Curiosità epistemologica
Arrivo da una settimana (neanche intera, peraltro) molto intensa, piena di compiti e interrogazioni a scuola. Tra le altre cose, un'interrogazione di Filosofia su Galileo, Copernico, Bruno (e in generale Rivoluzione Scientifica e Astronomica) Cartesio, Spinoza e Popper (approfondimento fuori programma del professore). Al di là del fatto che questa parte del programma di Filo è davvero fantastica, mi è sorta una curiosità epistemologica studiando questi filosofi (soprattutto Popper e Galilei).
Oggi, la scienza è più deduttiva o induttiva?
L'argomento è - almeno per me - decisamente affascinante. Ho studiato che in Galileo convivevano entrambi i momenti, tanto che non si può parlare di un Galileo solo induttivista o solo deduttivista. Egli ammetteva l'esistenza e la compresenza delle necessarie dimostrazioni e delle sensate esperienze (questi i termini che egli stesso usò). Egli era convinto che questi due aspetti del suo metodo scientifico non si escludessero, anzi si implicassero a vicenda (e dimostra anche questa doppia implicazione, dicendo che, da un lato, le sensate esperienze devono essere spogliate di tutte le loro attribuzioni qualitative, devono essere matematizzate; dall'altro il Pisano dice che le necessarie dimostrazioni devono per forza bagnarsi nell'esperienza per essere verificate - il cosiddetto cimento galileiano).
Insomma, l'ennesima dimostrazione del genio rinascimentale-barocco (barocco perchè vive tutte le contraddizioni di quell'epoca) di Galilei.
Tuttavia, sappiamo anche che oggi il modello proposto da Galilei non è più valido, almeno non lo è più dopo le tesi falsificazionistiche di Karl Popper. Le tesi popperiane si possono certamente leggere come il risvolto gnoseologico della teoria della relatività (ma anche, più in generale, degli anni della "crisi della Matematica": si pensi ai lavori di un Godel che sconvolgono l'universo scientifico della prima metà del "secolo breve").
Ciò che però mi interessa capire - da qui è partita la lunga riflessione; perdonatemi ma avevo bisogno di scrivere!
- è se oggi la scienza sia più deduttivista o più induttivista. So che il metodo induttivo - che viveva tranquillo almeno fino alle tesi neopositivistiche del Circolo di Vienna - è stato duramente contestato dalla epistemologia popperiana e russeliana (vedi il "mitico" aneddoto di B. Russel del Tacchino induttivista).
Ma allora - mi chiedo io - perchè noi (intendo noi studiosi e amanti della Matematica) studiamo il metodo induttivo? In tutte le dispense di Analisi, TdN e Algebra almeno un paragrafo è dedicato a questo metodo che sembra ancora essere valido. Con l'induttivismo dimostriamo proposizioni del tipo "la somma dei primi $n$ numeri naturali è $n(n+1)/2$" et similia.
Perdonatemi e abbiate pazienza: che cosa ne pensate? E' uan riflessione così stupida e amena? O ha un fondamento logico?
Spero di non aver detto troppe scemenze. Come al solito, un grazie per il vostro aiuto e per la vostra presenza.
Ciao,
Paolo
Oggi, la scienza è più deduttiva o induttiva?
L'argomento è - almeno per me - decisamente affascinante. Ho studiato che in Galileo convivevano entrambi i momenti, tanto che non si può parlare di un Galileo solo induttivista o solo deduttivista. Egli ammetteva l'esistenza e la compresenza delle necessarie dimostrazioni e delle sensate esperienze (questi i termini che egli stesso usò). Egli era convinto che questi due aspetti del suo metodo scientifico non si escludessero, anzi si implicassero a vicenda (e dimostra anche questa doppia implicazione, dicendo che, da un lato, le sensate esperienze devono essere spogliate di tutte le loro attribuzioni qualitative, devono essere matematizzate; dall'altro il Pisano dice che le necessarie dimostrazioni devono per forza bagnarsi nell'esperienza per essere verificate - il cosiddetto cimento galileiano).
Insomma, l'ennesima dimostrazione del genio rinascimentale-barocco (barocco perchè vive tutte le contraddizioni di quell'epoca) di Galilei.
Tuttavia, sappiamo anche che oggi il modello proposto da Galilei non è più valido, almeno non lo è più dopo le tesi falsificazionistiche di Karl Popper. Le tesi popperiane si possono certamente leggere come il risvolto gnoseologico della teoria della relatività (ma anche, più in generale, degli anni della "crisi della Matematica": si pensi ai lavori di un Godel che sconvolgono l'universo scientifico della prima metà del "secolo breve").
Ciò che però mi interessa capire - da qui è partita la lunga riflessione; perdonatemi ma avevo bisogno di scrivere!

Ma allora - mi chiedo io - perchè noi (intendo noi studiosi e amanti della Matematica) studiamo il metodo induttivo? In tutte le dispense di Analisi, TdN e Algebra almeno un paragrafo è dedicato a questo metodo che sembra ancora essere valido. Con l'induttivismo dimostriamo proposizioni del tipo "la somma dei primi $n$ numeri naturali è $n(n+1)/2$" et similia.
Perdonatemi e abbiate pazienza: che cosa ne pensate? E' uan riflessione così stupida e amena? O ha un fondamento logico?
Spero di non aver detto troppe scemenze. Come al solito, un grazie per il vostro aiuto e per la vostra presenza.
Ciao,
Paolo

Risposte
"Paolo90":
Arrivo da una settimana (neanche intera, peraltro) molto intensa, piena di compiti e interrogazioni a scuola. Tra le altre cose, un'interrogazione di Filosofia su Galileo, Copernico, Bruno (e in generale Rivoluzione Scientifica e Astronomica) Cartesio, Spinoza e Popper (approfondimento fuori programma del professore). Al di là del fatto che questa parte del programma di Filo è davvero fantastica, mi è sorta una curiosità epistemologica studiando questi filosofi (soprattutto Popper e Galilei).
Oggi, la scienza è più deduttiva o induttiva?
L'argomento è - almeno per me - decisamente affascinante. Ho studiato che in Galileo convivevano entrambi i momenti, tanto che non si può parlare di un Galileo solo induttivista o solo deduttivista. Egli ammetteva l'esistenza e la compresenza delle necessarie dimostrazioni e delle sensate esperienze (questi i termini che egli stesso usò). Egli era convinto che questi due aspetti del suo metodo scientifico non si escludessero, anzi si implicassero a vicenda (e dimostra anche questa doppia implicazione, dicendo che, da un lato, le sensate esperienze devono essere spogliate di tutte le loro attribuzioni qualitative, devono essere matematizzate; dall'altro il Pisano dice che le necessarie dimostrazioni devono per forza bagnarsi nell'esperienza per essere verificate - il cosiddetto cimento galileiano).
Insomma, l'ennesima dimostrazione del genio rinascimentale-barocco (barocco perchè vive tutte le contraddizioni di quell'epoca) di Galilei.
Tuttavia, sappiamo anche che oggi il modello proposto da Galilei non è più valido, almeno non lo è più dopo le tesi falsificazionistiche di Karl Popper. Le tesi popperiane si possono certamente leggere come il risvolto gnoseologico della teoria della relatività (ma anche, più in generale, degli anni della "crisi della Matematica": si pensi ai lavori di un Godel che sconvolgono l'universo scientifico della prima metà del "secolo breve").
