SCELTA DFFICILE
ragazzi... ho un urgente bisogno che voi rispondiate: allora se dovete scrivere un tema con la seguente richiesta: Un viaggio d'istruzione a Venezia o Firenze? ( si tratta con la scuola) cosa scegliereste e quali vantaggi dareste alla citta scelta? ( ad esempio scegliete Venezia dovete dire perchè e cosa ha di piu rix a Firenze) e un'altra richiesta: se proprio devo scegliere preferisco un cane o incotrario un gatto? ( ancora perchè) TENETE CONTO CHE DEVO SCRIVERE UNA PAGINA DI QUADERNO.....grz mi sareste di gran aiuto..io ho gia iniziato a scriverlo ma nn ho abbastanza idee..me ne suggerite alcune voi...grz ancora ...ciao
Risposte
ok grz molto..ho seguito un po ul tuo pensiero...grz 1000
potresti partire da questo:
Non è raro incontrare delle ragazze truccate in modo eccessivo. Sono truccate a tal punto da avere una maschera al posto della pelle. Di sicuro saranno delle ottime mogli per gli archeologi che potranno scavare nella personalità della propria moglie e meglio ancora sul loro viso ma è ovviamente meglio una ragazza “acqua e sapone”. Truccarsi è indubbiamente un rito secolare per le donne: si può affermare che già nella preistoria le donne si truccassero! E’ di sicuro divertente per una donna fare ciò perché valorizza il viso, copre le piccole imperfezioni che vi si possono trovare e facendo ciò dà sicurezza, ma se guardiamo in faccia la realtà possiamo tranquillamente affermare che si tratta solo di una perdita di tempo e che il trucco rovina la pelle perché non la fa respirare. Oggi giorno esistono i prodotti anallergici che vengono testati su animali, probabilmente i risultati saranno positivi, però perché gli animali vengono sempre “sfruttati”? Il trucco è probabilmente sinonimo di cura di sé, di bellezza ma un eccessivo trucco può dare un senso di “innaturalezza” ed imbruttire in questo modo una ragazza che altrimenti sarebbe bellissima. Ognuno è libero di scegliere ciò che vuole, ognuno è libero di credere che il trucco dia la bellezza, le amicizie e tutto ciò che si vuole ma di sicuro impoverisce sia il portafogli che la persona, perché tende a sminuire i veri valori delle persone: i valori per cui ogni persona è unica, i valori per cui ognuno è insostituibile.
Riassumendo tutto, il trucco non è sinonimo di bellezza e di protezione, ma è sinonimo di perdita: di tempo, denaro, salute(rovina la pelle) e talvolta di bellezza (trucco eccessivo imbruttisce).
il mio modestissimo parere è invece che il trucco è bello, a patto che non sia una maschera...
Non è raro incontrare delle ragazze truccate in modo eccessivo. Sono truccate a tal punto da avere una maschera al posto della pelle. Di sicuro saranno delle ottime mogli per gli archeologi che potranno scavare nella personalità della propria moglie e meglio ancora sul loro viso ma è ovviamente meglio una ragazza “acqua e sapone”. Truccarsi è indubbiamente un rito secolare per le donne: si può affermare che già nella preistoria le donne si truccassero! E’ di sicuro divertente per una donna fare ciò perché valorizza il viso, copre le piccole imperfezioni che vi si possono trovare e facendo ciò dà sicurezza, ma se guardiamo in faccia la realtà possiamo tranquillamente affermare che si tratta solo di una perdita di tempo e che il trucco rovina la pelle perché non la fa respirare. Oggi giorno esistono i prodotti anallergici che vengono testati su animali, probabilmente i risultati saranno positivi, però perché gli animali vengono sempre “sfruttati”? Il trucco è probabilmente sinonimo di cura di sé, di bellezza ma un eccessivo trucco può dare un senso di “innaturalezza” ed imbruttire in questo modo una ragazza che altrimenti sarebbe bellissima. Ognuno è libero di scegliere ciò che vuole, ognuno è libero di credere che il trucco dia la bellezza, le amicizie e tutto ciò che si vuole ma di sicuro impoverisce sia il portafogli che la persona, perché tende a sminuire i veri valori delle persone: i valori per cui ogni persona è unica, i valori per cui ognuno è insostituibile.
