Tema (49247)

zio_Dudù
Mi servirebbe un tema svolto su giovanni pascoli...

Risposte
dolce_salentina94
Giovanni Pascoli costituisce la svolta nuova in cui si va a modificare o, meglio, rifugiare il romanticismo. L'ultima espressione dell'estetica romantica.
Per opporsi alla morale cattolica che mirava a volgere tutta la potenza del sentimento in prò della vita avvenire, il romanticismo, continuando ad opporsi alla ragione, in nome del puro sentimento, andò dirigendosi verso l'irrazionale. Non più conquista mediante il sentimento e la volontà, della realtà obiettiva riconosciuta come inafferabile, bensì un'esperienza mistica primitiva, fatta di terrore, di erotismo, di turbamento, di ebrezza, di dolore fisico. Tutto quello che esiste ed avvertiamo come irrazionale nella vita e che è poggiato sull'oscurità del sentimento va cantato, valorizzato come la vera e profonda realtà da proseguire.
Ecco per quale motivo Pascoli, che di questa estetica costituisce l'espressione più schietta e sincera, oltre che più pura, dopo aver ricevuto l'intuizione del mistero che avvolge la vita, che sviluppa la storia e la natura, esprime tutto ciò nei suoi versi.
Anche se scrive e studia i classici, fino a vincere per alcuni anni dei premi, Pascoli si limita ad intuire, ad adombrare il misterioso significato di quella realtà che per lui diventa simbolo. Così la parola, per adeguarsi a quel mistero, non esprime, ma suggerisce, incanta.
In questo modo le piante, i fiori si armonizzano; così le cose esprimono il loro essere profondo, la loro ragione di vivere il mondo degli uomini. Così nasce quella che è stata detta «l'estetica del fanciullino», dove la poesia deve essere intesa come la vocale espressione dell'inconscio, a guisa di fanciullo. Una poesia che vale come una creazione fatta in sogno, come rivelazione di cose ignote anche a noi stessi, ed anche per tale ragione una poesia che vive con il popolo, ricca di fantasia e sentimento.
Nasce così l'Aquilone, nascono le tante poesie ricche di mistero e di sentimento che sentiamo vicinissime a noi; nasce quel senso di struggente malinconia e nostalgia che si prova quando ci si accorge di essere andati vicini all'essenza delle cose e del vivere umano.
Pascoli, che in un primo tempo, per farsi strada, era stato attento agli studi di latino e greco, dovendo mantenere una famiglia battuta dalla sorte, a quarant'anni sentì la possibilità di lasciarsi andare al proprio estro poetico.
Rimasto come quando era fanciullo, con gli stessi sogni, con le stesse aspirazioni travasò tutti i suoi sogni in quella sua esperienza di vita, con le cose migliori. Poi lentamente, dopo Myriacae, che costituiscono un vero gioiello formale, ricche di purissimo sentimento, appena nascosto dall'armonioso incedere dei versi, dopo aver dimostrato che il suo estro politico poteva benissimo travasarsi in rime italiane, Pascoli si atteggiò come l'istinto lo portava ad essere, nei Canti di Castelvecchio, dove il poeta sembra finalmente esprimere tutto il suo sentimento vivo ed immediato per la natura, per il prossimo, tutta quella struggente malinconia che l'aveva accompagnato per i lunghi anni della sua giovinezza e della sua maturità.
Vi è, infatti, in qualche componimento poetico di questa raccolta, il sapore delle cose perdute e non più riacquistabili e un desiderio smodato di fare, sia pure in ritardo, quanto avrebbe voluto fare da giovane.
In conclusione la poesia pascoliana non va vista tanto all'insegna del realismo e della classicità, quanto nella prospettiva di una sensibilità «decadente», quella stessa che alimenta la poetica del «fanciullino» e sempre qui, come si vede, torna a convergere il discorso sul Pascoli, da qualsiasi punto lo si sviluppi.
Discorso che mette in evidenza i limiti del poeta e il suo morboso vittimismo, con la sua volontà di estraneazione dal mondo, appena mascherata da velleitarie e confuse idee socialiste, ma che al tempo stesso ne fa capire anche l'indiscutibile originalità.

Giuseppe Ares
GIOVANNI PASCOLI POESIA: NEBBIA

TEMA

Parafrasi: Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e incolore, tu fumo che sali all'alba, tu assomigli a un fumo che si ha con la tempesta e a un fumo che si ha con le catastrofi cosmiche. Nascondi le cose lontane e per me nascondi il passato lontano che mi ricorda la morte dei miei cari. Che io veda solo la siepe di questo orto, il muro che è pieno di crepe piene di piante spontanee. Nascondi le cose lontane: le cose sono piene di pianto! Che io veda solo le piante che danno le dolci marmellate per il povero pane. Nascondi le cose lontane che mi ricordano gli antichi affetti e che mi dicono di andare! Che io veda solo quella strada bianca che un giorno dovrò percorrere accompagnato dal suono infelice delle campane. Nascondi le cose lontane, nascondile, sottraile ai desideri e ai sogni del mio animo. Che io veda solo il cipresso e solo quest'orto vino a cui sonnecchia il mio cane.

COMMENTO

E’ una delle più belle, allusive e simboliche poesie del Pascoli. Raccoglie un po’ tutti i miti della sua poesia. La nebbia fa una sorta di barriera tra lui e la realtà per tenerlo al di qua della siepe, cioè di quello che è il suo ambito, il suo nido, che contiene le certezze che lui si era fino ad ora creato. Di fatti per il poeta la realtà è sempre stata negativa, rifiuta il suo passato perché contiene episodi di effettivo pianto, lo rifiuta proprio per la sua negatività. Tutte le cose nella realtà sono state sempre impre di pianto e dolore. Nascosto ormai nel suo “cantuccio” di Castel Vecchio, rassegnato al declino della sua vita e proteso alla ricerca di una pace, il Pascoli prega la nebbia che gli nasconde le cose lontane piene di pianto: l’infanzia e la giovinezza angosciosa, i loro dolori non ancora spenti, la memoria ancora lacerante. Restano solo davanti al suo sguardo le piccole immagini quotidiane, simbolo della pace ritrovata, e quel cimitero dove compirà, rassegnato, l’ultimo viaggio. Per sfuggire all’angoscia il poeta si afferra alle cose presenti, alla loro realtà concreta. Egli vuole vedere solo ciò che è al di qua della siepe: i due peschi e i due peri, che danno il nettare e rappresentano proprio il desiderio di autarchia che egli raccoglie nel mito della siepe. Sono presenti due verbi nella poesia che nascondono tutti i timori del Pascoli:
ch’ami: raccoglie le esperienze importanti della vita come l’amore, non solo verso gli altri, ma anche come amore sessuale, da cui si sente attrarre e che allo stesso tempo lo impaurisce;
che vada: è il desiderio di abbandonare il suo mondo chiuso e affrontare la vita.
Fuori dai limiti della siepe vi è una strada bianca che porta al cimitero: il poeta vuole tenersi nel chiuso della vita che ha creato, nelle cose che lo rassicurano e rifiuta tutto quello che è al di fuori. Della morte non ha un’immagine triste; i defunti vivono tranquilli e sereni.
Egli chiede inoltre alla nebbia di impedire il volo del suo cuore verso nuove esperienze, verso la realtà, per rimanere a casa con le rassicurazioni che si è creato

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