Ciò che però mi interessa capire - da qui è partita la lunga riflessione; perdonatemi ma avevo bisogno di scrivere!- è se oggi la scienza sia più deduttivista o più induttivista. So che il metodo induttivo - che viveva tranquillo almeno fino alle tesi neopositivistiche del Circolo di Vienna - è stato duramente contestato dalla epistemologia popperiana e russeliana (vedi il "mitico" aneddoto di B. Russel del Tacchino induttivista).
Ma allora - mi chiedo io - perchè noi (intendo noi studiosi e amanti della Matematica) studiamo il metodo induttivo? In tutte le dispense di Analisi, TdN e Algebra almeno un paragrafo è dedicato a questo metodo che sembra ancora essere valido. Con l'induttivismo dimostriamo proposizioni del tipo "la somma dei primi $n$ numeri naturali è $n(n+1)/2$" et similia.
Perdonatemi e abbiate pazienza: che cosa ne pensate? E' uan riflessione così stupida e amena? O ha un fondamento logico?
Spero di non aver detto troppe scemenze. Come al solito, un grazie per il vostro aiuto e per la vostra presenza.
Ciao,
Paolo
Io credo che servano entrambe ed ovviamente in relazione al contesto!!!.... Mai perdere la conoscenza di ciò che accade attorno a noi e quindi saper gestire i due metodi con cognizione di causa e equilibrio intellettivo!
"Sergio":
Traggo da Lolli, dalla sua orrenda Filosofia della matematica ...
Ciao Sergio,
ho in casa questo libro e stavo per rileggerlo
come mai dici orrendo?
"oruam":
Lungi da me il giudicare se un intervento sia OT o meno.
Ho evidentemente inteso male e, per darti modo di non indurre involontariamente altri in errore, come chiedi, sappi che l'infelicità tua la derivavo da un ‘mio’ pregiudizio, umanissimo (e sapendoti figlio di Adamo, come il sottoscritto, lo attribuivo pure a te)[...]
Benissimo, ti sia di lezione per i prossimi interventi: non tutti gli uomini sono uguali.
"oruam":
[...] che l'ambizione di conoscere la realtà ultima sia il fine della Scienza.
Il fine della Scienza, come abbiamo detto già in questo thread, è costruire modelli per l'evoluzione della realtà.
"Conoscere la realtà ultima" (delle cose) è il fine della religione, non della Scienza.
"oruam":
Quanto alla scrittura da 'precisare', hai detto bene citando il tipo che muore stanotte, grazie: ne terrò da conto e la prossima volta chiederò conferma prima di derivarne qualcosa.
Dopo aver riletto tutti i post nel topic, però, a me pare che parliamo tutti, indistintamente, un linguaggio interrogativo, ma che, io per primo, cerchiamo di non darlo a vedere. O sbaglio?
Mi fa piacere ti sia piaciuta la citazione... sai com'è le cose imparate da bambino non si perdono mai del tutto, anche quando non si frequentano gli ambienti religiosi da tempo.
Il mio linguaggio è affermativo o interrogativo a seconda dei casi; i casi si distinguono dall'uso di un'appropriata punteggiatura.
"oruam":
Un’ultima cosa, per favore, chiariscimi cosa debbo intendere con la C seguita dal simbolo dell’infinito. Immagino che non saprò dare risposta alla tua domanda, ma almeno saprò a cosa non so dare risposta.
Con stima e con un grazie a tutti.
Non è difficile come simbolo, se ricordi i concetti fondamentali di continuità e derivabilità per funzioni di una variabile.
Partiamo dal "basso": si dice che una funzione è di classe $C^0$ nel suo insieme di definizione se essa è ivi continua.
Salendo di un gradino troviamo la classe $C^1$: si dice che una funzione è di classe $C^1$ nel suo insieme di definizione se ha la derivata prima in tutti i punti di tale insieme e se la funzione derivata prima è ivi continua (ciò assicura che anche la funzione stessa è continua e perciò vale l'inclusione $C^1 subset C^0$).
Salendo di un altro gradino troviamo, indovina un po', $C^2$: si dice che una funzione è di classe $C^2$ nel suo insieme di definizione se ha la derivata seconda in tutti i punti di tale insieme e se la funzione derivata seconda è ivi continua (ciò assicura che $C^2 subset C^1 subset C^0$)...
Salendo $n$ gradini troviamo $C^n$: una funzione è di classe $C^n$ nel suo insieme di definizione se ha la derivata $n$-esima in ogni punto di tale insieme e se la funzione derivata $n$-esima risulta ivi continua (ciò assicura che $C^n subset C^(n-1) subset \ldots subset C^2 subset C^1 subset C^0$).
Ora viene il gradino più alto: si dice che una funzione è di classe $C^oo$ nel suo insieme di definizione se essa è di classe $C^n$ comunque si fissi $n in NN$; ciò vuol dire che una funzione è di classe $C^oo$ se ha derivate continue di ordine comunque elevato. Insomma le funzioni $C^oo$ sono quelle che esibiscono la maggiore regolarità nell'andamento grafico loro e di tutte le loro derivate: ad esempio sono $C^oo$ tutte le funzioni elementari (polinomi, esponenziali, logaritmi, trigonometriche (seno e coseno)) e le funzioni che da queste si ottengono con operazioni di somma, prodotto o composizione.
Dopo $C^oo$ c'è anche un'altra classe più bella (nel senso della regolarità) che è denotata col simbolo $C^omega$... ma spiegarti questa è difficile se non hai nozioni un po' più avanzate.
P.S.: Stiamo affollando il thread con discorsi personali. Se vuoi continuare, mandami un PM.
Lungi da me il giudicare se un intervento sia OT o meno.
Ho evidentemente inteso male e, per darti modo di non indurre involontariamente altri in errore, come chiedi, sappi che l'infelicità tua la derivavo da un ‘mio’ pregiudizio, umanissimo (e sapendoti figlio di Adamo, come il sottoscritto, lo attribuivo pure a te): che l'ambizione di conoscere la realtà ultima sia il fine della Scienza.
Quanto alla scrittura da 'precisare', hai detto bene citando il tipo che muore stanotte, grazie: ne terrò da conto e la prossima volta chiederò conferma prima di derivarne qualcosa.
Dopo aver riletto tutti i post nel topic, però, a me pare che parliamo tutti, indistintamente, un linguaggio interrogativo, ma che, io per primo, cerchiamo di non darlo a vedere. O sbaglio?
Un’ultima cosa, per favore, chiariscimi cosa debbo intendere con la C seguita dal simbolo dell’infinito. Immagino che non saprò dare risposta alla tua domanda, ma almeno saprò a cosa non so dare risposta.
Con stima e con un grazie a tutti.
Ho evidentemente inteso male e, per darti modo di non indurre involontariamente altri in errore, come chiedi, sappi che l'infelicità tua la derivavo da un ‘mio’ pregiudizio, umanissimo (e sapendoti figlio di Adamo, come il sottoscritto, lo attribuivo pure a te): che l'ambizione di conoscere la realtà ultima sia il fine della Scienza.