Riassumendo tutto, il trucco non è sinonimo di bellezza e di protezione, ma è sinonimo di perdita: di tempo, denaro, salute(rovina la pelle) e talvolta di bellezza (trucco eccessivo imbruttisce).
il mio modestissimo parere è invece che il trucco è bello, a patto che non sia una maschera...
grz tante...mi sei stata molto d'aiuto....senti e che ne diresti se ho anche un'altra traccia: Truccarsi o non truccarsi? tu cosa ne pensi??
ciao...
per quanto riguarda le città vedi questo...
Se noi ci mettiamo per le strade dell'Italia storica, entriamo subito nelle "differenze". La Lombardia è altra cosa dal Piemonte, è diversa dal Veneto e dall'Emilia Romagna. I centri storici delle nostre città, i monumenti identitari conosciuti in tutto il mondo, sono l'emblema delle differenze.
Il duomo di Milano è un capolavoro del Gotico europeo. Quando lo guardiamo pensiamo subito alla cattedrale di Reims o di Chartres, al duomo di Colonia.
Ma ecco che a poche ore di viaggio dal centro di Milano c'è Ravenna con i suoi mosaici bizantini che ci parlano di un Oriente ieratico, glorioso e sontuoso. E c'è Venezia con la Basilica di San Marco. Uno guarda la basilica dei veneziani e più che all'Europa romanica e gotica pensa all'Oriente ortodosso, alle cupole di Kiev e di Mosca e forse pensa ai padiglioni di Kubilai Kan che Marco Polo visitò.
La stessa Lombardia, la regione che ha ospitato il forum Unesco internazionale, la stessa Lombardia, dicevo, è fatta di differenze. C'è la Lombardia dell'acqua e delle pianure dove si coltiva il riso, c'è la Lombardia delle valli e dei ghiacciai alpini, c'è la Lombardia dei laghi che ai viaggiatori del grand tour sembravano già una finestra aperta sulla rigogliosa e luminosa natura mediterranea. Si arrivava sul lago di Como o sulla riva occidentale del Garda e già si aveva l'impressione di essere nel "Paese dove fioriscono i limoni".
Naturalmente le "differenze" si moltiplicano se attraversiamo l'Appennino. Sono tante le Italie che si aprono agli occhi del viaggiatore scendendo dalla Toscana alla Calabria, dalle Marche alla Sicilia. Sono differenze di paesaggi, di architetture, di colori e forme del costruito; differenze di paesaggi, di colture agricole, di climi, di atmosfere, di storie, differenze di linguaggi, di temperamenti, di caratteri. Sono differenze di cibi e di sapori. Si pensi a come infinitamente e meravigliosamente cambia il gusto del pane e del vino, percorrendo l'Italia da Trento ad Agrigento! ... Riflessioni analoghe potrei fare parlando di altre nazioni d'Europa o di altri luoghi del mondo anche se in nessun'altra parte del pianeta - per ragioni storiche che ora non è il caso di rievocare - le "differenze" sono così marcate molteplici ed evidenti come da noi.
Ora occorre prendere atto di un fenomeno che è purtroppo universale. La globalizzazione sta distruggendo le "differenze". In Italia come dappertutto. I media e le tv omologano il linguaggio, le periferie sono praticamente uguali ovunque, da Amburgo a Milano, da San Francisco a Shanghai, i costumi e gli stili di vita tendono ad assomigliarsi sotto tutte le latitudini.
Se così stanno le cose - ed è difficile negare l'evidenza - occorre affermare con forza un punto fermo. Mai come in questo momento storico la cultura è chiamata a svolgere un ruolo politico ed etico decisivo. Non per contrastare la mondializzazione che è fenomeno positivo e anzi provvidenziale per la emancipazione e la liberazione dei popoli, ma per offrire al mondo globale la grande ricchezza delle "differenze".
L'obiettivo che dobbiamo proporci è etico, prima di tutto, perché la mondializzazione lasciata a se stessa impoverisce e appiattisce. Questo dobbiamo evitarlo. Il cittadino che sia orgoglioso e consapevole della propria identità storico-culturale e allo stesso tempo curioso e consapevole delle altre storie e delle altre identità, è il cittadino ideale dal punto di vista politico, sociale, morale.
