Tesina sull eutanasia

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Devo fare il mio primo esame vero vorrei portare l'eutanasia ma qui mi fermo non riesco a fare i collegamenti mi potete dare una mano pensate che sia troppo complicato portare una tesina del genere

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Devo fare il mio primo esame vero vorrei portare l'eutanasia ma qui mi fermo non riesco a fare i collegamenti mi potete dare una mano pensate che sia troppo complicato portare una tesina del genere

peduz91
Eutanasia

Dott. Enzo Iasevoli

Definizione, storia, forme, stato giuridico.

Definizione: Per Eutanasia, che etimologicamente significa "buona morte", secondo la Dichiarazione della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, s’intende: "un’azione o una omissione che di natura sua, o almeno nelle intenzioni, procura la morte allo scopo di eliminare ogni dolore."

Questa definizione può essere integrata aggiungendo al concetto di morte senza dolore, quello di "morte con dignità", significando con quest’ultima il rispetto che ciascuna persona deve dare al proprio Io. Questo concetto diventa sempre più pregnante ai nostri giorni dato che, nel mondo occidentale, almeno l’ottanta per cento delle morti avviene non più a casa propria e tra l’affetto dei congiunti, ma in ambiente ospedaliero, spesso caratterizzato dall’isolamento e dalla solitudine dell’ammalato.

Storia: Il problema dell’eutanasia non è però specifico della nostra epoca; da sempre i medici hanno dovuto farvi fronte e da sempre hanno incontrato pazienti che chiedevano loro di essere aiutati ad anticipare la propria morte. E’ per questo che nel cosiddetto "giuramento d’Ippocrate" si trova scritto: "Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio" E agli inizi dell’era moderna il medico e filosofo inglese Francesco Bacone scriveva che era altamente desiderabile che i medici imparassero "l’arte di aiutare gli agonizzanti a uscire da questo mondo con più dolcezza e serenità".

Quello che è specifico però della nostra epoca, e che spiega l’acutizzarsi del problema, è il profondo mutamento che le condizioni del morire hanno subìto a causa del progresso della medicina, e, più in generale, del miglioramento delle condizioni e delle aspettative di vita. Fino a non molti decenni fa, la morte giungeva di solito abbastanza presto, o perché la malattia non poteva essere efficacemente contrastata, o perché insorgevano complicanze quali infezioni polmonari (la cosiddetta buona, cara polmonite, secondo la definizione dei vecchi medici), che allora si rivelavano rapidamente mortali. La morte avveniva prevalentemente a casa, e, anche se non sempre era una morte "dolce e quieta", il processo del morire e, quindi, il dolore e la sofferenza duravano comunque relativamente poco.

Oggi si muore più tardi e non più per malattie acute, quanto invece per malattie croniche e degenerative legate alla vecchiaia, cosa che ha fatto coniare a Daniel Callahan l’aforisma: "Vite più lunghe e salute peggiore; malattie più lunghe e morti più lente; vecchiaia più lunga e demenza crescente".

Ancora, oggi la medicina è in grado di vicariare le funzioni dei più importanti organi vitali e quindi di tenere in vita un paziente indefinitamente e, comunque, ben oltre il punto in cui si può ragionevolmente dire che stiamo prolungando la vita e non, invece, procrastinando inutilmente la morte. Questo è un punto importante; l’etica medica tradizionale s’è formata in un’epoca in cui molto poco poteva essere fatto per salvare la vita del paziente e quel poco doveva essere fatto. L’imperativo del "vitalismo", che imponeva di prolungare ad ogni costo la vita del paziente, era una reazione all’impotenza della medicina, di fronte al fatto drammatico di non poter riuscire a salvare una vita, spesso ancora carica di promesse. Oggi, invece, possiamo fare moltissimo non solo per salvare la vita, ma anche per prolungarla quando "non può promettere più nulla". Si pone allora il problema di sapere se vale sempre la pena di fare tutto quello che possiamo fare, fino alla totale espropriazione di quel che viene comunemente definito il "diritto di morire con dignità".

Forme: come si evince dalla definizione: "azione od omissione mirante a ...." esistono due forme di eutanasia: 1°) una forma cosiddetta attiva e 2°) una passiva. Nella prima il medico, accogliendo la richiesta di un ammalato terminale, per il quale non vi siano più speranze, non solo di guarigione o miglioramento, ma di attenuazione delle sofferenze, somministra un farmaco ad azione letale dopo avergliene fatto sottoscrivere la richiesta.

La seconda, invece, consiste nel sospendere quella terapia abituale che serve a prolungare la vita e quindi le sofferenze del paziente. A tale scopo però bisogna fare un’importante distinzione fra sospensione della terapia della malattia causa della morte e sospensione della terapia di malattie concomitanti o intercorrenti. Esemplificando: in un ammalato di cancro che volge al termine e che abbia nello stesso tempo una malattia diabetica, la sospensione della terapia di quest’ultima conduce rapidamente a morte, ma non può essere considerata eutanasia, perché la vera causa della morte con le sue sofferenze è il cancro e non il diabete. Lo stesso può dirsi della terapia nutrizionale parenterale.

3°) Una variante dell'eutanasia attiva é il cosiddetto "suicidio assistito", che si verifica quando un medico o un'altra persona fornisce del veleno ad un ammalato, che ne abbia fatto richiesta, ed assista a che esso venga ingerito dal richiedente, senza prestare alcuna collaborazione.

Problemi etici. Da quanto esposto si deduce che il problema dell’eutanasia non investe soltanto l’aspetto etico, morale e filosofico del singolo ammalato, proprietario o usufruttuario del proprio corpo (diritto o no all’autodeterminazione, diritto o meno ad una morte dignitosa), o degli operatori sanitari (rispondere o meno alla disperata invocazione d’aiuto da parte dei sofferenti), ma riveste anche un aspetto giuridico che riguarda sia il legislatore (punibilità o meno di chi presta la propria opera per l’eutanasia) che i responsabili delle varie categorie professionali, nonché le commissioni nazionali o sovranazionali per i diritti dell’uomo e dell’ammalato. Si può fin d'ora affermare che tutti gli Organi competenti si sono espressi contro l’eutanasia, consentendo soltanto la sospensione del cosiddetto accanimento terapeutico, misura con la quale si intende la messa in atto di provvedimenti assistenziali, strumentali e medicamentosi, tendenti a prolungare artificialmente la vita, anche in assenza di qualsiasi speranza di guarigione o sopravvivenza.

La dottrina della Chiesa muove da punti fermi quali:

il riconoscimento del carattere sacro della vita dell’uomo in quanto creatura;
il primato della persona sulla società;
il dovere dell’autorità di rispettare la vita innocente.



Pio XII ebbe a dire: "Per quanto concerne il paziente, egli non è padrone assoluto di se stesso, del proprio corpo, del proprio spirito. Non può dunque disporne liberamente. Per quanto riguarda i medici, nessuno al mondo, nessuna persona privata, nessuna umana pietà, può autorizzare il medico alla diretta distruzione della vita; il suo ufficio non è di distruggere la vita ma è di salvarla".

La Dichiarazione della S. Congregazione per la Dottrina della Fede (1974) così si pronuncia: "Il diritto alla vita resta intatto in un vegliardo, anche molto debilitato; un malato incurabile non l’ha perduto".

Sul concetto di dignità della morte Paolo VI afferma: "Tenendo presente il valore di ogni persona umana, vorremmo ricordare che spetta al medico essere sempre al servizio della vita ed assisterla fino alla fine, senza mai accettare l’eutanasia, né rinunciare a quel dovere squisitamente umano di aiutarla a compiere con dignità il suo corso terreno". Lo stesso Paolo VI si pronuncia contro l’accanimento terapeutico affermando: "In tanti casi non sarebbe una tortura inutile imporre la rianimazione vegetativa nell’ultima fase di una malattia incurabile? Il dovere del medico consiste piuttosto nell’adoperarsi a calmare la sofferenza, invece di prolungare più a lungo possibile con qualunque mezzo e a qualunque condizione una vita che va naturalmente verso la sua conclusione".

