Connessione tra leopardi e la danza
leopardi e la danza
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Leopardi utilizzerà i termini danza e ballo in senso e in modi completamente diversi dal Manzoni. L’uso colloquiale, idiomatico, viene abbandonato in favore di un senso più letterario e aulico.
All’Italia è la canzone che apre tutte le raccolte leopardiane a partire dall’edizione di Roma del 1818. Nel passo interessato parla degli eroi greci, e del loro valore anche nell’approssimarsi alla morte.
Parea ch'a danza e non a morte andasse
Ciascun de' vostri, o a splendido convito:
Ma v'attendea lo scuro
Tartaro, e l'onda morta;
Né le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l'aspro lito
Senza baci moriste e senza pianto.
(Leopardi, All’Italia, vv. 94- 100)
La Vita Solitaria, composta nel 1821, chiude la prima parte dei Canti, insieme a Consalvo e Alla sua donna. Si configura come una variazione sul tema della solitudine. Tutta la narrazione si snoda tra la tipica apertura leopardiana naturalistica e il riferimento alla “luna benigna” e la chiusura di riflessione intimistica. I temi (la giovinezza che fugge, la vana vita, la morte), i personaggi (il garzoncello e la donzelletta, la luna), sono quelli tipici della produzione del poeta. Così come il riferimento alla danza non è dissimile ad altri passi:
"(…) Era quel dolce
E irrevocabil tempo, allor che s'apre
Al guardo giovanil questa infelice
Scena del mondo, e gli sorride in vista
Di paradiso. Al garzoncello il core
Di vergine speranza e di desio
Balza nel petto; e già s'accinge all'opra
Di questa vita come a danza o gioco
Il misero mortal. Ma non sì tosto,
Amor, di te m'accorsi, e il viver mio
Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
Non altro convenia che il pianger sempre.(…)
O cara luna, al cui tranquillo raggio
Danzan le lepri nelle selve; e duolsi
Alla mattina il cacciator, che trova
L'orme intricate e false, e dai covili
Error vario lo svia; salve, o benigna
Delle notti reina."
(Leopardi, La vita solitaria, vv. 44-55; 70-75)
Nelle Ricordanze il verbo danzare esprime la lievità con cui si vive nella giovinezza. Analogia tra danza e gioventù che percorre tutti i canti. La canzone, composta nel 1829, ha chiari legami con A Silvia, e il tema della ricordanza/rimembranza è caro a tutta la seconda parte della produzione leopardiana (i cosiddetti canti pisano-recanatesi). Non ha caso, nello stralcio da noi riproposto, Leopardi rievoca la figura di Nerina/Silvia.
“(…)Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi (...)”.
(Leopardi, Canti, Le Ricordanze, vv.144-157)
Nel 1829 Leopardi compone anche Il sabato del villaggio, lirica simbolo della riflessione sulla giovinezza che spende la vita nell’attesa della felicità. Siamo all’interno della descrizione di una festa, e la danza diventa metafora della vanità umana.
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
(Leopardi, Canti, Il sabato del villaggio, vv. 1-15)
Leopardi, oltre alla produzione poetica, teneva una sorta di “diario” in cui annotava le sue riflessione linguistiche, letterarie, filosofiche, artistiche etc. Noto sotto il bel nome di Zibaldone contiene anche delle interessantissime annotazioni sulla danza. Questi appunti si possono dividere in due tipi: linguistici, e filosofici. Tutti sono comunque sintomatici della grandissima curiosità culturale del nostro poeta.
Note linguistiche:
“Ben è tanto vero, quanto naturale e inevitabile che le significazioni e proprietà primitive de' verbi continuativi, frequentativi, originarii, furono molte volte confuse nell'uso, non solo della barbara latinità, o delle lingue figlie, ma degli stessi buoni ed ottimi scrittori, massime da' non antichissimi. E si adoperò p.e. il continuativo nel significato del suo primo verbo; o perduto il primo verbo restò solo il continuativo, e s'adoprò in vece di quello (come noi italiani, francesi ec. diciamo saltare ec. per quello che i buoni latini dicevano salire, verbo oggi perduto in questa significazione, e trasferito ad un'altra ec. ec. (…)e per lo latino saltare, diciamo ballare, danzare ec.)”
(Leopardi, Zibaldone di pensieri, 29 Mag.-5 Giu. 1821)
“Diminutivi positivati. Chorea, carola, caroletta, quasi choreola. V. il Forc.[Forcellini] e gli etimologisti, e nóta che carola è propriamente ballo tondo, com'era quello dei cori, (…) e chorea ec.”
(Leopardi, Zibaldone di pensieri, 27. Luglio. 1824).
Le note filosofiche sono soprattutto pensieri attorno alle tradizioni degli antichi greci, e sulla predisposizione degli uomini ai piaceri.
