Urgentissimo!!!!!!
ciao a tutti mi servirebbero i rissunti di due novelle di boccaccio..la prima si intitola"Ser Ciappelletto"la seconda"Freta Cipolla"..se riuscite a trovarmi dei siti dove andare mi fareste un grandissimo piacere..vi prego è urgente..GRAZIE!!:)
Risposte
Chiudo
siamo qui per questo! :lol
hey grazie a tutti..mi siete stati d'aiuto..specie adesso che la scuola é alle porte..;)
Frate Cipolla
Frate Cipolla si reca sempre a predicare nel contado, e approfitta dell’ingenuità dei contadini per spillar loro elemosine. Un giorno annuncia che a Certaldo mostrerà una penna dell’Arcangelo Gabriele, che in realtà era la penna di un pappagallo. Due burloni, però, gliela rubano, e la sostituiscono con dei carboni. Nel corso della predica, il frate si accorge della sostituzione, e senza farsi prendere dal panico, volge la situazione a suo vantaggio, affermando che si tratta dei carboni della graticola su cui fu bruciato San Lorenzo; e così ottiene ricchissime elemosine. La novella è comica e vuole dimostrare la simpatia del personaggio di Frate Cipolla che, ricorrendo alla fantasia e alla menzogna, riesce a cavarsela.
Ser Cepparello (I,1)
Ser Cepparello viene inviato da un mercante che vive a Parigi, in Borgogna, per riscuotere dei crediti. Egli è un uomo dalla condotta deplorevole, un vero furfante, che ha provato tutti i vizi, e sono proprio queste caratteristiche a farlo scegliere per svolgere la delicata missione. Mentre è là ospite di amici, viene colpito da una grave malattia e bisogna chiamare un confessore. Tutti si preoccupano per i loro affari, se l'uomo dovesse svelarli al frate. Cepparello li rassicura, dicendo che nessuno verrà a sapere ciò che ha fatto: infatti, quando arriva il frate, il protagonista lo inganna, affermando di aver commesso lievi peccati e di essere un uomo molto pio. Alla sua morte viene considerato un santo. Il narratore conclude dicendo che Dio ha la capacità di trarre del bene anche dal male. La novella è basata principalmente sul paradosso, poiché il confessato è più astuto dell'ingannato confessore. La vicenda narrata si svolge nella Francia medievale, nell'ambiente dei mercanti toscani, che si trovano lì per affari. Il tema principale della novella è l'inganno compiuto attraverso le parole
Frate Cipolla si reca sempre a predicare nel contado, e approfitta dell’ingenuità dei contadini per spillar loro elemosine. Un giorno annuncia che a Certaldo mostrerà una penna dell’Arcangelo Gabriele, che in realtà era la penna di un pappagallo. Due burloni, però, gliela rubano, e la sostituiscono con dei carboni. Nel corso della predica, il frate si accorge della sostituzione, e senza farsi prendere dal panico, volge la situazione a suo vantaggio, affermando che si tratta dei carboni della graticola su cui fu bruciato San Lorenzo; e così ottiene ricchissime elemosine. La novella è comica e vuole dimostrare la simpatia del personaggio di Frate Cipolla che, ricorrendo alla fantasia e alla menzogna, riesce a cavarsela.
