Aiuto è urgentissimo
vi prego potete scrivermi la traduzione di questa versione?generosità di cesare è di plutarco
Risposte
lo so ma kn quel titolo non ho nulla...però quella è tutta l opera di plutarco su cesare
lei ha chiesto una versione....
RITRATTO DI CESARE 1
] Chi suscitò e coltivò questa risolutezza e questo spirito di emulazione nelle sue truppe fu Cesare stesso. Egli prima di tutto elargì senza risparmio denaro e beneficenza. Così dava a vedere di non voler ottenere dalle spedizioni di guerra ricchezze che servissero al suo lusso e al suo benessere personale, ma metteva da parte e conservava per premiare chiunque compisse un atto di valore: la sua parte di ricchezza consisteva in ciò che dava ai suoi soldati meritevoli. In secondo luogo si sottopose di sua volontà ad ogni loro rischio e non si sottrasse a nessuna delle loro fatiche. Che amasse il pericolo non stupiva i suoi uomini perché sapevano quanto era ambizioso; ma la sua resistenza ai disagi superiore alla forza apparente del suo corpo li meravigliava. Cesare era di costituzione fisica asciutta di carnagione bianca e delicata; subiva frequenti mal di testa e andava soggetto ad attacchi di epilessia: la prima manifestazione l’ebbe, sembra, a Cordova. Eppure non sfruttò la sua debolezza come un pretesto per essere trattato con riguardo; al contrario fece del servizio militare una cura della propria debolezza. Compiendo lunghe marce consumando pasti frugali dormendo costantemente a cielo aperto, sottoponendosi ad ogni genere di disagi, combattè i suoi malanni e serbò il suo corpo ben difeso dai loro assalti. Si coricava la maggior parte delle notti su qualche veicolo e nella lettiga, sfruttando il riposo per fare qualcosa. Durante il giorno si faceva portare in visita alle guarnigioni, alle città, agli accampamenti ed aveva seduto al fianco uno schiavo che era abituato a scrivere sotto dettatura anche in viaggio, e dietro, in piedi, un soldato con la spada sguainata.
IL PASSAGGIO DEL RUBICONE 1
In quel momento Cesare non aveva intorno a sé più di trecento cavalieri e cinquemila opliti. Aveva lasciato infatti il grosso dell’armata al di là delle Alpi, sebbene l’avesse mandata a prendere al più presto. Vide che, per altro, il principio e l’avvio dell’impresa in cui si era messo non richiedeva per il momento grandi forze militari, mentre conveniva piuttosto cogliere l’occasione propizia e intimorire l’avversario con audacia e rapidità. Era più facile sbigottirlo con un colpo inaspettato che sbaragliarlo con un attacco preparato. Ordinò perciò ad alcuni suoi ufficiali e capireparto di andare ad occupare Rimini che è una grande città gallica avendo con sé le spade soltanto senza altre armi allo scopo di evitare il più possibile stragi e turbamenti tra la popolazione. Affidò il comando di queste forze ad Ortensio. Trascorse la giornata in pubblico
intervenendo e assistendo agli esercizi di alcuni gladiatori; un po’ prima si rassettò ed entrò nella stanza dove aveva invitato a pranzo alcuni personaggi e si trattenne con essi. Quando calò la sera, si alzò e uscì, non senza aver salutato affettuosamente tutti i presenti e averli esortati ad attenderlo, finchè fosse tornato. Ma aveva già preavvisato un piccolo gruppetto di amici di seguirlo, non tutti insieme, ma ognuno per una via diversa.