“In proposito di quello che ho detto p.96. osservate come ragionevolmente gli antichi usassero la musica e la danza nei conviti, e segnatamente dopo il pranzo, come dice Omero nel primo dell'Odissea, e forse anche dove parla di Demodoco. L'uomo non è mai più disposto che in quel punto ad essere infiammato dalla musica e dalla bellezza, e da tutte le illusioni della vita."
(Leopardi, Zibaldone di pensieri, 21-22 Giu.1820)
Oppure sono riflessioni sulla capacità della mente umana di acquisire capacità mentali o fisiche, che non sono presenti da sempre ma si conquistano con l’applicazione. Il paragone del ballo è utile per chiarire il concetto: un corpo anche fisicamente portato alla danza deve comunque studiare per sapere ballare.
“La nostra mente in origine non ha altro che maggiore o minor delicatezza e suscettibilità di organi, cioè facilità di essere in diversi modi affetta, capacità, e adattabilità, o a tutti o a qualche determinato genere di apprensioni, di assuefazioni, concezioni, attenzioni. Questa non è propriamente facoltà, ma semplice disposizione. Nella mente nostra non esiste originariamente nessuna facoltà, neppur quella di ricordarsi. Bensì ell'è disposta in maniera che le acquista, alcune più presto, alcune più tardi, mediante l'esercizio; ed in alcuni ne acquista (gli altri dicono sviluppa) più, in altri meno, in alcuni meglio, in altri imperfettamente, in alcuni più, in altri meno facilmente, in alcuni così, in altri così modificate, secondo le circostanze, che diversificano quasi i generi di una stessa facoltà. Come una persona di corporatura sveltissima ed agilissima, è dispostissima al
ballo. Non però ha la facoltà del ballo, se non l'impara, ma solo una disposizione a poterlo facilmente e perfettamente imparare ed eseguire. Così dico di tutte le altre facoltà ed abilità materiali. Nelle quali ancora, oltre la disposizione felice del corpo, giova ancora quella della mente, e la facoltà acquisita di attendere, di assuefarsi e d'imparare. Senza cui, gli organi esteriori i meglio
disposti alla tale o tale abilità, stentano bene spesso non poco ad apprenderla, e conservarla. “
(Leopardi, Zibaldone di pensieri, 10 Set. 1821)
Inseriamo per analogia uno stralcio dell’opera I miei ricordi di Massimo D’Azeglio: anche in questo passo si dice che l’attitudine generale non produce subito una capacità, in qualunque campo. D’Azeglio sottolinea che come si deve studiare per anni danza per potersi dire ballerino, così bisogna sacrificarsi molto per diventare un eroe della patria. Segnaliamo l’interessantissimo inserto del termine battemens: prima attestazione del forestierismo a noi così comune. Può stupire che un letterato come D’Azeglio conosca questa terminologia, e la usi in un paragone che deve essere compreso da tutti. Possiamo quindi dire che alcuni tecnicismi di una disciplina, come la danza, erano già entrati a far parte del vocabolario comune e erano diventati termini facilmente comprensibili dagli interlocutori del libro.
“Per diventare buon schermidore bisogna tirare al muro per ore e ore; per diventar *ballerino* bisogna fare battemens a milioni, e che per farsi un'anima di ferro come era mio padre, e come vorrei vedere gli Italiani bisogna temprarsi, ed avvezzarsi a soffrire e sagrificare il poco, per giungere in seguito a sagrificare l'assai: - e allora uno può lusingarsi d'appartenere a quella razza
d'uomini destinata a fondare, come a salvare, come a restaurare le nazioni. “
(D’Azeglio, I Miei ricordi, Parte 1, cap.13)
Ritornando a Leopardi, questo breve excursus si conclude con la vastissima produzione delle lettere. I riferimenti a ballo e danza non sono pochi, ma per rendere una immagine anche diversa del Leopardi studiato sui libri di scuola, inseriamo una parte di una lettera inviata al fratello Carlo in cui descrive le ballerine romane.
“Non ti parlerò dello spettacolo del corso, che veramente è bello e degno d'esser veduto (intendo il corso di carnevale); nè dell'impressione che m'ha prodotto il ballo veduto colla lorgnette. Ti dico in genere che una donna nè col canto nè con altro qualunque mezzo può tanto innamorare un uomo quanto col ballo: il quale pare che comunichi alle sue forme un non so che di divino, ed al suo corpo una forza, una facoltà più che umana. Tu hai veduto di questi balli da festino, ma non hanno che far niente nè anche con quelli degli ultimi ballerini d'una pezza da teatro. Il waltz che questi talora eseguiscono, passa per un'inezia e una riempitura. In somma credimi che se tu vedessi una di queste ballerine in azione, ho tanto concetto dei tuoi propositi anterotici, che ti darei per cotto al primo momento“.