Ser Cepparello (I,1)
Ser Cepparello viene inviato da un mercante che vive a Parigi, in Borgogna, per riscuotere dei crediti. Egli è un uomo dalla condotta deplorevole, un vero furfante, che ha provato tutti i vizi, e sono proprio queste caratteristiche a farlo scegliere per svolgere la delicata missione. Mentre è là ospite di amici, viene colpito da una grave malattia e bisogna chiamare un confessore. Tutti si preoccupano per i loro affari, se l'uomo dovesse svelarli al frate. Cepparello li rassicura, dicendo che nessuno verrà a sapere ciò che ha fatto: infatti, quando arriva il frate, il protagonista lo inganna, affermando di aver commesso lievi peccati e di essere un uomo molto pio. Alla sua morte viene considerato un santo. Il narratore conclude dicendo che Dio ha la capacità di trarre del bene anche dal male. La novella è basata principalmente sul paradosso, poiché il confessato è più astuto dell'ingannato confessore. La vicenda narrata si svolge nella Francia medievale, nell'ambiente dei mercanti toscani, che si trovano lì per affari. Il tema principale della novella è l'inganno compiuto attraverso le parole
Personaggio di una novella di Giovanni Boccaccio (Decamerone, giorn. VI, nov. 10). Una novella sola, e una sola avventura in essa descritta bastarono al genio del Boccaccio per creare una figura tra le più felici e le più giustamente popolari di tutta la nostra tradizione letteraria. Frate Cipolla riconosce la sua origine da un'osservazione satirica: la grossolana e fortunata astuzia di troppi frati cercatori, i quali andavano in giro a provocar laute offerte dal volgo dei credenzoni campagnoli appellandosi non tanto alla fede del loro uditorio (ché di fede ne avevan troppo poca essi stessi) quanto sfruttando senza ombra di scrupoli la semplicità e la superstizione altrui. Ma il motivo satirico è ben presto superato dalla simpatia umana e poetica. Perché il Boccaccio ammira e giustifica quasi con un riso indulgente il suo eroe: la sua furberia gli sembra un naturale trionfo dello spirito sulla troppa stupidità del mondo, ed egli non sa risolversi a condannare frate Cipolla quando questi applica a suo pro'il noto adagio: "Vulgus vult decipi, ergo decipiatur".
Rotondo, piccolotto e grassoccio, rosso di pelo, dalla parlantina sciolta e l'occhio vivo, frate Cipolla è, tutto sommato, "il miglior brigante del mondo", cioè l'uomo che sa stare nelle più allegre brigate: un simpatico compagnone che, svolto il suo compito e raccolte le offerte, ha ancora tanto spirito da essere il primo a ridere degli espedienti testé adoperati con le persone che sanno apprezzare le sue qualità. Giunto in Certaldo per la solita questua, egli ha promesso quel giorno di mostrare ai credenti, quasi a ricompensa della loro benefica generosità, nientemeno che "una penna dell'angelo Gabriello". Due giovani buontemponi suoi conoscenti pensano di giocargli un brutto scherzo e di mettere una volta tanto il furbone in difficoltà: approfittando della distrazione del servitore del frate (perché frate Cipolla va sempre in giro con una specie di servitore che lo aiuta a portar le bisacce, un buffo e sudicio tipo del quale egli suol farsi gioco, e che risponde al nome di Guccio Imbratta, o anche Guccio Porco), i due trovano nel suo bagaglio una cassettina con dentro una splendida penna di pappagallo, quella stessa evidentemente ch'egli avrebbe di lì a poco dovuto mostrare in chiesa; gliela sottraggono, riempiendo invece la cassetta di carboni, e poi si mischiano al già folto uditorio, per vedere come riuscirà a cavarsela l'amico.
Frate Cipolla, dopo un discorsetto preliminare, si fa portare infatti la cassettina, promette di mostrare la penna, e l'apre fra grande aspettativa. Vi guarda dentro, impassibile, ringrazia nuovamente Iddio; e senza un attimo d'esitazione si lancia in un mirabile discorso, raccontando con florita eloquenza tutti i suoi viaggi, le molte reliquie che egli aveva avuto la fortuna di trovare; alcune delle quali egli ha portato seco quel giorno; e finisce per annunciare tranquillamente come quella mattina prima di mettersi in viaggio, invece di prendere la cassettina contenente la penna dell'angelo Gabriello ne avesse presa un'altra in tutto simile, contenente alcuni di quei carboni sui quali fu arrostito il martire san Lorenzo, la cui festa anzi ricorreva proprio di lì a qualche giorno, onde non era da escludere che fosse stato d'ispirazione divina il suo abbaglio... Quei carboni dunque egli mostrerà per ora ai buoni Certaldesi incantati; e per di più farà loro la grazia di segnarli tutti con essi: perché chi avrà una croce segnata sugli abiti con quei carboni "foco nol toccherà che non si senta!". Così con la sua prontezza di spirito frate Cipolla trionfa dei beffatori, i quali restano ammirati e scornati, e saranno i primi a congratularsi con lui della sua bravura. Ma il lungo discorso che egli così argutamente ha improvvisato non ha avuto il solo scopo di riparare all'impensata sostituzione: non era neppure necessario tanto sfoggio di spirito per un così semplice uditorio! Esso è in realtà un compiaciuto sfogo della fantasia inventiva di fra Cipolla: una girandola di scherzi e di lazzi, un fuoco d'artificio di immagini burlesche ond'egli traveste da viaggi meravigliosi le sue semplici peregrinazioni, dando a credere favolose avventure senza discostarsi in sostanza quasi in nulla dall'umile realtà, uno spettacolo che egli dà a se stesso e ai pochi furbi presenti che sono in grado di intenderli. Un tocco di più, in sostanza, al suo carattere per cui frate Cipolla si eleva bene al di sopra della meschina e interessata astuzia di tanti suoi simili, da uomo di spirito e, a suo modo, da artista. Ed è questo il tratto che dà un'impronta schiettamente originale alla sua figura, rilevando dalle linee più comuni del suo tipo un vero e proprio carattere, e meritandogli la fama di cui egli tuttora gode.
