Un imperatore dissoluto
Chi sa la traduzione di qsta versione?:
tantae luxuriae Lucius verus fuisse dicitur, ut etiam domi popinam instituerint, ad quam post cenam Marci fratis devertebat. Fertur et nocte perpetua lusisse alea, cum in syria concepisset id vitium, tque tantum vitiorum neronianorum fuisse aemulus ut vagaretur nocte per taberna, comissarent cum triconibus, committeret rixas, dissimulans quis esset, saepeque percussus livida facie domum redisse.Sed Marcus, haec omnia bene sciens, dissimulabat pudore illa, ne reprehenderet fratem. et notissimum eius quidem fertur convivium, post quod lusum est tesseris usque ad lucem. et haec post Parthicum bellum, ad eum misisse dicitur ne vel in urbe ante oculos omnim peccaret, vet ut parsimoniam peregrinatione addisceret, velut timore bellic emendatior rediret, vel ut se imperatorem esse conosceret.Hoc convivium posteaquam Marcus audivit, ingemuisse dicitur et doluisse publicum fatum.
tantae luxuriae Lucius verus fuisse dicitur, ut etiam domi popinam instituerint, ad quam post cenam Marci fratis devertebat. Fertur et nocte perpetua lusisse alea, cum in syria concepisset id vitium, tque tantum vitiorum neronianorum fuisse aemulus ut vagaretur nocte per taberna, comissarent cum triconibus, committeret rixas, dissimulans quis esset, saepeque percussus livida facie domum redisse.Sed Marcus, haec omnia bene sciens, dissimulabat pudore illa, ne reprehenderet fratem. et notissimum eius quidem fertur convivium, post quod lusum est tesseris usque ad lucem. et haec post Parthicum bellum, ad eum misisse dicitur ne vel in urbe ante oculos omnim peccaret, vet ut parsimoniam peregrinatione addisceret, velut timore bellic emendatior rediret, vel ut se imperatorem esse conosceret.Hoc convivium posteaquam Marcus audivit, ingemuisse dicitur et doluisse publicum fatum.
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Tantae luxuriae Lucius verus fuisse dicitur, ut etiam domi popinam instituerint, ad quam post cenam Marci fratis devertebat. Fertur et nocte perpetua lusisse alea, cum in syria concepisset id vitium, tque tantum vitiorum neronianorum fuisse aemulus ut vagaretur nocte per taberna, comissarent cum triconibus, committeret rixas, dissimulans quis esset, saepeque percussus livida facie domum redisse.Sed Marcus, haec omnia bene sciens, dissimulabat pudore illa, ne reprehenderet fratem. et notissimum eius quidem fertur convivium, post quod lusum est tesseris usque ad lucem. et haec post Parthicum bellum, ad eum misisse dicitur ne vel in urbe ante oculos omnim peccaret, vet ut parsimoniam peregrinatione addisceret, velut timore bellic emendatior rediret, vel ut se imperatorem esse conosceret.Hoc convivium posteaquam Marcus audivit, ingemuisse dicitur et doluisse publicum fatum.
A quanto si narra, Lucio vero fu d’una dissolutezza tale da farsi impiantare una bettola addirittura in casa, bettola alla quale si recava (puntualmente) [imperf. di consuetudine] dopo aver pranzato (a casa) del fratello [in realtà, fratellastro] Marco [ovvero, Marc’Aurelio]. Si racconta ch’egli trascorreva l’intera notte giocando a dadi – vizio che aveva preso in Siria – e che fu emulo dei vizi di Nerone a tal punto che, di notte, passava da una taverna all’altra [oggi si direbbe “pub crowling”, quello che faccio generalmente anch’io ], facendo baldoria con attaccabrighe, attaccando (egli stesso) brighe, nascondendo la propria identità; (si racconta che) ben volentieri tornava a casa con la faccia livida, ché le aveva buscate.
Marco, tuttavia, ben sapendo tutto ciò, faceva finta di niente, per pudore, ovvero per non (sentirsi costretto a) rimbrottare il fratello. “Rimasto negli annali” un suo banchetto, con partitella finale a dadi, protratta fino all’alba. Fatto che avvenne dopo la spedizione contro i Parti, cui – a quanto si dice – pur era stato mandato per impedirgli di continuare a far mascalzonate a Roma [in urbe], sotto gli occhi di tutti, ovvero perché, con (quel difficile) viaggio all’estero, imparasse, una buona volta, ad esser parco, ovvero perché ritornasse (in patria) reso più coscienzioso per il timore della guerra (affrontata), ovvero, affinché si rendesse conto ch’era un imperatore [e che quindi, s’intende, doveva seguire una condotta che si addiceva alla sua autorità].
Si dice che Marco, venuto a sapere di suddetto banchetto, prese a lamentarsi sconsolato della sorte che spettava allo Stato [“publicum”; con un imperatore della stregua di Lucio Vero, appunto].
A quanto si narra, Lucio vero fu d’una dissolutezza tale da farsi impiantare una bettola addirittura in casa, bettola alla quale si recava (puntualmente) [imperf. di consuetudine] dopo aver pranzato (a casa) del fratello [in realtà, fratellastro] Marco [ovvero, Marc’Aurelio]. Si racconta ch’egli trascorreva l’intera notte giocando a dadi – vizio che aveva preso in Siria – e che fu emulo dei vizi di Nerone a tal punto che, di notte, passava da una taverna all’altra [oggi si direbbe “pub crowling”, quello che faccio generalmente anch’io ], facendo baldoria con attaccabrighe, attaccando (egli stesso) brighe, nascondendo la propria identità; (si racconta che) ben volentieri tornava a casa con la faccia livida, ché le aveva buscate.
Marco, tuttavia, ben sapendo tutto ciò, faceva finta di niente, per pudore, ovvero per non (sentirsi costretto a) rimbrottare il fratello. “Rimasto negli annali” un suo banchetto, con partitella finale a dadi, protratta fino all’alba. Fatto che avvenne dopo la spedizione contro i Parti, cui – a quanto si dice – pur era stato mandato per impedirgli di continuare a far mascalzonate a Roma [in urbe], sotto gli occhi di tutti, ovvero perché, con (quel difficile) viaggio all’estero, imparasse, una buona volta, ad esser parco, ovvero perché ritornasse (in patria) reso più coscienzioso per il timore della guerra (affrontata), ovvero, affinché si rendesse conto ch’era un imperatore [e che quindi, s’intende, doveva seguire una condotta che si addiceva alla sua autorità].
Si dice che Marco, venuto a sapere di suddetto banchetto, prese a lamentarsi sconsolato della sorte che spettava allo Stato [“publicum”; con un imperatore della stregua di Lucio Vero, appunto].
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