Cap 33 familia romana

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Salve a tutti, qualcuno al più presto potrebbe fare la traduzione del brano "EXERCITVM ROMANVS" del libro "Lingua Latina per se Illustrata Pars I. Familia Romana" di H.Orberg. Se avete bisogno del testo basta che cercate familia romana su internet e troverete il pdf.

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L'intero esercito romano è costituito da duecentotrenta legioni, che sono divise in dieci coorti. In ogni legione vi sono seimila o cinquemila o quaattromila soldati che sono tutti cittadini romani. Inoltre all'esercito si aggiungono grandi rinforzi. I rinforzi sono fanti e cavalieri provenienti dalle provincie, che portano armi leggere, come archi e frecce. I legionari sono fanti armati di scudi, spade e giavellotti. L'insegna della legione è un'aqula argentea, che, durante la marcia, viene portata avanti alle schiere. Durante la marcia le legioni avanzano l'una dopo l'altra in colonna. Questa serie di soldati che avanzano viene detta schiera. Quando la schiera raggiunge i nemici, se il tempo e il luogo sono adatti al combattimento, le coorti vengono disposte su tre file. L'esercito così disposto viene chiamato "acies". Prima della battaglia il comandante esorta i soldati a combattere valorosamente. Poi i fanti corrono in avanti e per prima cosa mandano giavellotti contro i nemici, poi li uccidono con le spade.Sconfitti i nemici in battaglia, il comandante viene acclamato dai soldati “comandante supremo”. Di sera l’esercito si accampa in luogo idoneo ad essere difeso,
che viene circondato da un terrapieno e da un fossato. Così vengono fortificati gli accampamenti Romani. Emilio, fratello minore di Emilia, che abbiamo ricordato prima, fin da giovane fu appassionato dell’arte della guerra. Fin da bambino di sette anni si costruiva spade di legno e archi e frecce, per giocare insieme agli altri bambini coetanei a fare la guerra. A diciassette anni, interrogato dal padre “ allora cosa volesse imparare “, il figlio rispose senza esitazione “ che lui non voleva imparare altro che l’arte della guerra”. Il desiderio del figlio non piaceva al padre che si era dedicato alla letteratura e che riteneva che nessun altro studio fosse degno del figlio. Comunque, poiché il figlio non poteva in alcun modo essere costretto allo studio della letteratura contro la sua volontà, il padre lo mandò nell’esercito in Germania insieme con Publio Valerio, adolescente coetaneo, affinché facesse il soldato agli ordini di un valido comandante. Là Emilio, combattendo per la patria, ottenne subito grande fama come soldato. Il suo singolare valore viene lodato da tutti. Sia il padre che la sorella di Emilio mandano frequenti lettere al figlio e fratello loro. Il padre scrive soprattutto su cose che riguardano lo Stato, ma Emilia è solita scrivere di fatti privati, come dei suoi figli e dei banchetti. Le lettere che Emilio invia al padre parlano soprattutto della gloria e del valore militare, ma dalle lettere riservate che Emilia ha ricevuto poco tempo fa da suo fratello, risulta che lui ormai è
spossato dalla vita militare. Ecco le lettere più recenti che Emilia ha ricevuto dal fratello il giorno prima delle calende di giugno e che il giorno successivo ha letto durante un convivio: “ Emilio saluta la sua carissima sorella. Oggi finalmente mi è stata recapitata la tua lettera, che è stata scritta prima del giorno settimo delle calende di maggio, cioè più di venti giorni fa. Quanto è lento il corriere! Certo, montagne alte e ripide separano la Germania dall’Italia e le strade che consentono il
transito delle Alpi sono alquanto impervie; tuttavia, un corriere veloce può compiere lo stesso percorso in circa quindici giorni, come i corrieri pubblici dei quali si serve il nostro comandante. Io proprio istruirò questo corriere ad essere veloce quando ti recapita le mie lettere. Ma sebbene sia arrivata in ritardo, la tua lettera mi è giunta graditissima e con grande gioia ho appreso da essa che te e Giulio e i vostri figli ai quali voglio tanto bene, godete di buona salute. Quando leggo le tue lettere,