Rotondo, piccolotto e grassoccio, rosso di pelo, dalla parlantina sciolta e l'occhio vivo, frate Cipolla è, tutto sommato, "il miglior brigante del mondo", cioè l'uomo che sa stare nelle più allegre brigate: un simpatico compagnone che, svolto il suo compito e raccolte le offerte, ha ancora tanto spirito da essere il primo a ridere degli espedienti testé adoperati con le persone che sanno apprezzare le sue qualità. Giunto in Certaldo per la solita questua, egli ha promesso quel giorno di mostrare ai credenti, quasi a ricompensa della loro benefica generosità, nientemeno che "una penna dell'angelo Gabriello". Due giovani buontemponi suoi conoscenti pensano di giocargli un brutto scherzo e di mettere una volta tanto il furbone in difficoltà: approfittando della distrazione del servitore del frate (perché frate Cipolla va sempre in giro con una specie di servitore che lo aiuta a portar le bisacce, un buffo e sudicio tipo del quale egli suol farsi gioco, e che risponde al nome di Guccio Imbratta, o anche Guccio Porco), i due trovano nel suo bagaglio una cassettina con dentro una splendida penna di pappagallo, quella stessa evidentemente ch'egli avrebbe di lì a poco dovuto mostrare in chiesa; gliela sottraggono, riempiendo invece la cassetta di carboni, e poi si mischiano al già folto uditorio, per vedere come riuscirà a cavarsela l'amico.
Frate Cipolla, dopo un discorsetto preliminare, si fa portare infatti la cassettina, promette di mostrare la penna, e l'apre fra grande aspettativa. Vi guarda dentro, impassibile, ringrazia nuovamente Iddio; e senza un attimo d'esitazione si lancia in un mirabile discorso, raccontando con florita eloquenza tutti i suoi viaggi, le molte reliquie che egli aveva avuto la fortuna di trovare; alcune delle quali egli ha portato seco quel giorno; e finisce per annunciare tranquillamente come quella mattina prima di mettersi in viaggio, invece di prendere la cassettina contenente la penna dell'angelo Gabriello ne avesse presa un'altra in tutto simile, contenente alcuni di quei carboni sui quali fu arrostito il martire san Lorenzo, la cui festa anzi ricorreva proprio di lì a qualche giorno, onde non era da escludere che fosse stato d'ispirazione divina il suo abbaglio... Quei carboni dunque egli mostrerà per ora ai buoni Certaldesi incantati; e per di più farà loro la grazia di segnarli tutti con essi: perché chi avrà una croce segnata sugli abiti con quei carboni "foco nol toccherà che non si senta!". Così con la sua prontezza di spirito frate Cipolla trionfa dei beffatori, i quali restano ammirati e scornati, e saranno i primi a congratularsi con lui della sua bravura. Ma il lungo discorso che egli così argutamente ha improvvisato non ha avuto il solo scopo di riparare all'impensata sostituzione: non era neppure necessario tanto sfoggio di spirito per un così semplice uditorio! Esso è in realtà un compiaciuto sfogo della fantasia inventiva di fra Cipolla: una girandola di scherzi e di lazzi, un fuoco d'artificio di immagini burlesche ond'egli traveste da viaggi meravigliosi le sue semplici peregrinazioni, dando a credere favolose avventure senza discostarsi in sostanza quasi in nulla dall'umile realtà, uno spettacolo che egli dà a se stesso e ai pochi furbi presenti che sono in grado di intenderli. Un tocco di più, in sostanza, al suo carattere per cui frate Cipolla si eleva bene al di sopra della meschina e interessata astuzia di tanti suoi simili, da uomo di spirito e, a suo modo, da artista. Ed è questo il tratto che dà un'impronta schiettamente originale alla sua figura, rilevando dalle linee più comuni del suo tipo un vero e proprio carattere, e meritandogli la fama di cui egli tuttora gode.
