Parafrasi "La caduta di Troia e la missione di Enea"
Ciao a tutti!! Per domani ho una parafrasi da fare.. vi posto qui le immagini del testo..
spero che possiate aiutarmi :p
La parafrasi è fino al verso 280
http://img87.imageshack.us/my.php?image=2410071647gi7.jpg
http://img87.imageshack.us/my.php?image=2410071643yw3.jpg
Grazie in anticipo!
A presto, Viking :hi
spero che possiate aiutarmi :p
La parafrasi è fino al verso 280
http://img87.imageshack.us/my.php?image=2410071647gi7.jpg
http://img87.imageshack.us/my.php?image=2410071643yw3.jpg
Grazie in anticipo!
A presto, Viking :hi
Risposte
Chiudo
hai visto due aiuti in uno....
La parafrasi che ho per domani è circa a metà.. perciò la prossima volta basterà riprendere dal punto dove ho terminato :satisfied
Grazie ancora.. ciao fra! :)
Grazie ancora.. ciao fra! :)
ciao vik :)
Grazie mille Francy!!! Mi sei di grandissimo aiuto ultimamente! :satisfied
Grazie mille davvero :wow
A presto, Viking :hi
Grazie mille davvero :wow
A presto, Viking :hi
Apriamo una breccia nella cinta di mura
che attornia la città. Ognuno dà una mano
a sottoporre ruote scorrevoli al cavallo,
a legare al suo collo lunghe funi. La macchina
fatale ha già passato le mura, piena d'armi,
mentre intorno i fanciulli e le vergini cantano
gli inni rituali felici di toccare per gioco
le funi con le mani. E la macchina avanza,
scivola minacciosa in mezzo alla città.
O patria, casa di Dei, e voi mura dardanie
che tanta guerra ha reso famose: quattro volte
si fermò al limitare della porta e altrettante
le armi nel suo ventre tuonarono sinistre!
Noi non pensiamo a nulla e andiamo avanti, ciechi
nella nostra follia, finché non sistemiamo
il mostro maledetto dentro la santa rocca.
Anche Cassandra allora aprì la bocca - mai
creduta dai Troiani, per volere d'Apollo -
e ci predisse il fatale imminente destino.
Quel giorno per noi doveva essere l'ultimo:
ma (infelici!) adorniamo di fronde festive
i templi degli Dei per tutta la città.
Intanto il cielo gira su se stesso, la notte
erompe dall'oceano, avvolgendo di fitta
tenebra terra e cielo e inganni dei Mirmidoni:
in ogni casa i Troiani esultanti si sono
taciuti, un duro sonno avvince i loro corpi.
E già l'armata greca avanzava da Tenedo
nell'amico silenzio della tacita luna
in ordine perfetto, avviandosi ai lidi
ben noti, e già la nave ammiraglia levava
la fiamma d'un segnale luminoso: Sinone,
protetto dagli ostili disegni degli Dei,
furtivamente allora libera i Greci chiusi
nel ventre del cavallo, aprendo gli sportelli
di pino. Spalancata la macchina fa uscire
all'aperto i guerrieri: si calano con una fune,
lieti di abbandonare quella stiva, Tessandro
e Stenelo, il feroce Ulisse ed Acamante,
Toante e Neottolemo Pelide, Macaone
il grande e Menelao, ed infine Epeo stesso
artefice dell'inganno. Invadono la città
sepolta nel sonno e nel vino: massacrano
i guardiani, spalancano le porte e fanno entrare
come d'accordo i compagni, riunendosi con essi.
Era l'ora in cui giunge agli stanchi mortali
il primo sonno e serpeggia gradito nei loro corpi
per dono degli Dei: ed ecco, in questo sonno
io vidi comparirmi davanti un tristissimo
Ettore, pieni gli occhi di gran pianto, insozzato
di sanguinosa polvere, i fori delle briglie
nei piedi tumefatti; come quando, una volta,
fu trascinato in furia dalla biga d'Achille.
Ahi, com'era ridotto! Com'era diverso dall'Ettore
che tornò vittorioso di Patroclo, vestito
dell'armi del Pelide, dopo aver scagliato
le fiaccole troiane contro le navi greche!
Aveva incolta la barba, i capelli grommosi
di sangue e per il corpo le infinite ferite
riportate morendo sotto le mura patrie.
Allora mi sembrò di piangere, parlando
a quell'ombra per primo con mestissima voce:
"O luce della Troade, suprema speranza
dei Teucri, perché tanto hai tardato? Da quali
regioni sei venuto, Ettore troppo atteso?