MORTE DI CESARE 1
Un’altra storia che si può sentire raccontare da molta gente, è questa. Un indovino gli aveva predetto qualche tempo prima di stare in guardia, perché un grave pericolo lo minacciava nel giorno del mese di Marzo, che i Romani chiamano Idi. Le Idi arrivarono, e Cesare, mente usciva di casa per recarsi al senato, salutò l’indovino e gli disse ridendo: “ Ebbene? Le Idi di Marzo sono arrivate”; l’indovino gli rispose tranquillamente: “Sì, son arrivate ma non sono ancora trascorse”. Il giorno innanzi Cesare pranzava in casa di Marco Lepido, Mentre come era solito fare firmava alcune lettere stando sdraiato a tavola, gli altri convitati iniziarono a discutere tra loro su quale fosse la morte preferibile. Prima che chiunque altro avesse avuto il tempo di esprimere la propria opinione, Cesare gridò ad alta voce: “La morte non si attende” . Poco più tardi era coricato, come al solito, insieme alla moglie , quando ad un tratto le porte e le finestre della stanza si spalancarono da sole. Svegliato di soprassalto dal rumore e dalla luce della luna che entrava nella stanza, Cesare vide che Calpurnia dormiva profondamente.; ma nel sonno si lasciava sfuggire frasi e lamenti inarticolati che non riusciva a comprendere. Sognava, in realtà, che il marito era stato assassinato e piangeva, reggendolo sulle braccia. Come si fece giorno pregò Cesare di non uscire e di rinviare la seduta del Senato. Se non attribuiva la minima importanza ai suoi sogni, gli disse, avrebbe potuto scrutare il futuro attraverso gli indovini, soprattutto servendosi delle vittime dei sacrifici. Pare che Cesare ebbe anche lui qualche sospetto e timore. Prima d’allora non aveva mai notato in Calpurnia nessuna di quelle superstizioni di cui sono affette comunemente le donne. In quel momento, invece, la vedeva proprio angosciata. Per di più gli indovini, dopo aver eseguito i sacrifici, gli riferirono di aver ottenuto dei segni sfavorevoli. Risolse così di mandare Antonio in Senato ad aggiornare la seduta.
RITRATTO DI CESARE
Viaggiava così rapidamente che la prima volta partì da Roma e compì il viaggio fino al Rodano in otto giorni. Cavalcare era sempre stato facile per lui sin da bambino; sapeva persino mantenersi in sella con il cavallo spinto a grande velocità, tenendo le mani unite dietro la schiena. Durante la campagna militare in Gallia si esercitò inoltre a dettare lettere mentre cavalcava e a tenere testa contemporaneamente a due scrivani, dice Oppio, o anche più. Si narra che Cesare sia stato il primo ad usare la corrispondenza per tenersi in contatto con i suoi amici, quando la quantità dei suoi impegni e l’estensione di Roma non gli consentivano di incontrarli di persona per discutere affari urgenti. A dimostrare quanto poco esigente fosse in tema di cibo, si cita di solito questo episodio:un suo ospite, presso cui mangiava a Milano, Valerio Leone, mise in tavola degli asparagi conditi con mirra, anziché con olio. Cesare li mangiò tranquillamente e rimproverò i suoi amici che si sentivano offesi. «Bastava»disse«che coloro a cui non piacevano non se ne servissero. Chi si lamenta di una villaneria come questa, è un villano anche lui». Un’altra volta, mentr’era in viaggio, una tempesta lo costrinse a riparare nella capanne di un pover’uomo; come vide che si componeva di non più di una stanza, capace di ospitare a malapena una sola persona, disse rivolto agli amici«Gli onori spettano ai più potenti, ma le comodità ai più deboli»e impose ad Oppio di riposare lui nell’interno , mentre egli dormì con gli altri sotto la gronda, davanti alla porta.
PASSAGGIO SUL RUBICONE 2
Montò su una vettura a due cavalli che aveva noleggiato e prese in un primo momento un’altra strada; ad un certo punto deviò in direzione di Rimini finchè giunse al fiume che segna il confine tra la Gallia Cisalpina e il resto d’Italia (il suo nome è Rubicone). Quanto più si avvicinava il momento fatale, tanto più si sentiva turbare dalla gravità di ciò che stava osando, e la riflessione subentrava all’audacia. Rallentò la corsa dei cavalli poi ne fermò il passo; e, chiuso in un profondo silenzio, fece passare davanti alla mente le possibilità che gli rimanevano, in un senso come nell’altro. In quei momenti le sue decisioni mutarono più volte; fece partecipi dei suoi dubbi anche gli amici presenti, tra cui era Pollione Asinio, valutando con essi le sciagure che il transito avrebbe causato al genere umano, ma anche la gloria che di esso avrebbero lasciato ai posteri. Alla fine quasi abbandonando la ragione per lanciarsi con un atto d’audacia verso il futuro mormorò la frase che dicono comunemente coloro i quali si gettano in qualche impresa disperata ed audace: “Il dado è tratto” e iniziò il passaggio del fiume. Procedendo di corsa, ormai, per il resto della strada entrò in Rimini prima di giorno e l’occupò.