Anche altre confessioni religiose si esprimono contro l’accanimento terapeutico facendo spesso riferimento alla non esistenza de: "l’obbligo di mantenere in vita una persona con mezzi straordinari quando non c’è nessuna speranza di guarigione (lettera dei Vescovi d’Inghilterra e del Galles).

Contro la liceità dell’eutanasia si sono espresse anche Organizzazioni sanitarie internazionali, e perfino l’Assemblea del Consiglio d’Europa con la raccomandazione 779/1976 sui diritti dei malati e dei morenti. Precisamente l’articolo 7 esclude l’eutanasia attiva con queste parole: "Il medico deve sforzarsi di placare la sofferenza e non ha il diritto, anche nei casi che sembrano disperati, di affrettare intenzionalmente il processo naturale della morte". Analoga posizione è espressa dal Codice Italiano di Deontologia Medica, che all’articolo 40 recita: "In nessun caso, anche se richiesto dal paziente o dai suoi familiari, il medico deve attivare mezzi tesi ad abbreviare la vita di un ammalato. Tuttavia, nel caso di malattia a prognosi sicuramente infausta, il medico può limitare la propria opera all’assistenza morale ed alla prescrizione ed esecuzione della terapia atta a risparmiare al malato inutili sofferenze".

Stato giuridico: Dal punto di vista legislativo, in Italia l’eutanasia, specie quell’attiva è considerata alla stregua di un omicidio volontario anche se con le attenuanti. L'articolo 579 del codice penale afferma " chiunque causi la morte di un uomo con il consenso di lui, é punito con la reclusione da 6 a 15 anni". La stessa pena é prevista per il suicidio assistito con la seguente formula" se si fornisce ad un ammalato un veleno che il paziente ingerisce da solo, si commette omicidio del consenziente". Sanzioni penali sono previste anche dall'art. 580 (istigazione ed aiuto al suicidio). Negli USA la Corte Costituzionale Federale ha sancito il diritto di ciascun Stato a poter legiferare in proposito; soltanto lo Stato dell’Oregon ha legiferato per la liceità e legalità. Clamoroso, sempre negli U.S.A., il caso del dott . Kervokian, processato e condannato per aver praticato l'eutanasia attiva su 100 pazienti terminali. In Olanda, tollerata da circa venti anni solo a determinate condizioni: reiterata richiesta da parte del paziente e compilazione da parte del medico di un questionario comprendente cinquanta domande (nel 1999 vi sono stati ben 2216 casi), nel novembre 2000 è diventata legale per legge del Parlamento. In Austria esisteva una legge regionale permissiva abrogata però nel 1997. In Svizzera é previsto e tollerato il suicidio assistito. E' operante e riconosciuta una associazione denominata " Exit, che conta circa 60.000 aderenti, il cui scopo é quello di assistere ed aiutare al suicidio coloro che ne facciano richiesta.

E’ recentissimo il pronunciamento in favore dell’eutanasia da parte della Chiesa Calvinista.



Fonti:
http://www.lions-pomigliano.it/Bioetica/Eutanasia.htm






Voci per un Dizionario del Pensiero Forte
L'eutanasia

di Lorenzo Cantoni



1. Nozione

Dopo aver già da tempo abbandonato il legame con l’etimo greco di morte buona, il termine eutanasia viene usato nell’attuale dibattito in sensi spesso molto diversi. Frequentemente si distingue fra eutanasia attiva — o positiva, o diretta —, là dove il medico, o chi per lui, interviene direttamente per procurare la morte di un paziente, ed eutanasia passiva — o negativa, o indiretta —, dove si ha invece astensione da interventi che manterrebbero la persona in vita. Si distingue inoltre fra eutanasia volontaria, quella esplicitamente richiesta dal paziente, ed eutanasia non volontaria, quando la volontà del paziente non può essere espressa, perché si tratta di persona incapace.

Eutanasia si oppone talora a distanasia o ad accanimento terapeutico, che indicano invece il ricorso a interventi medici di prolungamento della vita non rispettosi della dignità del paziente. Prossimo concettualmente e fattualmente all’eutanasia, benché distinto da essa, è poi il suicidio medicalmente assistito, in cui la morte è conseguenza diretta di un atto suicida del paziente, ma consigliato e/o aiutato da un medico. Si tratta, come si vede, di una mappa di significati tutt’altro che omogenea e definita, e assai sensibile alla prospettiva teorica adottata.

Una definizione completa e precisa — abitualmente citata anche da autori che non ne condividono le valutazioni etiche concomitanti — si trova nella Dichiarazione sull’eutanasia "Iura et bona", pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 5 maggio 1980, al n. 6: "Per eutanasia s’intende un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati".



2. Sofferenza, trattamento del dolore ed eutanasia

Una delle caratteristiche definitorie dell’eutanasia è dunque il suo obiettivo di ridurre la sofferenza. Talora si ritiene che la richiesta di un intervento eutanasico o di un’assistenza al suicidio da parte dei pazienti sia direttamente proporzionale alla gravità della loro malattia, e alla loro sofferenza. Si tratta, invero, di una semplificazione indebita. Se prendiamo in esame i casi di suicidio, per esempio, "gli studi indicano — secondo il documento When Death Is Sought: Assisted Suicide and Euthanasia in the Medical Context, pubblicato nel 1994 dallo Stato di New York — che su molti pazienti con grave sofferenza, sfiguramento o disabilità, la grande maggioranza non desidera il suicidio. In uno studio su pazienti malati terminali, fra quelli che espressero una volontà di morire, tutti soddisfacevano i criteri di diagnosi della depressione endogena".

L’esperienza degli Hospice, cliniche il cui obiettivo primario è l’umanizzazione dell’assistenza ai pazienti in fin di vita, e il trattamento del dolore — attraverso le cosiddette cure "palliative" — mette in dubbio ulteriormente questa correlazione fra sofferenza e desiderio di morire apparentemente così ovvia: "Pazienti con una sofferenza non controllata — si legge nel documento citato — possono vedere la morte come l’unica fuga dalla sofferenza che stanno sperimentando. In ogni caso, la sofferenza non è solitamente un fattore di rischio indipendente. La variabile significativa nel rapporto fra sofferenza e suicidio è l’interazione fra sofferenza e sentimenti di disperazione e depressione".



3. Aspetti legali e giuridici dell’eutanasia

Benché il Parlamento inglese avesse discusso già nel 1936 una proposta di legalizzazione dell’eutanasia, e con l’eccezione della legislazione nazionalsocialista, fino a un periodo molto recente essa non ha avuto posto nella legislazione come fattispecie a sé: la pratica eutanasica viene ricondotta, a volta a volta, ad altre fattispecie esistenti; in Italia, per esempio, essa configura i reati di omicidio del consenziente, previsto dal codice penale all’articolo 579, e di istigazione o aiuto al suicidio, di cui all’articolo 580.

In questo contesto giuridico si situano, con effetti non ancora pienamente prevedibili, sia la depenalizzazione dell’eutanasia nel Regno dei Paesi Bassi nel 1994, sia la sua legalizzazione nel Territorio del Nord della Federazione Australiana nel 1995.

Nel Regno dei Paesi Bassi la depenalizzazione dell’eutanasia è stata introdotta con una modifica all’articolo 10 del Regolamento di polizia mortuaria; esso ha stabilito, a partire dal giugno del 1994, la non punibilità dei medici che abbiano aiutato a morire i propri pazienti ma siano in grado di dimostrare di aver rispettato una serie di condizioni. L’atto eutanasico deve essere infatti documentato da una relazione scritta da cui risulti che il paziente sia stato affetto da malattia inguaribile, che vi siano state sofferenze insopportabili e che il malato l’abbia richiesto reiteratamente; tali condizioni devono poi essere confermate da parte di un collega del medico dichiarante; questo documento deve inoltre riportare la storia clinica del paziente e i mezzi utilizzati per l’eutanasia. La relazione viene notificata dal medico a un pubblico ufficiale, coroner, con funzioni giudiziarie.

