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lorynzo2
Ciao raga mi potete spiegare che differenza c'è Platone e Aristotele!!! (Differenze e analogie). Vi prego è importante.


Inoltre potete anche spiegarmi la dottrina delle categorie (Soggetto, predicato, proprio, genere....ecc.) e la critica della teoria platonica delle idee. !!!!!



GRAZIE ANTICIPATAMENTE!!!!!

Risposte
orrfeos
di niente...siamo quì apposta....e grazie per i grazie...che non cempre ci vengono fatti..chiudo!

lorynzo2
Grazie mille a tutti

Francy1982
CRITICA IDEE
Aristotele fu allievo di Platone nell'Accademia, ma per sviluppare le sue teorie egli partì da una critica alle teorie del maestro. In particolare, Aristotele criticò la teoria delle idee con un argomento che prenderà il nome di "terzo uomo" (anche se tale critica, per amor di verità, fu già presa in considerazione da Platone nel dialogo Parmenide, in veste di critico di se stesso).

Come si è detto, la dottrina delle Idee di Platone predicava l’esistenza dell’Iperuranio, un mondo a parte, una regione del cosmo completamente trascendente rispetto al mondo terreno, nella quale era conservata la pura forma ideale di ogni imperfetta forma terrena. Aristotele attacca subito il meccanismo di partecipazione all’Idea ideale: egli si accorge che se deve esistere nell’Iperuranio l’idea dell’uomo ideale, deve pur sempre esistere l’Idea ideale dell’uomo non ideale, di quell’uomo imperfetto che costituisce la copia imperfetta dell’uomo perfetto. Si era infatti detto che l’Iperuranio doveva contenere l’Idea ideale di ogni aspetto della realtà. Così facendo, dice Aristotele, nell’Iperuranio dovrà esistere non solo la sola Idea ideale dell’uomo ideale, ma anche l’Idea ideale dell’uomo che partecipa all’Idea ideale. Insomma, un gioco infinito di rimandi a concetti nidificati uno nell'’altro che produrrebbe una crescita infinita ed esponenziale delle Idee presenti nell’Iperuranio.
Aristotele critica anche l'impostazione platonica che vuole l'idea assolutamente trascendente rispetto all'ente sensibile. Aristotele si domanda infatti come possa una cosa terrena partecipare (avere un qualche collegamento) con un mondo iperuranico completamente trascendente, completamente “altro” rispetto a sé. E ancora: come può un uomo essere diverso dall’idea ideale di se stesso? L’uomo ideale, secondo Aristotele, è già l’uomo che si concretizza esattamente nelle sue qualità contingenti, ogni uomo è già la perfetta rappresentazione di se stesso, non si capisce perché per essere ideale debba essere qualcosa d’altro rispetto a ciò che è. (tratto da qui)

CATEGORIE
Per Aristotele categorie sono dieci generi sommi (o gruppi) che raccolgono tutti i termini che entrano nella predicazione, che si riferiscono a sostanze prime e seconde sia che esprimono qualità o accidenti.
Esse sono dieci: la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, il dove, il quando, il giacere, l'avere, il fare, il subire. Le categorie di Aristotele non si riunificano secondo un rapporto logico, ma si riuniscono mediante la relazione dei loro enti concreti. A ciascuna delle categorie poi appartengono una parte di quei discorsi che hanno a che fare con il mondo reale, alla sostanza il nome o il sostantivo, alla qualità, quantità, relazione ecc. il relativo aggettivo qualificativo, qualitativo, quantitativo, ecc. Da ciò si è ipotizzato che per Aristotele le categorie siano una classificazione del discorso di cui fanno parte. La dottrina aristotelica delle categorie, contro l'eleatismo, è l'affermazione che l'essere è determinato in una molteplicità di attributi, è cioè multilaterale nella sua unità; contro Platone, l'affermazione della necessità di distinguere i concetti logici dagli empirici. (tratto da wikipedia)

lorynzo2
Grazie wskuola.net però il testo che mi hai dato tu, non spiega la dottrina delle categorie (Soggetto, predicato, genere, proprio....) e neanche la critica della teoria platonica delle idee!!!!

