I Generi del 500', La Trattistica e Pietro Bembo
Mi potete Fare un riassunto, o parlare di questi 3 argomenti? Vi ringrazio in Anticipo
Risposte
Scusa, ma come faccio ad orientarmi? quello che hai scritto tu quale argomento e' dei 3 :X
I primi decenni del Cinquecento vedono una produzione letteraria di eccezionale livello, in diversi generi letterari. Si va dal poema dell'Ariosto, Orlando furioso, al Principe, trattato di teoria politica di Machiavelli; dal Cortegiano di Castiglione alle liriche petrarchistiche di Pietro Bembo.
In questo periodo, che si estende all'incirca fino al 1530 e che può essere identificato col pieno Rinascimento, la ricca sperimentazione del periodo umanistico comincia a lasciare il posto ad una progressiva regolarizzazione di forme e linguaggi. Non è un caso che l'Ariosto scelga per il suo poema il volgare toscano anziché quello settentrionale/emiliano usato dal Boiardo. Del resto, la discussione sulla lingua letteraria, che occupa intelletti acuti in riflessioni di grande interesse, approda ad una soluzione pressoché definitiva grazie alle Prose della volgar lingua del Bembo (1525), in cui si sostiene l'eccellenza del toscano letterario identificabile nella poesia di Petrarca e nella prosa di Boccaccio.
I valori tratti dalla letteratura classica, di cui si riscopre l'ampiezza di vedute, e la filosofia neoplatonica convergono nell'idea dell'uomo come individuo pieno di potenzialità, padrone della propria esistenza, chiamato a dar prova del proprio ingegno nelle concrete circostanze della storia e a realizzare nei vari momenti della vita un ideale di armonia e raffinatezza. L'ambiente della corte e il diffuso fenomeno del mecenatismo offrono agli scrittori del tempo la cornice e le condizioni adatte a perseguire quei modelli ideali; questo non impedisce però che ci sia chi mette a nudo, anche se con garbo ironico, il rovescio di quell'ambiente idealizzato, ovvero la mancanza di autonomia (Ariosto); o chi proprio dalla assidua riflessione sugli scritti degli antichi e dalla "continua esperienzia delle cose moderne" ricava norme di inaudita spregiudicatezza per l'agire politico (Machiavelli).
Un contributo molto significativo verso la definizione delle"regole" per la scrittura letteraria venne dalla traduzione, nel 1536, della Poetica di Aristotele, fino a quel momento conosciuta solo indirettamente e in parte attraverso l'Ars poetica di Orazio. La traduzione suscitò un immediato ma anche prolungato fervore di studi e di commenti, che tuttavia andarono in una direzione non del tutto coerente con le intenzioni del filosofo greco. Egli infatti - come è ben chiaro ai lettori attuali della Poetica (pervenuta in forma gravemente mutila) - non intese fornire norme per la creazione letteraria, ma descrivere e organizzare quanto la letteratura greca aveva fino a quel tempo prodotto.
Le argomentazioni di Aristotele sui diversi generi letterari, sugli elementi che compongono il testo poetico, sugli scopi della letteratura e così via vennero interpretate dagli studiosi del Cinquecento come altrettante norme da seguire in modo fedele per conseguire l'eccellenza in poesia. Secondo questa rigida impostazione, la poesia - nei tre generi: epica, lirica e drammatica - doveva proporsi un fine educativo da raggiungersi attraverso il diletto (nella versione oraziana miscere utile dulci).
La tendenza precettistica della letteratura confluì ben presto con il riaffermarsi del principio di autorità (ipse dixit) nei vari campi della cultura e con le esigenze di un ritorno alla moralità e alla religiosità promosse dal Concilio di Trento (1545-1563).
Questo orientamento normativo, che venne sviluppato negli scritti di Sperone Speroni, Gian Giorgio Trissino e molti altri, entrò in contrasto con la ricca e varia produzione letteraria del secolo precedente e dei primi decenni del Cinquecento. Ad esempio, un'opera che aveva ottenuto subito successo e ampia diffusione come l'Orlando furioso mal si accordava con le norme elaborate: non poteva dirsi poema epico, per la presenza assai debole dei motivi tipici di quel genere, ed il predominio della fantasia, dell'ironia, del diletto come scopo primario (anche se non unico). Tuttavia non era certo possibile ignorarne il valore, e proprio per questo si misurò con esso, per cercare una strada originale compatibile con il mutato clima culturale, Torquato Tasso.
[modifica] La seconda metà del Cinquecento
Torquato Tasso
Un profondo mutamento delle funzioni dell'italiano volgare avvenne dalla fine del Cinquecento. A causa del rallentamento degli scambi economici tra le varie città d'Italia ricominciarono a prender piede i dialetti locali, mentre l'italiano venne relegato a funzione di linguaggio di corte. Lo spirito della controriforma del Concilio di Trento fece venir meno gli stimoli culturali innovatori che avevano animato i cenacoli letterarii. La fondazione dell'Accademia della Crusca nello stesso periodo cristallizzò questa situazione nei secoli successivi, facendo della lingua italiana una lingua artificiale.