Dal momento che nel codice penale olandese sono rimasti in vigore sia l’articolo 293, che punisce l’omicidio di consenziente, sia l’articolo 294, che punisce l’istigazione e l’assistenza al suicidio, per depenalizzare l’eutanasia il legislatore olandese ha fatto ricorso all’articolo 40 del medesimo codice, che prevede la scriminante della forza maggiore. La richiesta del paziente viene allora considerata come una "forza maggiore", che rende non perseguibile il medico che pratica l’eutanasia. Tale posizione introduce nell’ordinamento giuridico, a ben vedere, una discriminazione decisa fra vita sana — che il medico ha l’obbligo di tutelare — e vita malata, la cui tutela non è più obbligatoria.

Nel Territorio del Nord della Federazione Australiana a partire dal giugno del 1995 è entrata in vigore la "Legge dei diritti del malato terminale", che legalizza l’eutanasia. Questa legge legittima la possibilità per il paziente cosciente e maggiorenne di richiedere l’eutanasia nell’ipotesi in cui sia affetto da una malattia inguaribile e le sofferenze siano talmente forti che nessuna terapia sia in grado di alleviarle. A differenza della normativa olandese, quella australiana viene ad affermare l’esistenza di un "diritto alla morte", dal momento che l’eutanasia vi è considerata come un trattamento medico posto a tutela della persona, accettando così che anche altre persone, nel caso in cui il paziente sia incapace, possano firmare, in rappresentanza del malato e alla presenza dei testimoni, una richiesta di eutanasia. Tale normativa non prevede inoltre alcuna pena specifica per i medici che effettuino l’eutanasia in mancanza dei requisiti previsti.



4. Elementi per una valutazione etica

Rispetto al suicidio nell’eutanasia vi è un elemento nuovo: l’intervento di un’altra persona, quasi sempre di un medico o di un operatore sanitario, intervento inteso ad alleviare il dolore con il porre un termine alla vita del paziente.

Si tratta, anzitutto, di una risposta tutt’altro che ovvia: un omicidio sarebbe l’aiuto adeguato a un sofferente; ovvero si verrebbe addirittura a configurare un dovere da parte di qualcuno — il medico o chi per lui — di uccidere una persona che gliene faccia richiesta; o, ancora, si attribuirebbe a qualcuno — medico, giudice, famigliare? — il diritto di stabilire se una vita innocente è meritevole o no d’essere vissuta.

"Bisogna rispettare la libertà del paziente", si ripete spesso da parte dei sostenitori dell’eutanasia; s’incorre così nella cosiddetta "aporia dello schiavo": si può rinunciare liberamente alla libertà, alla condizione fondamentale del suo normale esercizio, la vita? La richiesta del sofferente è piuttosto quella che gli si allevi il dolore, e tale è la responsabilità del medico; suo compito è accostarsi al paziente per alleviarne le sofferenze fisiche e spirituali, non essere arbitro della sua vita e della sua morte. Ben chiaro era questo limite ne Il giuramento di Ippocrate di Cos (ca. 460-377 a. C.), in cui si legge: "Non darò a nessuno alcun farmaco mortale neppure se richiestone, né mai proporrò un tale consiglio"; questo impegno a favore della vita e contro la morte è ribadito anche nel Codice di Deontologia Medica — approvato dal consiglio nazionale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri il 24 giugno 1995 — all’articolo 35: "Il medico, anche se richiesto dal paziente, non deve effettuare trattamenti diretti a menomarne la integrità psichica e fisica e ad abbreviarne la vita o a provocarne la morte".

La condizione per ammettere la liceità — e la legalità — dell’eutanasia è l’affermazione di un diritto onnipotente e irresponsabile dell’uomo a disporre della propria vita, e a chiederne la soppressione, una volta che questa sia "senza valore". Ma una volta affermato che la vita "senza valore" può essere soppressa, a chi spetterà poi il diritto e l’onere di stabilire quando la vita è tale? Perché, infatti, dovrebbero "beneficiare" del diritto all’eutanasia solo i malati, o solo gli anziani, o solo i malati gravi?

Prima di procedere nell’analisi etica conviene far cenno a due possibili e importanti conseguenze di una legalizzazione, o comunque di una diffusione della prassi eutanasica. La prima è l’affievolirsi dell’attenzione al trattamento della sofferenza: laddove l’opzione eutanasica fosse accolta come possibile, ne conseguirebbe molto probabilmente un affievolimento dello sforzo teso a ridurre la sofferenza, soprattutto per quanto riguarda i gruppi socialmente ed economicamente più deboli, per i quali il ricorso all’eutanasia diventerebbe la soluzione più "ovvia" ed economica. Introdotta la possibilità dell’opzione eutanasica — siamo al secondo prevedibile effetto — si assisterebbe inoltre a una sorta d’inversione dell’onere della prova della dignità e del valore di ogni vita umana. In altre parole: il paziente terminale dovrebbe continuamente giustificare la propria scelta di non richiedere l’eutanasia di fronte ai famigliari e al personale medico.

La stretta e inscindibile connessione fra suicidio ed eutanasia già ha indicato alcuni presupposti di una cultura eutanasica, in particolare l’incapacità di dare senso alla sofferenza e alla morte, e una concezione della persona umana come soggetto di un diritto onnipotente sulla vita e sulla morte. Proprio a questa profondità s’incontra un’insanabile opposizione rispetto alla posizione religiosa, che considera la vita come dono di Dio, bene di cui l’uomo è beneficiario e responsabile, ma non proprietario.

In tal senso si può allora ben comprendere l’insegnamento della Chiesa cattolica, che da tempo è intervenuta con puntualità e decisione in tema di eutanasia. Si possono ripercorrere i temi principali di tale insegnamento leggendo un brano dell’enciclica Evangelium vitae sul valore e l’inviolabilità della vita umana di Papa Giovanni Paolo II, del 25 marzo 1995, al n. 66: "Anche se non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dell’esistenza di chi soffre, l’eutanasia deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante "perversione" di essa: la vera "compassione", infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza. [...]

"La scelta dell’eutanasia diventa più grave quando si configura come un omicidio che gli altri praticano su una persona che non l’ha richiesta in nessun modo e che non ha mai dato ad essa alcun consenso. Si raggiunge poi il colmo dell’arbitrio e dell’ingiustizia quando alcuni, medici o legislatori, si arrogano il potere di decidere chi debba vivere e chi debba morire. [...]

"Così la vita del più debole è messa nelle mani del più forte; nella società si perde il senso della giustizia ed è minata alla radice la fiducia reciproca, fondamento di ogni autentico rapporto tra le persone".
Aggiornamento (luglio 2001)

Nel 1996, l’anno seguente alla sua approvazione, la legge del Territorio del Nord della Federazione Australiana che legalizzava l’eutanasia è stata abrogata.

L’11 aprile 2001 è stata approvata dal Senato olandese la Legge su eutanasia e suicidio assistito. La legge, già approvata dalla Camera dei Deputati nel novembre 2000, ufficializza l’impunità di fatto di cui hanno finora goduto i medici che ponevano fine alla vita dei pazienti gravi o morenti con la somministrazione di dosi letali di farmaci o interrompendo cure ordinarie necessarie alla vita. Unica condizione è il rispetto di una serie regole, sostanzialmente le 28 condizioni già indicate dalla legge nel 1994, con l’aggiunta di precisazioni sui minori (il limite minimo d’età per scegliere l’eutanasia è 16 anni, mentre dai 12 ai 16 e per i disabili mentali occorre il consenso di un genitore o tutore) e del riconoscimento del “testamento di vita”, nel caso il paziente non sia in grado di esprimere la sua volontà. La pratica dell’eutanasia ha smesso così di essere sottoposta al controllo della magistratura ed è stata affidata esclusivamente ai medici, come una qualsiasi forma di terapia.
Aggiornamento (gennaio 2003)

Il 28 maggio 2002 nel Regno del Belgio è stata approvata una legge sull’eutanasia volontaria. La legge, che è entrata in vigore il 23 settembre 2002, sancisce la non punibilità per i medici che praticano l’eutanasia su pazienti maggiorenni – o su minorenni, purché capaci d’intendere e di volere – che la richiedano in modo libero, consapevole e ripetuto, in presenza di una patologia “grave e incurabile”, che rechi sofferenze considerate insopportabili e costanti.

