animale ogni tanto; l'uomo è costruito per essere un predatore, quindi faremmo solo il nostro "dovere" (evoluzionisticamente parlando)...

"gugo82":
Che scarpe indossi, Martino?
Come provocazione non mi sembra che centri nessuna debolezza del mio stile di vita. Anche perché ho ben specificato che non si tratta di cambiare il mondo da oggi a domani, ma di renderci conto almeno di cosa ci sia dietro la nostra quotidianità.

vict85
Personalmente non vedo il problema. Cioé ci sono ragioni portate avanti da ignoranti assoluti che sono davvero assurde (faccio riferimento ad alcune leggende metropolitane che non mi va di citare) ma se uno non ha voglia di mangiare carne perché nel farlo vede il coniglio che soffre sono un po' affari suoi.

dissonance
Non capisco perché su questo forum facciate a gara per opporvi alle opinioni dei veg(etari)ani. Io non sono vegetariano, ma sto seguendo attentamente le discussioni in merito; e a differenza di quasi tutti coloro che sono intervenuti, trovo che Martino e Steven non abbiano tutti i torti. Hanno fatto una scelta che rispetto profondamente e le loro ragioni sono ampiamente condivisibili.

gugo82
Che scarpe indossi, Martino?

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