Così ti rivediamo, stanchi, dopo infiniti
travagli dei Troiani e d'Ilio, dopo tanti
lutti amari dei tuoi? Che cosa ha sfigurato
il tuo volto sereno? Perché queste ferite?"
Nulla rispose: senza degnare d'attenzione
le mie vane domande. Ma traendo dal petto
un profondo sospiro mi disse: "Fuggi, fuggi
o figlio di una Dea, salvati dalle fiamme!
Il nemico è padrone delle mura e già Pergamo
precipita dalla sua altezza. Abbiamo fatto anche troppo
per la patria e per Priamo: se Troia avesse potuto
difendersi con mani mortali sarebbe bastata
la mia. Ilio ti affida i suoi sacri Penati:
prendili, che accompagnino la tua sorte futura,
cerca per loro le mura che erigerai superbe
dopo tanti viaggi faticosi sul mare!"
E colle proprie mani mi porse le sacre bende,
il fuoco eterno, l'effigie della potente Vesta.
Intanto la città è dovunque sconvolta
dalla tragedia e benché la casa di mio padre
sorga in luogo appartato e protetto dagli alberi
pure il chiasso e le grida diventano sempre
più chiari e s'avvicina lo strepito delle armi.
Mi riscuoto dal sonno e salgo in cima al tetto,
le orecchie tese. Come quando infuria la fiamma
tra le biade sul soffio dei venti, o un vorticoso
torrente gonfio d'acqua montana allaga i campi,
abbatte i coltivati, distruggendo il lavoro
dell'aratro, e trascina a precipizio alberi,
rami rotti, covoni, sassi; ignaro il pastore
trasalisce a sentire dall'alto di una rupe
quel terribile rombo. Tutto allora compresi:
l'inganno di Sinone e le insidie dei Greci.
E già il grande palazzo di Deifobo crolla
vinto dal fuoco, già brucia la vicinissima
casa di Ucalegonte; la vampa dell'incendio
fa risplendere il mare sigeo per largo tratto.
Si levano grandi urla e un clangore di trombe.
Fuori di me mi armo, senza sapere dove
correre così armato: ma il mio cuore è smanioso
di riunire una schiera di amici per combattere
salendo verso la rocca. Mi trascinano l'ira
e il furore, e ricordo che è bello morire in guerra.
In quel momento arriva Panto, gran sacerdote
del santuario di Apollo, sfuggito ai dardi greci.
Porta con le sue mani i sacri arredi, i vinti
Numi e il suo nipotino; corre fuori di sé
a casa mia. "Dov'è il più grave pericolo -
domando - figlio d'Otris? La rocca è ancora nostra?"
Mi risponde, gemendo: "È venuto l'estremo
giorno, l'ora fatale di Troia, inevitabile.
Fummo! Noi Teucri fummo, Pergamo fu, la grande
gloria troiana fu!... Ora più nulla: Giove
crudele ha dato tutto ad Argo. I Greci dominano
sulla città incendiata; il superbo cavallo
alto in mezzo alle mura vomita gente armata;
vittorioso Sinone semina fuoco e insulti.
Altri sono alle porte a migliaia e migliaia,
quanti mai non ne vennero dalla grande Micene.
Altri ancora sorvegliano in armi le strettoie
dei vicoli: una siepe di ferro dalle punte
lucenti sorge ovunque, mortale. Resistono appena
le sentinelle alle porte, combattendo alla cieca."
Spinto da tali parole e dal volere dei Numi
mi getto tra le fiamme e l'armi ove mi chiamano
la triste Erinni, il fremere della lotta e il clamore
che sale fino alle stelle. Si unisce a noi Rifeo
col fortissimo Epito, che riconosco al chiaro
di luna; quindi ingrossano la pattuglia Diamante,
Ipani e il giovane figlio di Migdone, Corebo.
Costui era giunto a Troia proprio da pochi giorni;
innamorato pazzo di Cassandra, voleva
portare aiuto al futuro suocero ed ai Troiani:
infelice, se avesse dato ascolto ai presagi
dell'ispirata fidanzata!...
Quando li vidi uniti e decisi a combattere
dissi loro: "O guerrieri inutilmente eroici,
se davvero volete seguire un uomo pronto
a tutto, considerate la situazione: è tragica.
Tutti gli Dei sui quali si fondava l'impero
frigio ci hanno lasciato, abbandonando i templi
e gli altari; ora voi accorrete in aiuto
di una città incendiata. Su, moriamo, scagliamoci
nel pieno della mischia! C'è una sola salvezza
pei vinti, non sperare in alcuna salvezza."
