Morte e grandezza re pirro

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morte e grandezza di re pirro

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Di origini illiriche, la giovinezza di Pirro fu tutto fuorché quieta. Poiché il padre, Eacide, era stato cacciato dal suo regno dai suoi sudditi in rivolta ed era deceduto di morte violenta, Pirro fu prima accolto da Glauco (re dei Taulanti, una delle più importanti tribù d'Illiria) e poi, all'età di tredici anni, fu rimesso al posto di comando che gli spettava. Fu nuovamente detronizzato da suo cugino Neottolemo II all'età di diciassette anni, mentre era fuori dal suo regno per assistere al matrimonio del figlio di Glauco, in Illiria. Dopo la morte del padre il fratello Genti e la sorella Teuta suddivisero il regno in tre parti, con Genti impossessatosi della parte settentrionale e Teuta della centrale, mentre a Pirro rimase la porzione meridionale. Pirro stesso al sud, fu Principe di uno Stato formatosi accanto alla Macedonia e che rifondò il proprio esercito ispirandosi a quello di Alessandro Magno.
Si rivolse alla protezione di Antigono Monoftalmo, re di Macedonia, e del figlio Demetrio. Prese parte con loro alla IV guerra dei Diadochi, in particolare nella battaglia di Ipso in Frigia (301 a.C.), dove si distinse per le doti di comando. Demetrio, però, lo inviò come ostaggio a Tolomeo I d'Egitto nel corso dei negoziati che seguirono.
In quella condizione di semi-prigionia conobbe e sposò Antigone, figlia di Berenice, terza moglie di Tolomeo: strinse così un'alleanza che gli permise nel 298 a.C. di tornare nell'Epiro da sovrano, costringendo il cugino usurpatore a dividere il trono assieme a lui. Una diarchia che non durò molto, se è vero che Neottolemo morì avvelenato dopo qualche mese. Nel frattempo morì Antigone e Pirro si consolò risposandosi con Lanassa, figlia di Agatocle di Siracusa, che gli portò in dote Corcira, Ambracia, Leucade e l'Acarnania.
Nel 288 a.C. Forte di un esercito di 12000 uomini, Pirro approfittò dell'anarchia e del caos ancora ampiamente distruttivi nelle istituzioni dopo la morte di Alessandro Magno, per muovere guerra al suo fratellastro ed ex-alleato Demetrio: nel 288 a.C. aveva conquistato più della metà del regno macedone, anche grazie all'aiuto di Lisimaco di Tracia, e ne era diventato monarca. In tre anni di regno, Pirro dapprima riuscì a conquistare anche il resto delle terre un tempo possedute da Demetrio, per poi venirne scacciato da Lisimaco stesso.Pirro sbarcò in Italia nel 280 a.C. con 3.000 cavalieri, 2.000 arcieri, 500 frombolieri, 20.000 fanti e 20 elefanti da guerra.
Grazie alla superiorità della cavalleria e alla potenza degli elefanti egli batté nella battaglia di Heraclea i Romani, guidati dal console Publio Valerio Levino. I Romani persero circa 7000 uomini, in una sconfitta assicurata anche dallo spavento che gli italici ebbero alla visione dei pachidermi, a loro sconosciuti; Pirro perse 4000 uomini, che però furono presto rimpiazzati dai soldati di alcune tribù italiche (Lucani, Bruzi e Messapi) e città greche (Crotone, Locri Epizefiri) le quali, alla notizia della vittoria, ne approfittarono per unirsi a lui. La nuova situazione di vantaggio permise a Pirro di proporre una tregua a Roma, che però fu rifiutata. Pirro passò l'inverno tra il 280 e il 279 in Campania, prima di invadere la Puglia.
Nel 279 a.C. i Romani si scontrarono con Pirro ad Ascoli Satriano, dove furono nuovamente sconfitti (persero 6000 uomini) infliggendo tuttavia, in proporzione, perdite talmente alte alla coalizione greco-italico-epirota (3500 soldati) che Pirro fu costretto a riparare in Sicilia con l'esercito, presso quelle stesse città che pretendeva di proteggere, per evitare ulteriori scontri coi romani. Si narra abbia dichiarato, alla fine della battaglia, «Ἂν ἔτι μίαν μάχην νικήσωμεν, ἀπολώλαμεν» («un'altra vittoria così sui Romani e sarò perduto»).
Da questo episodio l'uso del termine vittoria di Pirro o pirrica.Nel 278 a.C. Pirro ricevette due offerte allo stesso tempo: da un lato, le città greche di Sicilia gli proposero di scacciare i Cartaginesi (l'altra grande potenza del Mediterraneo occidentale) dalla metà occidentale dell'isola; dall'altro, i Macedoni gli chiesero di salire al trono di Macedonia al posto di re Tolomeo Cerauno, decapitato nell'invasione della Grecia e della Macedonia da parte dei Galli. Pirro giunse a conclusione che le opportunità maggiori venivano dall'avventura in Sicilia, e decise di restare.
Fu così nominato re di Sicilia, e i suoi piani prevedevano la spartizione dei territori fin lì conquistati tra i due figli, Eleno (a cui sarebbe andata la Sicilia) e Alessandro (a cui sarebbe andata l'Italia). Nel 277 a.C. espugnò Erice, la più munita fortezza filo-cartaginese sull'isola, e questo rese quasi naturale la defezione delle altre città controllate dai punici.
Nel 276 Pirro intavolò trattative coi cartaginesi. Per quanto essi fossero già pronti a venire a patti con Pirro, e fornirgli denaro e navi quando fossero stati ripristinati rapporti amichevoli, questi richiese che tutti i cartaginesi lasciassero l'isola per fare del mare una linea di confine tra punici e greci. Al loro rifiuto seguì l'assedio infruttuoso di Lilibeo che, unito al suo comportamento dispotico nei confronti delle colonie siceliote, causò un'ondata di risentimento nei suoi confronti: Pirro fu costretto ad abbandonare la Sicilia inseguito dai Cartaginesi ed a tornare in Italia.
La fine della guerra (275 a.C.) [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Battaglia di Benevento (275 a.C.).
Qui, i Romani lo aspettavano: nel 275 a.C. mossero a battaglia contro un esercito epirota stanco e provato da anni di lotte lontano dalla patria, presso Maleventum. La sconfitta di Pirro fu decisiva, e in ricordo della battaglia i romani ribattezzarono il villaggio Beneventum.
Ritorno in Epiro [modifica]