Si tenga conto inoltre che la salvaguardia e la valorizzazione delle identità nazionali e locali può essere un formidabile motore di sviluppo economico. Perché le differenze "valgono" e il loro valore, se opportunamente individuato e orientato, può trasformarsi in profitto. Valga per tutti il caso del made in Italy fenomeno di cui si è parlato nei giorni scorsi. In Italia, nella seconda metà del ventesimo secolo, si è realizzata una felice sinergia fra tradizione culturale, produzione e mercato.
Voglio dire, con questo, che oggi dietro una bottiglia di vino o un paio di scarpe prodotte in Italia ci sono, nell'immaginario di chi le compra, Botticelli e Raffaello, Venezia e Firenze, le colline del Chianti e le cupole di Roma.
Ecco un esempio di come la valorizzazione intelligente di una "differenza" (in questo caso la specificità dell'Italia storica, l'"artisticità" del nostro Paese) può tradursi in successo sul mercato. La cultura è un valore immateriale e incommensurabile - nel senso che non può essere misurato con parametri economici - che tuttavia può avere ricadute importanti in termini di creatività e quindi di profitto.
Quando pensiamo all'economia della cultura di cui tanto si è parlato e si parla ai nostri giorni, dobbiamo contrastare con forza ogni forma di sfruttamento meramente utilitaristico e quantitativo-turistico del patrimonio. Non è importante quanta gente entra nei musei. È importante quanta gente esce dal museo ricordando qualcosa e avendo capito qualcosa.
Per gran parte del Novecento nel nostro continente, nell'Europa dei fascismi e dei comunismi, dei governi socialisti e democristiani, il patrimonio culturale era inteso come orgoglio patriottico, come documento della storia, come modello al quale ispirarsi, come luogo dell'educazione. Nessuno pensava che il patrimonio avesse o potesse avere una reale fruttuosità anche economica (a parte gli effetti ovviamente apprezzati del turismo).
Poi, verso la fine del ventesimo secolo, col trionfo planetario del liberismo si è pensato sempre di più al patrimonio come moltiplicatore di profitto e di occupazione, come business. Tutto ciò può essere comprensibile e accettabile a patto che non si dimentichino alcuni punti fondamentali. Sono punti che l'Assemblea dell'Unesco deve, a mio giudizio, considerare irrinunciabili. Il patrimonio serve, prima di tutto, alla crescita culturale e all'educazione. Serve, come dicevano i padri dei nostri padri, a trasformare le plebi in cittadini. La difesa e la valorizzazione della specificità storico-culturale - quello che io chiamo le "differenze" - deve essere una priorità assoluta. Perché solo così la globalizzazione avrà un volto umano e riusciremo a contrastare l'appiattimento e l'impoverimento altrimenti inevitabili. Il mondo dell'impresa deve servire questi obiettivi e su quelli costruire le sue strategie. Strategie che - come hanno dimostrato gli interventi dei giorni scorsi - sono perfettamente in grado di produrre tanto inaspettati quanto rilevanti profitti.
per quanto riguarda gli animali vedi questo...
Hanno origini differenti
Il cane discende dal lupo, un animale sociale che vive in branco, abituato a condurre un'esistenza rigidamente scandita da ruoli e gerarchie.
Il gatto è un felino. Al pari del leone, della tigre o del puma, è un essere solitario e individualista, poco incline a giocare la parte del "gregario".
A causa delle loro differenti origini e del loro carattere per molti versi dissimile, questi animali sono spesso visti come antitetici. La loro discordia, diventata proverbiale, in passato è stata alimentata dall'uomo: cane e gatto "dovevano" essere storicamente nemici inconciliabili, al punto che veniva naturale aizzarli l'uno contro l'altro.
Un' amicizia bene accettata
In realtà, sia il cane sia il gatto propendono per una pacifica convivenza.
Se il cane ha un'indole tranquilla sarà il gatto a compiere i primi approcci, mostrandosi disponibile.
Il gatto non assale quasi mai per primo il cane. Lo possono fare le femmine che hanno da poco partorito, per difendere, attaccando, la prole. Dal canto suo, il cane accetta di buon grado l'amicizia con il gatto di casa, quello che vede ogni giorno, di cui conosce abitudini, umori e odori.
Se si incontrano da cuccioli
Se desiderate tenere in casa entrambe le bestiole, l'ideale sarebbe prenderle quando sono in tenera età.
Come tutti i cuccioli, anche i piccoli di cane e di gatto hanno molto in comune: amano giocare, sono curiosi e poco diffidenti nei confronti del mondo che li circonda.
