Commento canto VI inferno!!

Stellina_luminosa
Ciao a tutti:hi Mi servirebbe il commento(no parafrasi) del VI canto dell'inferno...help me pleaseeee:dontgetit:)

Risposte
Stellina_luminosa
Ragàààà grazie a tutti!!! se c'è ancora qlks inserite!!!!

Scoppio
Qui puoi trovare un sacco di materiale utile sulla Divina Commedia:

https://www.skuola.net/dante/divina-commedia/

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Jello Biafra
INFERNO CANTO VI

Quando Dante si desta dallo svenimento causatogli dalla pietà per Paolo e Francesca, si trova di fronte ai tormenti del terzo cerchio : “Al tornar de la mente, che si chiuse ( alle sensazioni esterne)/ dinanzi a la pietà dei due cognati,/ che di tristizia ( angoscia) tutto mi confuse, novi tormenti e novi tormentati/ mi veggio intorno , come ch’io mi mova/ e ch’io mi volga, come che io guati/ Io sono al terzo cerchio…” vv. 1-7 . Qui vengono puniti i golosi , tormentati da una pioggia eterna , maledetta, fredda e pesante, che non muta mai né misura ( “regola” = norma) né qualità : la piova/ etterna maledetta, fredda e greve;/ regola e qualità mai non l’è nova./ Grandine grossa, acqua tinta (scura) e neve/ per l’aere tenebroso si riversa ; /pute ( puzza) la terra che questo riceve” vv. 7-12. Si tratta di una pena di origine biblica ( così sono ,infatti, puniti gli ebrei idolatri in Sap. 16,16), ma nuova in Dante è la sua applicazione ai golosi, secondo il criterio del contrappasso. L’acqua maleodorante è , infatti, posta a contrasto con la colpa di questi dannati: la delicatezza e la prelibatezza dei cibi da cui , in vita, furono attratti.
A custodia delle anime c’è Cerbero, mostro dell’Averno classico , un cane a tre teste e con i colli circondati da serpenti, noto perché Teseo, nella sua discesa agli Inferi , lo aveva vinto e trascinato fuori incatenato. Dante riprende questa figura ( come quelle di Caronte e Minosse) da
Virgilio e ne fa , come sempre, un demonio sottolineandone i tratti umani ( “occhi”, “barba”) ripugnanti e abietti. L’immagine di Virgilio ( Eneide VI 417-423; VIII 296-7), ma anche di Ovidio ( Met. IV, 4500-1; VII 413-19), viene così trasformata con un potente realismo e con un linguaggio che si richiama alle “Rime petrose”, per i suoni aspri ottenuti attraverso rime dette dallo stesso Dante “aspre e chiocce” ( Inferno XXXII,1): “Cerbero fiera crudele e diversa ( strana, deforme)/ con tre gole caninamente latra/ sovra la gente che quivi è sommersa./ Li occhi ha vermigli ( rossi) la barba unta e atra ( oscura),/ e ‘l ventre largo , e unghiate le mani;/ graffia li spirti ed iscoia ( scuoia) ed isquatra” ( squarta)./ Urlar li fa la pioggia come cani;/ de l’un dei lati fanno a l’altro schermo( con un fianco si difendono l’altro dalla pioggia);/ volgonsi spesso i miseri profani ( empi).”vv. 13-21
Quando Cerbero mostra ai due pellegrini le bocche e le zanne ( “sanne”) , Virgilio apre le mani e le riempie di terra che getta dentro le bramose gole: “E il duca mio distese le sue spanne ( la mano aperta) , / prese la terra e con piene le pugna ( la mano chiusa)/ la gittò dentro alle bramose canne ( gole)”. Come un cane che si acquieta dopo che gli è stato gettato del cibo, perché tutto impegnato a divorarlo, così le facce lorde di Cerbero si placano: “Qual è quel can che abbaiando agogna ( brama di mangiare) , e si racqueta poi che ‘l pasto morde,/ ché solo a divorarlo intende e pugna ( è attento e si affatica),/ cotai si fecer quelle facce lorde/ de lo demonio Cerbero, che ‘ntrona ( stordisce)/ l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.” V.. 28-33
Dante e Virgilio passano sopra le anime prostrate dalla pesante pioggia e , pertanto, sdraiate a terra , quando una di esse al loro passaggio si leva a sedere: “ Noi passavam su per l’ombre che adona ( domare, prostare nel senso di far stare giù) / la greve (pesante) pioggia, e ponevam le piante ( i piedi)/ sovra lor vanità ( le loro forme vuote) che par persona./ Elle giacean per terra tutte quante,/ fuor d’una ch’a seder si levò ratto ( appena che)/ che’ella ci vide passarsi davante.” Vv. 34-39. Si inizia così un dialogo fra l’anima che chiede di essere riconosciuta e Dante : “ O tu che se’ per questo ‘nferno tratto ( condotto),/ mi disse , “riconoscimi, se sai:/ tu fosti prima ch’io disfatto, fatto ( nascesti prima che io morissi)./ E io a lui : “ l’angoscia ( l’affanno) che tu hai forse ti tira fuor della mia mente ( memoria), sì che non par ch’i’ ti vedessi mai”( cosicché non mi sembra di averti mai visto). Ma dimmi chi tu se’ che ‘n sì dolente / loco se’ messo , e hai sì fatta pena, che, s’altra è maggio ( maggiore) , nulla è sì spiacente ( spiacevole). vv, 40-48.
