Recenzione la siciliana ribele

Moon96
1 aiuto please!!!!:hi

Risposte
Qualer
Chiudiamo, forza.

aleio1
ma come c..zo scrivete????? si scrive Recensione non Recenzione...per favore prima di chiedere aiuto su Italiano imparate a parlarlo..

Moon96
grz..allora io uso la 1°:hi

Funghetta
QUESTA E' UNA RECENSIONE:

Un paesino della Sicilia, metà degli anni '80. Rita Mancuso (Veronica D'Agostino), figlia di un uomo d'onore del posto, assiste impotente all'uccisione del padre. Sei anni dopo la stessa sorte tocca al fratello di Rita, Carmelo (Carmelo Galati). Decisa a vendicarsi si presenterà al procuratore antimafia di Palermo con le prove necessarie per incriminare l'intera "piovra" locale. Dovrà però fare i conti con le minacce dei boss, il ripudio della madre (Lucia Sardo) e le difficoltà di adattamento alla vita da testimone protetto... Per l'esordio nel lungometraggio il palermitano Marco Amenta riprende il soggetto di un suo documentario, Diario di una siciliana ribelle (1998) - sulla tragica vicenda di Rita Atria, una ragazza di 17 anni che si dissociò dalla famiglia per diventare collaboratrice di giustizia di Borsellino e morire suicida una settimana dopo l'uccisione del giudice -, trasformandolo in un film di finzione, dove cambiano i nomi dei personaggi reali e alcune situazioni, ma rimane intatto l'obiettivo di fondo: ricostruire la memoria di un personaggio unico nella storiografia mafiosa e farne il testimone esemplare di un riscatto. Amenta si riallaccia alla doppia tradizione del cinema d'impegno civile e dei mafia movie italiani, respingendo però come Gomorra ogni fascinazione per i gangster e introducendo in un immaginario logoro una figura inedita, quella di un'affiliata (ma dalla fedina penale pulita) che decide di ribellarsi e passare dalla parte della giustizia. Sulla carta interessante, l'operazione non mantiene però tutte le promesse. Amenta non è riuscito a infondere al racconto una sua cifra personale, appiattendo immagini e sintassi su una discorsività di matrice televisiva. A dispetto poi degli elementi di novità della storia, il film procede per accumulo di cliché e situazioni tipo - la rappresentazione del côte criminale è banale e simile a tante altre, mentre la via crucis dei testimoni di mafia era stata restituita con maggiore efficacia dal Testimone a rischio di Pozzessere -, segnando un passo indietro rispetto all'evoluzione del genere portata avanti da altri registi italiani (Capuano, ad esempio). Ma a mancare più di ogni altra cosa alla Siciliana ribelle, è una definizione forte della protagonista. Se la Rita di Amenta "reagisce" più che agisce, non è per via di un destino ineluttabile al quale l'eroina si piega, ma per assecondare gli snodi di sceneggiatura. Il passaggio dalla sete di vendetta al senso di giustizia è repentino e immotivato, il fondamentale apporto della cognata Piera (la moglie del fratello di Rita, che fu la prima in famiglia a pentirsi) omesso del tutto, e il trattamento del personaggio avrebbe rischiesto maggiore adesione psicologica. Non a caso il regista, che fino ad allora aveva liberamente ricostruito e inventato, recupera nel finale i filmini in super 8 della vera Rita Atria e le immagini di repertorio della strage di via d'Amelia: un'ammissione, forse, di quanto inadeguata sia la finzione a risarcire la verità.

E QUESTA E' L'ALTRA:

La siciliana ribelle – una storia vera. Siamo in Sicilia, nel 1985 che sembra il medioevo. La storia vera è quella di Rita Atria, figlia di un capo mafia locale che, all’assassinio prima del padre e poi del fratello, decide di denunciare i membri del suo stesso clan alla magistratura. E del magistrato che la protesse e che grazie a quelle testimonianze poté intraprendere una dura battaglia contro cosa nostra, Paolo Borsellino. Solido film di impegno civile, La siciliana ribelle si inscrive in quella nobile tradizione a cui appartengono anche i recenti I cento passi o Alla luce del sole, storie vere di persone comuni che hanno sacrificato la propria vita alla lotta antimafia. Il film di Marco Amenta, passato all'ultima festa del cinema di Roma, evita l'agiografia come è giusto che sia, conducendoci dentro la mentalità mafiosa. Rita infatti dapprima non cerca giustizia ma semplice vendetta. Solo col tempo, solo grazie alla vicinanza del giudice e ad una reale presa di coscienza sullo stato delle cose, riuscirà a riconoscere la differenza tra l’una e l’altra e a svincolarsi dagli interessi di parte. Lo sviluppo potrebbe essere tacciato di prevedibilità e schematismo, con alcuni passaggi lasciati nell'ombra, ma il gioco vale la candela, l'intento è edificante e non necessita di disquisizioni sulla lana caprina. L'ultima immagine della madre che al cimitero in lacrime prende a martellate la lapide della figlia ci consegna l'amara consapevolezza di trovarsi impotenti di fronte ad un nemico oscuro, impossibile da combattere quanto un virus presente nell'aria. Questa è la mafia, non un oggetto, una persona, un corpo contro cui potersi scontrare. In una regione come la Sicilia la mafia impregna la terra e da lì arriva ad impregnare la testa delle persone che in quella stessa terra affondano le proprie radici, da secoli e da generazioni. E' un qualcosa che sfugge alla normale, ragionevole comprensione per cui la situazione sarebbe così limpida e precisa. Invece non lo è limpida e precisa. Ne sia ennesima triste prova il sindaco del paese che, dopo le morti, le stragi, gli assassini, i processi, le sentenze, accusato, indagato, liberato, viene infine rieletto. Dagli stessi abitanti del paese (chissà da quale parte politica era sostenuto?).

Credo di aver soddisfatto tutti e due..

Moon96
:mad

sonoio 96
anche 2!!!!! uno per me! please

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