MORTE DI CESARE 2
In quella (seduta) arrivò Decimo Bruto, soprannominato Albino, che godeva della fiducia di Cesare, tanto che l’aveva iscritto come suo secondo erede nel testamento; e ciò nonostante aderiva alla congiura dell’altro Bruto e di Cassio. Egli temette che, se Cesare rinviava ad un giorno diverso la seduta, si sarebbe scoperta la congiura, e cominciò a deridere gli indovini e a rimproverare Cesare, che avrebbe dato occasione al Senato di accusarlo e calunniarlo: quel rinvio sarebbe sembrato al Consiglio un affronto fatto alla sua dignità, poiché si era riunito dietro un suo ordine ed era ansioso di attribuirgli il titolo di re per tutte le province dell’impero che si trovassero fuori dall’Italia; inoltre gli avrebbe permesso di portare il diadema quando si fosse recato all’estero, come in terra così in mare. Se invece ora, a seduta già iniziata, un tale andava a dire loro: “ Andatevene e tornate un’altra volta,quando a Calpurnia capiteranno dei sogni migliori”cosa non avrebbero detto i suoi nemici? Se comunque, concluse Bruto, Cesare era deciso ad evitare quel giorno sfavorevole, avrebbe fatto meglio a recarsi di persona in Senato e pregare che si rinviasse la seduta. Così dicendo, prese Cesare per mano e lo condusse fuori casa.
MORTE DI CESARE 3
Anche Artemidoro un professore di eloquenza ellenica nativo di Cnido, che a ragione della sua attività era entrato in confidenza con alcuni dei compagni di Bruto,venendo così a conoscere gran parte di quanto tramavano contro Cesare, si fece avanti con in mano un piccolo rotolo di papiro, dove aveva scritto tutto ciò che intendeva rivelargli. Ma vide che Cesare, ogni rotolo che riceveva, lo passava ad uno dei suoi segretari che aveva al suo fianco. Perciò gli si fece vicino più che potè e disse: «O Cesare questo leggilo tu solo e prontamente. Contiene notizie di straordinaria importanza per te ». Cesare lo prese e disse che l’avrebbe letto , se non ne fosse stato impedito dalla ressa della gente che si faceva avanti. Più volte tentò, ma alla fine entrò in Senato tenendo stretto in mano e conservando, di tutti quel foglio solo.
MORTE DI CESRE 4
Ma fin qui sono cose, queste, che possono avvenire anche per puro caso. Il luogo, invece, in cui si radunò il Senato quel giorno, e che assistette poi alla lotta e all’assassinio di Cesare,indicò chiaramente come l’impresa si svolse là perchè un demone vi guidò ed attrasse l’attenzione dei congiurati: vi sorgeva infatti una statua di Pompeo ed era uno degli edifici che Pompeo aveva aggiunto per ornamento al teatro, offrendolo, come quello, alla città. E si racconta appunto che Cassio, benché non fosse avverso alle dottrine di Epicuro, prima di porre mano alla spada guardò verso la statua di Pompeo e gli mandò un’invocazione silenziosa: si vede che il pericolo, quando incombette su di lui, suscitò nel suo animo un’emozione violenta ispiratagli da Dio, che si sostituì ai ragionamenti che amava quando era tranquillo. Antonio poiché e era un amico fidato di Cesare e robusto fisicamente, fu trattenuto all’esterno da Bruto Albino che intrattenne con lui a bella posta una lunga conversazione. Come Cesare fece il suo ingresso nell’aula il Consiglio si alzò in piedi in segno di omaggio. Alcuni dei compagni di Bruto si disposero in cerchio dietro il suo scranno e gli andarono incontro fingendo di unirsi alla supplica che Tillio Cimbro gli rivolgeva perché volesse richiamare dall’esilio il fratello.
