GIACOMO LEOPARDI (72004)

giadinaehmehm
TEMA SU GIACOMO LEOPARDI ?

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Jessica93
Giacomo Leopardi nasce a Recanati, nelle Marche, da una famiglia di nobile origine, ma economicamente dissestata dalla cattiva amministrazione, dovuta alla leggerezza e all’inesperienza del padre, il conte Monaldo. Alla salvezza del patrimonio si dedicò la madre del poeta, Adelaide Antici, una donna energica, che riuscì nell’intento ma a prezzo di duri sacrifici per se e per la famiglia. Il giovane Giacomo studiò con il padre e con due precettori, ma molto precocemente continuò da solo e trascorse sette anni di studio “matto e disperatissimo” nella biblioteca del padre dove si formò un vasto bagaglio culturale rovinandosi la salute. Tra il 1816 e il 1819 il poeta si convertì dalla religione cattolica, alla quale era stato educato fin da piccolo, all’ateismo e al materialismo illuministico. In questi anni cambiarono anche le sue idee politiche: da quelle reazionarie, cioè controrivoluzionarie, del padre a quelle democratiche e patriottiche, assecondate dall’amico Pietro Giordani. Le sofferenze per l’arretratezza culturale dell’ambiente di Recanati lo portarono al tentativo di fuga. Solo in seguito, nel 1822, ottenne il permesso di recarsi a Roma, dalla quale fece ritorno profondamente deluso per la meschinità degli uomini e per la frivolezza delle donne. Durante questo soggiorno si commosse soltanto visitando la tomba del poeta rinascimentale Torquato Tasso, al Granicolo. Poco dopo essere tornato nella sua Recanati, amata e odiata allo stesso tempo e dove tornerà anche in altre occasioni, ripartì alla volta di Milano, passando poi a Bologna, Pisa e Firenze. Qui conobbe un esule napoletano, Antonio Ranieri, con il quale strinse una forte amicizia e insieme si trasferirono a Napoli, città dove il poeta morì nel 1837.

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Leopardi cominciò a acquisire un pensiero proprio, quello che caratterizzò poi la sua vita e tutte le sue opere, quando si convertì dalla religione cattolica alla concezione illuministica del mondo, fino a giungere al materialismo assoluto. Il poeta meditando sul destino dell’uomo giungeva alla conclusione dell’uomo come creatura debole e insignificante: vive e ,dopo inutili sofferenze, si annulla alla morte e quando questa avviene la natura non ne risente affatto. Questo pensiero nel Settecento era motivo di orgoglio per l’uomo che quindi era libero dalle superstizioni del passato e affidava alla scienza la sua fede, in quanto era vista come strumento di progresso, ma non fu così per Leopardi. Lui vide questo pensiero in modo pessimistico poiché avverte l’aspirazione dell’uomo all’assoluto e all’infinito e i limiti di questa creatura e ciò gli causa un dolore interiore. Visse perennemente nel così detto dramma adolescenziale, cioè rimase deluso e scoraggiato dalla realtà perché non era rose e fiori come lui l’aveva immaginata. Nella maggior parte dei casi gli uomini superano questo momento rendendosi utili e inserendosi nella società e fu proprio questo che mancò a Leopardi, vivendo in un contesto ottuso come quello di Recanati. Questo gli provocò una chiusura interiore e il pessimismo totale verso la vita. Il poeta intuì anche i risvolti negativi della Restaurazione, l’egoismo e l’ipocrisia che riducevano in schiavitù i deboli e li condannavano all’infelicità. Divenne così antagonista del suo secolo ponendo in Il fiore del deserto, la penultima lirica dei Canti, l’ideale di umanità fondata sul sentimento di solidarietà universale. La concezione pessimistica di Leopardi è stata approfondita dal poeta stesso e si può dunque dividere in pessimismo personale, storico e cosmico.
Il primo, detto anche soggettivo, come dice il nome stesso riguarda solo la sua persona. A causare questo vi è la sua famiglia: la madre rivolgeva la sua attenzione solo all’amministrazione economica e con il padre, avendo idee politiche opposte, in quanto il conte credeva nell’ ancien régime e rifiutava la idee introdotte dalla Rivoluzione Francese di libertà e democrazia, entrò presto in conflitto. A questo si aggiunse il rapporto con la sua età: a venti anni si sentiva anziano sia fisicamente sia psicologicamente e a Recanati si sentiva come in una prigione, anche se il suo paese è sempre presente nelle liriche più belle. Il pessimismo storico, è anche chiamato progressivo, perché legato proprio alla storia di un uomo e di tutta l’umanità. Leopardi vede lo stato primitivo dell’uomo come inconsapevole felicità, poiché non si conoscevano le tristi verità e il dolore della vita umana, conosciute poi grazie al rigore e alla ricerca del vero, cioè alla scienza. Così confronta questo stato iniziale della storia dell’umanità con l’inizio della vita di ogni uomo, con la giovinezza che è il momento in cui l’uomo è felice perché non consapevole della realtà che lo aspetta. Il pessimismo cosmico è detto così in quanto investe tutte le creature sotto l’infelicità assoluta. Così Leopardi rivaluta la ragione, che è sì colpevole delle illusioni ma è l’unica cosa che rimane all’uomo per conoscere e unirsi agli altri fraternamente. La conclusione che si trae dal pessimismo di Leopardi è simile a quella di Jacopo Ortis, il protagonista del romanzo di Foscolo, che diede un taglio alla sua vita con il suicidio. Il poeta però condanna questo atto in quanto l’uomo è dotato dell’istinto di conservazione e del dovere di fratellanza verso gli altri.

