Analisi del testo poetico della Poesia Arano ! (78751)
Qualcuno mi può aiutare con l'analisi del testo poetico della poesia arano?
Miglior risposta
Tema o argomento
-il paesaggio autunnale (il campo, le viti dalle foglie rossastre, la nebbia),
-i contadini intenti alla semina,
-gli uccelli che scrutano la scena pronti a beccare i semi.
-i gesti dei contadini sullo sfondo del paesaggio
struttura metrica o metro
Si tratta di un madrigale,ovvero un componimento senza regole fisse o particolari. Si osservano due terzine e una quartina,il metro è l'endecasillabo
tipo di linguaggio, scelta dal lessico
aspetto fonico e sintattico
aspetto stilistico
Questi tre aspetti sono ben trattati nell'analisi che ti do fornito nel messaggio di prima(sarebbe inutile riportarle tutto il pezzo di nuovo)
Vita e opere dell'autore
Ti consiglio di guardare qui
https://www.skuola.net/appunti-italiano/giovanni-pascoli/giovanni-pascoli-vita-opere.html
-il paesaggio autunnale (il campo, le viti dalle foglie rossastre, la nebbia),
-i contadini intenti alla semina,
-gli uccelli che scrutano la scena pronti a beccare i semi.
-i gesti dei contadini sullo sfondo del paesaggio
struttura metrica o metro
Si tratta di un madrigale,ovvero un componimento senza regole fisse o particolari. Si osservano due terzine e una quartina,il metro è l'endecasillabo
tipo di linguaggio, scelta dal lessico
aspetto fonico e sintattico
aspetto stilistico
Questi tre aspetti sono ben trattati nell'analisi che ti do fornito nel messaggio di prima(sarebbe inutile riportarle tutto il pezzo di nuovo)
Vita e opere dell'autore
Ti consiglio di guardare qui
https://www.skuola.net/appunti-italiano/giovanni-pascoli/giovanni-pascoli-vita-opere.html
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Risposte
Grazie Mielina ...
Tema o argomento
struttura metrica o metro
tipo di linguaggio, scelta dal lessico
aspetto fonico e sintattico
aspetto stilistico
Vita e opere dell'autore
struttura metrica o metro
tipo di linguaggio, scelta dal lessico
aspetto fonico e sintattico
aspetto stilistico
Vita e opere dell'autore
Pascoli sembra offrirci con questo madrigale un quadretto campestre costituito da tre elementi:
-il paesaggio autunnale (il campo, le viti dalle foglie rossastre, la nebbia),
-i contadini intenti alla semina,
-gli uccelli che scrutano la scena pronti a beccare i semi.
A una prima lettura si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una descrizione realistica, minuziosa e oggettiva: i gesti dei contadini si incidono netti sullo sfondo del paesaggio delineato con pochi ma precisi tocchi in tutti i suoi aspetti; altrettanto evidenti sono l’immagine venata di lieve umorismo del passero saputo che dai rami del moro (l’indicazione precisa della pianta è un altro tratto realistico) pregusta in cuor suo il cibo, e quella del pettirosso che leva dalla siepe il suo canto limpido e sottile come il trillo di un campanello d’oro.
La prima terzina è contrassegnata da sensazioni visive: il colore rossastro delle foglie di vite reso più vivo dal verbo brilla del secondo verso, la nebbia leggera che, viceversa, sembra sfumare i colori.
Nella terza strofa predomina la sensazione auditiva del trillo del pettirosso che dall’ultimo verso si diffonde per tutta la quartina grazie all’effetto onomatopeico dei fonemi t ed s disseminati un po’ in tutti i versi.
La seconda terzina differisce invece dalle altre strofe perchè dà l’impressione di una totale assenza di colore e di movimento. Eppure se consideriamo il livello denotativo del testo vi troviamo sia suoni sia gesti. L’aria deve essere piena di voci e di rumori, dato che i contadini sono intenti al lavoro dell’aratura e uno di loro incita le vacche con grida continue. Tuttavia la sensazione che se ne ricava, come osserva il critico Giacomo Debenedetti, è quella di una «immensità silen- ziosa», di «una trasecolata, vastissima immobilità [...], le figure degli uomini appaiono minuscole, come se fossero osservate con un binocolo rovesciato, i suoni si rapprendono nell’atmosfera come se un cristallo si frapponesse fra noi e quella scena», i gesti sono come sospesi, bloccati in un’immobilità stupita. La scena perde dunque i suoi connotati realistici e diviene astratta, quasi irreale.