Il testo di legge precisa che tali sofferenze possono essere sia fisiche che psichiche, dilatando così indefinitamente i limiti di applicabilità della normativa; esige inoltre che la richiesta dell’atto eutanasico sia messa per iscritto. In caso di incoscienza, hanno valore legale le direttive anticipate del paziente, che devono essere scritte, e che hanno validità quinquennale.

Il medico, per quanto tenuto a informare il paziente sulle terapie del dolore disponibili (cure palliative), viene di fatto a essere un mero esecutore della volontà del paziente: il suo intervento si risolve nell’attuazione – con mezzi non specificati dalla legge – dell’atto eutanasico e nella compilazione di un rapporto da sottoporre a una commissione esaminatrice, che è chiamata a valutarlo sulla base della sola correttezza procedurale.
Aggiornamento (gennaio 2007)
di Silvia De Ascaniis

Regno del Belgio

Dalla metà di aprile del 2005 in 250 farmacie del Belgio è stato messo in vendita il “kit per l’eutanasia”, un cofanetto dal prezzo di 60 euro non rimborsabili dal servizio sanitario che contiene tre dosi di un potente barbiturico, un paralizzante e qualche dose di sonnifero. Possono acquistarlo i medici di base previa presentazione alla farmacia di una prescrizione dettagliata simile a quella adoperata per la richiesta di sostanze stupefacenti. La diffusione del kit fa seguito alle richieste dei medici di famiglia, che si erano ripetutamente lamentati delle difficoltà di accesso alle sostanze letali - precedentemente fornite solo dalle farmacie degli ospedali – e alle sollecitazioni della commissione federale del Parlamento, incaricata di valutare l’applicazione di una legge che ne agevola la vendita. Si tratta di un ulteriore passo verso la socializzazione e la banalizzazione della pratica eutanasica, in quanto il kit facilita il trapasso a pazienti che preferiscono morire a casa, assistiti dai famigliari.



Repubblica Francese

Il 22 aprile 2005 in Francia è stata approvata una legge sui “diritti dei malati e la fine della vita”(legge n° 2005-370), che regola l’eutanasia passiva e il testamento di vita. La legge si è presentata come risposta al “vuoto legislativo” additato come causa di sentenze contraddittorie emanate dai tribunali francesi su recenti casi di eutanasia, giustificandosi come tutela contro l’accanimento terapeutico. Essa autorizza i medici a interrompere la terapia e l’assistenza quando questa sembra “inutile, sproporzionata o non sortisce altro effetto se non quello di mantenere in vita artificialmente” (art. 9), oltre che a prescrivere farmaci anti-dolorifici, anche se questi aumentano i rischi di decesso. In caso il malato sia impossibilitato a chiedere la sospensione dei trattamenti il testo autorizza i famigliari a farlo. Chi non volesse essere “terminato” a sua insaputa, deve dichiararlo in precedenza, per iscritto.

Per far valere il diritto al rifiuto delle cure (in caso d'incoscienza) la legge si appoggia allo strumento del testamento biologico. Qualunque persona maggiorenne può compilarlo e lasciarlo in custodia a chiunque di sua fiducia, si tratti di un medico, di un famigliare, di personale addetto all’assistenza, o di terzi. La scadenza è fissata ogni tre anni, e in caso di mancato rinnovo le direttive rimangono indicazioni per il medico ma non obbligo.

Il testo di legge non specifica se idratazione e alimentazione siano da considerarsi trattamenti medici alla stregua della prescrizione di farmaci o d’interventi chirurgici, oppure requisiti d’assistenza di base come riscaldamento, pulizia e movimento. Non si tratta solo di una questione di forma, in quanto, se ritenute terapie, potrebbero essere interpretate come forme di accanimento terapeutico, e sarebbe legale far morire i malati di fame e di sete.



Confederazione Elvetica

L’articolo 115 del codice penale svizzero datato 27 dicembre 2005 sancisce la punibilità di chi istiga o aiuta qualcuno a suicidarsi spinto da un movente di natura egoistica. Questo significa che se il movente è diverso – per esempio se è il suicida stesso a chiedere aiuto per morire – non si è perseguiti penalmente. La disposizione non ha, all’origine, alcun legame con la professione sanitaria né con il malato terminale, ma è stata utilizzata anche per porre in atto comportamenti eutanasici. Organizzazioni come Exit o Dignitasprestano assistenza al suicidio nell’ambito di questa legge, in quanto non è possibile addebitare loro motivi egoistici.



Repubblica Federale di Germania

Ha una posizione ambigua. L’istigazione al suicidio – quindi anche l'assistenza ad esso – non è punita, purché l'ultimo atto da cui consegue la morte venga praticato dal suicida stesso. I casi di suicidio direttamente assistito, come quelli di cosiddetta “eutanasia passiva”, vengono giudicati sulla base delle disposizioni sull’omissione di soccorso – che risulta piuttosto evidente quando la persona rifiuta l’aiuto perché vuole morire - e sul maltrattamento di persone tutelate, ma la legge è interpretata in modi diversi nei vari processi.



Regno dei Paesi Bassi

Nel 2002 un gruppo di medici neonatologi della clinica universitaria di Groningen in stretta collaborazione con un procuratore distrettuale ha formulato il cosiddetto “protocollo di Groningen”, che nel marzo del 2005 è stato adottato dalla Commissione di Regolamentazione. Il protocollo rappresenta un'estensione della legge del 2001 sull'eutanasia in quanto indica i requisiti necessari e la procedura da seguire per praticare l’eutanasia ai bambini al di sotto dei 12 anni e ai neonati, se i medici e i genitori concordano che “la morte sia più umana della continuazione della vita”. Tra i requisiti da soddisfare si legge che " la diagnosi e la prognosi devono essere certe" , devono configurare una situazione di " sofferenza insopportabile e disperata" ed essere " confermate da un medico indipendente" . Vi è l'obbligo di mettere per iscritto tutte le fasi del processo decisionale ed è prevista un’assistenza per i genitori, di natura non specificata.

L’accordo medico-giudiziario è stato possibile perché la legge che regola l’eutanasia si applica a quei casi ritenuti “estremi” per cui è accolta l’eccezione rispetto all' omicidio. Una vita di sofferenza che non può essere alleviata è considerato uno di questi casi estremi, anche se il soggetto è un neonato per il quale non è possibile stabilire il livello di dolore reale e la sua tollerabilità, si può prevedere solo parzialmente l’evoluzione della malattia e le sue conseguenze e nulla si può dire su come il bambino affronterà la sua condizione di vita.



Repubblica Italiana

In base alla legislazione vigente, l’eutanasia non è mai consentita. La forma indiretta è considerata omicidio doloso e sanzionata secondo l'articolo 575 del codice penale. La forma diretta è assimilata all’omicidio del consenziente e punita meno gravemente secondo l'articolo 579 del c.p.. Vi è una valutazione negativa dell’ordinamento anche nei confronti del suicidio: non viene punito il suicida, nell’ipotesi in cui un suo gesto non raggiunga l’obiettivo, ma viene sanzionata l’istigazione al suicidio in base all'art. 580 del c.p.. In base al cosiddetto “consenso informato”, chiunque ha diritto di decidere se vuole essere curato per una malattia o sottoposto a una determinata terapia o esame diagnostico, dopo essere stato informato dal medico sugli effetti degli stessi; tale diritto è garantito dall'art. 32 della Costituzione secondo cui “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

In Commissione Sanità al Senato è iniziato l’esame di vari disegni di legge aventi a oggetto le cosiddette “dat” - dichiarazioni anticipate di trattamento; al momento, non è stato ancora adottato un unico testo di riferimento e si sta procedendo ad audizioni di tecnici o di rappresentanti di associazioni. Il quadro appare a volte confuso in quanto si fanno coincidere le “dat” con il rifiuto dell’accanimento terapeutico, per il quale non è necessaria una legge, essendo possibile, e anzi garantito già oggi.