Il cane e il gatto che si conoscono da cuccioli hanno la possibilità di giocare insieme, dividendosi in modo equanime l'affetto e le attenzioni dei loro padroni, e sicuramente riusciranno a convivere in serenità.
Se si conoscono da adulti
Anche nel caso di cane e gatto che si incontrano da adulti è possibile creare una pacifica convivenza. Nessuna amicizia, però, nasce in un battibaleno. Gatto e cane hanno personalità e psicologie diverse e la loro vita in comune potrà procedere pacificamente solo se verrà loro offerta l'opportunità di vivere nel rispetto delle reciproche differenze.
Per il cane, cucciolo o adulto, il gatto è un essere che emana un odore bizzarro, che non si cura della gerarchia esistente nel nucleo "famiglia-branco", che si comporta in maniera individualista e autonoma.
Per il gatto, micetto o adulto, il cane è quasi un extraterrestre, imbranato e invadente, sempre pronto a uggiolare e ad agitarsi per un nonnulla.
Si deve procedere a piccoli passi
Gatto e cane possiedono modalità di comunicazione differenti, e soltanto con tempo e pazienza il loro padrone potrà veder nascere tra loro una sincera amicizia.
Occorre lasciarli liberi di studiarsi, di smussare le reciproche differenze caratteriali. In questo modo, potremmo aiutarli ad accettare la convivenza con chi è così distante dal loro naturale modo di essere.
Messi a stretto contatto nella stessa abitazione, cane e gatto cominceranno dapprima a dividersi il territorio, per poi avvicinarsi con cautela.
Per evitare possibili scontri o motivi di litigio, è opportuno predisporre spazi autonomi dove i due animali siano in grado di mangiare, bere e riposare in autonomia. I nostri amici, allora, dovranno avere ciotole distinte, magari collocate a debita distanza, cucce e giacigli separati, giochi e giocattolini differenti.
Due tipi di educazione diversi
Al gatto e al cane vanno riservati sistemi di educazione diversi.
Il gatto è un animale che si comporta d'istinto, che non recepisce gli ordini dell'uomo con la stessa condiscendenza del cane.
Per imporre un'abitudine a un cane o per punirlo di una disubbidienza, si può dargli lievi colpetti con un giornale arrotolato (causando, peraltro, più rumore che dolore).
Con un gatto, al contrario, non vanno mai usate le maniere "forti", che potrebbero procurargli imprevedibili traumi psichici. Spaventare un gatto per una mancanza ci farebbe ottenere in cambio antipatia e fuga. Il suo spirito d'indipendenza può essere (in parte) addomesticato solo con gentilezza.
Attenzione a non scatenare gelosie
Occorre prestare attenzione perché la disparità di trattamento non generino incomprensioni e gelosie. Il cane potrebbe accorgersi e risentirsi del fatto che il gatto venga trattato con maggiore delicatezza. Cercate, quindi, di evitare di sgridare i vostri amici in presenza dell'"altro".
Quando si vorrà premiare una delle due bestiole è meglio riservare lo stesso trattamento al suo compagno, specie se questo è presente.
Luoghi comuni da ......... rivedere
Nell'opinione popolare gatto e cane sono i simboli di due opposti, emblema di un' antagonismo atavico. La tradizionale inimicizia, più fittizia che reale, ha portato all'esasperazione di alcune caratteristiche di questi animali, creando un'immagine che sovente si discosta dalla verità.
Ecco i principali luoghi comuni:
Essere come cane e gatto: il detto, che vorrebbe i due animali nemici inconciliabili, ha perso la sua veridicità. Oggi è facile vedere questi animali convivere insieme senza problemi.
Il gatto si affeziona più alla casa che al padrone: è una radicata credenza che in genere si accompagna all'analoga opinione popolare secondo cui il cane vive bene accanto al suo "amico uomo", non curante dell'ambiente dove vive.
La verità è nel mezzo. Se è vero che il gatto conserva un'incredibile memoria del luogo in cui è vissuto, è altrettanto indiscutibile che egli seguirà di buon grado la "sua" famiglia costretta a un trasloco.
Il cane da parte sua, seppur disponibile a seguire sempre il padrone, si affeziona alla casa dove è nato e cresciuto.
Il cane è molto più fedele del gatto: molte persone ritengono che il gatto sia poco fedele specie se messo a confronto con il cane.