Cominciamo dalla punteggiatura che nella seconda terzina è adoperata in modo tale da rallentare il ritmo del verso. L’intera strofa è infatti scandita da pause frequenti e nette che comunicano una sensazione di lentezza e quasi di immobilità in contrasto con quanto viene espresso sul piano del significato. Le pause inoltre sembrano distanziare l’una dall’altra le azioni che appaiono lontane come proiettate in una vastità infinita. Nella prima e nella terza strofa, invece, dove non è più necessario comunicare questa impressione di lentezza, la punteggiatura si accorda con le pause del verso e i periodi si snodano in modo fluido e disteso.
Se ora consideriamo le strutture sintattiche, notiamo che nella seconda terzina la sintassi è frantumata, slegata. Pascoli – osserva ancora Debenedetti – «ha preso a martellate» il periodo frantumandolo in una serie di proposizioni elementari, scarne, rese ancor meno fluide dalle inversioni e dall’enjambement (a lente grida, uno le lente / vaccke spinge); esse, collocate l’una accanto all’altra come schegge irte, frenano la naturale cadenza del verso. Per rafforzare ulteriormente l’effetto ottenuto con la punteggiatura e la sintassi, il poeta ricorre anche a degli «urti di suoni»: per esempio al v. 4 la ripetizione dell’aggettivo lente e l’allitterazione (a lente grida uno le lente / vacche) creano difficoltà di pronuncia; il v. 6 con la dieresi su paziente e la fastidiosa successione di r (ribatte /le porche con sua marra) sembra percorso da una specie di «antimusica». La seconda terzina, insomma, ha un doppio ritmo: quello naturale dell’endecasillabo che procede verso la cadenza finale e quello nascosto, ottenuto con i mezzi stilistici sopra esaminati, che procede in senso inverso al primo e lo frena, lo altera creando un’impressione di silenziosa immobilità ma anche di fatica. La lentezza del ritmo infatti riproduce la lentezza faticosa del lavoro contadino che si ripete sempre uguale di anno in anno e di generazione in generazione.
Troveremo altrove pitture ottenute con la stessa grafia, questo disegno piuttosto statico che dinamico, e i valori determinati piuttosto col chiaroscuro che col colore; il quale semmai è colore senza colore, senza vivacità cromatica di tinte vistose, impastato su una tavolozza di gamme sull’ocra e sul bruno, quei colori che i pittori chiamano “terre”. Troveremo altri quadri e composizioni analoghi: si tratta di un modo di visioni tipico del Pascoli, e che cercheremo di precisare, quando avremo raccolto altri elementi. Il critico Benedetti cita questa terzina a mostrare come la poesia ‘Arano’ sia una ‘visione infinita in cui le persone si muovono con un ritmo eternamente uguale, come di sonnanbule’ a cui contrappone il pettirosso che innalza dalla siepe il ‘suo sottil tintinno come d’oro’. Alla base del commento della Benedetti c’è una percezione giusta, che ci risulta tradita dal modo in cui è espressa. Più che l’impressione di sonnambuli, quei contadini, che nell’immensità silenziosa si muoverebbero con ritmo eternamente uguale, creano una visione miracolosamente stupita, perché quel loro muoversi genera il senso di una trasecolata, vastissima immobilità. E la vastità è ottenuta con figure minute, da scena fiamminga: e quelle figure, quantunque presentate con tratti sommari, essenziali, ci paiono vedute, osservate in proporzioni minori del vero con un binocolo rovesciato. E infine uno grida, e uno batte con la marra: l’aria è piena di voci e di rumori, eppure il senso è quello del silenzio, quei suoni si rapprendono nell’atmosfera come se un cristallo si frapponesse fra noi e quella scena, e uno strato d’aria non conduttrice di suoni. Quei rumori e suoni ci pare di vederli non sentirli, come se invece di propagarsi, rimanessero scritti nei gesti dei contadini.