(Leopardi, Lettere a Carlo Leopardi da Roma, 1823)
tratto da: http://www.balletto.net/giornale.php?articolo=2194
:hi
All’Italia è la canzone che apre tutte le raccolte leopardiane a partire dall’edizione di Roma del 1818. Nel passo interessato parla degli eroi greci, e del loro valore anche nell’approssimarsi alla morte.
Parea ch'a danza e non a morte andasse
Ciascun de' vostri, o a splendido convito:
Ma v'attendea lo scuro
Tartaro, e l'onda morta;
Né le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l'aspro lito
Senza baci moriste e senza pianto.
(Leopardi, All’Italia, vv. 94- 100)
La Vita Solitaria, composta nel 1821, chiude la prima parte dei Canti, insieme a Consalvo e Alla sua donna. Si configura come una variazione sul tema della solitudine. Tutta la narrazione si snoda tra la tipica apertura leopardiana naturalistica e il riferimento alla “luna benigna” e la chiusura di riflessione intimistica. I temi (la giovinezza che fugge, la vana vita, la morte), i personaggi (il garzoncello e la donzelletta, la luna), sono quelli tipici della produzione del poeta. Così come il riferimento alla danza non è dissimile ad altri passi:
"(…) Era quel dolce
E irrevocabil tempo, allor che s'apre
Al guardo giovanil questa infelice
Scena del mondo, e gli sorride in vista
Di paradiso. Al garzoncello il core
Di vergine speranza e di desio
Balza nel petto; e già s'accinge all'opra
Di questa vita come a danza o gioco
Il misero mortal. Ma non sì tosto,
Amor, di te m'accorsi, e il viver mio
Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
Non altro convenia che il pianger sempre.(…)
O cara luna, al cui tranquillo raggio
Danzan le lepri nelle selve; e duolsi
Alla mattina il cacciator, che trova
L'orme intricate e false, e dai covili
Error vario lo svia; salve, o benigna
Delle notti reina."
(Leopardi, La vita solitaria, vv. 44-55; 70-75)
Nelle Ricordanze il verbo danzare esprime la lievità con cui si vive nella giovinezza. Analogia tra danza e gioventù che percorre tutti i canti. La canzone, composta nel 1829, ha chiari legami con A Silvia, e il tema della ricordanza/rimembranza è caro a tutta la seconda parte della produzione leopardiana (i cosiddetti canti pisano-recanatesi). Non ha caso, nello stralcio da noi riproposto, Leopardi rievoca la figura di Nerina/Silvia.
“(…)Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi (...)”.
(Leopardi, Canti, Le Ricordanze, vv.144-157)
Nel 1829 Leopardi compone anche Il sabato del villaggio, lirica simbolo della riflessione sulla giovinezza che spende la vita nell’attesa della felicità. Siamo all’interno della descrizione di una festa, e la danza diventa metafora della vanità umana.
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
(Leopardi, Canti, Il sabato del villaggio, vv. 1-15)
Leopardi, oltre alla produzione poetica, teneva una sorta di “diario” in cui annotava le sue riflessione linguistiche, letterarie, filosofiche, artistiche etc. Noto sotto il bel nome di Zibaldone contiene anche delle interessantissime annotazioni sulla danza. Questi appunti si possono dividere in due tipi: linguistici, e filosofici. Tutti sono comunque sintomatici della grandissima curiosità culturale del nostro poeta.
Note linguistiche:
“Ben è tanto vero, quanto naturale e inevitabile che le significazioni e proprietà primitive de' verbi continuativi, frequentativi, originarii, furono molte volte confuse nell'uso, non solo della barbara latinità, o delle lingue figlie, ma degli stessi buoni ed ottimi scrittori, massime da' non antichissimi. E si adoperò p.e. il continuativo nel significato del suo primo verbo; o perduto il primo verbo restò solo il continuativo, e s'adoprò in vece di quello (come noi italiani, francesi ec. diciamo saltare ec. per quello che i buoni latini dicevano salire, verbo oggi perduto in questa significazione, e trasferito ad un'altra ec. ec. (…)e per lo latino saltare, diciamo ballare, danzare ec.)”
(Leopardi, Zibaldone di pensieri, 29 Mag.-5 Giu. 1821)
“Diminutivi positivati. Chorea, carola, caroletta, quasi choreola. V. il Forc.[Forcellini] e gli etimologisti, e nóta che carola è propriamente ballo tondo, com'era quello dei cori, (…) e chorea ec.”
(Leopardi, Zibaldone di pensieri, 27. Luglio. 1824).
Le note filosofiche sono soprattutto pensieri attorno alle tradizioni degli antichi greci, e sulla predisposizione degli uomini ai piaceri.