Quanto alla scrittura da 'precisare', hai detto bene citando il tipo che muore stanotte, grazie: ne terrò da conto e la prossima volta chiederò conferma prima di derivarne qualcosa.
Dopo aver riletto tutti i post nel topic, però, a me pare che parliamo tutti, indistintamente, un linguaggio interrogativo, ma che, io per primo, cerchiamo di non darlo a vedere. O sbaglio?
Un’ultima cosa, per favore, chiariscimi cosa debbo intendere con la C seguita dal simbolo dell’infinito. Immagino che non saprò dare risposta alla tua domanda, ma almeno saprò a cosa non so dare risposta.
Con stima e con un grazie a tutti.
"oruam":
No, non mi offendo affatto, anche se forse qualche sforzo in più dovresti farlo.
Credo proprio tu non segua il discorso ed abbia in mente dell'altro, insomma un pregiudizio (più facile spostare un monte che toglierne uno): ho forse mai detto che tu parli tra le righe, che tu voglia dire e non dire o sottintendere? No, ho invece detto che dalle parole che hai scritto ho inteso quel che t'ho detto, ovvero che tu fossi infelice per l'inconoscibilità della cosa in sé.
Hai inteso male e penso di averlo spiegato.
Quello che potresti spiegarmi, così da non farmi ripetere l'errore, è come dalle affermazioni:
Sbaglio o quest'approccio "modellistico" è figlio dell'impossibilità di conoscere la cosa in sé?
Un modello matematico si limita a predire certi eventi (i quali non sempre sono immediatamente verificabili, ma questo è un altro discorso...): in un quadro del genere si vede che la Fisica Teorica* non fornisce affatto una descrizione della realtà ultima delle cose.
Questo punto mi pare molto interessante. L'uomo non sa dire nulla sul come sia la realtà, però può coerentemente spiegare come si è arrivati al punto in cui siamo e può anche tentare di dare una risposta al quesito sull'evoluzione dell'universo.
sei arrivato a concludere la mia infelicità, dato che non ci sono né avverbi avversativi (sfortunatamente, purtroppo, ...) né locuzioni che denotano insofferenza o rammarico da parte mia.
Nessun pregiudizio, solo il fastidio derivante da una palese forzatura delle mie parole.
Per quanto riguarda:
"oruam":
No, non mi offendo affatto, anche se forse qualche sforzo in più dovresti farlo.
Credo proprio tu non segua il discorso ed abbia in mente dell'altro...
Il mio primo post nel thread voleva essere una piccola nota su quello che aveva detto Paolo90 e conteneva una mia domanda all'indirizzo di Sergio.
Se vuoi farmi notare che ciò è OT, ok ci posso stare... ma da qui a dire che fa emergere dei miei pregiudizi ne corre di acqua sotto i ponti.
P.S.: se non ho capito il senso del tuo post, allora non sono l'unico a dover lavorare sulla scrittura. Per citare uno che è molto famoso: "Perchè guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo?".
No, non mi offendo affatto, anche se forse qualche sforzo in più dovresti farlo.
Credo proprio tu non segua il discorso ed abbia in mente dell'altro, insomma un pregiudizio (più facile spostare un monte che toglierne uno): ho forse mai detto che tu parli tra le righe, che tu voglia dire e non dire o sottintendere? No, ho invece detto che dalle parole che hai scritto ho inteso quel che t'ho detto, ovvero che tu fossi infelice per l'inconoscibilità della cosa in sé.
Ti devo spiegare quel che non capisci? C'è poco da capire, in verità, perché ho fatto una domanda (la teoria delle stringhe è + dedutt o indutt?), che seguiva ad un'altra domanda (la scienza di oggi è + dedut o indutt): hai dato una risposta che mi ha soddisfatto, e allora grazie e buonanotte. Non ti disturbare oltre, hai già perso tanto tempo prezioso.
Credo proprio tu non segua il discorso ed abbia in mente dell'altro, insomma un pregiudizio (più facile spostare un monte che toglierne uno): ho forse mai detto che tu parli tra le righe, che tu voglia dire e non dire o sottintendere? No, ho invece detto che dalle parole che hai scritto ho inteso quel che t'ho detto, ovvero che tu fossi infelice per l'inconoscibilità della cosa in sé.
Ti devo spiegare quel che non capisci? C'è poco da capire, in verità, perché ho fatto una domanda (la teoria delle stringhe è + dedutt o indutt?), che seguiva ad un'altra domanda (la scienza di oggi è + dedut o indutt): hai dato una risposta che mi ha soddisfatto, e allora grazie e buonanotte. Non ti disturbare oltre, hai già perso tanto tempo prezioso.
"oruam":
Gugo82,
nessuna lezione, caro matematico, nessuna lezione, solo un racconto, e una interpretazione della Genesi; nulla a che fare, peraltro, col catechismo che mi pare s'occupi molto marginalmente di Genesi.
Nessun dramma, peraltro, per l'impossibilità di conoscere la cosa in sé e non so darti torto quando dici che ormai hai accettato i limiti dell'uomo e del suo linguaggio, ma il fatto è che sovente la cosa in sé è anche il parlar chiaro o preciso e chiaro o preciso non sei stato, nel post che ha originato il mio.
Vedi un po', a me sembrava, leggendoti, che la situazione d'inconoscibilità della realtà non ti stesse poi bene, pur riconoscendo che l'uomo può fare un bel racconto sul come è arrivato dove è arrivato e sulla storia dell'universo.
Neppure asserito, ho, che tu potessi essere un fisico (non l'ho neppure mai pensato): la tua risposta mi conferma che oggi Matematica e Fisica sono più intime di altre volte, anche se, un po', parli della Fisica come fosse 'cosa nostra' (dei matematici).
Infine sono contento della tua risposta a Paolo90: mi pare che, col linguaggio che ti è proprio e che non è il mio, che di mestiere faccio il burattinaio, tu abbia confermato quel che sostenevo a proposito della Teoria delle Stringhe e comunque di ogni costruzione intellettuale dell'uomo: Armonia.
E a questo proposito, visto che hai detto del platonismo di molti matematici, io penso che l'illusione che la matematica crea sia talmente bella e formidabile, talmente utile ed armonica, che sia difficile sottrarsi al desiderio di credere che ciò ch'è nella matematica sia poi anche nella realtà: tu, invece, ritieni di doverti tenere al limite di Friedman. Fai benissimo e condivido la tua posizione, la stessa che tengo ogni giorno nel mio lavoro, ma, sia chiaro, è pure questo un atto di fede. Grazie.
Ti offendi se dico che non ho capito nulla del significato dei tuoi post?
Me li spieghi, con periodi semplici e senza troppe incidentali?
Due cosette veloci veloci tanto per chiarirci:
- Non sono abituato a parlare tra le righe. Quando dico che le cose stanno così e così intendo raccontare uno stato di fatto: l'affermazione sulla mancata conoscibilità della realtà (e che ha originato il tuo post "mistico") non nascondeva alcun rimpianto; in caso contrario l'avrei detto apertamente.
- La precisazione sul mio essere matematico e non fisico era dovuta 1) perchè parlavo di cose che non sono di mia competenza, col rischio di dire baggianate, e 2) perchè non sono tanto presuntuoso da considerarmi conosciuto alla maggioranza degli utenti del forum.