MORTE DI CESARE 5
Cosi pregando tutti insieme lo seguirono fino a suo scranno. Una volta seduto Cesare respinse le loro suppliche e si adirò prima con l’uno e poi con l’altro, quando vide che insistevano più di prima. Ma a un certo punto Tillio gli afferrò la toga con ambedue le mani e gliela fece scendere dal collo. Era il segnale che avevano concertato per passare all’azione. Il primo a colpirlo fu Casca
che e gli inferse un colpo di spada nella gola: colpo debole e non mortale, tuttavia, giacché, come si può comprendere, all’inizio di un’impresa tanto audace era piuttosto turbato. Cesare riuscì addirittura a girarsi verso di lui, ad afferrargli il pugnale e a tenerlo fermo. Quasi contemporaneamente gridarono entrambi, il ferito, in lingua romana: «Dannatissimo Casca, che fai? » e il feritore rivolgendosi al fratello in ellenico: «Fratello aiuto». Se tale fu l’inizio della rivolta, quelli tra i senatori che nulla sapevano della congiura rimasero immobilizzati dalla sorpresa e dal terrore per quanto vedevano succedere sotto i loro occhi. Non ardirono a fuggire né a soccorrerlo : che dico non ebbero neanche la forza di emettere un grido. Gli altri invece, quelli che avevano complottato per ucciderlo levarono le spade nude in mano e lo circondarono. Dovunque Cesare volgesse lo sguardo trovava un’arma diretta per colpirlo al viso e agli occhi. Inseguito qua e là come una bestia, rimase impigliato in tutte quelle mani poiché ognuno voleva partecipare al sacrificio e gustarne il sangue. Anche Bruto stesso, perciò gli infierì un colpo all’inguine. Alcuni storici raccontano che Cesare si difese dagli altri trascinando il suo corpo ora qua ora là per la sala e gridando a squarciagola; ma quando vide Bruto con la spada sguainata in mano tirò giù la veste sulla sua faccia e si accasciò, sia che fosse un caso o sia che fossero stati gli assassini a spingervelo intenzionalmente, contro il piedistallo su cui era poggiata la statua di Pompeo. Ed essa fu inondata di sangue, sicchè parve che Pompeo stesso guidasse la punizione del rivale, disteso ai suoi piedi e scosso dagli spasimi della morte per il gran numero di ferite che aveva ricevuto. Si dice che furono ventitrè le ferite; ma anche molti degli assalitori si ferirono fra di loro, poiché cercarono di mettere a segno tanti colpi su un corpo solo.
] Chi suscitò e coltivò questa risolutezza e questo spirito di emulazione nelle sue truppe fu Cesare stesso. Egli prima di tutto elargì senza risparmio denaro e beneficenza. Così dava a vedere di non voler ottenere dalle spedizioni di guerra ricchezze che servissero al suo lusso e al suo benessere personale, ma metteva da parte e conservava per premiare chiunque compisse un atto di valore: la sua parte di ricchezza consisteva in ciò che dava ai suoi soldati meritevoli. In secondo luogo si sottopose di sua volontà ad ogni loro rischio e non si sottrasse a nessuna delle loro fatiche. Che amasse il pericolo non stupiva i suoi uomini perché sapevano quanto era ambizioso; ma la sua resistenza ai disagi superiore alla forza apparente del suo corpo li meravigliava. Cesare era di costituzione fisica asciutta di carnagione bianca e delicata; subiva frequenti mal di testa e andava soggetto ad attacchi di epilessia: la prima manifestazione l’ebbe, sembra, a Cordova. Eppure non sfruttò la sua debolezza come un pretesto per essere trattato con riguardo; al contrario fece del servizio militare una cura della propria debolezza. Compiendo lunghe marce consumando pasti frugali dormendo costantemente a cielo aperto, sottoponendosi ad ogni genere di disagi, combattè i suoi malanni e serbò il suo corpo ben difeso dai loro assalti. Si coricava la maggior parte delle notti su qualche veicolo e nella lettiga, sfruttando il riposo per fare qualcosa. Durante il giorno si faceva portare in visita alle guarnigioni, alle città, agli accampamenti ed aveva seduto al fianco uno schiavo che era abituato a scrivere sotto dettatura anche in viaggio, e dietro, in piedi, un soldato con la spada sguainata.