“In proposito di quello che ho detto p.96. osservate come ragionevolmente gli antichi usassero la musica e la danza nei conviti, e segnatamente dopo il pranzo, come dice Omero nel primo dell'Odissea, e forse anche dove parla di Demodoco. L'uomo non è mai più disposto che in quel punto ad essere infiammato dalla musica e dalla bellezza, e da tutte le illusioni della vita."
(Leopardi, Zibaldone di pensieri, 21-22 Giu.1820)
Oppure sono riflessioni sulla capacità della mente umana di acquisire capacità mentali o fisiche, che non sono presenti da sempre ma si conquistano con l’applicazione. Il paragone del ballo è utile per chiarire il concetto: un corpo anche fisicamente portato alla danza deve comunque studiare per sapere ballare.
“La nostra mente in origine non ha altro che maggiore o minor delicatezza e suscettibilità di organi, cioè facilità di essere in diversi modi affetta, capacità, e adattabilità, o a tutti o a qualche determinato genere di apprensioni, di assuefazioni, concezioni, attenzioni. Questa non è propriamente facoltà, ma semplice disposizione. Nella mente nostra non esiste originariamente nessuna facoltà, neppur quella di ricordarsi. Bensì ell'è disposta in maniera che le acquista, alcune più presto, alcune più tardi, mediante l'esercizio; ed in alcuni ne acquista (gli altri dicono sviluppa) più, in altri meno, in alcuni meglio, in altri imperfettamente, in alcuni più, in altri meno facilmente, in alcuni così, in altri così modificate, secondo le circostanze, che diversificano quasi i generi di una stessa facoltà. Come una persona di corporatura sveltissima ed agilissima, è dispostissima al
ballo. Non però ha la facoltà del ballo, se non l'impara, ma solo una disposizione a poterlo facilmente e perfettamente imparare ed eseguire. Così dico di tutte le altre facoltà ed abilità materiali. Nelle quali ancora, oltre la disposizione felice del corpo, giova ancora quella della mente, e la facoltà acquisita di attendere, di assuefarsi e d'imparare. Senza cui, gli organi esteriori i meglio
disposti alla tale o tale abilità, stentano bene spesso non poco ad apprenderla, e conservarla. “
(Leopardi, Zibaldone di pensieri, 10 Set. 1821)
Inseriamo per analogia uno stralcio dell’opera I miei ricordi di Massimo D’Azeglio: anche in questo passo si dice che l’attitudine generale non produce subito una capacità, in qualunque campo. D’Azeglio sottolinea che come si deve studiare per anni danza per potersi dire ballerino, così bisogna sacrificarsi molto per diventare un eroe della patria. Segnaliamo l’interessantissimo inserto del termine battemens: prima attestazione del forestierismo a noi così comune. Può stupire che un letterato come D’Azeglio conosca questa terminologia, e la usi in un paragone che deve essere compreso da tutti. Possiamo quindi dire che alcuni tecnicismi di una disciplina, come la danza, erano già entrati a far parte del vocabolario comune e erano diventati termini facilmente comprensibili dagli interlocutori del libro.
“Per diventare buon schermidore bisogna tirare al muro per ore e ore; per diventar *ballerino* bisogna fare battemens a milioni, e che per farsi un'anima di ferro come era mio padre, e come vorrei vedere gli Italiani bisogna temprarsi, ed avvezzarsi a soffrire e sagrificare il poco, per giungere in seguito a sagrificare l'assai: - e allora uno può lusingarsi d'appartenere a quella razza
d'uomini destinata a fondare, come a salvare, come a restaurare le nazioni. “
(D’Azeglio, I Miei ricordi, Parte 1, cap.13)
Ritornando a Leopardi, questo breve excursus si conclude con la vastissima produzione delle lettere. I riferimenti a ballo e danza non sono pochi, ma per rendere una immagine anche diversa del Leopardi studiato sui libri di scuola, inseriamo una parte di una lettera inviata al fratello Carlo in cui descrive le ballerine romane.
“Non ti parlerò dello spettacolo del corso, che veramente è bello e degno d'esser veduto (intendo il corso di carnevale); nè dell'impressione che m'ha prodotto il ballo veduto colla lorgnette. Ti dico in genere che una donna nè col canto nè con altro qualunque mezzo può tanto innamorare un uomo quanto col ballo: il quale pare che comunichi alle sue forme un non so che di divino, ed al suo corpo una forza, una facoltà più che umana. Tu hai veduto di questi balli da festino, ma non hanno che far niente nè anche con quelli degli ultimi ballerini d'una pezza da teatro. Il waltz che questi talora eseguiscono, passa per un'inezia e una riempitura. In somma credimi che se tu vedessi una di queste ballerine in azione, ho tanto concetto dei tuoi propositi anterotici, che ti darei per cotto al primo momento“.
(Leopardi, Lettere a Carlo Leopardi da Roma, 1823)
tratto da: http://www.balletto.net/giornale.php?articolo=2194
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