Sicuramente il gatto tiene molto alla propria indipendenza, ma questo non significa che non sia capace di affezionarsi all'uomo.
se ti serve qualche altra cosa scrivi e vediamo un pò...comunque spero di averti aiutata...ciao
per quanto riguarda le città vedi questo...
Se noi ci mettiamo per le strade dell'Italia storica, entriamo subito nelle "differenze". La Lombardia è altra cosa dal Piemonte, è diversa dal Veneto e dall'Emilia Romagna. I centri storici delle nostre città, i monumenti identitari conosciuti in tutto il mondo, sono l'emblema delle differenze.
Il duomo di Milano è un capolavoro del Gotico europeo. Quando lo guardiamo pensiamo subito alla cattedrale di Reims o di Chartres, al duomo di Colonia.
Ma ecco che a poche ore di viaggio dal centro di Milano c'è Ravenna con i suoi mosaici bizantini che ci parlano di un Oriente ieratico, glorioso e sontuoso. E c'è Venezia con la Basilica di San Marco. Uno guarda la basilica dei veneziani e più che all'Europa romanica e gotica pensa all'Oriente ortodosso, alle cupole di Kiev e di Mosca e forse pensa ai padiglioni di Kubilai Kan che Marco Polo visitò.
La stessa Lombardia, la regione che ha ospitato il forum Unesco internazionale, la stessa Lombardia, dicevo, è fatta di differenze. C'è la Lombardia dell'acqua e delle pianure dove si coltiva il riso, c'è la Lombardia delle valli e dei ghiacciai alpini, c'è la Lombardia dei laghi che ai viaggiatori del grand tour sembravano già una finestra aperta sulla rigogliosa e luminosa natura mediterranea. Si arrivava sul lago di Como o sulla riva occidentale del Garda e già si aveva l'impressione di essere nel "Paese dove fioriscono i limoni".
Naturalmente le "differenze" si moltiplicano se attraversiamo l'Appennino. Sono tante le Italie che si aprono agli occhi del viaggiatore scendendo dalla Toscana alla Calabria, dalle Marche alla Sicilia. Sono differenze di paesaggi, di architetture, di colori e forme del costruito; differenze di paesaggi, di colture agricole, di climi, di atmosfere, di storie, differenze di linguaggi, di temperamenti, di caratteri. Sono differenze di cibi e di sapori. Si pensi a come infinitamente e meravigliosamente cambia il gusto del pane e del vino, percorrendo l'Italia da Trento ad Agrigento! ... Riflessioni analoghe potrei fare parlando di altre nazioni d'Europa o di altri luoghi del mondo anche se in nessun'altra parte del pianeta - per ragioni storiche che ora non è il caso di rievocare - le "differenze" sono così marcate molteplici ed evidenti come da noi.
Ora occorre prendere atto di un fenomeno che è purtroppo universale. La globalizzazione sta distruggendo le "differenze". In Italia come dappertutto. I media e le tv omologano il linguaggio, le periferie sono praticamente uguali ovunque, da Amburgo a Milano, da San Francisco a Shanghai, i costumi e gli stili di vita tendono ad assomigliarsi sotto tutte le latitudini.
Se così stanno le cose - ed è difficile negare l'evidenza - occorre affermare con forza un punto fermo. Mai come in questo momento storico la cultura è chiamata a svolgere un ruolo politico ed etico decisivo. Non per contrastare la mondializzazione che è fenomeno positivo e anzi provvidenziale per la emancipazione e la liberazione dei popoli, ma per offrire al mondo globale la grande ricchezza delle "differenze".
L'obiettivo che dobbiamo proporci è etico, prima di tutto, perché la mondializzazione lasciata a se stessa impoverisce e appiattisce. Questo dobbiamo evitarlo. Il cittadino che sia orgoglioso e consapevole della propria identità storico-culturale e allo stesso tempo curioso e consapevole delle altre storie e delle altre identità, è il cittadino ideale dal punto di vista politico, sociale, morale.
Si tenga conto inoltre che la salvaguardia e la valorizzazione delle identità nazionali e locali può essere un formidabile motore di sviluppo economico. Perché le differenze "valgono" e il loro valore, se opportunamente individuato e orientato, può trasformarsi in profitto. Valga per tutti il caso del made in Italy fenomeno di cui si è parlato nei giorni scorsi. In Italia, nella seconda metà del ventesimo secolo, si è realizzata una felice sinergia fra tradizione culturale, produzione e mercato.
