La personalità politica di napoleone
delineare la personalità politica di napoleone,spiegando qualireazioni ha suscitato in francia,inghilterra,italia
Miglior risposta
da http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/282.htm
Le opposte tendenze a farne oggetto di scritti apologetici o diffamatori, già manifestatesi quando Napoleone era vivo, permasero dopo la sua morte e il dibattito sulla sua figura si intrecciò con le vicissitudini della storia politica francese ed europea. In contrapposizione alla mediocrità dei governi avvicendatisi nella Francia della Restaurazione, la pubblicazione postuma del suo Memoriale di Sant'Elena (18221823, ed. it. 1832) contribuì a perfezionare il mito romantico elaborato da numerosi scrittori (Byron, Heine, Manzoni, Stendhal) e ripreso dalla storiografia individualistica (T. Carlyle, R.W. Emerson). Un duro attacco al culto napoleonico fu invece sferrato da K. Marx, il quale sosteneva che il corso della storia era determinato non da singoli individui, per quanto eccezionali, ma dalle grandi masse spinte dai bisogni materiali. Nella seconda metà dell'Ottocento ebbe inizio la ricostruzione minuziosa, secondo i canoni positivistici, della biografia di Bonaparte e delle vicende del consolato e dell'impero (A. Thiers, P. Lanfrey). Il crollo del Secondo impero e la volontà di attribuirgli la responsabilità di tutte le disavventure francesi rilanciò la "leggenda nera" di Napoleone I e H.A. Taine vide in lui l'erede dell'assoluta amoralità, ma anche dell'energia, degli eroi rinascimentali e lo biasimò per aver trasmesso lo spirito della rivoluzione all'impero, fondando il cesarismo democratico. Al contrario tra XIX e XX secolo, al riemergere del revanscismo francese nei confronti della Germania, A. Sorel sostenne una tesi, destinata a grande fortu-na, secondo la quale le guerre napoleoniche, causate dall'esigenza di difesa contro l'Inghilterra, furono offensive solo in apparenza e l'imperialismo di Bonaparte fu il risultato delle sue vittorie e non di un preordinato disegno di conquista. La secolare controversia tra sostenitori e detrattori di Napoleone fu progressivamente abbandonata nel corso del Novecento da una storiografia tendente a individuare il significato di un'epoca, più che in una singola sia pur grande personalità, nelle trasformazioni della vita collettiva. Una svolta decisiva in questa direzione si ebbe con G. Lefebvre (Napoleone, 1936, ed. it. 1960) e E.V. Tarle (Napoleone, 1936, ed. it. 1938), che attribuirono un ruolo centrale al rapporto tra le guerre del periodo napoleonico, lo sviluppo del capitalismo e l'ascesa della borghesia. Nella loro ottica il consolato e l'impero furono la risposta all'esigenza di stabilizzazione della borghesia, minacciata da destra dalla restaurazione legittimista e da sinistra dall'egualitarismo giacobino. Le guerre napoleoniche, inoltre, sarebbero state provocate dalla necessità di difendere e di espandere il mercato su scala europea e l'estensione delle istituzioni e degli ordinamenti francesi ai paesi conquistati sarebbe servita da catalizzatore nel processo di ascesa della borghesia. Negli anni Cinquanta, riallacciandosi alla lezione lefebvriana, R.R. Palmer e J. Godechot interpretarono la politica e i conflitti napoleonici come fase particolare della rivoluzione atlantica che, tra la guerra di indipendenza americana e la metà dell'Ottocento, avrebbe sancito la vittoria della borghesia occidentale. Il nono volume della Storia del mondo moderno Cambridge (1965, ed. it. 1969) rappresenta il più maturo risultato di questa tendenza storiografica, volta a superare ogni angustia nazionalistica e a sottolineare la dimensione internazionale delle trasformazioni dell'età napoleonica. Nel volume, dedicato al periodo 1793-1830, si sottolinea come i processi di trasformazione politica, sociale e intellettuale che furono avviati dalle guerre napoleoniche proseguissero ben oltre la caduta dell'impero e coinvolgessero paesi anche estranei al conflitto. Contributi significativi per il periodo napoleonico sono venuti dalle ricerche di storia economica (M. Crouzet, E. Labrousse), di demografia storica (M. Reinhard) e dallo studio delle proteste e delle ribellioni popolari (R. Cobb).