L’anima allora si fa riconoscere e rimpiangendo la vita terrena (“ la vita serena” : il rimpianto della vita terrena è caratteristica tipica delle anime infernali che, sommerse nel dolore la vedono, al confronto con le angosce attuali, come il massimo della dolcezza e della serenità) , dice di provenire da Firenze , “sacco” colmo di invidia, e di chiamarsi Ciacco.
Si tratta di Ciacco, personaggio, non identificato nei documenti del tempo , ma che ricorre negli antichi, ad esempio in Boccaccio che gli dedicò una novella ( Decamerone IX , 8). Le notizie conosciute su di lui lo ritraggono come un uomo di corte dedito al vizio della gola , ma dotato di acume, una sorta di saggio giullare. Dunque un uomo di bassa condizione sociale che , come avviene nell’antico Testamento, si leva ad accusare i potenti: “Ed elli a me: La tua città ch’è piena/ d’invidia sì che già trabocca il sacco ( come un sacco colmo che trabocchi) ,/ seco mi tenne in la vita serena./ voi cittadini mi chiamaste Ciacco ( alcuni commentatori vedono in “Ciacco” un soprannome ( “maiale”) e non un nome proprio) :/ per la dannosa colpa della gola,/ come tu vedi a la pioggia mi fiacco ( sono prostrato sotto questa pioggia) . E io anima trista ( triste) non son sola ,/ ché tutte queste a simil pena stanno/ per simil colpa”. E più non fè parola./ vv. 49-57. Riconosciuto Ciacco, Dante esprime la propria pietà ( sentimento dominante nell’Inferno) per la sua condizione di dannato e gli rivolge tre precise domande: quale sarà il destino dei suoi concittadini fiorentini, se fra essi vi è qualcuno che sia giusto e quale è la causa della grande discordia che li ha assaliti “Io li risposi, “Ciacco, il tuo affanno/ mi pesa sì, ch’a lagrimar m’invita;/ ma dimmi, se tu sai a che verranno ( a quale esito arriveranno)/ li cittadin de la città partita ( divisa in fazioni);/ s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione/ perché l’ha tanta discordia assalita/ “vv. 57-63.