Per quanto riguarda l'ultimo paragrafo del post quotato qui sopra, non so che dirti. L'identificazione degli oggetti della Matematica con la realtà mi pare una cosa talmente superata da potersi considerare assurdo che qualcuno ancora ne vada parlando, ma tant'è...
Casomai mi dici dove (nella realtà) è possibile trovare qualcosa che assomigli ad una curva $C^oo$, così sarò disposto ad alleggerire la mia posizione su questa questione.
Buona serata a tutti... e sappiate che ho perso un pomeriggio di studio per stare dietro a questo thread!

Gugo82,
nessuna lezione, caro matematico, nessuna lezione, solo un racconto, e una interpretazione della Genesi; nulla a che fare, peraltro, col catechismo che mi pare s'occupi molto marginalmente di Genesi.
Nessun dramma, peraltro, per l'impossibilità di conoscere la cosa in sé e non so darti torto quando dici che ormai hai accettato i limiti dell'uomo e del suo linguaggio, ma il fatto è che sovente la cosa in sé è anche il parlar chiaro o preciso e chiaro o preciso non sei stato, nel post che ha originato il mio.
Vedi un po', a me sembrava, leggendoti, che la situazione d'inconoscibilità della realtà non ti stesse poi bene, pur riconoscendo che l'uomo può fare un bel racconto sul come è arrivato dove è arrivato e sulla storia dell'universo.
Neppure asserito, ho, che tu potessi essere un fisico (non l'ho neppure mai pensato): la tua risposta mi conferma che oggi Matematica e Fisica sono più intime di altre volte, anche se, un po', parli della Fisica come fosse 'cosa nostra' (dei matematici).
Infine sono contento della tua risposta a Paolo90: mi pare che, col linguaggio che ti è proprio e che non è il mio, che di mestiere faccio il burattinaio, tu abbia confermato quel che sostenevo a proposito della Teoria delle Stringhe e comunque di ogni costruzione intellettuale dell'uomo: Armonia.
E a questo proposito, visto che hai detto del platonismo di molti matematici, io penso che l'illusione che la matematica crea sia talmente bella e formidabile, talmente utile ed armonica, che sia difficile sottrarsi al desiderio di credere che ciò ch'è nella matematica sia poi anche nella realtà: tu, invece, ritieni di doverti tenere al limite di Friedman. Fai benissimo e condivido la tua posizione, la stessa che tengo ogni giorno nel mio lavoro, ma, sia chiaro, è pure questo un atto di fede. Grazie.
nessuna lezione, caro matematico, nessuna lezione, solo un racconto, e una interpretazione della Genesi; nulla a che fare, peraltro, col catechismo che mi pare s'occupi molto marginalmente di Genesi.
Nessun dramma, peraltro, per l'impossibilità di conoscere la cosa in sé e non so darti torto quando dici che ormai hai accettato i limiti dell'uomo e del suo linguaggio, ma il fatto è che sovente la cosa in sé è anche il parlar chiaro o preciso e chiaro o preciso non sei stato, nel post che ha originato il mio.
Vedi un po', a me sembrava, leggendoti, che la situazione d'inconoscibilità della realtà non ti stesse poi bene, pur riconoscendo che l'uomo può fare un bel racconto sul come è arrivato dove è arrivato e sulla storia dell'universo.
Neppure asserito, ho, che tu potessi essere un fisico (non l'ho neppure mai pensato): la tua risposta mi conferma che oggi Matematica e Fisica sono più intime di altre volte, anche se, un po', parli della Fisica come fosse 'cosa nostra' (dei matematici).
Infine sono contento della tua risposta a Paolo90: mi pare che, col linguaggio che ti è proprio e che non è il mio, che di mestiere faccio il burattinaio, tu abbia confermato quel che sostenevo a proposito della Teoria delle Stringhe e comunque di ogni costruzione intellettuale dell'uomo: Armonia.
E a questo proposito, visto che hai detto del platonismo di molti matematici, io penso che l'illusione che la matematica crea sia talmente bella e formidabile, talmente utile ed armonica, che sia difficile sottrarsi al desiderio di credere che ciò ch'è nella matematica sia poi anche nella realtà: tu, invece, ritieni di doverti tenere al limite di Friedman. Fai benissimo e condivido la tua posizione, la stessa che tengo ogni giorno nel mio lavoro, ma, sia chiaro, è pure questo un atto di fede. Grazie.
Si vede che non hai mai incontrato un platonista serio o un formalista serio: le due posizioni sono assolutamente diverse.
Non mi pare di avere sostenuto che siano posizioni simili. Personalmente ritengo che la matematica sia invenzione e non scoperta
(per citare il tema di un altra discussione) e quindi non mi sento platonista - non trovo pero' nessun argomento decisivo per
dichiarare dannose tali posizioni.
se qualcuno fosse stato convinto dell'identificazione della Matematica con la realtà non avremmo avuto la libertà di creare sistemi assiomatici "assurdi" e saremmo ancora con la Matematica intrappolata nelle maglie del "fisicamente possibile". L'aver svincolato la Matematica dalla realtà è stato uno dei passi fondamentali per la nascita della Matematica moderna.
Sono d'accordissimo sulla fecondia dello svincolamento di cui sopra. Cio' non toglie che per un platonista gli spazi di Hilbert esistono da qualche parte indipendentemente
da noi e io, anche se trovo antieconomica la sua posizione, non posso dimostrargli il contrario. Oltretutto credo che la maggior parte dei matematici sia "intimamente"
platonista, anche quelli che elaborano le teorie piu' astratte e lontane dalla "realta'"
In realtà non sto solo giocando. Vorrei provare a dire (ma non dedico troppo tempo a riflessioni simili) che, mentre una volta la filosofia pretendeva di essere l'unica vera scienza, ora è utile soprattutto come strumento di esplicitazione e chiarificazione dei presupposti metafisici delle teorie scientifiche.
Mi sento molto vicino a questa posizione - ciascuno di noi ha dei suoi assiomi metafisici (che sono indimostrabili) e poi si cerca di comunicare.
"Sergio":
[quote="Gugo82"]Il linguaggio matematico funziona perchè è l'unico che ci consenta di "spiegare comprensibilmente" agli altri cosa sta per succedere; il fatto che funzioni è del tutto umano, dovuto alla nostra formazione cerebrale, non ha alcuna valenza metafisica.
Direi: non ha alcuna valenza ontologica, e così si vede meglio che anche la tua è un'affermazione metafisica.
In realtà non sto solo giocando. Vorrei provare a dire (ma non dedico troppo tempo a riflessioni simili) che, mentre una volta la filosofia pretendeva di essere l'unica vera scienza, ora è utile soprattutto come strumento di esplicitazione e chiarificazione dei presupposti metafisici delle teorie scientifiche.
[/quote]
Grazie per la correzione volante.
Sai che per chi non è del mestiere è dura imparare il vostro linguaggio.

"Sergio":
E a proposito di presupposti metafisici trovo molto divertente, oltre che interessante, Bourbaki.