Gli effetti sono gli stessi di quando Pascoli riferisce una scena dipinta, dove il moto è immobilizzato, il suono congelato nella silenziosità ed eternità dell’affresco.
Curiosa situazione nella quale tutti gli effetti d’insieme, vastità, immobilità, silenzio, paiono creati con mezzi che contrastano proprio con questi effetti. E ancora si potrebbe osservare che la composizione del quadro è ottenuta attraverso notazioni staccate, slegate, come colte casualmente a grande distanza una dall’altra: ...arano..uno le lente vacche spinge...altri semina. Per trascrivere quelle distanze, ci pare che in prosa non avremmo che gli odiosi puntini di sospensione. Ma il Pascoli, che scrive in versi, non ne ha bisogno. Ha frantumato al massimo, slegata la sintassi; ha preso a martellare ogni complessità del periodo, ottenuto proposizioni elementari, soggetto, predicato: un predicato scarno, che segna l’azione senza colorirla, nè muoverla, insomma, si comporta come un predicato di esistenza.
Tratto e riadattato da
http://members.fortunecity.it/alfio/alfio/aranpascoli.htm
:hi
-il paesaggio autunnale (il campo, le viti dalle foglie rossastre, la nebbia),
-i contadini intenti alla semina,
-gli uccelli che scrutano la scena pronti a beccare i semi.
A una prima lettura si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una descrizione realistica, minuziosa e oggettiva: i gesti dei contadini si incidono netti sullo sfondo del paesaggio delineato con pochi ma precisi tocchi in tutti i suoi aspetti; altrettanto evidenti sono l’immagine venata di lieve umorismo del passero saputo che dai rami del moro (l’indicazione precisa della pianta è un altro tratto realistico) pregusta in cuor suo il cibo, e quella del pettirosso che leva dalla siepe il suo canto limpido e sottile come il trillo di un campanello d’oro.
La prima terzina è contrassegnata da sensazioni visive: il colore rossastro delle foglie di vite reso più vivo dal verbo brilla del secondo verso, la nebbia leggera che, viceversa, sembra sfumare i colori.
Nella terza strofa predomina la sensazione auditiva del trillo del pettirosso che dall’ultimo verso si diffonde per tutta la quartina grazie all’effetto onomatopeico dei fonemi t ed s disseminati un po’ in tutti i versi.
La seconda terzina differisce invece dalle altre strofe perchè dà l’impressione di una totale assenza di colore e di movimento. Eppure se consideriamo il livello denotativo del testo vi troviamo sia suoni sia gesti. L’aria deve essere piena di voci e di rumori, dato che i contadini sono intenti al lavoro dell’aratura e uno di loro incita le vacche con grida continue. Tuttavia la sensazione che se ne ricava, come osserva il critico Giacomo Debenedetti, è quella di una «immensità silen- ziosa», di «una trasecolata, vastissima immobilità [...], le figure degli uomini appaiono minuscole, come se fossero osservate con un binocolo rovesciato, i suoni si rapprendono nell’atmosfera come se un cristallo si frapponesse fra noi e quella scena», i gesti sono come sospesi, bloccati in un’immobilità stupita. La scena perde dunque i suoi connotati realistici e diviene astratta, quasi irreale.
Cominciamo dalla punteggiatura che nella seconda terzina è adoperata in modo tale da rallentare il ritmo del verso. L’intera strofa è infatti scandita da pause frequenti e nette che comunicano una sensazione di lentezza e quasi di immobilità in contrasto con quanto viene espresso sul piano del significato. Le pause inoltre sembrano distanziare l’una dall’altra le azioni che appaiono lontane come proiettate in una vastità infinita. Nella prima e nella terza strofa, invece, dove non è più necessario comunicare questa impressione di lentezza, la punteggiatura si accorda con le pause del verso e i periodi si snodano in modo fluido e disteso.