mi sembra di essere con voi ad Albano e non in questa terra gelida in mezzo a uomini barbari. Allora, non so come, mi commuovo tanto che a stento trattengo le lacrime – talmente sento la mancanza della patria e degli amici. O, da quanto tempo sono lontano dall’Italia e da tutti quelli che soprattutto amo! Magari fossi a Roma o tu fossi con me! Quando guardo il Danubio che scorre oltre il nostro accampamento, ripenso al Tevere e a Roma. Quando ti rivedrò, città bellissima? Magari questo fiume fosse il Tevere e questi accampamenti fossero Roma! Ma invano desidero queste cose, perché nessuno, tranne un dio, si può spostare così
improvvisamente in un altro posto. Se fossi Mercurio e avessi le ali, più veloce del vento volerei tra i monti e i fiumi in Italia, dove Venere, mia bellissima sorella, accoglierebbe un fratello allegro. Riderai di certo, sorella mia, e non senza ragione, infatti, è ridicolo desiderare tali cose, e non si addice piangere ad un soldato, il cui dovere è versare il sangue per la patria. Ma io, sebbene desideri rivedere la patria, farò il mio dovere come gli altri soldati romani, dei quali vi è in Germania un grande numero. Se noi non fossimo qui a difendere i confini dell’impero, i nemici passerebbero velocemente il Danubio e le Alpi e arriverebbero fino in Italia e voi, nel Lazio, non sareste sicuri. Ma questo non avviene, le legioni Romane qui stanno e rimarranno per tutto il tempo in cui il nemico in armi resterà al di qua o al di là del Danubio. Poiché dunque non posso io stesso correre da te, mi affretto a scriverti le lettere. Mi chiedi perché ti ho scritto una sola lettera, mentre nel frattempo ne ho ricevuto da te tre o quattro. Non mi è difficile giustificarmi perché sono stato negligente nello scrivere. Se avessi tanto tempo libero quanto ne hai tu, nello scrivere
lettere non sarei meno diligente di te. Ma, siccome per parecchi mesi ho avuto appena il tempo di dormire, si capisce facilmente che non ho avuto alcun momento libero per scrivere una lettera. Quasi ogni giorno o i Germani hanno attaccato i nostri accampamenti o noi abbiamo attaccato loro. Ma oggi non abbiamo visto alcun nemico armato oltre il fiume. Un gran numero di loro o è stato ucciso o è stato catturato dai nostri, gli altri si nascondono nei grandi boschi oltre il fiume. Infatti, ieri abbiamo sconfitto l’esercito dei Germani in battaglia. È avvenuto così: a notte fonda giunse notizia negli accampamenti che “ una gran quantità di nemici, con piccole imbarcazioni e zattere unite tra loro avevano attraversato il fiume e si dirigevano velocemente contro i nostri accampamenti seguendo il fiume”. Appreso ciò, i soldati furono subito radunati. Essi, prese le armi e superato il vallo, all’inizio si chiedevano con meraviglia per quale motivo erano stati svegliati a notte fonda, perché sembrava che fuori dal vallo tutto fosse tranquillo. Anche io cominciavo a dubitare che il messo avesse riferito cose inesatte, quando all’improvviso, poco prima dell’alba, un grosso contingente di Germani, precipitandosi fuori dai boschi vicini, assalì i nostri accampamenti. I nostri, essendo pronti a difendere gli accampamenti, respinsero senza difficoltà quel
primo assalto. Ma i nemici non cessarono di attaccare, anzi , da ogni parte, a più riprese, si lanciarono sotto la fortificazione. Dopo che per parecchie ore si combattè da parte dei nostri così con estremo valore, da parte dei nemici coraggiosamente e con audacia, la nostra cavalleria, con una sortita improvvisa dalla porta destra, si lanciò contro un’ala non protetta del nemico. Poco dopo, mentre parecchi nemici si rivolgevano contro i cavalieri, i nostri fanti balzarono all’attacco dalla porta