Voglio dire, con questo, che oggi dietro una bottiglia di vino o un paio di scarpe prodotte in Italia ci sono, nell'immaginario di chi le compra, Botticelli e Raffaello, Venezia e Firenze, le colline del Chianti e le cupole di Roma.
Ecco un esempio di come la valorizzazione intelligente di una "differenza" (in questo caso la specificità dell'Italia storica, l'"artisticità" del nostro Paese) può tradursi in successo sul mercato. La cultura è un valore immateriale e incommensurabile - nel senso che non può essere misurato con parametri economici - che tuttavia può avere ricadute importanti in termini di creatività e quindi di profitto.
Quando pensiamo all'economia della cultura di cui tanto si è parlato e si parla ai nostri giorni, dobbiamo contrastare con forza ogni forma di sfruttamento meramente utilitaristico e quantitativo-turistico del patrimonio. Non è importante quanta gente entra nei musei. È importante quanta gente esce dal museo ricordando qualcosa e avendo capito qualcosa.
Per gran parte del Novecento nel nostro continente, nell'Europa dei fascismi e dei comunismi, dei governi socialisti e democristiani, il patrimonio culturale era inteso come orgoglio patriottico, come documento della storia, come modello al quale ispirarsi, come luogo dell'educazione. Nessuno pensava che il patrimonio avesse o potesse avere una reale fruttuosità anche economica (a parte gli effetti ovviamente apprezzati del turismo).
Poi, verso la fine del ventesimo secolo, col trionfo planetario del liberismo si è pensato sempre di più al patrimonio come moltiplicatore di profitto e di occupazione, come business. Tutto ciò può essere comprensibile e accettabile a patto che non si dimentichino alcuni punti fondamentali. Sono punti che l'Assemblea dell'Unesco deve, a mio giudizio, considerare irrinunciabili. Il patrimonio serve, prima di tutto, alla crescita culturale e all'educazione. Serve, come dicevano i padri dei nostri padri, a trasformare le plebi in cittadini. La difesa e la valorizzazione della specificità storico-culturale - quello che io chiamo le "differenze" - deve essere una priorità assoluta. Perché solo così la globalizzazione avrà un volto umano e riusciremo a contrastare l'appiattimento e l'impoverimento altrimenti inevitabili. Il mondo dell'impresa deve servire questi obiettivi e su quelli costruire le sue strategie. Strategie che - come hanno dimostrato gli interventi dei giorni scorsi - sono perfettamente in grado di produrre tanto inaspettati quanto rilevanti profitti.
per quanto riguarda gli animali vedi questo...
Hanno origini differenti
Il cane discende dal lupo, un animale sociale che vive in branco, abituato a condurre un'esistenza rigidamente scandita da ruoli e gerarchie.
Il gatto è un felino. Al pari del leone, della tigre o del puma, è un essere solitario e individualista, poco incline a giocare la parte del "gregario".
A causa delle loro differenti origini e del loro carattere per molti versi dissimile, questi animali sono spesso visti come antitetici. La loro discordia, diventata proverbiale, in passato è stata alimentata dall'uomo: cane e gatto "dovevano" essere storicamente nemici inconciliabili, al punto che veniva naturale aizzarli l'uno contro l'altro.
Un' amicizia bene accettata
In realtà, sia il cane sia il gatto propendono per una pacifica convivenza.
Se il cane ha un'indole tranquilla sarà il gatto a compiere i primi approcci, mostrandosi disponibile.
Il gatto non assale quasi mai per primo il cane. Lo possono fare le femmine che hanno da poco partorito, per difendere, attaccando, la prole. Dal canto suo, il cane accetta di buon grado l'amicizia con il gatto di casa, quello che vede ogni giorno, di cui conosce abitudini, umori e odori.
Se si incontrano da cuccioli
Se desiderate tenere in casa entrambe le bestiole, l'ideale sarebbe prenderle quando sono in tenera età.
Come tutti i cuccioli, anche i piccoli di cane e di gatto hanno molto in comune: amano giocare, sono curiosi e poco diffidenti nei confronti del mondo che li circonda.
Il cane e il gatto che si conoscono da cuccioli hanno la possibilità di giocare insieme, dividendosi in modo equanime l'affetto e le attenzioni dei loro padroni, e sicuramente riusciranno a convivere in serenità.