Per approfondire: vedi di chi scrive, insieme con Giovanna Fravolini, Thanatos ed eutanasia, in Cristianità, anno XXIV, n. 249, gennaio 1996, pp. 5-14, e Analisi dei risvolti giuridici sociali ed etici connessi alle recenti esperienze legislative in materia di eutanasia, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, n. 2, aprile-giugno 1996, pp. 26-40; vedi elementi per una corretta valutazione etica in Elio Sgreccia, Manuale di bioetica. I. Fondamenti ed etica biomedica, 2a ed., Vita e Pensiero, Milano 1994, pp. 631-681. Sulla morte e sull’assistenza al morente vedi E. Sgreccia, Antonio G. Spagnolo e Maria Luisa Di Pietro (a cura di), L’assistenza al morente. Aspetti socio-culturali, medico-assistenziali e pastorali, Vita e Pensiero, Milano 1994. Sulla posizione della Chiesa cattolica vedi anche Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, Carta degli Operatori sanitari, 4a ed., Città del Vaticano 1995, nn. 119-124 [cfr. L. Cantoni, La "Carta degli operatori sanitari". Una presentazione, in Cristianità, anno XXIII, n. 239, marzo 1995, pp. 6-10].




Fonti:
http://www.alleanzacattolica.org/idis_dpf/voci/e_eutanasia.htm



L'eutanasia - letteralmente buona morte (dal greco εὐθανασία, composta da εὔ-, bene e θάνατος, morte) - è il procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica.

l'eutanasia è attiva diretta quando il decesso è provocato tramite la somministrazione di farmaci che inducono la morte (per esempio sostanze tossiche).

l'eutanasia è attiva indiretta quando l'impiego di mezzi per alleviare la sofferenza (per esempio: l'uso di morfina) causa, come effetto secondario, la diminuzione di tempi di vita.

l'eutanasia è passiva quando provocata dall'interruzione o l'omissione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza dell’individuo.

l'eutanasia è detta volontaria quando segue la richiesta esplicita del soggetto, espressa essendo in grado di intendere e di volere oppure mediante il cosiddetto testamento biologico. L’eutanasia è detta non-volontaria nei casi in cui non sia il soggetto stesso ad esprimere tale volontà ma un soggetto terzo designato (come nei casi di eutanasia infantile o nei casi di disabilità mentale).

il suicidio assistito è invece l'aiuto medico e amministrativo portato a un soggetto che ha deciso di morire tramite suicidio ma senza intervenire nella somministrazione delle sostanze.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Suicidio assistito, Eutanasia infantile e Eutanasia animale.

Facendo riferimento in particolare al panorama legislativo italiano si distingue l’eutanasia da altre pratiche e problematiche concernenti la fine della vita:

la terapia del dolore attraverso la somministrazione di farmaci analgesici, che possono condurre il malato ad una morte prematura, non è considerata una forma di eutanasia in quanto l’intenzione del medico è alleviare le sofferenze del paziente e non procurarne la morte. [1]

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non si configura come eutanasia il rifiuto dell’accanimento terapeutico. Il medico, nei casi in cui la morte è imminente e inevitabile, è legittimato (in Italia sia dalla legislazione che dal proprio codice deontologico) ad interrompere o rifiutare trattamenti gravosi per il malato e sproporzionati rispetto ai risultati che è lecito attendersi.

in Italia è garantita la cosiddetta libertà di cura e terapia attraverso gli articoli 13 e 32 della costituzione. In particolare l’art. 32, 2° comma, recita: “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge“. In base a tale principio nessuna persona capace di intendere e di volere può essere costretta ad un trattamento sanitario anche se indispensabile alla sopravvivenza. Anche da un punto di vista etico la rinuncia ad un intervento necessario alla sopravvivenza si configura come suicidio e non come eutanasia.

infine non si può definire eutanasia la cessazione delle cure dopo la diagnosi di morte, in particolare dopo la diagnosi di morte cerebrale.

La definizione di eutanasia in passato

In passato sotto la definizione di "eutanasia" ricadevano anche azioni od omissioni ritenute, anche oggi, giuridicamente ed eticamente ammissibili, come la rinuncia all'accanimento terapeutico e il ricorso alle cure palliative.[2]

In particolare, l'eutanasia passiva (od omissiva) comprendeva − in passato − differenti tipologie di azioni:

L'astensione o l'interruzione di un intervento medico perché non voluto dal morente (oggi chiamata "Rifiuto delle cure").
L'astensione o l'interruzione di un intervento medico perché ritenuto futile o configurante accanimento terapeutico (oggi chiamata "Desistenza terapeutica" o "Rinuncia all'accanimento terapeutico").
L'astensione o l'interruzione arbitraria di un intervento medico per facilitare il morire di una persona (oggi è solo quest'azione a venire chiamata "eutanasia passiva").

L'eutanasia indiretta corrispondeva, invece, al ricorso alle cure palliative, che possono comprendere l'uso di analgesici e sedativi in quantità tali da comportare − come effetto secondario e non desiderato − l'accorciamento della vita del paziente.
Cenni storici
Nascita del termine "eutanasia"

Il filosofo inglese Francis Bacon introdusse il termine "eutanasia" nelle lingue moderne occidentali nel saggio Progresso della conoscenza (Of the Proficience and Advancement of Learning, 1605). In questo testo, Bacon invitava i medici a non abbandonare i malati inguaribili, e ad aiutarli a soffrire il meno possibile. Non vi era però, nell'idea di Bacon, il concetto esplicito di dare la morte. Allo stesso termine "eutanasia" Bacon attribuiva solo il significato etimologico di "buona morte" (morte non dolorosa); lo scopo del medico doveva essere quello di far sì che la morte (comunque sopraggiunta in modo "naturale") fosse non dolorosa.

Il termine iniziò ad avere corso comune a partire dalla fine del XIX secolo, a indicare un intervento medico tendente a porre fine alle sofferenze di una persona malata. In tale periodo emerse esplicitamente il concetto di "uccisione per pietà" (talora - anche se non sempre - identificabile con la fattispecie dell'omicidio del consenziente) come pratica non riprovevole in linea di principio.
L'eutanasia nell'antichità
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Giuramento di Ippocrate e Codice di Hammurabi.

La questione della correttezza morale della somministrazione della morte è un tema controverso fin dagli albori della medicina. Nel Giuramento di Ippocrate (circa 420 a.C.) si legge: Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo. D'altra parte, nel mondo classico, in determinate condizioni, il suicidio (e l'assistenza allo stesso) era spesso considerato con rispetto. Simili indicazioni etiche e deontologiche si possono rintracciare nel primo corpus legislativo della storia, il Codice di Hammurabi. Nell'Antico Testamento viene citato il caso di un suicidio assistito: quello del Saul (II Samuele 1,6-10): un soldato uccide Saul su sua richiesta; ma David in seguito condanna quel soldato a morte per omicidio. Le correnti di pensiero nell'ambito della filosofia morale più diffuse in epoca classica pre-cristiana, cioè l'epicureismo e lo stoicismo, consideravano il suicidio in linea di massima come un atto eticamente accettabile e degno di rispetto, in determinati contesti, senza trattare l'eutanasia medica come tipologia specifica. Erano citati esempi considerati ammirevoli come suicidio di Socrate e quello di Seneca.
Il programma eugenetico nel nazismo
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Aktion T4.