- qui trovi il riasusnto di tutte le novelle:
https://www.skuola.net/page.php?al=decameron-relazione quindi anche di Frate Cipolla
- qui trovi altro su ser ciappelletto:
https://www.skuola.net/page.php?al=decamerone-1-1&pg=7
ti incollo quello che ho trovato su Frate Cipolla, è il ocmmento che precede la novella cmq nel primo link dovresti trovare il riassunto:
FRATE CIPOLLA:
Frate Cipolla, la decima novella della sesta giornata del Decameron, di Giovanni Boccaccio, è preceduta dal seguente commento:
Frate Cipolla promette a certi contadini di mostrar loro la penna dell’agnolo Gabriello; in luogo della quale trovando carboni, quegli dice essere di quegli che arrostirono San Lorenzo.
La sesta giornata è dedicata a coloro che riescono a superare situazioni di rischio impreviste, mediante l’uso opportuno e appropriato della parola. L’esaltazione della capacità dell’oratoria e della presenza di spirito come mezzi per cavarsela in situazioni imbarazzanti non è un tema esclusivo della sesta giornata, anzi è presente anche in molte novelle delle altre giornate del Decameron.
La trama della novella è questa: Frate Cipolla mostra a dei contadini una penna di pappagallo, affermando che si tratta di una penna dell’angelo Gabriele. Lascia la sua preziosa “reliquia” in custodia al suo servo Guccio, il quale, però, si stava dando da fare per sedurre la serva Nuta. Due giovani mattacchioni, amici di Cipolla, approfittando della negligenza di Guccio, entrano nella camera di Cipolla e mettono carbone al posto della penna. Il frate, quando apre la scatola davanti ai contadini e trova il carbone, spiega ai presenti che aveva preso la scatola sbagliata e che ne aveva portata una identica all’altra che, invece della penna, custodiva i carboni in cui era stato bruciato San Lorenzo.
In Frate Cipolla si presentano due strati sociali e intellettuali ben distinti. In uno si situano gli ignoranti e i poveri di spirito: Nuta, Guccio e i contadini di Certaldo. Boccaccio è spietato verso di loro e, in questa, come in quasi tutte le novelle del Decameron, stabilisce una divisione fra la vita esclusivamente istintiva, quasi animalesca, propria degli strati sociali inferiori, e la vita di contemplazione della natura e della creazione divina, propria delle classi più elevate e istruite. Questa distinzione nel trattamento dei diversi strati sociali è frutto della convenzione dell’amor cortese che ha pervaso tutto il Medioevo, secondo la quale la poesia idillica poteva rappresentare soltanto dialoghi d’amore fra nobili, mentre ai contadini erano destinate forme burlesche, dato che, secondo il concetto diffuso in quell’epoca, l’amore fisico e animalesco era una caratteristica degli strati sociali più bassi.
La serva Nuta è descritta dal narratore come una cuoca sporca di fuliggine e di unto, “con un paio di poppe che parevan due ceston da letame”. Al suo stesso strato sociale e intellettuale appartiene Guccio, il servo di Cipolla, chiamato anche Balena, Imbratta e Porco. Questi, utilizzando la magra retorica concessagli da una natura avara e ispirandosi al suo padrone, del quale é seguace e ammiratore fedele, tenta di sedurre Nuta, come è solito fare con le altre serve. Convinto di usare il mezzo più efficace dell’arte della seduzione, mente spudoramente a proposito della sua situazione economica per fare impressione sulla donna. Ma non riesce nei suoi intenti, nonostante prolunghi il suo tentativo per alcune ore.
Il secondo strato sociale e intellettuale presente nella novella, e in contrapposizione con il primo, è costituito dal gruppo a cui appartengono Frate Cipolla e i suoi due amici di Certaldo.