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Spero sia quello che cercavi! :hi

kiakia_97
ecco qui....

Giacomo Leopardi nacque a Recanati, una piccola città di provincia dell'entroterra marchigiano, il 29 giugno 1798. Sua madre, Adelaide dei marchesi Antici, era nota per la sua esagerata parsimonia, al punto (si dice) da rallegrarsi della morte di un figlio neonato, in prospettiva del risparmio che ne sarebbe derivato. Forse per compensare questa maniacale avarizia, suo padre, il conte Monaldo, nobile reazionario e intellettuale conservatore, si dedicò a dissipare la fortuna di famiglia. In compenso accumulò una vastissima biblioteca.
Cresciuto con una rigida educazione religiosa, Giacomo Leopardi trovò presto la strada dell'accogliente biblioteca paterna che occupò il posto dei giochi dell'infanzia. A 15 anni Giacomo Leopardi conosceva già diverse lingue e aveva letto quasi tutto: lingue classiche, ebraico, lingue moderne, storia, filosofia e filologia (nonché scienze naturali e astronomia). Gli insegnanti che avrebbero dovuto prepararlo al sacerdozio dovettero presto ammettere di non avere molto da insegnargli. Nei sette anni che seguirono, Leopardi si buttò in uno studio «matto e disperatissimo», in cui tradusse i classici, praticò sette lingue, scrisse un dotto testo di astronomia e scrisse un falso poema in greco antico, sufficientemente convincente da ingannare un esperto.
Il culto della gloria modellato sugli eroi antichi generava nel giovane Leopardi un forte desiderio di primeggiare, che lo spingeva a cimentarsi in opere di vario genere. Risalgono a questo periodo le tragedie La virtù indiana e Pompeo in Egitto; La storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno 1811 (1813); il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815), e infine l’Orazione degli italiani in occasione della liberazione del Piceno (1815), in cui, allontanandosi dall’ideologia reazionaria del padre, traduce in chiave antitirannica l’adesione al cattolicesimo e al legittimismo politico.
Divenne saggista e traduttore, specialmente di classici. Del 1816 fu il suo passaggio «dall'erudizione al bello», ossia dallo studio alla produzione poetica. Tra le prove poetiche più originali, ricordiamo l’idillio Le rimembranze e la cantica Appressamento della morte. Nello stesso anno è da datare la sua missiva alla «Biblioteca italiana», con la quale il Leopardi difendeva le posizioni dei classicisti in risposta a Madame de Stäel. L'anno dopo avviò una fitta corrispondenza con Pietro Giordani — che gli aprì più vasti orizzonti culturali — e iniziò la stesura dello Zibaldone; sempre in questo periodo s’innamorò della cugina del padre, Geltrude Cassi, alla quale dedicò la poesia Diario del primo amore e L’elegia prima.
Non gli fu concesso di uscire di casa da solo finché non compì vent'anni. Le sue ambizioni accademiche furono compromesse dall'insistenza del padre perché diventasse sacerdote. Esasperato dall'ambiente familiare e dalla chiusura, soprattutto culturale, delle Marche, governate dal retrivo Stato Pontificio, cercò di fuggire da casa, ma suo padre riuscì a prevenirlo e a sventare i suoi piani. Cominciò a soffrire di una salute cagionevole, che egli attribuì ai suoi studi sregolati. Aveva una vista debole, soffriva d'asma ed era effetto da una forma di scoliosi. Si autodefiniva un «sepolcro ambulante» ed era consapevole dell'effetto che il suo aspetto provocava sulle persone che incontrava. Ciò nonostante, non cessò di invaghirsi di fanciulle che non ricambiavano il suo affetto o lo ignoravano totalmente.
Del '18 sono le canzoni «civili» All'Italia e Sopra il monumento di Dante, nonché lo scritto Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, testi nei quali è già presente il cosiddetto pessimismo storico, ossia quell’atteggiamento agonistico verso la società contemporanea, considerata come corruttrice dei valori autentici della natura.
Persa la fede, Leopardi rivolse le sue attenzioni alla filosofia sensistica e materialistica (Pascal, Voltaire, Rousseau). Si compì così la sua conversione filosofica. A questo periodo (1819-1823) appartengono anche la composizione degli idilli L'infinito, Alla luna e altre Canzoni (pubblicate poi a Bologna nel 1824) e la sua conversione «dal bello al vero», con il conseguente intensificarsi delle sue elaborazioni filosofiche, tra cui la teoria del piacere.