IL PASSAGGIO DEL RUBICONE 1
In quel momento Cesare non aveva intorno a sé più di trecento cavalieri e cinquemila opliti. Aveva lasciato infatti il grosso dell’armata al di là delle Alpi, sebbene l’avesse mandata a prendere al più presto. Vide che, per altro, il principio e l’avvio dell’impresa in cui si era messo non richiedeva per il momento grandi forze militari, mentre conveniva piuttosto cogliere l’occasione propizia e intimorire l’avversario con audacia e rapidità. Era più facile sbigottirlo con un colpo inaspettato che sbaragliarlo con un attacco preparato. Ordinò perciò ad alcuni suoi ufficiali e capireparto di andare ad occupare Rimini che è una grande città gallica avendo con sé le spade soltanto senza altre armi allo scopo di evitare il più possibile stragi e turbamenti tra la popolazione. Affidò il comando di queste forze ad Ortensio. Trascorse la giornata in pubblico
intervenendo e assistendo agli esercizi di alcuni gladiatori; un po’ prima si rassettò ed entrò nella stanza dove aveva invitato a pranzo alcuni personaggi e si trattenne con essi. Quando calò la sera, si alzò e uscì, non senza aver salutato affettuosamente tutti i presenti e averli esortati ad attenderlo, finchè fosse tornato. Ma aveva già preavvisato un piccolo gruppetto di amici di seguirlo, non tutti insieme, ma ognuno per una via diversa.
MORTE DI CESARE 1
Un’altra storia che si può sentire raccontare da molta gente, è questa. Un indovino gli aveva predetto qualche tempo prima di stare in guardia, perché un grave pericolo lo minacciava nel giorno del mese di Marzo, che i Romani chiamano Idi. Le Idi arrivarono, e Cesare, mente usciva di casa per recarsi al senato, salutò l’indovino e gli disse ridendo: “ Ebbene? Le Idi di Marzo sono arrivate”; l’indovino gli rispose tranquillamente: “Sì, son arrivate ma non sono ancora trascorse”. Il giorno innanzi Cesare pranzava in casa di Marco Lepido, Mentre come era solito fare firmava alcune lettere stando sdraiato a tavola, gli altri convitati iniziarono a discutere tra loro su quale fosse la morte preferibile. Prima che chiunque altro avesse avuto il tempo di esprimere la propria opinione, Cesare gridò ad alta voce: “La morte non si attende” . Poco più tardi era coricato, come al solito, insieme alla moglie , quando ad un tratto le porte e le finestre della stanza si spalancarono da sole. Svegliato di soprassalto dal rumore e dalla luce della luna che entrava nella stanza, Cesare vide che Calpurnia dormiva profondamente.; ma nel sonno si lasciava sfuggire frasi e lamenti inarticolati che non riusciva a comprendere. Sognava, in realtà, che il marito era stato assassinato e piangeva, reggendolo sulle braccia. Come si fece giorno pregò Cesare di non uscire e di rinviare la seduta del Senato. Se non attribuiva la minima importanza ai suoi sogni, gli disse, avrebbe potuto scrutare il futuro attraverso gli indovini, soprattutto servendosi delle vittime dei sacrifici. Pare che Cesare ebbe anche lui qualche sospetto e timore. Prima d’allora non aveva mai notato in Calpurnia nessuna di quelle superstizioni di cui sono affette comunemente le donne. In quel momento, invece, la vedeva proprio angosciata. Per di più gli indovini, dopo aver eseguito i sacrifici, gli riferirono di aver ottenuto dei segni sfavorevoli. Risolse così di mandare Antonio in Senato ad aggiornare la seduta.