La risposta di Ciacco si sviluppa in tre sequenze secondo l’ordine delle tre domande di Dante. La prima riferisce l’esito delle lotte fra Bianchi e Neri. Le due parti, dopo lunga lotta, giungeranno a spargere sangue e in un primo momento i Bianchi , preso il sopravvento sugli avversari , li cacceranno dalla città : “E quelli a me : “ Dopo lunga tensione ( lotta)/ verranno al sangue ( giungeranno a spargimento di sangue) , e la parte selvaggia ( rustica, cioè proveniente dalla campagna , il contado: si tratta dei Bianchi)./ caccerà l’altra con molta offensione ( danno) vv. 64-66. Questi versi fanno riferimento ad una risa fra Cerchi e Donati ( Bianchi e Neri) avvenuta il primo maggio del 1300 in piazza Santa Trinita ( “verranno al sangue”) , dove fu ferito Ricoverino dei Cerchi . L’incidente secondo i cronisti del tempo ( Compagni I 22 e Villani VIII 39) fu l’occasione per la definitiva divisione politica fra Bianchi e Neri, così come la morte di Buondelmonte Buondelmonti ( ucciso dagli Amidei , per ragioni di onore familiare, Inferno XXVIII 106-108) causò la divisione fra Guelfi e Ghibellini. All’inizio della contesa prevarranno i Bianchi che nel giugno del 1301 , in seguito alla congiura detta di Santa Trinita ( la chiesa dove i Neri si radunavano , Compagni I 34) manderanno in esilio i principali esponenti dei Neri ( “caccerà l’altra con molta offensione”). Dopo tre anni , continua la profezia di Ciacco, i Bianchi cadranno in disgrazia e i Neri prevarranno, con l’aiuto del papa Bonifacio VIII. Il loro predominio e la loro oppressione sugli avversari durerà lungo tempo nonostante i lamenti e l’indignazione di quelli :” Poi appresso convien ( è necessario, è stabilito ) che questa caggia ( cada in basso) / infra tre soli ( in tre anni ) e che l’altra sormonti ( prevalga) / con la forza di tal che testè ( “che ora) piaggia ( si barcamena appoggiando ora una parte ora un'altra: l’espressione è metaforica e deriva dal linguaggio nautico : “piaggiare” come navigare senza accostarsi troppo né alla terra né al mare)./ Alte terrà lungo tempo le fronti, / tenendo l’altra sotto gravi pesi,/ come che di ciò pianga o che n’aonti ( per quanto essa se ne lamenti o se ne indigni) vv. 67-72. I versi si riferiscono al 1302 , l’anno in cui i Neri hanno il sopravvento sui bianchi con l’aiuto di Bonifacio VIII che, nel 1301, invia a Firenze , in loro aiuto, Carlo di Valois. Seguirà la cacciata dei Bianchi fra cui si colloca anche l’esilio di Dante.
Le risposte di Ciacco alle altre due domande di Dante sono racchiuse in soli tre efficacissimi versi: le persone giuste in Firenze sono pochissime e i mali che hanno causato al rovina della città sono la superbia, l’invidia e l’avarizia “ Giusti son due, e non vi sono intesi ; / superbia, invidia e avarizia sono/ le tre faville ( scintille) ch’hanno i cuori accesi” .
Quando Ciacco finisce di parlare, Dante rinnova le sue domande. Quello che adesso gli interessa di sapere è la sorte dei cittadini più insigni di Firenze nelle passate generazioni “Qui pose fine al lagrimabil suono ( discorso)./ E io a lui: “ Ancor vo’ (voglio) che m ‘insegni/ e che di più parlar mi facci dono ./ ( che mi conceda di parlare a me ancora un poco)./ Farinata e ‘l Tegghiaio, che fuor ( furono) sì degni,/ e li altri ch’a ben far puoser li ‘ngegni/ dimmi ove sono e fa ch’io li conosca; chè gran disio mi stringe di savere/ se ‘l ciel li addolcia o lo ‘nferno li attosca ( li amareggia da “tosco”= veleno) . Le anime di cui Dante vuole conoscere la condizione sono grandi personalità delle generazioni precedenti alle sue: Farinata degli Uberti, grande capo ghibellino vissuto nelle metà del 200 e protagonista del canto X dell’Inferno, quello degli eretici. Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari, un guelfo ricordato dal Boccaccia per aver sconsigliato i fiorentini di combattere, nel 1260, contro i senesi a Montaperti . Si trova fra i sodomiti, Inf. XVI 41. Iacopo Rusticucci , famoso capo di parte guelfa, il cui nome compare in numerosi documenti insieme a quello del Tegghiaio ( ad esempio i negoziati di pace tra San Gimignano e Volterra ). Anch’egli si trova fra i sodomiti Inf. XVI 44. L’Arrigo del verso 80. Si tratta di un personaggio che si trova solo in questo passo e che è stato diversamente identificato dalla critica: Con Odarrigo Fifanti, che insieme al Mosca, citato dopo, partecipò all’uccisione di Buondelmonte Buondelmonti; con Arrigo degli Arrigucci, consigliere del comune nel 1216; con Arrigo di Cascia, giudice ricordato nei documenti con il Rusticucci e il Tegghiaio. Mosca dei Lamberti , di importante famiglia ghibellina: onsigliò l’uccisione di Buondelmonte ; è fra i seminatori di discordie in Inferno XXVIII 1106. Nell’elenco si deve osservare come vengano alternati ghibellini e guelfi e come la dignità civile e umana , pur presente in questi personaggi, sia giudicata insufficiente al raggiungimento della salvazione. Elemento di giudizio, questo, fondamentale nell’Inferno: vedi ad esempio l’episodio di Brunetto latini , il maestro di Dante, nel canto XV dell’Inferno.