Ho citato altre volte un suo passo, tratto da Israel: "Nella concezione assiomatica, la matematica appare in definitiva come una riserva di forme astratte, le strutture matematiche; e accade - senza che si sappia bene il perché - che certi aspetti della realtà sperimentale si plasmino entro certe di queste forme come per una sorta di preadattamento. Non si può negare, beninteso, che la maggior parte di queste forme avessero in origine un contenuto intuitivo ben deerminato, ma è precisamente vuotandole volontariamente di questo contenuto che si è saputo dar loro tutta l'efficacia che avevano in potenza".
Traggo da Lolli, dalla sua orrenda Filosofia della matematica, una citazione da un Bourbaki, Jean Dieudonné: "Sui fondamenti, noi crediamo alla realtà della matematica, ma naturalmente quando i filosofi ci attaccano con i loro paradossi noi corriamo a ripararci dietro al formalismo e rispondiamo: 'La matematica è solo una manipolazione di simboli privi di significato', e poi scriviamo il Capitolo 1 e 2 con la teoria degli insiemi. Finalmente siamo lasciati in pace e possiamo tornare alla nostra matematica e farla come abbiamo sempre fatto, con la sensazione che ha qualsiasi matematico di lavorare con qualcosa di reale. Probabilmente questa sensazione è un'illusione, ma è molto comoda. Questo è l'atteggiamento di Bourbaki nei confronti dei fondamenti".
Direi che Dieudonné merita almeno una faccina
Conoscevo entrambe le citazioni (quella da Lolli, ahimé, per esperienza diretta!).
Quella di Dieudonné è divertente ma contiene un fondo di verità, il quale sta tutto dentro i penultimi periodi "possiamo tornare alla nostra matematica e farla come abbiamo sempre fatto, con la sensazione che ha qualsiasi matematico di lavorare con qualcosa di reale. Probabilmente questa sensazione è un'illusione, ma è molto comoda": questa potrebbe essere una posizione diffusa tra i matematici, però non mi ha mai appassionato.
Il fatto è che tendo ad essere coerente con quello che penso, anche perchè altrimenti non riuscirei a guardarmi allo specchio senza ricordarmi di tutti i passaggi di Russell su chi "predica bene e razzola male" (il virgolettato è mio).
Vorrei far notare che il "senza significato" si riferisce proprio al problema dell'identificazione degli oggetti matematici con la realtà. Dieudonné non vuol intendere che, staccata dalla realtà, la Matematica non ha alcun significato; piuttosto vuol dire che la Matematica è formale ed i suoi costrutti hanno significato solo nell'ambito della teoria.
-------------------------------------------
Admin
storia della matematica
"Gugo82":
Studia un po' di Analisi Funzionale e vedrai come i matematici determinano le soluzioni delle equazioni differenziali: per fare un esempio semplice, il problema del primo ordine $y'=f(x,y)$ con condizioni iniziali viene ricondotto allo studio delle proprietà di un operatore tra spazi di funzioni con una struttura vettoriale e topologica.
Prossimamente sui "miei" schermi...


Spero di potermi dedicare presto - con un po' di calma - all'Analisi Funzionale, argomento che ho intenzione di studiare da un bel po'... Grazie comunque per il suggerimento

"Gugo82":
Questa differenza si spiega così: mentre un matematico puro si occupa di stabilire le proprietà di una soluzione di $Deltau=0$ a partire dall'equazione, i matematici applicati ed i fisici cercano un'equazione la cui soluzione abbia le proprietà che essi hanno già osservato.
Infatti, in molti mi han detto che sono più portato per la Matematica applicata, che per quella pura (scommetto che tu invece sei un "puro", vero?

In ogni caso, bella discussione. Grazie a tutti.
Paolo90
"Gugo82":
Non è che voglio andare giù pesante... è proprio che ritengo questi residui greci dannosi per chi fa Matematica: se qualcuno fosse stato convinto dell'identificazione della Matematica con la realtà non avremmo avuto la libertà di creare sistemi assiomatici "assurdi" e saremmo ancora con la Matematica intrappolata nelle maglie del "fisicamente possibile". L'aver svincolato la Matematica dalla realtà è stato uno dei passi fondamentali per la nascita della Matematica moderna.
Ah, ora inizio a capire... si vede che non avevo capito il tuo precedente messaggio... Chiedo scusa; comunque hai espresso il concetto in un'altra maniera e me lo hai chiarito.. Ora trovo le tue idee perfettamente condivisibili... Scusami ancora

e Grazie
"ViciousGoblinEnters":
Platonismo di bassa lega.
Non c'è bisogno, affinché il modello funzioni (nei limiti prescritti), di supporre che gli enti in esso coinvolti abbiano una controparte nella realtà.
La Matematica è formale e i suoi oggetti esistono solo nell'ambito di una teoria assiomatica... tutto il resto è credenza popolare.
Il linguaggio matematico funziona perchè è l'unico che ci consenta di "spiegare comprensibilmente" agli altri cosa sta per succedere; il fatto che funzioni è del tutto umano, dovuto alla nostra formazione cerebrale, non ha alcuna valenza metafisica.
Vai giu' pesante ...
Per la verita', quando mi trovo a discutere coi platonisti sono abbastanza sulle tue posizioni, ma non me la sento di fare affermazioni cosi' categoriche.
Quel "cosa sta per succedere" e' nella realta' o e' nel nostro cervello ?? . Se la nostra formazione cerebrale e' tale che il linguaggio matematico funziona,
allora qualche valenza metafisica uno potrebbe anche vederla.
Bohh
- Si vede che non hai mai incontrato un platonista serio o un formalista serio: le due posizioni sono assolutamente diverse.
- La "cosa che sta per succedere" è un fenomeno naturale: la Fisica è nata per descrivere e predire cose del genere.
- Vedi qualche valenza metafisica nell'evoluzione di un organo animale come il cervello e nelle teorie del comportamento? Questo intendevo per "formazione cerebrale".
Non è che voglio andare giù pesante... è proprio che ritengo questi residui greci dannosi per chi fa Matematica: se qualcuno fosse stato convinto dell'identificazione della Matematica con la realtà non avremmo avuto la libertà di creare sistemi assiomatici "assurdi" e saremmo ancora con la Matematica intrappolata nelle maglie del "fisicamente possibile". L'aver svincolato la Matematica dalla realtà è stato uno dei passi fondamentali per la nascita della Matematica moderna.
"Paolo90":
Anzitutto, spero mi scuserai, ma non capisco il senso della tua risposta. Verissimo, non c'è bisogno che gli elementi coinvolti nel modello abbiano una valenza ontologica, cioè che esistano in natura. Ma allora a che serve? Ti diverti a risolvere - in maniera più che sterile - equazioni differenziali ordinarie? Non ti sei mai detto: "Caspita, quest'equazione rappresenta il moto di un corpo in Natura?". Scusa per il turbine di domande - spero tu non ti offenda, sto solo cercando di capire e non voglio scadere in polemiche inutili...
Da come dici tu sembra che noi accumuliamo "sapere per sapere" (Brecht): il che sinceramente, non mi sembra affatto il fine della scienza...