Il programma eugenetico nazista Aktion T4 fu anche chiamato «programma eutanasia», espressione che venne utilizzata allora da molti di coloro che erano coinvolti in quest'operazione, ma non può essere considerata a tutti gli effetti eutanasia: non prevedeva infatti il consenso dei pazienti, ma la soppressione contro la loro volontà. Il programma non era poi motivato da preoccupazione per il benessere dell'ammalato, come il desiderio di liberarlo dalla sofferenza, l'Aktion T4 veniva invece portato avanti principalmente a scopo eugenetico, per migliorare l'«igiene razziale» secondo l'ottica dell'ideologia nazista allora imperante. Mirava inoltre a diminuire le spese sanitarie ed assistenziali statali, considerando che le priorità economiche erano rivolte ad altre voci come il riarmo militare. Il programma fu definito dai contemporanei come una «eutanasia sociale».[3] A fronte di una grande opposizione interna il programma fu ufficialmente abbandonato nell'estate del 1941.

L'idea di ricorrere all'eugenetica si ripropose già all'inizio dell'anno successivo, con l'insuccesso dell'Operazione Barbarossa, questa volta in un contesto militare. Le notevoli difficoltà che la Wehrmacht incontrava durante la campagna sul fronte orientale indusse i comandi a prevedere dei «gruppi di eutanasia» il cui compito era «aiutare i soldati feriti». Anche su questo programma i vertici nazisti cercarono di stendere il velo della segretezza. Nelle ultime fasi del Terzo Reich testimonianze dirette riportano addirittura, che nella propaganda fosse prevista una sorta di eutanasia di stato, chiamata dai burocrati del regime «morte indolore mediante gas», da preferirsi nettamente al cadere in mano sovietica.[4]
Argomenti pro e contro l'eutanasia volontaria
Ragioni a favore dell'eutanasia volontaria

Libera scelta: la scelta è un fondamentale principio democratico. L'idea che il cittadino sia libero nelle sue opinioni e nel suo voto presuppone che egli sia anche sovrano in una sfera privata, dove i suoi valori di coscienza sono insindacabili[5]
Qualità della vita: il dolore e la sofferenza che si sperimentano durante una malattia possono risultare incomprensibili ed insostenibili, anche se viene messa in atto una terapia contro il dolore. Chi non lo ha provato non può capire, e la decisione pertanto non può spettare ad un terzo. Ignorando poi il dolore fisico, può risultare insostenibile per un individuo far fronte alla sofferenza psichica conseguente alla perdita della propria indipendenza. Per questo la società civile non dovrebbe forzare nessuno a sopportare questa condizione.[5]
Dignità: la convinzione profonda di sentirsi senza alcuna possibilità di recuperare ciò che rende la vita degna di essere vissuta, ed anzi di dover pesare sui propri cari sempre di più e per tempi lunghissimi, rendendo pure a loro difficile condurre la loro stessa vita come prima.

Ragioni contro l'eutanasia volontaria

Giuramento di Ippocrate: ogni medico deve giurare su qualche variante di esso; la versione originale esclude esplicitamente l'eutanasia.
Morale: per le convinzioni personali di alcune persone, l'eutanasia di alcuni o di tutti i tipi può essere moralmente inaccettabile.[5] Questa visione morale di solito vede l'eutanasia come un tipo di omicidio e l'eutanasia volontaria come un tipo di suicidio, la moralità del quale è oggetto di vivo dibattito.
Teologica: diverse religioni e moderne interpretazioni religiose considerano sia l'eutanasia che il suicidio come atti "peccaminosi" (vedi Eutanasia e religione).
Piena consapevolezza: l'eutanasia può essere considerata "volontaria" soltanto se il paziente è cognitivamente competente per poter prendere la decisione relativa, ovvero se ha una comprensione adeguata delle opzioni e delle loro conseguenze. In alcuni casi, tale competenza cognitiva può essere difficile da determinare.[5]
Necessità: se c'è qualche ragione per credere che la causa della malattia o della sofferenza di un paziente sia o possa essere presto risolvibile, compatibilmente con la sua situazione clinica una scelta potrebbe essere quella di sperimentare nuovi trattamenti, o dedicarsi a cure palliative.[5]
Desideri della famiglia: i membri della famiglia spesso desiderano passare più tempo possibile coi loro cari prima che muoiano; in alcuni casi, però, questo si può tradurre disfunzionalmente in una forma di incapacità di accettazione dell'inevitabilità del decesso.

Le opinioni

L'eutanasia è oggetto di vivo dibattito e al centro di accese controversie in ambito morale, religioso, legislativo, scientifico, filosofico, politico ed etico.
Distinzioni preliminari

Una prima distinzione di massima si può tracciare tra le seguenti posizioni:

dal punto di vista giuridico, morale e religioso vi è chi tende a considerare l'eutanasia attiva una fattispecie assimilabile all'omicidio. Anche dal punto di vista della deontologia medica qualche complicazione concettuale sorge dalla non semplice riconducibilità dell'eutanasia attiva ai concetti fondanti della medicina, diagnosi e terapia;
riguardo all'eutanasia passiva vi è chi pone in evidenza la sostanziale diversità - nel modo "naturale" con cui avviene la morte - rispetto all'eutanasia attiva (bisogna anche aggiungere, per completezza di trattazione, che molti tendono a non considerare "eutanasia" quella passiva, consistendo tale pratica - in gran parte dei casi - solo nell'astensione a praticare terapie nel pieno diritto - sancito dalla legge - da parte del malato di rifiutarle);
c'è una netta tendenza alla diversità di approccio sull'argomento tra gli ambiti religioso e morale, da un lato, e quello giuridico dall'altro. Le posizioni bioetiche ufficiali della Chiesa cattolica, ad esempio, esprimono l'idea che non vi è alcuna distinzione tra eutanasia passiva ed eutanasia attiva e che queste forme devono essere considerate moralmente identiche. Al contrario nella giurisprudenza e nel codice di deontologia medica i due casi devono essere considerati in modo nettamente diverso: la Legge, infatti, proibisce ad un medico di compiere terapie senza il consenso del paziente, quindi ulteriori limiti e divieti si possono porre solo sull'eutanasia attiva, mentre non può si può fare nulla riguardo all'eutanasia passiva che di fatto può essere "garantito" dai diritti del paziente.
anche il dibattito sul cosiddetto "suicidio assistito" non è esente da distinguo o assimilazioni: mentre, ad esempio, esso viene considerato da taluni analogo all'eutanasia passiva (in quanto mezzo per procurare la morte), esso è una forma "intermedia" che nondimeno mantiene una sostanziale differenza rispetto all'eutanasia attiva, in quanto non prevede, da parte del soggetto assistente, alcuna partecipazione diretta alle azioni che conducono alla morte del richiedente (anche qui varrà la pena di ricordare che, comunque, la fattispecie di assistenza a un suicidio può configurarsi come reato a sé stante, come spiegato più avanti);
appare largamente condivisa comunque una discriminante fra la situazione di persone che chiedono l'eutanasia in quanto malati terminali, e quelle che invece, pur non essendo prossime alla morte, la richiedono la pratica per porre fine a sofferenze insostenibili di vario tipo e non sufficientemente trattabili da alcuna terapia del dolore;
altrettanto condivisa - e, in talune forme, anche recepita nella pratica giurisprudenziale e giurisdizionale - appare la discriminante tra persone che richiedano l'eutanasia in condizioni di piena capacità di intendere e di volere (indipendentemente dal fatto che abbiano la possibilità materiale di attuare praticamente il proposito, vedi il caso-Welby) rispetto a coloro che si trovino in situazioni di incoscienza irreversibile (coma, stato vegetativo persistente) e, comunque, incapaci di esprimere qualsivoglia volontà;
abbastanza recepita anche nell'attività giurisdizionale appare anche la distinzione circa la preterintenzionalità o meno dell'azione che causa la morte: per esempio, il decesso sopravvenuto a causa di effetti collaterali (o sovradosaggio resosi necessario a causa di assuefazione a dosi più basse) di un farmaco, è talora trattato in maniera differente da quello che fa seguito alla somministrazione di qualsivoglia sostanza allo scopo primario di procurare la morte; talvolta più dibattuto il caso di sospensione dell'alimentazione che, a seconda degli orientamenti e dei punti di vista, può essere considerata eutanasia passiva ovvero attiva.