Così aumentai la rabbia di quei cuori roventi.
Come lupi rapaci che una tremenda fame
ha spinto fuori alla cieca nella nebbia (e nel covo
li aspettano i lupicini abbandonati, secche
le fauci), ce ne andiamo attraverso le frecce,
attraverso i nemici verso morte sicura
passando proprio in mezzo alla città. La notte
oscura ci circonda con la cava sua ombra.
Chi potrebbe narrare con parole la strage
di quella notte; e le morti? Chi potrebbe trovare
tutte le lagrime, quante ne occorrerebbero ai nostri
dolori? La città antica che aveva
regnato per tanti anni rovina; qua e là
giacciono senza vita corpi infiniti, lungo
le strade, nelle case, sulla soglia dei templi.
Ma non sono soltanto i Troiani a pagare
col sangue le loro colpe; talvolta anche nel cuore
dei vinti torna il coraggio, e i Greci vittoriosi
cadono. Ovunque il lutto più atroce, dovunque
terrore e innumerevoli spettacoli di morte.
Si presenta per primo Androgeo, accompagnato
da molti Greci; ignaro ci prende per amici
e parla cordialmente: "Presto, presto o guerrieri!
Perché indugiate tanto? Gli altri mettono a sacco
Troia incendiata e voi solo adesso venite
dalle navi superbe?" Subito (la risposta
datagli non bastò a rassicurarlo) comprese
d'essere capitato fra i nemici. Atterrito
tacque e cercò di ritrarre i passi. Come chi,
camminando in campagna, inaspettatamente
mette il piede su un serpe nascosto tra gli spini
e fugge in fretta, tremando, dalla bestia schifosa
che si drizza infuriata gonfiando il collo azzurro:
così Androgeo scappava spaventato. Corriamo
all'assalto accerchiando con una siepe d'armi
i Greci, svantaggiati dal terrore e dal fatto
di non conoscere il luogo. Li abbattiamo qua e là:
la fortuna è propizia a questa prima impresa.
Allora Corebo, che il successo ha esaltato
e incoraggiato, dice: "Compagni, la sorte
ci si dimostra amica e ci addita la strada
della salvezza: seguiamola! Cambiamo scudi, adottiamo
nsegne argive. Inganno o valore? Che importa,
contro il nemico tutto è buono! Loro stessi
ci daranno le armi." Subito mette l'elmo
chiomato di Androgeo, ne imbraccia il bello scudo
e s'appende una spada greca al fianco. Lo stesso
fanno Rifeo e Diamante; poi tutti gli altri giovani
s'armano lietamente delle spoglie nemiche.
Andiamo avanti, confusi coi Greci, senza un Dio
che ci assista. Attacchiamo, combattiamo più volte
credo sia tutta n ho controllato il seocndo link ti invio il sito da cui l'ho preso:
http://www.biblio-net.com/lett_cla/traduzioni/virgilio_eneide.htm
che attornia la città. Ognuno dà una mano
a sottoporre ruote scorrevoli al cavallo,
a legare al suo collo lunghe funi. La macchina
fatale ha già passato le mura, piena d'armi,
mentre intorno i fanciulli e le vergini cantano
gli inni rituali felici di toccare per gioco
le funi con le mani. E la macchina avanza,
scivola minacciosa in mezzo alla città.
O patria, casa di Dei, e voi mura dardanie
che tanta guerra ha reso famose: quattro volte
si fermò al limitare della porta e altrettante
le armi nel suo ventre tuonarono sinistre!
Noi non pensiamo a nulla e andiamo avanti, ciechi
nella nostra follia, finché non sistemiamo
il mostro maledetto dentro la santa rocca.
Anche Cassandra allora aprì la bocca - mai
creduta dai Troiani, per volere d'Apollo -
e ci predisse il fatale imminente destino.
Quel giorno per noi doveva essere l'ultimo:
ma (infelici!) adorniamo di fronde festive
i templi degli Dei per tutta la città.
Intanto il cielo gira su se stesso, la notte
erompe dall'oceano, avvolgendo di fitta
tenebra terra e cielo e inganni dei Mirmidoni:
in ogni casa i Troiani esultanti si sono
taciuti, un duro sonno avvince i loro corpi.