Studia un po' di Analisi Funzionale e vedrai come i matematici determinano le soluzioni delle equazioni differenziali: per fare un esempio semplice, il problema del primo ordine $y'=f(x,y)$ con condizioni iniziali viene ricondotto allo studio delle proprietà di un operatore tra spazi di funzioni con una struttura vettoriale e topologica. Un tale studio è tutt'altro che sterile: infatti ha portato alla creazione di metodi astratti per la risoluzione delle EDO ed EDP (con risoluzione qui intendo "affermazione dell'esistenza di una soluzione") che sono largamente applicabili.
Il problema della realtà fisica di un equazione, a dire il vero, me lo pongo poco: matematicamente sapere che $Deltau=0$ (eq. di Laplace) rappresenta il potenziale di una carica elettrica puntiforme ferma è importante quanto sapere se la serie di cifre $0123456789$ si presenta nello sviluppo decimale di $pi$.
Il punto di vista del matematico puro è che nessuna delle due affermazioni è essenziale ai suoi fini; altra opinione hanno i matematici applicati ed i fisici. Questa differenza si spiega così: mentre un matematico puro si occupa di stabilire le proprietà di una soluzione di $Deltau=0$ a partire dall'equazione, i matematici applicati ed i fisici cercano un'equazione la cui soluzione abbia le proprietà che essi hanno già osservato.
"Gugo82":
[quote="Paolo90"]
Ti ringrazio molto, caro Sergio. Personalmente trovo le equazioni differenziali un tema incredibilmente affascinante. Da un punto di vista squisitamente filosofico - questo l'ho sottolineato anche nella prefazione al mio lavoro - penso che i modelli integro differenziali possano dimostrare che:
i) nel mondo tutto è Matematica: si sa, questa è una cara vecchia indimenticabile illuminazione platonica (evidenti sono anche gli influssi pitagorici, visto che è stato comunque Pitagora il primo a sostenere che l'arché era il numero); tuttavia è solo con Platone che la Matematica diventa così importante (se non sbaglio sulla porta dell'Accademia c'era scritto: "Non entri chi non è matematico"); utilizzando i modelli per studiare la realtà fisica si vede che tutto è matematica (anche, ad esempio, i meccanismi che si instaurano in Natura tra pesci prede e pesci predatori, per ricitare il grande Vito Volterra);
Platonismo di bassa lega.
Non c'è bisogno, affinché il modello funzioni (nei limiti prescritti), di supporre che gli enti in esso coinvolti abbiano una controparte nella realtà.
La Matematica è formale e i suoi oggetti esistono solo nell'ambito di una teoria assiomatica... tutto il resto è credenza popolare.
Il linguaggio matematico funziona perchè è l'unico che ci consenta di "spiegare comprensibilmente" agli altri cosa sta per succedere; il fatto che funzioni è del tutto umano, dovuto alla nostra formazione cerebrale, non ha alcuna valenza metafisica.[/quote]
Anzitutto, spero mi scuserai, ma non capisco il senso della tua risposta. Verissimo, non c'è bisogno che gli elementi coinvolti nel modello abbiano una valenza ontologica, cioè che esistano in natura. Ma allora a che serve? Ti diverti a risolvere - in maniera più che sterile - equazioni differenziali ordinarie? Non ti sei mai detto: "Caspita, quest'equazione rappresenta il moto di un corpo in Natura?". Scusa per il turbine di domande - spero tu non ti offenda, sto solo cercando di capire e non voglio scadere in polemiche inutili...
Da come dici tu sembra che noi accumuliamo "sapere per sapere" (Brecht): il che sinceramente, non mi sembra affatto il fine della scienza...

Platonismo di bassa lega.
Non c'è bisogno, affinché il modello funzioni (nei limiti prescritti), di supporre che gli enti in esso coinvolti abbiano una controparte nella realtà.
La Matematica è formale e i suoi oggetti esistono solo nell'ambito di una teoria assiomatica... tutto il resto è credenza popolare.
Il linguaggio matematico funziona perchè è l'unico che ci consenta di "spiegare comprensibilmente" agli altri cosa sta per succedere; il fatto che funzioni è del tutto umano, dovuto alla nostra formazione cerebrale, non ha alcuna valenza metafisica.
Vai giu' pesante ...
Per la verita', quando mi trovo a discutere coi platonisti sono abbastanza sulle tue posizioni, ma non me la sento di fare affermazioni cosi' categoriche.
Quel "cosa sta per succedere" e' nella realta' o e' nel nostro cervello ?? . Se la nostra formazione cerebrale e' tale che il linguaggio matematico funziona,
allora qualche valenza metafisica uno potrebbe anche vederla.
Bohh
"Sergio":
[quote="Paolo90"]Sono un amante dell'Analisi e sto studiando il vastissimo universo delle equazioni differenziali; sto scrivendo un libro sull'argomento in cui analizzo non solo il lato teorico di ogni tipo di ODE ma anche le diverse applicazioni pratiche, i modelli, appunto. Dunque, ho trovato interessante tale riferimento (eccellente poi la connessione con Volterra-Lotka e prede-predatori).
Per prima cosa, grazie a te per aver proposto un argomento coerente - a mio personalissimo parere - con l'auspicabile natura di una sezione dedicata alla Filosofia della Scienza.
Il tema delle equazioni differenziali mi pare (dopo aver letto Israel) cruciale. A quanto ho capito, finché si resta a due dimensioni tutto fila liscio, ma a partire da tre tutto cambia e si deve rinunciare al tranquillo, lineare, determinismo di Laplace.
Non ne so ancora molto, quindi... spero di rileggerti presto![/quote]
Non capisco il "in due dimensioni".
Ti riferisci al classico problema dei due corpi in interazione gravitazionale? Se sì, allora hai ragione: il problema dei due corpi in interazione gravitazionale è risolubile. La difficoltà aumenta già se si considerano tre soli corpi in interazione gravitazionale (praticamente irrisolubile, nonostante si tratti di un sistema di tre EDO del second'ordine in tre incognite)... non parliamo poi dello studio del moto del sistema solare!!!
Ricordo che a far morire il determinismo alla Kant-Laplace hanno contribuito non poco la nascita della Meccanica Statistica (che è essenziale per spiegare alcuni fatti di Termodinamica) e la Teoria del Campo Elettromagnetico.
"Paolo90":
Ti ringrazio molto, caro Sergio. Personalmente trovo le equazioni differenziali un tema incredibilmente affascinante. Da un punto di vista squisitamente filosofico - questo l'ho sottolineato anche nella prefazione al mio lavoro - penso che i modelli integro differenziali possano dimostrare che:
i) nel mondo tutto è Matematica: si sa, questa è una cara vecchia indimenticabile illuminazione platonica (evidenti sono anche gli influssi pitagorici, visto che è stato comunque Pitagora il primo a sostenere che l'arché era il numero); tuttavia è solo con Platone che la Matematica diventa così importante (se non sbaglio sulla porta dell'Accademia c'era scritto: "Non entri chi non è matematico"); utilizzando i modelli per studiare la realtà fisica si vede che tutto è matematica (anche, ad esempio, i meccanismi che si instaurano in Natura tra pesci prede e pesci predatori, per ricitare il grande Vito Volterra);
Platonismo di bassa lega.
Non c'è bisogno, affinché il modello funzioni (nei limiti prescritti), di supporre che gli enti in esso coinvolti abbiano una controparte nella realtà.