La differente competenza in fatto di retorica e oratoria crea un abisso enorme fra Guccio e Cipolla e mentre rende il primo un essere odiato e fallito, come dimostrano i suoi nomignoli dispregiativi e i suoi fiaschi come seduttore, fa del secondo un amico di tutti,. Grazie alla sua oratoria e alla sua arguta e notevole presenza di spirito, Cipolla esce vittorioso dal tranello preparatogli dai due giovani che avevano nascosto la sua preziosa “reliquia”, la penna di pappagallo.
Quando apre la scatola che dovrebbe contenere la penna e vede il carbone, Cipolla esclama: “O Iddio, lodata sia sempre la tua potenza!” Inventa, poi, una storia piena di affermazioni stranissime, assurdi geografici, giochi di parole, ambiguità, insomma, un capolavoro di oratoria, seguito dalla benedizione della folla con i carboni – una messinscena che occupa quasi un terzo della novella, fatto che ne rivela l’importanza.
È ammirevole la rapidità di pensiero di Cipolla: con prontezza, senza manifestare emozioni che possano comprometterlo agli occhi dei fedeli, deduce che il responsabile dello scambio non era il suo servo, ma qualche mattacchione. Pensa che era stato uno sciocco e che non avrebbe mai dovuto consegnare un oggetto tanto prezioso e pericoloso a uno scervellato come Guccio. E, soprattutto, si rende conto che può volgere la situazione a suo vantaggio, e si affretta ad attribuire direttamente a Dio l’equivoco dello scambio della scatola che contiene la penna dell’angelo Gabriele con quella che contiene i carboni con cui San Lorenzo era stato bruciato vivo. Così i fedeli possono rendere omaggio a questo santo, la cui festa sarebbe stata commemorata due giorni dopo. Cipolla esalta, allora, la potenza divina, con la frase citata.
A chi sono dirette le parole di Cipolla? Ai due giovani amici che hanno cercato di burlarsi di lui, la cui identità egli non conosceva ancora, e ai fedeli che lo ascoltano con attenzione e fede ardente, mentre venerano la falsa reliquia. I suoi due amici sapevano che Cipolla non sarebbe caduto nel tranello che gli avevano preparato rubandogli la penna di pappagallo, perché conoscevano molto bene le sue capacità di oratoria e di improvvisazione. Se non ne fossero stati convinti, non lo avrebbero messo in una situazione del genere, col rischio di rovinargli la reputazione. I due burloni volevano solo godersi la scena che il frate avrebbe inventato e già se la immaginavano. Cipolla, allora, non soltanto si diverte alle spalle dei suo ingenui fedeli (e questa è, forse, la cosa meno importante), ma inscena una commedia, il cui protagonista è proprio lui, mentre i fedeli sono comparse involontarie, rivolta a un pubblico ristretto: i due amici che gli hanno rubato la penna. In questo modo, fa divertire questa “piccola platea”, capace di capirlo perché dotata, come lui, di un livello intellettuale elevato, alle spalle dell’altro pubblico, i contadini creduli. La sua conoscenza dei due strati sociali di Certaldo – il superiore, al quale appartengono i due giovani e Boccaccio, e l’inferiore, dei contadini – rende Cipolla sicuro del fatto suo, perché sa di essere capito da pochi e di essere capace di ingannare molti.
La novella di Frate Cipolla si svolge in Italia ed in essa, come nella maggior parte delle novelle del Decameron, il modo con cui il narratore si riferisce alla città riflette il concetto che ha dei suoi abitanti. Ciò fa pensare che Boccaccio voglia fare riferimento ad alcuni aspetti peculiari della popolazione di Certaldo, la sua città natale, che meritavano di essere presentati nella novella più lunga della sesta giornata. Infatti, sono evidenti la dabbenaggine dei suoi contadini e l’arguzia della sua élite. Ci sia permesso, però, formulare un’altra ipotesi interpretativa per questa novella: Boccaccio non vuol forse dirci che Cipolla è un esempio rappresentativo della strato sociale superiore di Certaldo, del quale anch’egli fa parte, e che questo strato ha abilità retoriche sufficienti a ingannare e a far divertire molti, ma può essere compreso solo da pochi? Un’ipotesi come questa propone livelli stratificati di comprensione del Decameron o, almeno, della novella di Cipolla. (tratto da [url=http://209.85.135.104/search?q=cache:WpAYbE_pi1kJ:www.comunitaitaliana.com.br/mosaico/mosaico4/cipolla.htm+frate+cipolla+decameron&hl=it&ct=clnk&cd=1&gl=it]qui[/url])
https://www.skuola.net/page.php?al=decameron-relazione quindi anche di Frate Cipolla
- qui trovi altro su ser ciappelletto:
https://www.skuola.net/page.php?al=decamerone-1-1&pg=7
ti incollo quello che ho trovato su Frate Cipolla, è il ocmmento che precede la novella cmq nel primo link dovresti trovare il riassunto:
FRATE CIPOLLA:
Frate Cipolla, la decima novella della sesta giornata del Decameron, di Giovanni Boccaccio, è preceduta dal seguente commento:
Frate Cipolla promette a certi contadini di mostrar loro la penna dell’agnolo Gabriello; in luogo della quale trovando carboni, quegli dice essere di quegli che arrostirono San Lorenzo.