Se si conoscono da adulti
Anche nel caso di cane e gatto che si incontrano da adulti è possibile creare una pacifica convivenza. Nessuna amicizia, però, nasce in un battibaleno. Gatto e cane hanno personalità e psicologie diverse e la loro vita in comune potrà procedere pacificamente solo se verrà loro offerta l'opportunità di vivere nel rispetto delle reciproche differenze.
Per il cane, cucciolo o adulto, il gatto è un essere che emana un odore bizzarro, che non si cura della gerarchia esistente nel nucleo "famiglia-branco", che si comporta in maniera individualista e autonoma.
Per il gatto, micetto o adulto, il cane è quasi un extraterrestre, imbranato e invadente, sempre pronto a uggiolare e ad agitarsi per un nonnulla.
Si deve procedere a piccoli passi
Gatto e cane possiedono modalità di comunicazione differenti, e soltanto con tempo e pazienza il loro padrone potrà veder nascere tra loro una sincera amicizia.
Occorre lasciarli liberi di studiarsi, di smussare le reciproche differenze caratteriali. In questo modo, potremmo aiutarli ad accettare la convivenza con chi è così distante dal loro naturale modo di essere.
Messi a stretto contatto nella stessa abitazione, cane e gatto cominceranno dapprima a dividersi il territorio, per poi avvicinarsi con cautela.
Per evitare possibili scontri o motivi di litigio, è opportuno predisporre spazi autonomi dove i due animali siano in grado di mangiare, bere e riposare in autonomia. I nostri amici, allora, dovranno avere ciotole distinte, magari collocate a debita distanza, cucce e giacigli separati, giochi e giocattolini differenti.
Due tipi di educazione diversi
Al gatto e al cane vanno riservati sistemi di educazione diversi.
Il gatto è un animale che si comporta d'istinto, che non recepisce gli ordini dell'uomo con la stessa condiscendenza del cane.
Per imporre un'abitudine a un cane o per punirlo di una disubbidienza, si può dargli lievi colpetti con un giornale arrotolato (causando, peraltro, più rumore che dolore).
Con un gatto, al contrario, non vanno mai usate le maniere "forti", che potrebbero procurargli imprevedibili traumi psichici. Spaventare un gatto per una mancanza ci farebbe ottenere in cambio antipatia e fuga. Il suo spirito d'indipendenza può essere (in parte) addomesticato solo con gentilezza.
Attenzione a non scatenare gelosie
Occorre prestare attenzione perché la disparità di trattamento non generino incomprensioni e gelosie. Il cane potrebbe accorgersi e risentirsi del fatto che il gatto venga trattato con maggiore delicatezza. Cercate, quindi, di evitare di sgridare i vostri amici in presenza dell'"altro".
Quando si vorrà premiare una delle due bestiole è meglio riservare lo stesso trattamento al suo compagno, specie se questo è presente.
Luoghi comuni da ......... rivedere
Nell'opinione popolare gatto e cane sono i simboli di due opposti, emblema di un' antagonismo atavico. La tradizionale inimicizia, più fittizia che reale, ha portato all'esasperazione di alcune caratteristiche di questi animali, creando un'immagine che sovente si discosta dalla verità.
Ecco i principali luoghi comuni:
Essere come cane e gatto: il detto, che vorrebbe i due animali nemici inconciliabili, ha perso la sua veridicità. Oggi è facile vedere questi animali convivere insieme senza problemi.
Il gatto si affeziona più alla casa che al padrone: è una radicata credenza che in genere si accompagna all'analoga opinione popolare secondo cui il cane vive bene accanto al suo "amico uomo", non curante dell'ambiente dove vive.
La verità è nel mezzo. Se è vero che il gatto conserva un'incredibile memoria del luogo in cui è vissuto, è altrettanto indiscutibile che egli seguirà di buon grado la "sua" famiglia costretta a un trasloco.
Il cane da parte sua, seppur disponibile a seguire sempre il padrone, si affeziona alla casa dove è nato e cresciuto.
Il cane è molto più fedele del gatto: molte persone ritengono che il gatto sia poco fedele specie se messo a confronto con il cane.
Sicuramente il gatto tiene molto alla propria indipendenza, ma questo non significa che non sia capace di affezionarsi all'uomo.
se ti serve qualche altra cosa scrivi e vediamo un pò...comunque spero di averti aiutata...ciao
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