Posizioni politiche italiane

Nel marzo 2006 l'allora ministro italiano dei Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi dichiarò che «…la legislazione nazista e le idee di Hitler in Europa stanno riemergendo, per esempio in Olanda, attraverso l'eutanasia e il dibattito su come si possono uccidere i bambini affetti da patologie»[6]. La dichiarazione diede luogo a un contenzioso diplomatico, a seguito del quale l'ambasciatore italiano nei Paesi Bassi fu formalmente convocato dal governo[7][8] dell'Aja per dare spiegazioni. Il ministro in seguito chiarì di aver parlato a titolo personale e non a nome del governo; vari esponenti della sua coalizione hanno comunque difeso il suo pronunciamento. La dichiarazione di Giovanardi fu, altresì, oggetto di pesanti critiche, tra cui quelle di Daniele Capezzone, allora segretario dei Radicali italiani, che chiese formalmente le dimissioni del ministro, e quelle di 46 europarlamentari, che ne chiesero le dimissioni dal parlamento europeo.[7]

Il 22 settembre 2006 Piergiorgio Welby (copresidente dell'Associazione Luca Coscioni, che si batte per il diritto dei malati a decidere della propria sorte, nonché per la libertà di ricerca scientifica), affetto da distrofia muscolare, in una lettera aperta[9] al presidente della Repubblica ha chiesto il riconoscimento del diritto all'eutanasia. Napolitano ha risposto[10] auspicando un confronto politico sull'argomento.

Più in generale si poterono individuare in seno al Parlamento tre aree, trasversali agli schieramenti politici, aventi tre posizioni differenti sull'argomento-eutanasia:

un'area contraria, che va da gran parte del centro-destra, che oggi forma, in maggioranza, il Popolo della Libertà (in particolare in seno ad AN, ma anche nel UDC, contraria per la propria cultura cattolica) e frange di Forza Italia e della Lega Nord) ai cattolici del centro-sinistra (l'UDEUR e La Margherita) i quali affrontano la questione dell'eutanasia secondo i principi morali (spesso di base religiosa) sui quali si fondano gli stessi partiti arrivando ad assumere una posizione fermamente contraria riguardo al problema; anche gran parte dei movimenti di destra si è detta contraria;
un'area "possibilista", costituita in gran parte dagli ex Democratici di Sinistra, la quale si trova nell'esigenza di dare risposte alla base laica del suo elettorato e al contempo convivere nella coalizione di governo con gli altri partiti, alcuni dei quali di ispirazione cattolica come la Margherita, con cui i Ds si sono uniti nel 2007 nel Partito Democratico. La posizione di quest'area (tranne sporadiche eccezioni) è quella di procedere per gradi e affrontare temi meno controversi come il testamento biologico, pur non escludendo a priori il dibattito sull'eutanasia, rimandato a un momento di minore conflittualità ideologica sulla materia. Anche alcuni esponenti della Lega Nord hanno manifestato una posizione simile.
un'area favorevole, che andava dal gruppo Rosa nel Pugno (cioè gli attuali socialisti e Radicali Italiani) e la sinistra massimalista (Comunisti Italiani, Rifondazione Comunista e Verdi) fino a esponenti di entrambi gli schieramenti: liberali della coalizione di centro-sinistra ma anche di destra (Riformatori Liberali), repubblicani della coalizione di centro-destra (es. Antonio Del Pennino), laici dentro Forza Italia (es. l'ex socialista Chiara Moroni). Tale area caldeggia un dibattito sull'eutanasia e l'allineamento dell'Italia alle legislazioni europee più favorevoli all'eutanasia, segnatamente quella dei Paesi Bassi.

La battaglia delle associazioni che si battono per una regolamentazione dell'eutanasia in senso non restrittivo si rivolge, oltre che - ovviamente - sulla richiesta della sua legalizzazione, anche sulla liceità e sul valore legale della sottoscrizione, da parte di chiunque, di cosiddette "dichiarazioni" (o "direttive") "anticipate" qualora questi, in futuro, si venisse a trovare nell'impossibilità di opinare sulle cure ricevute.

Oggi le posizioni sono rimaste pressoché le stesse.
Comitato nazionale per la bioetica

Il Comitato nazionale per la bioetica (CNB) ha discusso ed effettuato ricerche su varie problematiche legate all'eutanasia e al rispetto delle volontà del malato. Fra i documenti del CNB più attinenti alla tematica del trattamento di quelle fasi in cui il malato non può esprimere volontà si citano:

le Dichiarazioni anticipate di trattamento (talora anche chiamate Direttive anticipate)[11] del 18 dicembre 2003;
Tale documento tratta la natura delle c.d. "dichiarazioni anticipate": vi si affrontano aspetti tecnico-legali quali la validità delle stesse, la vincolatività - se cioè debbano essere considerate obbligatorie od orientative - l'efficacia delle direttive anche a distanza di anni tra la loro stesura e l'eventuale attuazione di quanto in esse disposto, l'opportunità per il dichiarante di nominare anche un fiduciario che garantisca per l'attuazione delle direttive anticipate.
L'alimentazione e l'idratazione dei pazienti in stato vegetativo persistente[11] del 30 settembre 2005.
In questo documento (composto poco dopo la morte di Terri Schiavo) la relazione di maggioranza (2/3)[12] descrive la PEG (alimentazione e idratazione con sondino) come non assimilabile al caso di accanimento terapeutico.

Infine, l'eutanasia è materia d'insegnamento nei corsi di bioetica clinica, nella branca della bioetica; a partire dal (2005) sono in attivazione corsi al riguardo in tutte le facoltà di medicina italiane. Essi prevedono programmi con insegnamenti di etica allo scopo di formare degli operatori in grado di dibattere il problema con cognizione di causa.
Posizioni religiose
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Eutanasia e religione.

Diverse religioni hanno preso posizione riguardo l'eutanasia, sebbene le posizioni siano divergenti o talora diametralmente opposte.


La Chiesa cattolica è contraria ad ogni forma d'eutanasia, attiva od omissiva, mentre incoraggia il ricorso alle cure palliative e ritiene moralmente accettabile l'uso di analgesici, per trattare il dolore, anche qualora comportino − come effetto secondario e non desiderato − l'accorciamento della vita del paziente. Consente invece di sospendere, dietro richiesta del paziente, procedure mediche che risultino onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi; vale a dire che configurino accanimento terapeutico. Tale posizione è confermata nei paragrafi 2277, 2278 e 2279 del Catechismo.[13] La Chiesa insegna inoltre che le cure che d'ordinario sono dovute all'ammalato, come l'idratazione e la nutrizione artificiale, non possono essere sospese qualora si preveda come conseguenza la morte del paziente per fame e per sete. Si configurerebbe, in questo caso, una vera e propria eutanasia per omissione.[14]


Le Chiese Riformate, anche a causa della loro particolare struttura gerarchica, hanno spesso posizioni interne più variegate ed elastiche.
Posizione del movimento per la difesa dei diritti dei disabili