Busto di Pirro di epoca romana, dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Pirro abbandonò la campagna d'Italia e tornò in Epiro, dove, non pago del grave prezzo in uomini, denaro e mezzi della sua avventura a Occidente, due anni dopo preparò un'altra spedizione bellica contro Antigono II Gonata: il successo fu facile e Pirro tornò a sedersi sul trono macedone.
Nel 272 a.C., Cleonimo, nobile spartano che si era inimicato le autorità della sua città, chiese a Pirro di attaccarla, affinché lui stesso potesse comandarla nel nome dell'Epiro. Pirro si dichiarò d'accordo nella volontà di ottenere per sé il controllo del Peloponneso, ma il suo esercito trovò un'inaspettata resistenza, tale da impedirgli ogni assalto su Sparta. Gli fu comunque offerta la possibilità di intervenire su una disputa interna alla città di Argo.
Entrato di soppiatto con l'esercito in città, Pirro si ritrovò coinvolto in una confusa battaglia strada per strada. Una donna anziana, vedendolo dal tetto della sua casa, gli lanciò una tegola che secondo quanto si dice, lo colpì e lo distrasse, permettendo a un soldato argivo di ucciderlo.
L'eredità di Pirro [modifica]
Anche se non fu sempre un re saggio e men che mai moderato, la sua leadership fu instancabile e vivace. È ricordato come uno dei più brillanti capi militari del suo tempo, classificato da Annibale stesso come il secondo più grande, dopo Alessandro Magno. Pirro passò anche alla storia come una persona molto generosa ma fu proprio questa la sua più grande debolezza politica infatti lasciò per i doni, le spese militari e gli aiuti ai cittadini, le casse dello stato in crisi.
Si dimostrò tuttavia molto attivo e capace: riorganizzò lo stato rafforzando i propri poteri, organizzò un governo centrale e abbellì le città. Purtroppo, non lasciando un successore degno di nota, l'Epiro decadde e divenne vassallo prima della Macedonia, poi degli Etoli e infine fu occupato da Roma.
Scrisse un memoriale e diversi libri sull'arte della guerra, testi che andarono perduti nonostante le influenze che lasciarono in seguito su Annibale e gli elogi che ricevettero da Cicerone.

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http://it.wikipedia.org/wiki/Pirro

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