Si capisce così come al riconoscimento della loro dignità umana e civile ( a ben far puoser gli ‘ngegni v. 81) segua la condanna espressa dalle parole di Ciacco che in questo modo riferisce circa la sorte ultraterrena di questi grandi fiorentini : “ E quelli : “ Ei son tra l’anime più nere; / diverse colpe giù li grava al fondo ( al fondo dell’inferno dove sono puniti i peccati più gravi);/ se tanto scendi , là i ( essi) potrai vedere.” Vv. 85-87.
Dopo aver risposto alle domande di Dante, Ciacco lo prega di ricordarlo presso i vivi; è questa l’unica richiesta che le anime dell’Inferno faranno a Dante: per esse, infatti, l’unico modo di sopravvivere è quello di essere ricordate dai vivi per qualche cosa di degno e buono che abbiano compiuto nella loro vita. Conforto , questo, da cui gli ignavi sono esclusi, confermandosi così la loro trista situazione ; “ Fama di lor il mondo esser non lassa “ Inferno III, 49. Fatta questa richiesta , il dannato torce i suoi occhi, fino a quel momento dritti e umani (in quanto manifestazione di sentimenti e desideri umani simili a quelli di Dante che l’ascoltava) , in occhi biechi ( storti, in quanto disumani e bestiali , come quelli di tutti i dannati della gola che sono rappresentati alla stregua di Bestie): “Ma quando tu sarai nel dolce mondo ( notare la dolcezza del mondo terreno sempre espressa dai dannati che la contrappongono ai dolori infernali),/ priegoti ch’a la mente altrui mi rechi ( ti prego che mi ricordi alla memoria degli altri):/ più non ti dco e più non ti rispondo”./ Li dritti occhi torse allora in biechi” ( torse gli occhi dritti in storti); guardommi un poco e poi chinò la testa” / cadde con essa al par degli altri ciechi ( cadde con essa steso in terra al pari di tutti gli altri ciechi, dannati) vv. 88-93.
Virgilio assiste alla scena di Ciacco che, dopo aver parlato con Dante sollevandosi a sedere ( v. 38 “a seder si levò ratto”) ricade in terra con gli altri dannati ( v. 93 “cadde … a par degli altri ciechi”) e la commenta dicendo al discepolo che Ciacco non si risolleverà ( non si risveglierà) prima del giudizio universale , quando le anime dei morti, nell’imminenza del giudizio divino, rivedranno le loro tombe e riprenderanno i loro corpi : “E ‘l duca ( la mia guida) disse a me: “ Più non si desta ( non si risveglierà)/ di qua dal suon ( prima del suono) de l’angelica tromba, ( le trombe degli angeli che annunciano il giudizio universale)/ quando verrà la nimica podesta ( Cristo nemico dei dannati):/ ciascun rivederà la trista tomba ( Triste perché chiude morti senza speranza) ,/ ripiglierà sua carne e sua figura,/ udirà quel ch’in etterno rimbomba ( che echeggia in eterno con voce di tuono: le parole cioè del giudizio divino) v. 94-99. La rappresentazione del giudizio universale si rifà alle sacre scritture e in particolare a Matteo, 24, 30-31 e a Luca 21, 27, dove compare il termine “potestate”.
Parlando di queste cose Dante e Virgilio passano attraverso la lurida mistura di anime e di pioggia e Dante chiede alcuni chiarimenti sul destino futuro delle anime: dopo il giudizio universale i dolori dei dannati cresceranno, diminuiranno o saranno sempre gli stessi? : “ Sì trapassammo per sozza mistura / de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti,/ toccando un poco la vita futura ( toccando l’argomento della vita futura);/ per ch’io dissi : “ Maestro esti tormenti / crescerann’ei dopo la gran sentenza,/ o fier minori, o saranno sì cocenti?”.