La Matematica è formale e i suoi oggetti esistono solo nell'ambito di una teoria assiomatica... tutto il resto è credenza popolare.
Il linguaggio matematico funziona perchè è l'unico che ci consenta di "spiegare comprensibilmente" agli altri cosa sta per succedere; il fatto che funzioni è del tutto umano, dovuto alla nostra formazione cerebrale, non ha alcuna valenza metafisica.
"Sergio":
Il tema delle equazioni differenziali mi pare (dopo aver letto Israel) cruciale. A quanto ho capito, finché si resta a due dimensioni tutto fila liscio, ma a partire da tre tutto cambia e si deve rinunciare al tranquillo, lineare, determinismo di Laplace.
Non ne so ancora molto, quindi... spero di rileggerti presto!
Ti ringrazio molto, caro Sergio. Personalmente trovo le equazioni differenziali un tema incredibilmente affascinante. Da un punto di vista squisitamente filosofico - questo l'ho sottolineato anche nella prefazione al mio lavoro - penso che i modelli integro differenziali possano dimostrare che:
i) nel mondo tutto è Matematica: si sa, questa è una cara vecchia indimenticabile illuminazione platonica (evidenti sono anche gli influssi pitagorici, visto che è stato comunque Pitagora il primo a sostenere che l'arché era il numero); tuttavia è solo con Platone che la Matematica diventa così importante (se non sbaglio sulla porta dell'Accademia c'era scritto: "Non entri chi non è matematico"); utilizzando i modelli per studiare la realtà fisica si vede che tutto è matematica (anche, ad esempio, i meccanismi che si instaurano in Natura tra pesci prede e pesci predatori, per ricitare il grande Vito Volterra);
ii) in un certo senso, poi, i modelli rappresentano una sorta di rinvincita per lo stesso Galileo. Nel Saggiatore egli affermava che
"Il Saggiatore, G.Galilei, p.33":
Egli [="il libro della natura"] è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche [...]; senza questi è un aggirarsi vanamente per uno oscuro labirinto.
Be', in fondo (secondo me) Galileo un po' di ragione l'aveva e lo dimostra la modellistica: la Natura è scritta in lingua matematica ma i caratteri non sono (solo) i cerchi e le figure geometriche; il linguaggio più adatto è quello che permette di analizzare il valore che una grandezza assume in un determinato punto e nei punti infinitesimamente vicini ad esso: è, appunto, il linguaggio delle equazioni differenziali.
Certo, come dici tu tra ODE e PDE c'è una bella differenza. Finchè si tratta di studiare equazioni che coinvolgono una funzione di una sola variabile reale le cose scorrono abbastanza tranquille. Nel momento in cui uno inizia a studiare le equazioni alle derivate parziali, capisce che il "formalismo" e il rigore cui si era abituato devono essere messi da parte...
Grazie ancora per i tuoi sempre preziosi interventi, così chiari e illuminanti. Spero di sentirti di nuovo presto,
ciao e grazie.
Paolo90
"oruam":
Un osservazione per Gugo82 e poi, se ho ancora qualcosa sul cuore, dico quel che penso a Paolo90.
Gugo, questione della fisica teorica che, sì, non sa dire nulla della realtà ultima delle cose, ma tuttavia ci prova e non è questo il senso della conoscenza? Nel giardino dell'Eden i nostri due progenitori mangiano la mela e giungono alla conoscenza, pensando sia chissà cosa. Che fa Dio? Li caccia dall'Eden. Cosa rimane loro? Il doversi guadagnare, col sudore della fronte, la vita. A che serve ai due la conoscenza e, soprattutto, che cos'è questa conoscenza per cui si son fatti cacciare? La conoscenza è lo stato in cui i due stanno e la conoscenza è la possibilità di conoscere, ovvero di discernere una relazione tra le cose; la conoscenza è, anzitutto, prima esperienza e relazione nota, il castigo divino.
Allora, quale valore possiamo dare, in definitiva, al conoscere, che non sia solo la constatazione dello 'stiamo in una valle di lacrime' oppure del 'le cose sono così e cosà, come si prediceva e l'esperienza mi conferma' o 'secondo quanto l'induzione mi ha permesso di conseguire'; quale valore possiamo perseguire, per la scienza, che alla fin fine ci consenta di non disperarci se la 'cosa in sé' non è conoscibile'?
L'utile? Sì, anche l'utile è un valore, ma c'è di più, perché l'utilità non ci toglie che momentaneamente dai guai mentre noi cerchiamo un piacere che sia più universale e più intimo insieme. Beh, non vedo che una sola possibilità ed è quella, nel conoscere, di ritornare al giardino dell'Eden, ovvero di rivivere quello che i matematici (come gli attori del teatro, e qui ne so qualcosa 'empiricamente') chiamano stato di grazia, ovvero d'essere creatori e assieme contemplatori del... come lo dirò? Se lo dico non sarà più quel che è... perché non è quel che posso dire. Beh, lo sapete anche voi, è quel che ci consentirà di continuare a tentare di dare una risposta al quesito dell'evoluzione dell'universo illudendoci che, prima o poi, essa potrà essere definitiva e di far tutto ciò senza darci per vinti, dopo millenni di fatti e chiacchiere?
Non ho capito il senso di questa lezione di catechismo, ma vabbé... grazie lo stesso.
Ogni volta che qualcuno mi parla della conoscibilità della cosa in sé in relazione alla Fisica non posso fare a meno di ricordarmi un "fattariello" interessante: esistono spazi metrici che hanno successioni di Cauchy non convergenti. Detto ciò, è abbastanza ovvio che l'uomo è in grado di pensare qualcosa che "migliori", anche se di poco, di volta in volta (come fanno i termini di una successione di Cauchy rispetto alla distanza) pur non giungendo mai a nulla.*
Poi, se devo dire la verità, tutta 'sta disperazione nel non poter descrivere la cosa in sé io non la sento.
Sarà che ho ormai accettato i limiti dell'uomo e del linguaggio che usa per descrivere il mondo... non so.
"oruam":
Gugo82, se ti sei sorbito tutta 'sta chiacchiera significa che di Fisica Teorica te ne intendi ed allora, per dare un contributo a Paolo90, così rispondendo alla sua questione (la scienza d'oggi è più deduttiva o induttiva?), che ne diresti di dire la tua sulla questione: la teoria delle stringhe, candidata ad essere Teoria del Tutto, è più induttiva o deduttiva? (sulla sua utilità non ho dubbi, perché è bellissima). Per quel che mi pare diventa l'una cosa o l'altra secondo che torna comodo e torna comodo secondo il tasso di Armonia che esprime (inutile aggiungere che l''Inutile' è difficilmente candidabile al ruolo di garante dell'Armonia). Un grazie.
Sono un Matematico e non un Fisico.
La Teoria delle Stringhe è Matematica ed rientra nel quadro della Fisica Teorica come l'ho intesa nel mio post precedente (cioè è una teoria assiomatica che consente di ordinare alcuni dati che sono stati riscontrati sperimentalmente).
Per rispondere a Paolo90...
La costruzione di una teoria fisica è qualcosa di complesso. Si parte da certi dati sperimentali e si propone una "formuletta" per renderne conto, ma il processo non si esaurisce certo qui.