Cronih
Leggendo Aristotele si ha l'impressione che i guasti causati dalla sofistica e soprattutto da Platone siano stati irreparabili. Probabilmente il vertice della filosofia greca è stato raggiunto da Socrate. Lo stesso materialismo naturalistico non ha più eguagliato gli sviluppi ionici e milesi.
Aristotele, infatti, supera sì il platonismo, ma resta inesorabilmente impigliato nella rete della metafisica. Egli non solo non riesce a dare una concretezza storico-dialettica al materialismo naturalistico, ma non riesce neppure a dare una dignità effettivamente laica alla metafisica (anche se, probabilmente, l'equiparazione di metafisica e teologia fa parte del giovane Aristotele, quello "platonizzante").
Resta comunque il fatto che Aristotele ha definito la metafisica come una scienza teoretica, astratta, fine a se stessa, senza scopi pratici. Questo atteggiamento -come noto- rientra nel modo più generale di porsi dell'idealismo. Aristotele ha sempre rifiutato di credere che la filosofia possa essere nata da cause oggettive, materiali, dalle contraddizioni della vita sociale. Per lui la metafisica era nata dall'esigenza di conoscere, a prescindere dalla realtà concreta. Il suo giudizio sugli ionici e sugli eleati è spesso fuorviante.
Paradossalmente, in questo Aristotele è più conservatore di Platone, il quale, pur avendo affermato un essere assai lontano dalla realtà (in quanto doveva essere la realtà a modellarsi sulle idee e non queste a riflettere la realtà), aveva però intenzione, sul piano etico-politico, di costituire un progetto significativo. Viceversa, Aristotele, che pur senza volerlo ha saputo mostrare un senso della realtà più spiccato (anche se non in senso storico, politico e sociale), sembra piuttosto assomigliare a un positivista come Comte, o a un filosofo della scienza estraneo alla politica (come il Kant della prima Critica).
Nella metafisica di Aristotele la definizione dell'essere diventa una questione di "linguaggio". Il linguaggio (la logica anzitutto) permette di osservare l'essere da diversi punti di vista, i quali però sono tutti riconducibili a uno solo: quello di sostanza. Essere e sostanza coincidono, ma è la sostanza, in ultima analisi, che decifra l'essere. Ogni aspetto del reale partecipa dell'entità dell'essere solo nella misura in cui il filosofo è in grado di individuarne la sostanza. Platone era totalitario sul piano politico, Aristotele lo diventa su quello ontologico (il che, in un certo senso, è peggio).
Nel dare un maggiore risalto alla realtà fisica (rispetto a quanto aveva fatto Platone), Aristotele nega che una realtà la cui sostanza non sia individuabile dal filosofo, possa partecipare all'essere. Qui sta il suo arbitrio intellettuale. L'essere di Aristotele è un'entità puramente logica, e la realtà che lo esprime ha senso solo in quanto manifesta un'intrinseca coerenza logica (stabilita dal filosofo-enciclopedista per mezzo del sillogismo, che è il modo di ragionare affermatosi in Occidente). L'idea di sostanza è deducibile per mezzo del sillogismo. In tal modo la realtà diventa un fenomeno meramente formale.
Perché Platone non era arrivato a formalizzare l'essere in categorie? Perché, tutto sommato, aveva ancora una concezione mistica dell'essere. Un essere che si lascia troppo "definire" era, per Platone, un essere poco assoluto, poco eterno o poco infinito. Tanto è vero che per costruire il nesso idee/natura, Platone si era sentito in dovere di elaborare il concetto di demiurgo.
Sotto questo aspetto Aristotele supera abbondantemente Platone. Vi è nella sua filosofia maggiore realismo, benché esso resti rigorosamente circoscritto nell'ambito formale del linguaggio logico (epistemologico). L'essere diventa ora un'entità conoscibile solo in maniera logico-speculativa.
Con Aristotele, non è più l'essere che, in forza della propria oggettività, ha qualcosa da "rivelare" all'uomo. Anzi, neppure l'uomo è più disposto ad ascoltare, ad osservare la realtà contemplandone il mistero. Il preteso disinteresse della conoscenza filosofica è in Aristotele una finzione che maschera la precisa esigenza di padroneggiare la realtà con la logica formale. L'essere, in Aristotele, non è più grande dell'uomo che lo comprende. L'oggettività dell'essere corrisponde alle qualità logiche che il soggetto gli attribuisce.
La logica ferrea, matematica, di Aristotele permea anche i concetti di "essere in atto" ed "essere in potenza". Facendo derivare, in ultima istanza, la potenza dall'atto (non in modo cronologico, ovviamente, ma in modo ontologico), cioé considerando l'atto anteriore alla potenza (cosa ch'egli si preoccupa di dimostrare anche in modo fisico), Aristotele, in pratica, può giustificare qualunque realtà.Egli infatti cerca fra atto e potenza una perfetta corrispondenza dal punto di vista dell'atto, per cui è costretto a escludere a-priori la possibilità che la potenza generi un atto diverso da quello effettivamente prodotto (qui Gentile è molto debitore nei confronti di Aristotele).Per Aristotele ogni potenza può generare solo l'atto corrispondente (o comunque un atto previsto a-priori, anche perché determinato in modo fisicistico, meccanicistico: cosa che Gentile non farà, avendo egli la nozione di "spirito"). Aristotele è comunque solito servisi di principi fisici per dimostrare quelli metafisici (anche Schelling lo faceva).Il principio di non-contraddizione rientra nell'esigenza di stabilire a-priori l'essenza delle cose, sulla base della loro logicità. E' reale solo ciò che è razionale: qui Hegel deve molto ad Aristotele.
Il Dio di Aristotele è un Dio che "pensa" senza far nulla, è un Dio impassibile, imperturbabile, senza emozioni né sentimenti, completamente freddo: solo il pensiero è "caldo", ed è esso che eccita la curiosità intellettuale del filosofo.

lorynzo2
Grazie mille. Il confronto è fatto molto bene.


Inoltre potete anche spiegarmi la dottrina delle categorie (Soggetto, predicato, proprio, genere....ecc.) e la critica della teoria platonica delle idee. !!!!!

orrfeos
guarda quì sul nostro sito
https://forum.skuola.net/storia-filosofia/aristotele-vs-platone-13912.html#153083

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