E già l'armata greca avanzava da Tenedo
nell'amico silenzio della tacita luna
in ordine perfetto, avviandosi ai lidi
ben noti, e già la nave ammiraglia levava
la fiamma d'un segnale luminoso: Sinone,
protetto dagli ostili disegni degli Dei,
furtivamente allora libera i Greci chiusi
nel ventre del cavallo, aprendo gli sportelli
di pino. Spalancata la macchina fa uscire
all'aperto i guerrieri: si calano con una fune,
lieti di abbandonare quella stiva, Tessandro
e Stenelo, il feroce Ulisse ed Acamante,
Toante e Neottolemo Pelide, Macaone
il grande e Menelao, ed infine Epeo stesso
artefice dell'inganno. Invadono la città
sepolta nel sonno e nel vino: massacrano
i guardiani, spalancano le porte e fanno entrare
come d'accordo i compagni, riunendosi con essi.
Era l'ora in cui giunge agli stanchi mortali
il primo sonno e serpeggia gradito nei loro corpi
per dono degli Dei: ed ecco, in questo sonno
io vidi comparirmi davanti un tristissimo
Ettore, pieni gli occhi di gran pianto, insozzato
di sanguinosa polvere, i fori delle briglie
nei piedi tumefatti; come quando, una volta,
fu trascinato in furia dalla biga d'Achille.
Ahi, com'era ridotto! Com'era diverso dall'Ettore
che tornò vittorioso di Patroclo, vestito
dell'armi del Pelide, dopo aver scagliato
le fiaccole troiane contro le navi greche!
Aveva incolta la barba, i capelli grommosi
di sangue e per il corpo le infinite ferite
riportate morendo sotto le mura patrie.
Allora mi sembrò di piangere, parlando
a quell'ombra per primo con mestissima voce:
"O luce della Troade, suprema speranza
dei Teucri, perché tanto hai tardato? Da quali
regioni sei venuto, Ettore troppo atteso?
Così ti rivediamo, stanchi, dopo infiniti
travagli dei Troiani e d'Ilio, dopo tanti
lutti amari dei tuoi? Che cosa ha sfigurato
il tuo volto sereno? Perché queste ferite?"
Nulla rispose: senza degnare d'attenzione
le mie vane domande. Ma traendo dal petto
un profondo sospiro mi disse: "Fuggi, fuggi
o figlio di una Dea, salvati dalle fiamme!
Il nemico è padrone delle mura e già Pergamo
precipita dalla sua altezza. Abbiamo fatto anche troppo
per la patria e per Priamo: se Troia avesse potuto
difendersi con mani mortali sarebbe bastata
la mia. Ilio ti affida i suoi sacri Penati:
prendili, che accompagnino la tua sorte futura,
cerca per loro le mura che erigerai superbe
dopo tanti viaggi faticosi sul mare!"
E colle proprie mani mi porse le sacre bende,
il fuoco eterno, l'effigie della potente Vesta.
Intanto la città è dovunque sconvolta
dalla tragedia e benché la casa di mio padre
sorga in luogo appartato e protetto dagli alberi
pure il chiasso e le grida diventano sempre
più chiari e s'avvicina lo strepito delle armi.
Mi riscuoto dal sonno e salgo in cima al tetto,
le orecchie tese. Come quando infuria la fiamma
tra le biade sul soffio dei venti, o un vorticoso
torrente gonfio d'acqua montana allaga i campi,
abbatte i coltivati, distruggendo il lavoro
dell'aratro, e trascina a precipizio alberi,
rami rotti, covoni, sassi; ignaro il pastore
trasalisce a sentire dall'alto di una rupe
quel terribile rombo. Tutto allora compresi:
l'inganno di Sinone e le insidie dei Greci.
E già il grande palazzo di Deifobo crolla
vinto dal fuoco, già brucia la vicinissima
casa di Ucalegonte; la vampa dell'incendio
fa risplendere il mare sigeo per largo tratto.
Si levano grandi urla e un clangore di trombe.
Fuori di me mi armo, senza sapere dove
correre così armato: ma il mio cuore è smanioso
di riunire una schiera di amici per combattere
salendo verso la rocca. Mi trascinano l'ira
e il furore, e ricordo che è bello morire in guerra.
In quel momento arriva Panto, gran sacerdote
del santuario di Apollo, sfuggito ai dardi greci.
Porta con le sue mani i sacri arredi, i vinti
Numi e il suo nipotino; corre fuori di sé
a casa mia. "Dov'è il più grave pericolo -
domando - figlio d'Otris? La rocca è ancora nostra?"
Mi risponde, gemendo: "È venuto l'estremo
giorno, l'ora fatale di Troia, inevitabile.
Fummo! Noi Teucri fummo, Pergamo fu, la grande
gloria troiana fu!... Ora più nulla: Giove
crudele ha dato tutto ad Argo. I Greci dominano
sulla città incendiata; il superbo cavallo
alto in mezzo alle mura vomita gente armata;
vittorioso Sinone semina fuoco e insulti.