La sesta giornata è dedicata a coloro che riescono a superare situazioni di rischio impreviste, mediante l’uso opportuno e appropriato della parola. L’esaltazione della capacità dell’oratoria e della presenza di spirito come mezzi per cavarsela in situazioni imbarazzanti non è un tema esclusivo della sesta giornata, anzi è presente anche in molte novelle delle altre giornate del Decameron.
La trama della novella è questa: Frate Cipolla mostra a dei contadini una penna di pappagallo, affermando che si tratta di una penna dell’angelo Gabriele. Lascia la sua preziosa “reliquia” in custodia al suo servo Guccio, il quale, però, si stava dando da fare per sedurre la serva Nuta. Due giovani mattacchioni, amici di Cipolla, approfittando della negligenza di Guccio, entrano nella camera di Cipolla e mettono carbone al posto della penna. Il frate, quando apre la scatola davanti ai contadini e trova il carbone, spiega ai presenti che aveva preso la scatola sbagliata e che ne aveva portata una identica all’altra che, invece della penna, custodiva i carboni in cui era stato bruciato San Lorenzo.
In Frate Cipolla si presentano due strati sociali e intellettuali ben distinti. In uno si situano gli ignoranti e i poveri di spirito: Nuta, Guccio e i contadini di Certaldo. Boccaccio è spietato verso di loro e, in questa, come in quasi tutte le novelle del Decameron, stabilisce una divisione fra la vita esclusivamente istintiva, quasi animalesca, propria degli strati sociali inferiori, e la vita di contemplazione della natura e della creazione divina, propria delle classi più elevate e istruite. Questa distinzione nel trattamento dei diversi strati sociali è frutto della convenzione dell’amor cortese che ha pervaso tutto il Medioevo, secondo la quale la poesia idillica poteva rappresentare soltanto dialoghi d’amore fra nobili, mentre ai contadini erano destinate forme burlesche, dato che, secondo il concetto diffuso in quell’epoca, l’amore fisico e animalesco era una caratteristica degli strati sociali più bassi.
La serva Nuta è descritta dal narratore come una cuoca sporca di fuliggine e di unto, “con un paio di poppe che parevan due ceston da letame”. Al suo stesso strato sociale e intellettuale appartiene Guccio, il servo di Cipolla, chiamato anche Balena, Imbratta e Porco. Questi, utilizzando la magra retorica concessagli da una natura avara e ispirandosi al suo padrone, del quale é seguace e ammiratore fedele, tenta di sedurre Nuta, come è solito fare con le altre serve. Convinto di usare il mezzo più efficace dell’arte della seduzione, mente spudoramente a proposito della sua situazione economica per fare impressione sulla donna. Ma non riesce nei suoi intenti, nonostante prolunghi il suo tentativo per alcune ore.
Il secondo strato sociale e intellettuale presente nella novella, e in contrapposizione con il primo, è costituito dal gruppo a cui appartengono Frate Cipolla e i suoi due amici di Certaldo.
La differente competenza in fatto di retorica e oratoria crea un abisso enorme fra Guccio e Cipolla e mentre rende il primo un essere odiato e fallito, come dimostrano i suoi nomignoli dispregiativi e i suoi fiaschi come seduttore, fa del secondo un amico di tutti,. Grazie alla sua oratoria e alla sua arguta e notevole presenza di spirito, Cipolla esce vittorioso dal tranello preparatogli dai due giovani che avevano nascosto la sua preziosa “reliquia”, la penna di pappagallo.