Il movimento culturale per la difesa dei diritti dei disabili[15] ha fin dalla sua nascita negli Stati Uniti agli inizi degli anni 70 contrastato la legalizzazione dell'eutanasia[16] Sulla sua scia organizzazioni di disabili espressamente dedicate a contrastare culturalmente e politicamente l'eutanasia sono nate durante gli anni 90. È il caso della statunitense Not Dead Yet[17] e di Care Not Killing[18], una rete di oltre 40 associazioni inglesi. Posizioni analoghe sono sostenute da associazioni di disabili Svedesi[19] e Australiane[20]. Alla base del rifiuto c'è la considerazione che le motivazioni che spingono una persona all'eutanasia potrebbero essere legate più al loro status e condizione sociale che alla loro sofferenza e condizione fisica. In questo senso l'influenza negativa sulla qualità di vita della propria famiglia impegnata economicamente e personalmente nell'accudimento, lo status negativo riservato agli elementi non produttivi dalle culture occidentali e i diffusi e persistenti pregiudizi sociali potrebbero essere considerazioni sufficienti a dettare la scelta suicidaria.[19]
Sondaggi e inchieste

Da un sondaggio dell'aprile 2006, pubblicato anche su Torino medica, l'organo ufficiale dell'Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Torino, e avente come target infermieri (in maggioranza tra i 30 e i 40 anni, impiegati in reparti di terapia intensiva, lungo-degenza e chirurgia), è emerso che:[21][22]

il 74% degli infermieri interpellati è favorevole alla "dolce morte" passiva
di cui l'83% anche a quella attiva
il 44% ha avuto diverse esperienze di pazienti che hanno chiesto espressamente e ripetutamente di morire perché venisse posto fine alle loro sofferenze atroci e senza speranza.
il 76% invoca il testamento biologico;
l'8% si dichiara disposto a praticare l'eutanasia anche illegalmente, senza richiesta esplicita del paziente
il 37% si dice disposto ad aiutare i pazienti a mettere fine a un calvario, anche ricorrendo al suicidio assistito.
il 76% degli infermieri credenti è favorevole all'eutanasia volontaria.

I risultati del sondaggio torinese confermano quelli emersi da un'indagine del Centro di Bioetica dell'Università cattolica di Milano, e di altri sondaggi:

il 4% dei rianimatori interpellati ha ammesso di praticare l'"iniezione letale" (illegalmente, sulla base di quello che dice loro la coscienza).
Il 92% degli italiani interpellati ritiene che sia necessario superare l'attuale normativa repressiva;
il restante 8% si dice contrario all'eutanasia.

Al riguardo, bisogna dire che vi sono differenze di posizione anche in seno ai favorevoli all'eutanasia: vi è infatti chi ne propone la legalizzazione, altri che invece parlano di depenalizzazione. Cinzia Caporale[23], del Comitato Nazionale di Bioetica e fautrice della depenalizzazione, commentando i risultati dei sondaggi, lamentò il fatto che i medici considerino più importante la legalizzazione - con conseguente regolamentazione - dell'eutanasia piuttosto che la sua depenalizzazione, a motivo del fatto che la legalizzazione darebbe loro una protezione legale, lasciandoli invece esposti in caso di semplice depenalizzazione, laddove essi avrebbero potere discrezionale. In definitiva, secondo Cinzia Caporale, la legalizzazione sarebbe più un paravento per i medici che un aiuto per i malati. Questa riflessione sul caso specifico si spiega meglio chiarendo la posizione più ampia della Caporale in merito alla dicotomia diritto-morale.[24]

Da un sondaggio promosso dal quotidiano la Repubblica e condotto dalla rivista MicroMega emerse che 64% degli intervistati si dichiarò favorevole all'interruzione delle cure mediche per Piergiorgio Welby, come da lui richiesto, contro il 20% contrari. Anche il 50% dei cattolici praticanti risultò favorevole all'eutanasia[25], in netta controtendenza rispetto a quanto ordinato dai massimi esponenti della loro religione[26].
Casi controversi
Ampliare le prospettive!
In questa voce o sezione gli argomenti sono trattati con un'ottica geopolitica limitata.
Contribuisci ad ampliarla o proponi le modifiche in discussione.
Se la voce è approfondita, valuta se sia preferibile renderla una voce secondaria, dipendente da una più generale.
Elena Moroni

Uno dei casi che senza dubbio fece più scalpore in Italia fu quello di un ingegnere di Monza, Ezio Forzatti, che il 21 giugno 1998 si introdusse nel reparto di terapia intensiva dove la moglie Elena Moroni, di 46 anni, si trovava ricoverata in coma irreversibile a seguito di un edema cerebrale. Egli aveva con sé una pistola scarica, che usò per minacciare il personale di servizio e tenerlo a distanza mentre staccava il respiratore che teneva in vita la moglie e, una volta accertatane la morte, si lasciò arrestare dagli agenti di polizia nel frattempo sopraggiunti.
Processato, Forzatti fu condannato nel giugno 2000 dalla corte d'Assise di Monza a sei anni e sei mesi di reclusione. La richiesta del pubblico ministero era di 9 anni di reclusione, ma la corte riconobbe a Forzatti l'attenuante della seminfermità mentale[27]. Al termine del successivo processo d'appello (aprile 2002), tenutosi a Milano, Forzatti fu ritenuto completamente in grado di intendere e di volere, e assolto perché il fatto non sussisteva.[28][29] Tra le motivazioni della sentenza, decisiva fu quella secondo la quale i giudici considerarono la donna clinicamente morta al momento del distacco del respiratore. La sentenza d'assoluzione fu salutata positivamente da molti e, di converso, suscitò prevedibili polemiche da parte degli oppositori dell'eutanasia[30].
Eluana Englaro

Molto dibattuto in Italia, per le implicazioni etiche e politiche che ha avuto, anche in relazione al dibattito sull'eutanasia e sul testamento biologico, è stato il caso di Eluana Englaro, una giovane donna di Lecco che, dopo un grave incidente stradale avvenuto nel 1992, è rimasta in stato vegetativo persistente fino alla sua morte nel febbraio del 2009. A seguito della richiesta del padre della donna di sospendere ogni terapia, e dopo una lunga vicenda giudiziaria, un decreto della Corte di Appello di Milano, confermato in Cassazione, ha stabilito l'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale realizzato mediante alimentazione e idratazione e ha impartito delle disposizioni accessorie circa il protocollo da seguire nell'attuazione dell'interruzione del trattamento. Tra queste, oltre la sospensione dell'erogazione di presidi medici collaterali, anche la somministrazione di sedativi e antiepilettici.[31]

Prima e dopo la morte della donna, avvenuta nella clinica di Udine nella quale era ricoverata per dare attuazione alla sentenza il 9 febbraio 2009, la vicenda ha colpito fortemente l'opinione pubblica, spaccata in due, anche con roventi polemiche e strascichi politici. La polemica ha riguardato, oltre alle questioni etiche, scientifiche, giuridiche e politiche, anche le modalità che hanno condotto alla morte della Englaro per le quali si è parlato di eutanasia in relazione al prescritto utilizzo di sedativi.
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Eluana Englaro.
Giovanni Nuvoli

Giovanni Nuvoli, ammalato di sclerosi laterale amiotrofica e ormai completamente paralizzato, chiese più volte ai medici che gli staccassero il respiratore artificiale che lo manteneva in vita. Il medico anestesista Tommaso Ciacca, che il 10 luglio 2007 stava per eseguire le sue volontà, fu bloccato dall'intervento dei carabinieri di Alghero e della procura di Sassari[32]. A seguito di ciò, il 16 luglio 2007 Giovanni Nuvoli iniziò uno sciopero della sete e della fame che lo portò alla morte il 23 luglio 2007[33].
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Giovanni Nuvoli.
Piergiorgio Welby

Il dibattito sull'eutanasia si è riproposto, alla fine del 2006, quando il citato Piergiorgio Welby ha chiesto che gli venisse staccato il respiratore che lo teneva in vita. Welby è morto il 20 dicembre 2006 per insufficienza respiratoria sopravvenuta a seguito del distacco del respiratore a opera del medico anestesista Mario Riccio, di Cremona. Questi, in una conferenza stampa tenutasi il giorno dopo, ha confermato le circostanze della morte di Welby e si è autodenu

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