Virgilio esorta il discepolo a rifarsi alla filosofia aristotelica a lui ben nota secondo cui quanto più un essere è perfetto tanto più prova la gioia del proprio operare (Aristotele, Etica Xv) e parallelamente, aggiunge il poeta latino, il dolore. Ora dal momento che ( sempre in base allo stesso Aristotele , De anima II, I 412, e a San Tommaso , che ad Aristotele si rifà) l’essere umano è più perfetto quando è nella sua completezza di anima e corpo, i dannati saranno più “perfetti” ( anche se di vera perfezione per essi non si può parlare) dopo il giudizio universale. La conclusione del sillogismo , non tirata da Virgilio, è chiara: dopo il giudizio universale i dannati soffriranno di più in quanto dotati di una maggiore perfezione dovuta all’unione dell’anima con i recuperati corpi : “ Ed elli a me : “ Ritorna a tua scienza , che vuol, quanto la cosa è più perfetta, / più senta il bene , e così la doglianza ( il dolore)./ Tutto che ( sebbene) questa gente maledetta ( i dannati)/ in vera perfezion già mai non vada, / di là più che di qua essere aspetta = aspettano un essere più pieno ( cioè più perfetto: con “più essere” inteso come infinito sostantivato) di là del giudizio (cioè dopo di esso: “di là”) più che di qua ( più che di qua del giudizio, cioè prima di esso).
Dante e Virgilio percorron la circonferenza del cerchio e giungono nel punto in cui si scende al cerchio seguente. Qui trovano un altro mostro infernale, Pluto : “ Noi aggirammo a tondo quella strada ( la circonferenza de cerchio) ,/ parlando più assai ch’io non ridico ( parlando di molte più cose di quelle che io posso ridire) /; e giungemmo al punto dove si digrada (si scende nel cerchio seguente):/ quivi trovammo Pluto, il gran nimico.

TEMI E MOTIVI DEL CANTO
Rispetto alla solennità classica del Canto IV ( i grandi personaggi del limbo) e rispetto alla drammaticità del canto V ( il dramma di Paolo e Francesca) , il canto VI presenta un tono ( un registro stilistico ) meno elevato: quello stile che Dante chiama “comico” e che nella lettera a Cangrande ritiene tipico della sua Commedia. Questo nuovo registro è indotto dallo stesso personaggio principale del canto, Ciacco ( un umile uomo di corte e non un personaggio della storia leggendaria e del mito, come avveniva nel canto V) e dalla stessa natura vile del peccato ( la gola) che in base alla norma poetica della “convenienza” ( fra lo stile e l’oggetto del canto) implica l’abbassamento del tono. Si ha così il passaggio dal registro alto , epico, del canto V, a un registro realistico che recupera certe forme poetiche già utilizzate da Dante nelle “Rime Petrose” ( le rime aspre e “chiocce”, ad esempio).
Nonostante l’abbassamento del tono i motivi del canto sono fra quelli fondamentali della “Commedia” e coincidono con le tre domande rivolte da Dante a Ciacco:
1) Il tema politico della corruzione morale ( tipico di tutti i canti sesti della “Commedia”) già accennato nel primo canto con la profezia del Veltro ( “superbia , invidia e avarizia sono / le tre faville ch’hanno i cuori accesi” v. 74)
2) Il motivo del contrasto fra i valori terreni e i valori eterni, tipico di tutta la Commedia e connesso alla sorte dei grandi cittadini fiorentini della generazione passata: la loro condanna , nella prospettiva terrena, nonostante il loro corretto agire , nella prospettiva umana ( “ch’a ben fare puoser li ‘ngegni v. 81) mostra che il “ben fare” umano non è sufficiente alla salvezza eterna, cosa che verrà sempre ribadita nella cantica : vedi i canti di Farinata e Brunetto Latini
3) Il motivo connesso al giudizio universale e al destino del corpo, un tema centrale, questo, poi ripreso nel Purgatorio ( Purg. XXX 133-18 ) e nel Paradiso ( Par. XXX 124-129)
Oltre i tre motivi indicati, il canto presenta altri elementi , tematici e strutturali , ricorrenti nella Cantica:
A) innanzi tutto, dal punto di vista tematico, la consapevolezza etica e la chiara coscienza morale di Ciacco, ( poi tipica di tutti i dannati) che riconosce la propria colpa e considera giusta la sua condanna : “ per la dannosa colpa della gola ,/ come tu vedi , a la pioggia mi fiacco vv.53-54
B) poi, dal punto di vista strutturale, la struttura del canto che si presenta quasi come un arco o parabola : descrizione iniziale, incontro e riconoscimento ( con il centrale nucleo emotivo) e decrescendo finale con digressione e colloquio in toni più tranquilli. Una struttura questa in cui il punto di più intensa tensione emotiva è ( è sarà sempre nella Cantica) caratterizzato dall’incontro ( uomo a uomo) con l’anima di un concittadino che si leva fra le altre.

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