Quando apre la scatola che dovrebbe contenere la penna e vede il carbone, Cipolla esclama: “O Iddio, lodata sia sempre la tua potenza!” Inventa, poi, una storia piena di affermazioni stranissime, assurdi geografici, giochi di parole, ambiguità, insomma, un capolavoro di oratoria, seguito dalla benedizione della folla con i carboni – una messinscena che occupa quasi un terzo della novella, fatto che ne rivela l’importanza.
È ammirevole la rapidità di pensiero di Cipolla: con prontezza, senza manifestare emozioni che possano comprometterlo agli occhi dei fedeli, deduce che il responsabile dello scambio non era il suo servo, ma qualche mattacchione. Pensa che era stato uno sciocco e che non avrebbe mai dovuto consegnare un oggetto tanto prezioso e pericoloso a uno scervellato come Guccio. E, soprattutto, si rende conto che può volgere la situazione a suo vantaggio, e si affretta ad attribuire direttamente a Dio l’equivoco dello scambio della scatola che contiene la penna dell’angelo Gabriele con quella che contiene i carboni con cui San Lorenzo era stato bruciato vivo. Così i fedeli possono rendere omaggio a questo santo, la cui festa sarebbe stata commemorata due giorni dopo. Cipolla esalta, allora, la potenza divina, con la frase citata.
A chi sono dirette le parole di Cipolla? Ai due giovani amici che hanno cercato di burlarsi di lui, la cui identità egli non conosceva ancora, e ai fedeli che lo ascoltano con attenzione e fede ardente, mentre venerano la falsa reliquia. I suoi due amici sapevano che Cipolla non sarebbe caduto nel tranello che gli avevano preparato rubandogli la penna di pappagallo, perché conoscevano molto bene le sue capacità di oratoria e di improvvisazione. Se non ne fossero stati convinti, non lo avrebbero messo in una situazione del genere, col rischio di rovinargli la reputazione. I due burloni volevano solo godersi la scena che il frate avrebbe inventato e già se la immaginavano. Cipolla, allora, non soltanto si diverte alle spalle dei suo ingenui fedeli (e questa è, forse, la cosa meno importante), ma inscena una commedia, il cui protagonista è proprio lui, mentre i fedeli sono comparse involontarie, rivolta a un pubblico ristretto: i due amici che gli hanno rubato la penna. In questo modo, fa divertire questa “piccola platea”, capace di capirlo perché dotata, come lui, di un livello intellettuale elevato, alle spalle dell’altro pubblico, i contadini creduli. La sua conoscenza dei due strati sociali di Certaldo – il superiore, al quale appartengono i due giovani e Boccaccio, e l’inferiore, dei contadini – rende Cipolla sicuro del fatto suo, perché sa di essere capito da pochi e di essere capace di ingannare molti.
La novella di Frate Cipolla si svolge in Italia ed in essa, come nella maggior parte delle novelle del Decameron, il modo con cui il narratore si riferisce alla città riflette il concetto che ha dei suoi abitanti. Ciò fa pensare che Boccaccio voglia fare riferimento ad alcuni aspetti peculiari della popolazione di Certaldo, la sua città natale, che meritavano di essere presentati nella novella più lunga della sesta giornata. Infatti, sono evidenti la dabbenaggine dei suoi contadini e l’arguzia della sua élite. Ci sia permesso, però, formulare un’altra ipotesi interpretativa per questa novella: Boccaccio non vuol forse dirci che Cipolla è un esempio rappresentativo della strato sociale superiore di Certaldo, del quale anch’egli fa parte, e che questo strato ha abilità retoriche sufficienti a ingannare e a far divertire molti, ma può essere compreso solo da pochi? Un’ipotesi come questa propone livelli stratificati di comprensione del Decameron o, almeno, della novella di Cipolla. (tratto da [url=http://209.85.135.104/search?q=cache:WpAYbE_pi1kJ:www.comunitaitaliana.com.br/mosaico/mosaico4/cipolla.htm+frate+cipolla+decameron&hl=it&ct=clnk&cd=1&gl=it]qui[/url])
hey grazie!!!