Questa "formuletta", in quanto oggetto matematico e non più fisico, va incastonato nel quadro più ampio della Fisica Teorica: se la "fomuletta" è facilmente deducibile dagli assiomi adottati, tutto a posto (fin qui tutto sembrerebbe induttivo); altrimenti bisogna cambiare tali assiomi, e qui il metodo cambia.
Il cambiamento degli assiomi produce una nuova teoria e, di solito, questa ha "conseguenze strane": ad esempio si trovano risultati teorici che a) non sono immediatamente verificabili o b) che discordano dalla teoria elaborata precedentemente. Ti basti pensare a tutti quei fenomeni che Einstein ed i suoi collaboratori hanno predetto partendo dalla Teoria della Relatività Generale e che erano totalmente assurdi per la Fisica Classica.
Ecco qui sta il punto: tutte le teorie fisiche dell'ultimo secolo sono state teorie matematiche che hanno cambiato gli assiomi fondamentali della Fisica Classica (ad esempio la T.R.G. ha messo in discussione e rifiutato l'assioma della trasformazione classica della velocità tra sistemi inerziali).
______________________
* Un'altro esempio, forse più complicato, ma più efficace potrebbe essere fornito dalla teoria della stabilità dei sistemi dinamici. Ci sono alcuni sistemi che hanno come limite della loro evoluzione delle configurazioni che non sono mai assunte dal sistema stesso. Il forse è d'obbligo, in quanto ne so pochissimo di Sistemi Dinamici.
Un osservazione per Gugo82 e poi, se ho ancora qualcosa sul cuore, dico quel che penso a Paolo90.
Gugo, questione della fisica teorica che, sì, non sa dire nulla della realtà ultima delle cose, ma tuttavia ci prova e non è questo il senso della conoscenza? Nel giardino dell'Eden i nostri due progenitori mangiano la mela e giungono alla conoscenza, pensando sia chissà cosa. Che fa Dio? Li caccia dall'Eden. Cosa rimane loro? Il doversi guadagnare, col sudore della fronte, la vita. A che serve ai due la conoscenza e, soprattutto, che cos'è questa conoscenza per cui si son fatti cacciare? La conoscenza è lo stato in cui i due stanno e la conoscenza è la possibilità di conoscere, ovvero di discernere una relazione tra le cose; la conoscenza è, anzitutto, prima esperienza e relazione nota, il castigo divino.
Allora, quale valore possiamo dare, in definitiva, al conoscere, che non sia solo la constatazione dello 'stiamo in una valle di lacrime' oppure del 'le cose sono così e cosà, come si prediceva e l'esperienza mi conferma' o 'secondo quanto l'induzione mi ha permesso di conseguire'; quale valore possiamo perseguire, per la scienza, che alla fin fine ci consenta di non disperarci se la 'cosa in sé' non è conoscibile'?
L'utile? Sì, anche l'utile è un valore, ma c'è di più, perché l'utilità non ci toglie che momentaneamente dai guai mentre noi cerchiamo un piacere che sia più universale e più intimo insieme. Beh, non vedo che una sola possibilità ed è quella, nel conoscere, di ritornare al giardino dell'Eden, ovvero di rivivere quello che i matematici (come gli attori del teatro, e qui ne so qualcosa 'empiricamente') chiamano stato di grazia, ovvero d'essere creatori e assieme contemplatori del... come lo dirò? Se lo dico non sarà più quel che è... perché non è quel che posso dire. Beh, lo sapete anche voi, è quel che ci consentirà di continuare a tentare di dare una risposta al quesito dell'evoluzione dell'universo illudendoci che, prima o poi, essa potrà essere definitiva e di far tutto ciò senza darci per vinti, dopo millenni di fatti e chiacchiere?
Gugo82, se ti sei sorbito tutta 'sta chiacchiera significa che di Fisica Teorica te ne intendi ed allora, per dare un contributo a Paolo90, così rispondendo alla sua questione (la scienza d'oggi è più deduttiva o induttiva?), che ne diresti di dire la tua sulla questione: la teoria delle stringhe, candidata ad essere Teoria del Tutto, è più induttiva o deduttiva? (sulla sua utilità non ho dubbi, perché è bellissima). Per quel che mi pare diventa l'una cosa o l'altra secondo che torna comodo e torna comodo secondo il tasso di Armonia che esprime (inutile aggiungere che l''Inutile' è difficilmente candidabile al ruolo di garante dell'Armonia). Un grazie.
Gugo, questione della fisica teorica che, sì, non sa dire nulla della realtà ultima delle cose, ma tuttavia ci prova e non è questo il senso della conoscenza? Nel giardino dell'Eden i nostri due progenitori mangiano la mela e giungono alla conoscenza, pensando sia chissà cosa. Che fa Dio? Li caccia dall'Eden. Cosa rimane loro? Il doversi guadagnare, col sudore della fronte, la vita. A che serve ai due la conoscenza e, soprattutto, che cos'è questa conoscenza per cui si son fatti cacciare? La conoscenza è lo stato in cui i due stanno e la conoscenza è la possibilità di conoscere, ovvero di discernere una relazione tra le cose; la conoscenza è, anzitutto, prima esperienza e relazione nota, il castigo divino.
Allora, quale valore possiamo dare, in definitiva, al conoscere, che non sia solo la constatazione dello 'stiamo in una valle di lacrime' oppure del 'le cose sono così e cosà, come si prediceva e l'esperienza mi conferma' o 'secondo quanto l'induzione mi ha permesso di conseguire'; quale valore possiamo perseguire, per la scienza, che alla fin fine ci consenta di non disperarci se la 'cosa in sé' non è conoscibile'?
L'utile? Sì, anche l'utile è un valore, ma c'è di più, perché l'utilità non ci toglie che momentaneamente dai guai mentre noi cerchiamo un piacere che sia più universale e più intimo insieme. Beh, non vedo che una sola possibilità ed è quella, nel conoscere, di ritornare al giardino dell'Eden, ovvero di rivivere quello che i matematici (come gli attori del teatro, e qui ne so qualcosa 'empiricamente') chiamano stato di grazia, ovvero d'essere creatori e assieme contemplatori del... come lo dirò? Se lo dico non sarà più quel che è... perché non è quel che posso dire. Beh, lo sapete anche voi, è quel che ci consentirà di continuare a tentare di dare una risposta al quesito dell'evoluzione dell'universo illudendoci che, prima o poi, essa potrà essere definitiva e di far tutto ciò senza darci per vinti, dopo millenni di fatti e chiacchiere?
Gugo82, se ti sei sorbito tutta 'sta chiacchiera significa che di Fisica Teorica te ne intendi ed allora, per dare un contributo a Paolo90, così rispondendo alla sua questione (la scienza d'oggi è più deduttiva o induttiva?), che ne diresti di dire la tua sulla questione: la teoria delle stringhe, candidata ad essere Teoria del Tutto, è più induttiva o deduttiva? (sulla sua utilità non ho dubbi, perché è bellissima). Per quel che mi pare diventa l'una cosa o l'altra secondo che torna comodo e torna comodo secondo il tasso di Armonia che esprime (inutile aggiungere che l''Inutile' è difficilmente candidabile al ruolo di garante dell'Armonia). Un grazie.