Le opposte tendenze a farne oggetto di scritti apologetici o diffamatori, già manifestatesi quando Napoleone era vivo, permasero dopo la sua morte e il dibattito sulla sua figura si intrecciò con le vicissitudini della storia politica francese ed europea. In contrapposizione alla mediocrità dei governi avvicendatisi nella Francia della Restaurazione, la pubblicazione postuma del suo Memoriale di Sant'Elena (18221823, ed. it. 1832) contribuì a perfezionare il mito romantico elaborato da numerosi scrittori (Byron, Heine, Manzoni, Stendhal) e ripreso dalla storiografia individualistica (T. Carlyle, R.W. Emerson). Un duro attacco al culto napoleonico fu invece sferrato da K. Marx, il quale sosteneva che il corso della storia era determinato non da singoli individui, per quanto eccezionali, ma dalle grandi masse spinte dai bisogni materiali. Nella seconda metà dell'Ottocento ebbe inizio la ricostruzione minuziosa, secondo i canoni positivistici, della biografia di Bonaparte e delle vicende del consolato e dell'impero (A. Thiers, P. Lanfrey). Il crollo del Secondo impero e la volontà di attribuirgli la responsabilità di tutte le disavventure francesi rilanciò la "leggenda nera" di Napoleone I e H.A. Taine vide in lui l'erede dell'assoluta amoralità, ma anche dell'energia, degli eroi rinascimentali e lo biasimò per aver trasmesso lo spirito della rivoluzione all'impero, fondando il cesarismo democratico. Al contrario tra XIX e XX secolo, al riemergere del revanscismo francese nei confronti della Germania, A. Sorel sostenne una tesi, destinata a grande fortu-na, secondo la quale le guerre napoleoniche, causate dall'esigenza di difesa contro l'Inghilterra, furono offensive solo in apparenza e l'imperialismo di Bonaparte fu il risultato delle sue vittorie e non di un preordinato disegno di conquista. La secolare controversia tra sostenitori e detrattori di Napoleone fu progressivamente abbandonata nel corso del Novecento da una storiografia tendente a individuare il significato di un'epoca, più che in una singola sia pur grande personalità, nelle trasformazioni della vita collettiva. Una svolta decisiva in questa direzione si ebbe con G. Lefebvre (Napoleone, 1936, ed. it. 1960) e E.V. Tarle (Napoleone, 1936, ed. it. 1938), che attribuirono un ruolo centrale al rapporto tra le guerre del periodo napoleonico, lo sviluppo del capitalismo e l'ascesa della borghesia. Nella loro ottica il consolato e l'impero furono la risposta all'esigenza di stabilizzazione della borghesia, minacciata da destra dalla restaurazione legittimista e da sinistra dall'egualitarismo giacobino. Le guerre napoleoniche, inoltre, sarebbero state provocate dalla necessità di difendere e di espandere il mercato su scala europea e l'estensione delle istituzioni e degli ordinamenti francesi ai paesi conquistati sarebbe servita da catalizzatore nel processo di ascesa della borghesia. Negli anni Cinquanta, riallacciandosi alla lezione lefebvriana, R.R. Palmer e J. Godechot interpretarono la politica e i conflitti napoleonici come fase particolare della rivoluzione atlantica che, tra la guerra di indipendenza americana e la metà dell'Ottocento, avrebbe sancito la vittoria della borghesia occidentale. Il nono volume della Storia del mondo moderno Cambridge (1965, ed. it. 1969) rappresenta il più maturo risultato di questa tendenza storiografica, volta a superare ogni angustia nazionalistica e a sottolineare la dimensione internazionale delle trasformazioni dell'età napoleonica. Nel volume, dedicato al periodo 1793-1830, si sottolinea come i processi di trasformazione politica, sociale e intellettuale che furono avviati dalle guerre napoleoniche proseguissero ben oltre la caduta dell'impero e coinvolgessero paesi anche estranei al conflitto. Contributi significativi per il periodo napoleonico sono venuti dalle ricerche di storia economica (M. Crouzet, E. Labrousse), di demografia storica (M. Reinhard) e dallo studio delle proteste e delle ribellioni popolari (R. Cobb).
Miglior risposta