Se ora consideriamo le strutture sintattiche, notiamo che nella seconda terzina la sintassi è frantumata, slegata. Pascoli – osserva ancora Debenedetti – «ha preso a martellate» il periodo frantumandolo in una serie di proposizioni elementari, scarne, rese ancor meno fluide dalle inversioni e dall’enjambement (a lente grida, uno le lente / vaccke spinge); esse, collocate l’una accanto all’altra come schegge irte, frenano la naturale cadenza del verso. Per rafforzare ulteriormente l’effetto ottenuto con la punteggiatura e la sintassi, il poeta ricorre anche a degli «urti di suoni»: per esempio al v. 4 la ripetizione dell’aggettivo lente e l’allitterazione (a lente grida uno le lente / vacche) creano difficoltà di pronuncia; il v. 6 con la dieresi su paziente e la fastidiosa successione di r (ribatte /le porche con sua marra) sembra percorso da una specie di «antimusica». La seconda terzina, insomma, ha un doppio ritmo: quello naturale dell’endecasillabo che procede verso la cadenza finale e quello nascosto, ottenuto con i mezzi stilistici sopra esaminati, che procede in senso inverso al primo e lo frena, lo altera creando un’impressione di silenziosa immobilità ma anche di fatica. La lentezza del ritmo infatti riproduce la lentezza faticosa del lavoro contadino che si ripete sempre uguale di anno in anno e di generazione in generazione.
Troveremo altrove pitture ottenute con la stessa grafia, questo disegno piuttosto statico che dinamico, e i valori determinati piuttosto col chiaroscuro che col colore; il quale semmai è colore senza colore, senza vivacità cromatica di tinte vistose, impastato su una tavolozza di gamme sull’ocra e sul bruno, quei colori che i pittori chiamano “terre”. Troveremo altri quadri e composizioni analoghi: si tratta di un modo di visioni tipico del Pascoli, e che cercheremo di precisare, quando avremo raccolto altri elementi. Il critico Benedetti cita questa terzina a mostrare come la poesia ‘Arano’ sia una ‘visione infinita in cui le persone si muovono con un ritmo eternamente uguale, come di sonnanbule’ a cui contrappone il pettirosso che innalza dalla siepe il ‘suo sottil tintinno come d’oro’. Alla base del commento della Benedetti c’è una percezione giusta, che ci risulta tradita dal modo in cui è espressa. Più che l’impressione di sonnambuli, quei contadini, che nell’immensità silenziosa si muoverebbero con ritmo eternamente uguale, creano una visione miracolosamente stupita, perché quel loro muoversi genera il senso di una trasecolata, vastissima immobilità. E la vastità è ottenuta con figure minute, da scena fiamminga: e quelle figure, quantunque presentate con tratti sommari, essenziali, ci paiono vedute, osservate in proporzioni minori del vero con un binocolo rovesciato. E infine uno grida, e uno batte con la marra: l’aria è piena di voci e di rumori, eppure il senso è quello del silenzio, quei suoni si rapprendono nell’atmosfera come se un cristallo si frapponesse fra noi e quella scena, e uno strato d’aria non conduttrice di suoni. Quei rumori e suoni ci pare di vederli non sentirli, come se invece di propagarsi, rimanessero scritti nei gesti dei contadini.
Gli effetti sono gli stessi di quando Pascoli riferisce una scena dipinta, dove il moto è immobilizzato, il suono congelato nella silenziosità ed eternità dell’affresco.
Curiosa situazione nella quale tutti gli effetti d’insieme, vastità, immobilità, silenzio, paiono creati con mezzi che contrastano proprio con questi effetti. E ancora si potrebbe osservare che la composizione del quadro è ottenuta attraverso notazioni staccate, slegate, come colte casualmente a grande distanza una dall’altra: ...arano..uno le lente vacche spinge...altri semina. Per trascrivere quelle distanze, ci pare che in prosa non avremmo che gli odiosi puntini di sospensione. Ma il Pascoli, che scrive in versi, non ne ha bisogno. Ha frantumato al massimo, slegata la sintassi; ha preso a martellare ogni complessità del periodo, ottenuto proposizioni elementari, soggetto, predicato: un predicato scarno, che segna l’azione senza colorirla, nè muoverla, insomma, si comporta come un predicato di esistenza.
Tratto e riadattato da
http://members.fortunecity.it/alfio/alfio/aranpascoli.htm
:hi