In questo quadro nascono le opere letterarie di Torquato Tasso, il suo poema la Gerusalemme liberata si può considerare sotto l'aspetto letterario frutto del manierismo, in cui gli strumenti espressivi erano una serie di pose artificiose. L'italiano di fine Cinquecento è una lingua profondamente diversa, nell'anima, da quella dei secoli passati. Ce lo fa notare in alcune postille autografe Galileo Galilei confrontando l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, e la Gerusalemme liberata : per Galilei il Tasso dice parole, Ariosto cose. La lingua italiana che in origine era descrittiva e piena di contenuti diventa vuota espressione adatta solo per fare melodie e canti. (tratto da wikipedia)
In questo periodo, che si estende all'incirca fino al 1530 e che può essere identificato col pieno Rinascimento, la ricca sperimentazione del periodo umanistico comincia a lasciare il posto ad una progressiva regolarizzazione di forme e linguaggi. Non è un caso che l'Ariosto scelga per il suo poema il volgare toscano anziché quello settentrionale/emiliano usato dal Boiardo. Del resto, la discussione sulla lingua letteraria, che occupa intelletti acuti in riflessioni di grande interesse, approda ad una soluzione pressoché definitiva grazie alle Prose della volgar lingua del Bembo (1525), in cui si sostiene l'eccellenza del toscano letterario identificabile nella poesia di Petrarca e nella prosa di Boccaccio.
I valori tratti dalla letteratura classica, di cui si riscopre l'ampiezza di vedute, e la filosofia neoplatonica convergono nell'idea dell'uomo come individuo pieno di potenzialità, padrone della propria esistenza, chiamato a dar prova del proprio ingegno nelle concrete circostanze della storia e a realizzare nei vari momenti della vita un ideale di armonia e raffinatezza. L'ambiente della corte e il diffuso fenomeno del mecenatismo offrono agli scrittori del tempo la cornice e le condizioni adatte a perseguire quei modelli ideali; questo non impedisce però che ci sia chi mette a nudo, anche se con garbo ironico, il rovescio di quell'ambiente idealizzato, ovvero la mancanza di autonomia (Ariosto); o chi proprio dalla assidua riflessione sugli scritti degli antichi e dalla "continua esperienzia delle cose moderne" ricava norme di inaudita spregiudicatezza per l'agire politico (Machiavelli).
Un contributo molto significativo verso la definizione delle"regole" per la scrittura letteraria venne dalla traduzione, nel 1536, della Poetica di Aristotele, fino a quel momento conosciuta solo indirettamente e in parte attraverso l'Ars poetica di Orazio. La traduzione suscitò un immediato ma anche prolungato fervore di studi e di commenti, che tuttavia andarono in una direzione non del tutto coerente con le intenzioni del filosofo greco. Egli infatti - come è ben chiaro ai lettori attuali della Poetica (pervenuta in forma gravemente mutila) - non intese fornire norme per la creazione letteraria, ma descrivere e organizzare quanto la letteratura greca aveva fino a quel tempo prodotto.
Le argomentazioni di Aristotele sui diversi generi letterari, sugli elementi che compongono il testo poetico, sugli scopi della letteratura e così via vennero interpretate dagli studiosi del Cinquecento come altrettante norme da seguire in modo fedele per conseguire l'eccellenza in poesia. Secondo questa rigida impostazione, la poesia - nei tre generi: epica, lirica e drammatica - doveva proporsi un fine educativo da raggiungersi attraverso il diletto (nella versione oraziana miscere utile dulci).
La tendenza precettistica della letteratura confluì ben presto con il riaffermarsi del principio di autorità (ipse dixit) nei vari campi della cultura e con le esigenze di un ritorno alla moralità e alla religiosità promosse dal Concilio di Trento (1545-1563).
Questo orientamento normativo, che venne sviluppato negli scritti di Sperone Speroni, Gian Giorgio Trissino e molti altri, entrò in contrasto con la ricca e varia produzione letteraria del secolo precedente e dei primi decenni del Cinquecento. Ad esempio, un'opera che aveva ottenuto subito successo e ampia diffusione come l'Orlando furioso mal si accordava con le norme elaborate: non poteva dirsi poema epico, per la presenza assai debole dei motivi tipici di quel genere, ed il predominio della fantasia, dell'ironia, del diletto come scopo primario (anche se non unico). Tuttavia non era certo possibile ignorarne il valore, e proprio per questo si misurò con esso, per cercare una strada originale compatibile con il mutato clima culturale, Torquato Tasso.
[modifica] La seconda metà del Cinquecento
Torquato Tasso
Un profondo mutamento delle funzioni dell'italiano volgare avvenne dalla fine del Cinquecento. A causa del rallentamento degli scambi economici tra le varie città d'Italia ricominciarono a prender piede i dialetti locali, mentre l'italiano venne relegato a funzione di linguaggio di corte. Lo spirito della controriforma del Concilio di Trento fece venir meno gli stimoli culturali innovatori che avevano animato i cenacoli letterarii. La fondazione dell'Accademia della Crusca nello stesso periodo cristallizzò questa situazione nei secoli successivi, facendo della lingua italiana una lingua artificiale.
In questo quadro nascono le opere letterarie di Torquato Tasso, il suo poema la Gerusalemme liberata si può considerare sotto l'aspetto letterario frutto del manierismo, in cui gli strumenti espressivi erano una serie di pose artificiose. L'italiano di fine Cinquecento è una lingua profondamente diversa, nell'anima, da quella dei secoli passati. Ce lo fa notare in alcune postille autografe Galileo Galilei confrontando l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, e la Gerusalemme liberata : per Galilei il Tasso dice parole, Ariosto cose. La lingua italiana che in origine era descrittiva e piena di contenuti diventa vuota espressione adatta solo per fare melodie e canti. (tratto da wikipedia)