Diagonalizzazione di matrici: perchè?
Perché definire il concetto di diagonalizzazione sia per endomorfismi che per matrici quadrate?
Né gli appunti presi a lezione né i due testi che utilizzo sono molto chiari a riguardo, o quantomeno leggendoli non riesco a dare una risposta alla mia domanda.
La mia "congettura" è questa: definito cosa voglia dire che un endomorfismo $f:V\to V$ è diagonalizzabile, ci si accorge che questa condizione equivale a dire che fissata una qualunque base $\mathcal{B}$ di $V$ si ha che $M_\mathcal{B}(f)$ (i.e. la matrice associata a $f$ rispetto a $\mathcal{B}$) è simile a una matrice diagonale.
In più si sa che, fissata una base $\mathcal{B}$ di $V$, $\Psi_{\mathcal{B}}: f\mapsto M_{\mathcal{B}}(f)$ è un isomorfismo di spazi vettoriali, che consente di identificare matrici quadrate e endomorfismi della stessa "taglia". Data dunque una matrice $A$ quadrata di ordine $\dim V=:n$, essa sarà la matrice associata ad un unico endomorfismo $f$ (rispetto alla base $\mathcal{B}$ fissata). Dimostrare che $A$ è simile a una matrice diagonale equivale a provare che $f$ è diagonalizzabile.
Detto questo, si pensa: perché non esprimere la condizione "$A$ è simile a una matrice diagonale" dicendo "$A$ è diagonalizzabile"?
Questo è stato il mio modo di dar un senso alla faccenda. E' corretto? O ho detto solo un mucchio di fesserie? In tal caso, sapreste illuminarmi?
Grazie

Né gli appunti presi a lezione né i due testi che utilizzo sono molto chiari a riguardo, o quantomeno leggendoli non riesco a dare una risposta alla mia domanda.
La mia "congettura" è questa: definito cosa voglia dire che un endomorfismo $f:V\to V$ è diagonalizzabile, ci si accorge che questa condizione equivale a dire che fissata una qualunque base $\mathcal{B}$ di $V$ si ha che $M_\mathcal{B}(f)$ (i.e. la matrice associata a $f$ rispetto a $\mathcal{B}$) è simile a una matrice diagonale.
In più si sa che, fissata una base $\mathcal{B}$ di $V$, $\Psi_{\mathcal{B}}: f\mapsto M_{\mathcal{B}}(f)$ è un isomorfismo di spazi vettoriali, che consente di identificare matrici quadrate e endomorfismi della stessa "taglia". Data dunque una matrice $A$ quadrata di ordine $\dim V=:n$, essa sarà la matrice associata ad un unico endomorfismo $f$ (rispetto alla base $\mathcal{B}$ fissata). Dimostrare che $A$ è simile a una matrice diagonale equivale a provare che $f$ è diagonalizzabile.
Detto questo, si pensa: perché non esprimere la condizione "$A$ è simile a una matrice diagonale" dicendo "$A$ è diagonalizzabile"?
Questo è stato il mio modo di dar un senso alla faccenda. E' corretto? O ho detto solo un mucchio di fesserie? In tal caso, sapreste illuminarmi?
Grazie

Risposte
Beh, si', le due nozioni sono "la stessa", e quella per le matrici e' quella per endomorfismi scritta in coordinate.
Grazie kb
Ragionandoci ancora un po', ho tratto altre conclusioni: gradirei molto delle conferme
Data una matrice $A$ quadrata di ordine $n$, essa è associata a endomorfismi diversi rispetto a basi diverse. Affinché uno qualunque di questi endomorfismi a cui $A$ è associata (rispetto a una determinata base) sia diagonalizzabile, $A$ deve possedere una sorta di "proprietà intrinseca", cioè quella di essere simile ad una matrice diagonale (in altri termini, $A$ dev'essere diagonalizzabile). Ha quindi senso definire una "teoria a parte" sulla diagonalizzazione di una matrice.
Un altro buon motivo per sviluppare questa "teoria a parte" è il fatto che, come si dimostra, $A$ è diagonalizzabile se e solo se lo è l'endomorfismo $L_A$ di $\mathbb{R}^n$ definito da $L_A(X):=AX$, che si presume più semplice da "gestire" rispetto a endomorfismi di uno SV reale qualunque, dal momento che coinvolge solo spazi numerici.