RITRATTO DI CESARE
Viaggiava così rapidamente che la prima volta partì da Roma e compì il viaggio fino al Rodano in otto giorni. Cavalcare era sempre stato facile per lui sin da bambino; sapeva persino mantenersi in sella con il cavallo spinto a grande velocità, tenendo le mani unite dietro la schiena. Durante la campagna militare in Gallia si esercitò inoltre a dettare lettere mentre cavalcava e a tenere testa contemporaneamente a due scrivani, dice Oppio, o anche più. Si narra che Cesare sia stato il primo ad usare la corrispondenza per tenersi in contatto con i suoi amici, quando la quantità dei suoi impegni e l’estensione di Roma non gli consentivano di incontrarli di persona per discutere affari urgenti. A dimostrare quanto poco esigente fosse in tema di cibo, si cita di solito questo episodio:un suo ospite, presso cui mangiava a Milano, Valerio Leone, mise in tavola degli asparagi conditi con mirra, anziché con olio. Cesare li mangiò tranquillamente e rimproverò i suoi amici che si sentivano offesi. «Bastava»disse«che coloro a cui non piacevano non se ne servissero. Chi si lamenta di una villaneria come questa, è un villano anche lui». Un’altra volta, mentr’era in viaggio, una tempesta lo costrinse a riparare nella capanne di un pover’uomo; come vide che si componeva di non più di una stanza, capace di ospitare a malapena una sola persona, disse rivolto agli amici«Gli onori spettano ai più potenti, ma le comodità ai più deboli»e impose ad Oppio di riposare lui nell’interno , mentre egli dormì con gli altri sotto la gronda, davanti alla porta.
PASSAGGIO SUL RUBICONE 2
Montò su una vettura a due cavalli che aveva noleggiato e prese in un primo momento un’altra strada; ad un certo punto deviò in direzione di Rimini finchè giunse al fiume che segna il confine tra la Gallia Cisalpina e il resto d’Italia (il suo nome è Rubicone). Quanto più si avvicinava il momento fatale, tanto più si sentiva turbare dalla gravità di ciò che stava osando, e la riflessione subentrava all’audacia. Rallentò la corsa dei cavalli poi ne fermò il passo; e, chiuso in un profondo silenzio, fece passare davanti alla mente le possibilità che gli rimanevano, in un senso come nell’altro. In quei momenti le sue decisioni mutarono più volte; fece partecipi dei suoi dubbi anche gli amici presenti, tra cui era Pollione Asinio, valutando con essi le sciagure che il transito avrebbe causato al genere umano, ma anche la gloria che di esso avrebbero lasciato ai posteri. Alla fine quasi abbandonando la ragione per lanciarsi con un atto d’audacia verso il futuro mormorò la frase che dicono comunemente coloro i quali si gettano in qualche impresa disperata ed audace: “Il dado è tratto” e iniziò il passaggio del fiume. Procedendo di corsa, ormai, per il resto della strada entrò in Rimini prima di giorno e l’occupò.
MORTE DI CESARE 2
In quella (seduta) arrivò Decimo Bruto, soprannominato Albino, che godeva della fiducia di Cesare, tanto che l’aveva iscritto come suo secondo erede nel testamento; e ciò nonostante aderiva alla congiura dell’altro Bruto e di Cassio. Egli temette che, se Cesare rinviava ad un giorno diverso la seduta, si sarebbe scoperta la congiura, e cominciò a deridere gli indovini e a rimproverare Cesare, che avrebbe dato occasione al Senato di accusarlo e calunniarlo: quel rinvio sarebbe sembrato al Consiglio un affronto fatto alla sua dignità, poiché si era riunito dietro un suo ordine ed era ansioso di attribuirgli il titolo di re per tutte le province dell’impero che si trovassero fuori dall’Italia; inoltre gli avrebbe permesso di portare il diadema quando si fosse recato all’estero, come in terra così in mare. Se invece ora, a seduta già iniziata, un tale andava a dire loro: “ Andatevene e tornate un’altra volta,quando a Calpurnia capiteranno dei sogni migliori”cosa non avrebbero detto i suoi nemici? Se comunque, concluse Bruto, Cesare era deciso ad evitare quel giorno sfavorevole, avrebbe fatto meglio a recarsi di persona in Senato e pregare che si rinviasse la seduta. Così dicendo, prese Cesare per mano e lo condusse fuori casa.
MORTE DI CESARE 3
Anche Artemidoro un professore di eloquenza ellenica nativo di Cnido, che a ragione della sua attività era entrato in confidenza con alcuni dei compagni di Bruto,venendo così a conoscere gran parte di quanto tramavano contro Cesare, si fece avanti con in mano un piccolo rotolo di papiro, dove aveva scritto tutto ciò che intendeva rivelargli. Ma vide che Cesare, ogni rotolo che riceveva, lo passava ad uno dei suoi segretari che aveva al suo fianco. Perciò gli si fece vicino più che potè e disse: «O Cesare questo leggilo tu solo e prontamente. Contiene notizie di straordinaria importanza per te ». Cesare lo prese e disse che l’avrebbe letto , se non ne fosse stato impedito dalla ressa della gente che si faceva avanti. Più volte tentò, ma alla fine entrò in Senato tenendo stretto in mano e conservando, di tutti quel foglio solo.