Protagonista della prima novella del Decamerone. Ser Ciappelletto (così chiamavano i Francesi, fra cui viveva, il notaio ser Ciapperello da Prato) è l'eroe o meglio l'artista del male, che compie le azioni ritenute riprovevoli con una intera dedizione dell'animo e con una gioia disinteressata, come di chi adempie la propria vocazione: estraneo alla vita morale e ignaro di rimorsi, non suscita repugnanza od orrore, ma un'allegra ammirazione per quella vigoria di ingegno che egli spiega nelle sue non lodevoli imprese e che mai non si affievolisce o vien meno.
Incaricato da un uomo di affari che ben lo conosce di riscuotere certi crediti dai Borgognoni, coi quali, "riottosi e di mala condizione e misleali", soltanto un uomo come lui poteva trattare con successo, si ammala mortalmente in quella regione in cui è sconosciuto, e, pregato dai suoi ospiti, accetta di confessarsi, non già per compiacerli e tanto meno per contrizione, ma perché è come attirato da quest'ultimo inganno che potrà fare ai propri simili. E vero canto del cigno riesce la sua confessione: non turbato dalla prossima fine e meno che mai da scrupoli o da rimorsi, Ciappelletto non si contenta di nascondere le proprie colpe, ma si investe della parte del devoto, dell'anima pia, alla cui netta e dignitosa coscienza un fallo anche piccolo è un amaro morso, e così bene la rappresenta, che il frate confessore, uomo assai dotto e non sciocco, è preso da una crescente tenerezza e ammirazione per lui e ritiene di avere dinanzi a sé un santo. Né basta: ché, rivelata dal frate ai suoi confratelli la santa vita del defunto, i suoi funerali riescono una vera apoteosi e ben presto la fama della sua santità si diffonde per tutto il paese. Così ser Ciapperello da Prato diventa in Borgogna san Ciappelletto: ultima enorme beffa da lui fatta alla semplicità umana, così docile materia per lui e per i suoi consimili. Da lui discende il Margutte del Pulci, che rinnova con una accentuazione beceresca le sue imprese e i suoi vanti. Di tutt'altra natura sono invece altri personaggi del Rinascimento e dell'età moderna, empi e irreligiosi, poiché Ciappelletto (e tanto meno il suo autore) non pensa affatto di offendere o negare Iddio, e se mai di Dio potrebbe dire con le parole di un famoso epigramma: "Non lo conosco".
Incaricato da un uomo di affari che ben lo conosce di riscuotere certi crediti dai Borgognoni, coi quali, "riottosi e di mala condizione e misleali", soltanto un uomo come lui poteva trattare con successo, si ammala mortalmente in quella regione in cui è sconosciuto, e, pregato dai suoi ospiti, accetta di confessarsi, non già per compiacerli e tanto meno per contrizione, ma perché è come attirato da quest'ultimo inganno che potrà fare ai propri simili. E vero canto del cigno riesce la sua confessione: non turbato dalla prossima fine e meno che mai da scrupoli o da rimorsi, Ciappelletto non si contenta di nascondere le proprie colpe, ma si investe della parte del devoto, dell'anima pia, alla cui netta e dignitosa coscienza un fallo anche piccolo è un amaro morso, e così bene la rappresenta, che il frate confessore, uomo assai dotto e non sciocco, è preso da una crescente tenerezza e ammirazione per lui e ritiene di avere dinanzi a sé un santo. Né basta: ché, rivelata dal frate ai suoi confratelli la santa vita del defunto, i suoi funerali riescono una vera apoteosi e ben presto la fama della sua santità si diffonde per tutto il paese. Così ser Ciapperello da Prato diventa in Borgogna san Ciappelletto: ultima enorme beffa da lui fatta alla semplicità umana, così docile materia per lui e per i suoi consimili. Da lui discende il Margutte del Pulci, che rinnova con una accentuazione beceresca le sue imprese e i suoi vanti. Di tutt'altra natura sono invece altri personaggi del Rinascimento e dell'età moderna, empi e irreligiosi, poiché Ciappelletto (e tanto meno il suo autore) non pensa affatto di offendere o negare Iddio, e se mai di Dio potrebbe dire con le parole di un famoso epigramma: "Non lo conosco".
Questa discussione è stata chiusa