Libro!! (14444)
Ciao per favore mi potete dire la trama con un lignuaggio semplice di questo libro?
Cioccolato ad Auschwitz di Franco Bruno Vitolo??
Dovete seguire qst schema:
Titolo ,autore epoca
Esame del titolo
punto nodale
breve riassunto
personaggi
ambiente
stile
intenzione comunicativa dell'autore
considerazioni xsonali
ciao ciao!!
Cioccolato ad Auschwitz di Franco Bruno Vitolo??
Dovete seguire qst schema:
Titolo ,autore epoca
Esame del titolo
punto nodale
breve riassunto
personaggi
ambiente
stile
intenzione comunicativa dell'autore
considerazioni xsonali
ciao ciao!!
Risposte
chiudo perchè ci sono i "soliti" che , per accumulare punti , rispolverano thread datati
NN L' HO LETTO
Si tratta del diario romanzato del viaggio realizzato, dal 4 all’8 novembre 1999, da quattordici studenti di Cava de' Tirreni, alcuni amici di Salerno e di Napoli, un gruppo di una ventina di ebrei romani, tra cui un reduce e vari familiari deportati, accompagnati da Settimia Spizzichino nel suo ultimo viaggio della memoria, al campo di Auschwitz.
Inevitabile non rilevare le tante affinità di questo libro con la Divina Commedia (è casuale o consapevolmente voluta la configurazione strutturale di queste 201 godibilissime pagine in 33 capitoli-canti?). Protagonisti del viaggio-catarsi un gruppo di studenti le cui osservazioni a "ritmo di discomusic", nei primi capitoli del libro, sono presentati dall’autore come la Grande Raffica, un vocio indistinto fatto di domande e risposte spesso banali, talvolta superficiali. Il ruolo della guida non è di Virgilio ma di Settimia, unica donna sopravvissuta delle 1022 persone deportate, all’alba del 16 ottobre 1943, dal ghetto ebraico di Roma ai lager nazisti.
Il personaggio di Settimia appare reattivo, deciso, "tosto" ed è proprio di chi è sopravvissuto "per rabbia", per raccontare. Ella condurrà il gruppo di giovani "dal rumore di ogni giorno al silenzio dell’anima": i ragazzi riusciranno ad apprezzare il brodo polacco (prima temuto) grazie al racconto di un ciuffo d’erba sporca di fango che aveva avuto il sapore del cioccolato, diverranno più silenziosi e riflessivi nel lager, nel Blocco 9 in cui l’orrore della storia era ancora attenuato dalla distanza di foto e filmati, saranno impauriti e indignati dal silenzio di Birkenau, inferno del ricordo e paradiso della consapevolezza, rimasto quasi intatto agli anni passati, fino a che la Grande Raffica divverrà negli ultimi capitoli, in una serata piena di amicizia e "liberazione", il Grappolo attorno al "camino" di Settimia che per una sera potrà assaporare il piacere di essere nonna. Il tutto narrato da uno "spettattore", come si definisce l’autore, e con uno stile prima semplice, scorrevole, pieno di houmor, molto attento al linguaggio dei giovani e talvolta cosparso di citazioni culturali "forzate", poi commosso, appassionato, che fa spesso uso di geniali giochi di parole, di innumerevoli figure retoriche e che è quasi sempre pura poesia.
"Cioccolato ad Auschwitz" è soprattutto un romanzo di formazione: il messaggio, della ragione e non del cuore, destinato alle nuove generazioni è che "Il mondo va visto dalla parte dell’erba", spiazzantemente semplice e calzante, in anni, come questi, nei quali troppe cose, e soprattutto la vita, sono date per scontate. Difficile comunque coniare un’etichetta per questo libro che è anche racconto storico, monografia, raccolta di liriche, denuncia sociale, memoria personale.
Inevitabile non rilevare le tante affinità di questo libro con la Divina Commedia (è casuale o consapevolmente voluta la configurazione strutturale di queste 201 godibilissime pagine in 33 capitoli-canti?). Protagonisti del viaggio-catarsi un gruppo di studenti le cui osservazioni a "ritmo di discomusic", nei primi capitoli del libro, sono presentati dall’autore come la Grande Raffica, un vocio indistinto fatto di domande e risposte spesso banali, talvolta superficiali. Il ruolo della guida non è di Virgilio ma di Settimia, unica donna sopravvissuta delle 1022 persone deportate, all’alba del 16 ottobre 1943, dal ghetto ebraico di Roma ai lager nazisti.
Il personaggio di Settimia appare reattivo, deciso, "tosto" ed è proprio di chi è sopravvissuto "per rabbia", per raccontare. Ella condurrà il gruppo di giovani "dal rumore di ogni giorno al silenzio dell’anima": i ragazzi riusciranno ad apprezzare il brodo polacco (prima temuto) grazie al racconto di un ciuffo d’erba sporca di fango che aveva avuto il sapore del cioccolato, diverranno più silenziosi e riflessivi nel lager, nel Blocco 9 in cui l’orrore della storia era ancora attenuato dalla distanza di foto e filmati, saranno impauriti e indignati dal silenzio di Birkenau, inferno del ricordo e paradiso della consapevolezza, rimasto quasi intatto agli anni passati, fino a che la Grande Raffica divverrà negli ultimi capitoli, in una serata piena di amicizia e "liberazione", il Grappolo attorno al "camino" di Settimia che per una sera potrà assaporare il piacere di essere nonna. Il tutto narrato da uno "spettattore", come si definisce l’autore, e con uno stile prima semplice, scorrevole, pieno di houmor, molto attento al linguaggio dei giovani e talvolta cosparso di citazioni culturali "forzate", poi commosso, appassionato, che fa spesso uso di geniali giochi di parole, di innumerevoli figure retoriche e che è quasi sempre pura poesia.
"Cioccolato ad Auschwitz" è soprattutto un romanzo di formazione: il messaggio, della ragione e non del cuore, destinato alle nuove generazioni è che "Il mondo va visto dalla parte dell’erba", spiazzantemente semplice e calzante, in anni, come questi, nei quali troppe cose, e soprattutto la vita, sono date per scontate. Difficile comunque coniare un’etichetta per questo libro che è anche racconto storico, monografia, raccolta di liriche, denuncia sociale, memoria personale.
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