Ragionandoci ancora un po', ho tratto altre conclusioni: gradirei molto delle conferme

Data una matrice $A$ quadrata di ordine $n$, essa è associata a endomorfismi diversi rispetto a basi diverse. Affinché uno qualunque di questi endomorfismi a cui $A$ è associata (rispetto a una determinata base) sia diagonalizzabile, $A$ deve possedere una sorta di "proprietà intrinseca", cioè quella di essere simile ad una matrice diagonale (in altri termini, $A$ dev'essere diagonalizzabile). Ha quindi senso definire una "teoria a parte" sulla diagonalizzazione di una matrice.
Un altro buon motivo per sviluppare questa "teoria a parte" è il fatto che, come si dimostra, $A$ è diagonalizzabile se e solo se lo è l'endomorfismo $L_A$ di $\mathbb{R}^n$ definito da $L_A(X):=AX$, che si presume più semplice da "gestire" rispetto a endomorfismi di uno SV reale qualunque, dal momento che coinvolge solo spazi numerici.
Un motivo per dummies è che con la diagonalizzazione è più facile calcolare il determinante di una matrice!

"j18eos":
Un motivo per dummies è che con la diagonalizzazione è più facile calcolare il determinante di una matrice!
Ma si può fare anche senza, definendo il determinante di un endomorfismo (come fa Sernesi)

Che ne so, anziché definire il polinomio caratteristico di una matrice, si avrebbe potuto dare subito la definizione di polinomio caratteristico di un endomorfismo.
EDIT: In Geometria di Marco Abate (che tuttavia mi pento amaramente di aver comprato...), per esempio, non si dà la definizione né di autovettore, né di autovalore, né di autospazio di una matrice (si parla di quelli di un endomorfismo), né si dice cosa sia una matrice diagonalizzabile (si dice cos'è un endomorfismo diagonalizzabile), né cosa sia il suo polinomio caratteristico (si parla di quello di un endomorfismo). Eppure i risultati ottenuti sono esattamente gli stessi!
Beh, mettiamola così.
Nel mondo degli endomorfismi, la diagonalizzabilità si traduce nell'esistenza di una base di autovettori.
Nel mondo delle matrici, la diagonalizzabilità si traduce nell'esistenza di una matrice di cambio base che porta ad una matrice diagonale.
Attraverso qualche dimostrazione, si vede che le due conseguenze che ti ho citato sono equivalenti. Ha quindi senso dargli lo stesso nome, non trovi?
Se vogliamo complicare ancora di più le cose, pensa al teorema spettrale. Lì c'è addirittura una tripla identificazione, ossia tra endomorfismi simmetrici, matrici simmetriche e forme quadratiche.
Ma il punto chiave è che tu sei in grado di interpretare una stessa proprietà (diagonalizzabilità) da diversi punti di vista, ponendo dei collegamenti tra oggetti matematici molto diversi tra di loro.
Tra l'altro, faccio notare che la parola diagonalizzabilità fa un riferimento esplicito alle matrici diagonali; personalmente vedo le matrici come un collante, dato che intervengono praticamente ovunque in Algebra Lineare. Nel contesto della diagonalizzabilità, tale collante si manifesta nel caso degli endomorfismi (simmetrici e non) e delle forme quadratiche (se stiamo parlando di matrici simmetriche).
Nel mondo degli endomorfismi, la diagonalizzabilità si traduce nell'esistenza di una base di autovettori.
Nel mondo delle matrici, la diagonalizzabilità si traduce nell'esistenza di una matrice di cambio base che porta ad una matrice diagonale.
Attraverso qualche dimostrazione, si vede che le due conseguenze che ti ho citato sono equivalenti. Ha quindi senso dargli lo stesso nome, non trovi?
Se vogliamo complicare ancora di più le cose, pensa al teorema spettrale. Lì c'è addirittura una tripla identificazione, ossia tra endomorfismi simmetrici, matrici simmetriche e forme quadratiche.
Ma il punto chiave è che tu sei in grado di interpretare una stessa proprietà (diagonalizzabilità) da diversi punti di vista, ponendo dei collegamenti tra oggetti matematici molto diversi tra di loro.
Tra l'altro, faccio notare che la parola diagonalizzabilità fa un riferimento esplicito alle matrici diagonali; personalmente vedo le matrici come un collante, dato che intervengono praticamente ovunque in Algebra Lineare. Nel contesto della diagonalizzabilità, tale collante si manifesta nel caso degli endomorfismi (simmetrici e non) e delle forme quadratiche (se stiamo parlando di matrici simmetriche).
Sicuramente ho da studiare ancora un bel po' per avere un quadro completo della situazione e digerire bene la questione. Come mi è stato fatto notare, il concetto di matrice diagonalizzabile e la relativa teoria che prescinde da quella degli operatori si rivela indispensabile "più in là".