Quando finalmente, nel 1822, i suoi genitori gli concessero di far visita a un cugino a Roma, la capitale lo deluse e perfino lo disgustò. La vita e l’ambiente letterario romano gli apparvero meschini e mediocri, privi di qualsiasi problematicità. Tuttavia i suoi scritti trovarono numerosi estimatori nei migliori circoli letterari di Roma, molti dei quali egli trovava insopportabili, né si curava di dissimulare il suo fastidio.
Nel 1823 fece ritorno nelle Marche, dove nel 1824 iniziò a comporre le Operette morali. Proprio le Operette segnarono, con il rifiuto dell’impegno agonistico e della partecipazione politica, la piena formulazione del «pessimismo cosmico»: la Natura veniva accusata di essere la fonte delle sventure umane, in quanto instilla nelle persone un continuo desiderio di felicità destinato ad essere sistematicamente frustrato.
Oltre alle Operette morali, come pure, più tardi, ai Canti, il trattato di filosofia politica Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani (1824) racchiude la sintesi del pensiero del poeta di Recanati. Il punto di partenza della riflessione leopardiana è l'influsso che la diffusione dell’Illuminismo ha avuto sulla morale comune: «la distruzione o indebolimento de’ principi morali fondati sulla persuasione».
Nel 1825 Leopardi riuscì a lasciare Recanati grazie all'avvio di una collaborazione con l'editore milanese Stella che gli garantì una certa indipendenza economica: fu a Milano, a Bologna (dove conobbe il conte Carlo Pepoli e pubblicò un'edizione di Versi), a Firenze (dove incontrò Manzoni e scrisse altre due operette morali) e a Pisa (dove compose Il risogimento e A Silvia).
Mangiava disordinatamente, prediligendo i dolci, si lavava poco e si cambiava raramente d'abito. Ridicolizzava chi gli stava antipatico, non importa quanto lo ammirassero, e diceva peste e corna sia della visione secolare e liberale del mondo che della consolazione della religione. Costretto a tornare a Recanati nel 1828, proseguì la produzione lirica che aveva iniziato a Pisa con l'approfondimento delle tematiche della «natura matrigna» e della caduta delle illusioni.
Nel 1827 uscirono presso l’editore Stella la prima edizione delle Operette morali e la Crestomazia italiana, un’antologia della prosa d’arte italiana, seguita l’anno successivo dalla Crestomazia poetica italiana.
Nel '30 uno stipendio mensile messogli a disposizione da alcuni amici gli permise di lasciare nuovamente Recanati e di stabilirsi a Firenze, dove iniziò una vita di più intesi rapporti sociali. Qui s'innamorò di Fanny Targioni Tozzetti (la delusione scaturita dall'amore per lei gli ispirerà il ciclo di Aspasia) e strinse amicizia con Antonio Ranieri. Nel 1831 uscì la prima edizione dei Canti e iniziò probabilmente a lavorare ai Pensieri e ai Paralipomeni della Bratacomiomachia (conclusi nel 1835). Sempre più lucida e impetuosa divenne in questi anni la sua critica delle ideologie spiritualistiche e della civiltà borghese contemporanea. Su questo sfondo nacquero nel 1832 le ultime operette il Dialogo di Tristano e di un amico e Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere.

Aggravatasi la sua malattia agli occhi, nel 1833 si trasferì a Napoli con Ranieri. Nel 1835 vennero pubblicati la Palinodia al marchese Gino Capponi e la seconda edizione dei Canti, che l’anno successivo venne sequestrata dalla polizia. Del '36 è La ginestra, del '37 Il tramonto della luna e probabilmente I nuovi credenti, in cui satireggia lo spiritualismo ottimistico degli intellettuali napoletani. Durante questo soggiorno napoletano Leopardi approdò a un nuovo senso della comune sorte degli uomini, ossia a quel senso della solidarietà umana fondata sulla conoscenza del «vero».
Quando la sua salute peggiorò, gli amici e la sorella Paolina lo assistettero con grande affetto. Un attacco d'asma ebbe la meglio su di lui, esaudendo l'unico desiderio che pensava un uomo potesse sinceramente custodire.
Morì a Napoli, dove infuriava il colera, il 14 giugno del 1837. Venne sepolto nella chiesetta di San Vitale e nel 1839 le sue spoglie vennero trasferite presso la cosiddetta «tomba di Virgilio» a Mergellina.


http://www.italialibri.net/autori/leopardig.html

ciao :hi :hi :hi

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