MORTE DI CESRE 4
Ma fin qui sono cose, queste, che possono avvenire anche per puro caso. Il luogo, invece, in cui si radunò il Senato quel giorno, e che assistette poi alla lotta e all’assassinio di Cesare,indicò chiaramente come l’impresa si svolse là perchè un demone vi guidò ed attrasse l’attenzione dei congiurati: vi sorgeva infatti una statua di Pompeo ed era uno degli edifici che Pompeo aveva aggiunto per ornamento al teatro, offrendolo, come quello, alla città. E si racconta appunto che Cassio, benché non fosse avverso alle dottrine di Epicuro, prima di porre mano alla spada guardò verso la statua di Pompeo e gli mandò un’invocazione silenziosa: si vede che il pericolo, quando incombette su di lui, suscitò nel suo animo un’emozione violenta ispiratagli da Dio, che si sostituì ai ragionamenti che amava quando era tranquillo. Antonio poiché e era un amico fidato di Cesare e robusto fisicamente, fu trattenuto all’esterno da Bruto Albino che intrattenne con lui a bella posta una lunga conversazione. Come Cesare fece il suo ingresso nell’aula il Consiglio si alzò in piedi in segno di omaggio. Alcuni dei compagni di Bruto si disposero in cerchio dietro il suo scranno e gli andarono incontro fingendo di unirsi alla supplica che Tillio Cimbro gli rivolgeva perché volesse richiamare dall’esilio il fratello.
MORTE DI CESARE 5
Cosi pregando tutti insieme lo seguirono fino a suo scranno. Una volta seduto Cesare respinse le loro suppliche e si adirò prima con l’uno e poi con l’altro, quando vide che insistevano più di prima. Ma a un certo punto Tillio gli afferrò la toga con ambedue le mani e gliela fece scendere dal collo. Era il segnale che avevano concertato per passare all’azione. Il primo a colpirlo fu Casca
che e gli inferse un colpo di spada nella gola: colpo debole e non mortale, tuttavia, giacché, come si può comprendere, all’inizio di un’impresa tanto audace era piuttosto turbato. Cesare riuscì addirittura a girarsi verso di lui, ad afferrargli il pugnale e a tenerlo fermo. Quasi contemporaneamente gridarono entrambi, il ferito, in lingua romana: «Dannatissimo Casca, che fai? » e il feritore rivolgendosi al fratello in ellenico: «Fratello aiuto». Se tale fu l’inizio della rivolta, quelli tra i senatori che nulla sapevano della congiura rimasero immobilizzati dalla sorpresa e dal terrore per quanto vedevano succedere sotto i loro occhi. Non ardirono a fuggire né a soccorrerlo : che dico non ebbero neanche la forza di emettere un grido. Gli altri invece, quelli che avevano complottato per ucciderlo levarono le spade nude in mano e lo circondarono. Dovunque Cesare volgesse lo sguardo trovava un’arma diretta per colpirlo al viso e agli occhi. Inseguito qua e là come una bestia, rimase impigliato in tutte quelle mani poiché ognuno voleva partecipare al sacrificio e gustarne il sangue. Anche Bruto stesso, perciò gli infierì un colpo all’inguine. Alcuni storici raccontano che Cesare si difese dagli altri trascinando il suo corpo ora qua ora là per la sala e gridando a squarciagola; ma quando vide Bruto con la spada sguainata in mano tirò giù la veste sulla sua faccia e si accasciò, sia che fosse un caso o sia che fossero stati gli assassini a spingervelo intenzionalmente, contro il piedistallo su cui era poggiata la statua di Pompeo. Ed essa fu inondata di sangue, sicchè parve che Pompeo stesso guidasse la punizione del rivale, disteso ai suoi piedi e scosso dagli spasimi della morte per il gran numero di ferite che aveva ricevuto. Si dice che furono ventitrè le ferite; ma anche molti degli assalitori si ferirono fra di loro, poiché cercarono di mettere a segno tanti colpi su un corpo solo.