sinistra. I nemici, sconvolti da questa manovra, dato anche che erano sfiniti dalla lunga battaglia, non riuscirono a sostenere più a lungo l’attacco dei Romani che proveniva da tutte e due le parti, e, dopo una breve scaramuccia, si diedero alla fuga. Quando i fuggitivi giunsero sulla riva del fiume, alcuni trovarono la salvezza su piccole imbarcazioni e zattere, alcuni, gettate le armi, si lanciarono nel fiume, per raggiungere a nuoto la riva opposta, tutti i restanti furono uccisi o catturati sulla riva che sta al di qua dai cavalieri che erano stati mandati ad inseguirli. Qui fu fatta strage di nemici così grande, che inorridisco al ricordo. In quella battaglia i nemici hanno
perduto duemila uomini circa e un ingente quantitativo di armi. Non si è lamentata la perdita di molti dei nostri. Io stesso sono stato ferito da una freccia al braccio sinistro, la mia ferita è lieve, molti hanno riportato ferite più gravi. Ma nessuno dei soldati della legione è stato ferito alle spalle. Di fatto, la maggior parte dei nostri soldati sono usciti indenni da così grande battaglia. Terminata questa battaglia, il condottiero vincitore, una volta salutato dai soldati “comandante supremo”, ha elogiato il nostro valore “ perché abbiamo combattuto in maniera strenua contro nemici superiori per numero”, “ perduto un così ingente numero di soldati, in breve tempo i nemici avrebbero deposto le armi”, disse. A queste parole, siamo stati presi da una grandissima gioia, infatti dopo la lunga guerra tutti desideriamo la pace. Oggi sono arrivati all’accampamento gli ambasciatori mandati dai Germani, per parlare con il comandante. Non so se gli ambasciatori siano venuti a chiedere la pace, ma so per certo che il nostro comandante non ha voluto parlare con nemici armati. Io pure gioisco insieme agli altri di questa gloriosa vittoria, ma sarei molto più felice se il mio amico Publio Valerio, con il quale ho fatto il soldato all’inizio, si fosse salvato e potesse gioire insieme a me. Egli, avanzato verso il nemico per portarmi aiuto, cadde egli stesso colpito da un giavellotto mentre si allontanava dal campo di battaglia. Fu portato gravemente ferito negli accampamenti, dove morì tra le mie braccia a causa della ferita, dopo avermi chiesto di scrivere ai suoi genitori per consolarli della morte del figlio. Ma in che modo posso consolare gli altri, se non posso consolarmi io stesso? Confesso che ho pianto quando ho chiuso i suoi occhi, ma quelle lacrime si addicevano sia al soldato che all’amico, perché davvero sarei stato un cattivo amico se non avessi sparso lacrime sul corpo di un amico morto, dato che lui ha versato il suo sangue per me. Magari avessi ascoltato (nostro) padre, che mi incoraggiava allo studio delle lettere! Ma allora io disprezzavo le lettere e i letterati. Non sopportavo i poeti e gli uomini pacifici, in particolare Tibullo, che elogiava la tranquilla vita di campagna, disprezzava la vita militare. Mi meravigliavo perché quel poeta definiva “funesta” la gloriosa morte per la patria e “orribili” le spade con le quale la patria viene difesa, come in quei versi che un anziano maestro declamava più e più volte: Chi fu che per primo sguainò le spaventevoli spade? Quanto feroce e davvero crudele egli fu! Nacquero allora le stragi del genere umano, allora nacquero le guerre, allora fu aperta una via più breve ad una morte crudele! A me, che ero un fanciullo, quei versi sembravano ridicoli, perché non avevo ancora visto una carneficina. Ma oggi capisco che Tibullo aveva detto il vero. Se già allora avessi capito questo, sicuramente avrei dato retta al padre e non sarei partito per la guerra, per vedere tante carneficine e tante ferite. Ma sulla carneficina ti ho scritto abbastanza. Non voglio avvilirti parlando di una guerra sanguinosa, mentre speriamo che tra poco vi sarà la pace. Se non mi sfugge questa speranza, aspettatevi da me molte lettere dopo questa, e tu stessa scrivimene anche molte. Parlatemi delle cose dello stato e delle cose di casa. Dovete sapere che voglio sapere tutto quanto succede da voi. Abbi molta cura della tua salute! Spedita il giorno prima delle idi di Maggio dall’accampamento.
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