Altri sono alle porte a migliaia e migliaia,
quanti mai non ne vennero dalla grande Micene.
Altri ancora sorvegliano in armi le strettoie
dei vicoli: una siepe di ferro dalle punte
lucenti sorge ovunque, mortale. Resistono appena
le sentinelle alle porte, combattendo alla cieca."
Spinto da tali parole e dal volere dei Numi
mi getto tra le fiamme e l'armi ove mi chiamano
la triste Erinni, il fremere della lotta e il clamore
che sale fino alle stelle. Si unisce a noi Rifeo
col fortissimo Epito, che riconosco al chiaro
di luna; quindi ingrossano la pattuglia Diamante,
Ipani e il giovane figlio di Migdone, Corebo.
Costui era giunto a Troia proprio da pochi giorni;
innamorato pazzo di Cassandra, voleva
portare aiuto al futuro suocero ed ai Troiani:
infelice, se avesse dato ascolto ai presagi
dell'ispirata fidanzata!...
Quando li vidi uniti e decisi a combattere
dissi loro: "O guerrieri inutilmente eroici,
se davvero volete seguire un uomo pronto
a tutto, considerate la situazione: è tragica.
Tutti gli Dei sui quali si fondava l'impero
frigio ci hanno lasciato, abbandonando i templi
e gli altari; ora voi accorrete in aiuto
di una città incendiata. Su, moriamo, scagliamoci
nel pieno della mischia! C'è una sola salvezza
pei vinti, non sperare in alcuna salvezza."
Così aumentai la rabbia di quei cuori roventi.
Come lupi rapaci che una tremenda fame
ha spinto fuori alla cieca nella nebbia (e nel covo
li aspettano i lupicini abbandonati, secche
le fauci), ce ne andiamo attraverso le frecce,
attraverso i nemici verso morte sicura
passando proprio in mezzo alla città. La notte
oscura ci circonda con la cava sua ombra.
Chi potrebbe narrare con parole la strage
di quella notte; e le morti? Chi potrebbe trovare
tutte le lagrime, quante ne occorrerebbero ai nostri
dolori? La città antica che aveva
regnato per tanti anni rovina; qua e là
giacciono senza vita corpi infiniti, lungo
le strade, nelle case, sulla soglia dei templi.
Ma non sono soltanto i Troiani a pagare
col sangue le loro colpe; talvolta anche nel cuore
dei vinti torna il coraggio, e i Greci vittoriosi
cadono. Ovunque il lutto più atroce, dovunque
terrore e innumerevoli spettacoli di morte.
Si presenta per primo Androgeo, accompagnato
da molti Greci; ignaro ci prende per amici
e parla cordialmente: "Presto, presto o guerrieri!
Perché indugiate tanto? Gli altri mettono a sacco
Troia incendiata e voi solo adesso venite
dalle navi superbe?" Subito (la risposta
datagli non bastò a rassicurarlo) comprese
d'essere capitato fra i nemici. Atterrito
tacque e cercò di ritrarre i passi. Come chi,
camminando in campagna, inaspettatamente
mette il piede su un serpe nascosto tra gli spini
e fugge in fretta, tremando, dalla bestia schifosa
che si drizza infuriata gonfiando il collo azzurro:
così Androgeo scappava spaventato. Corriamo
all'assalto accerchiando con una siepe d'armi
i Greci, svantaggiati dal terrore e dal fatto
di non conoscere il luogo. Li abbattiamo qua e là:
la fortuna è propizia a questa prima impresa.
Allora Corebo, che il successo ha esaltato
e incoraggiato, dice: "Compagni, la sorte
ci si dimostra amica e ci addita la strada
della salvezza: seguiamola! Cambiamo scudi, adottiamo
nsegne argive. Inganno o valore? Che importa,
contro il nemico tutto è buono! Loro stessi
ci daranno le armi." Subito mette l'elmo
chiomato di Androgeo, ne imbraccia il bello scudo
e s'appende una spada greca al fianco. Lo stesso
fanno Rifeo e Diamante; poi tutti gli altri giovani
s'armano lietamente delle spoglie nemiche.
Andiamo avanti, confusi coi Greci, senza un Dio
che ci assista. Attacchiamo, combattiamo più volte
credo sia tutta n ho controllato il seocndo link ti invio il sito da cui l'ho preso:
http://www.biblio-net.com/lett_cla/traduzioni/virgilio_eneide.htm
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