Concetto di infinito nella semiretta
Ciao a tutti,
sto studiando gli Elementi di Euclide per preparare l'esame di Storia della Matematica.
In che senso il concetto di semiretta contiene il concetto di infinito in potenza, e non in atto?
sto studiando gli Elementi di Euclide per preparare l'esame di Storia della Matematica.
In che senso il concetto di semiretta contiene il concetto di infinito in potenza, e non in atto?
Risposte
In realtà la definizione di linea retta in Euclide (libro I, def. 3 o 4, a seconda della traduzione) è opaca e non si comprende se non si confronta con la definizione di linea (libro I, def. 2 o 2/3, a seconda della traduzione) e se non si aggiungono ad essa i postulati 1 e 2 del libro I.
Difatti, solo nell'ultimo di tali postulati è contenuta l'idea dell'infinito in potenza cui usualmente si accenna.
La definizione di linea retta è la seguente:
la definizione usa il concetto di linea, introdotto nella definizione precedente, cioè:
Già da qui si vede che la formalizzazione di Euclide è basata solo sul senso comune: tutti hanno un'idea intuitiva di cosa sia una lunghezza, perciò egli usa tale idea come base per definire una linea, senza preoccuparsi di spiegare cos'è effettivamente una lunghezza (lo stesso accade con le definizioni di punto e di superficie).
Inoltre, quello che Euclide chiama linea retta è ciò che noi siamo ormai abituati a chiamare segmento: una linea "breve" che collega due punti dati.
I due postulati cui facevo riferimento sono i seguenti.
Il postulato 1:
Come debba essere costruita questa linea retta non si sà; ma probabilmente Euclide non ci fa caso perché si basa sul fatto che chiunque avesse l'idea che per costruire linee rette bisognasse usare la riga.
Inoltre, la parola "una" doveva essere intesa come una unica, dato che nei seguenti libri degli Elementi Euclide usa sempre l'unicità della retta congiungente due punti.
(Forse qui chi conosce il greco potrebbe chiarire se ci sono stati problemi di traduzione nell'articolo indeterminativo.)
Il postulato 2:
Qui entra in gioco l'idea che i commentatori chiamano di solito infinito in potenza.
Ho già detto sopra che noi siamo abituati a chiamare segmento la linea retta nel senso di Euclide: ciò è dovuto a un mutamento profondo nella nostra mentalità.
Infatti a noi non fa più "paura" immaginare una retta come una linea dritta che attraversa tutto il piano infinito della Geometria (anzi, è proprio così che ci insegnano ad immaginare una retta fin dalle scuole elementari); in altre parole, non ci sconvolge più di tanto immaginare l'infinito in atto, cioè pensare come se effettivamente fosse realizzabile, ossia come se ce l'avessimo sotto gli occhi, un oggetto di lunghezza "infinita".
Al contrario, Euclide non concepiva fosse possibile immaginare una lunghezza "infinita" (o una superficie "infinita"): questa è una difficoltà del mondo Greco Classico, un retaggio probabilmente pitagorico* o addirittura precedente. Perciò in Euclide l'infinità, o meglio l'illimitatezza, della linea retta è solo in potenza: insomma, è possibile prolungare una linea retta "fin quanto serve", fino a punti o regioni lontanissime, ma la linea retta non ha mai lunghezza "infinita".
Queste considerazioni personali te le lascio come spunti di riflessione, punti di partenza per approfondire il discorso.
__________
* Non dimenticare che Pitagora, o chi per lui, scopre che la diagonale del quadrato ed il lato sono incommensurabili, cioè che non esistono sottomultipli comuni delle loro due lunghezze (sicché l'operazione di misurare la diagonale usando sottomultipli della lunghezza del lato comporta l'esecuzione di infinite operazioni di divisioni) e tace la cosa per evitare il problema di rappresentare qualcosa di "infinito".
Difatti, solo nell'ultimo di tali postulati è contenuta l'idea dell'infinito in potenza cui usualmente si accenna.
La definizione di linea retta è la seguente:
Si chiama linea retta la linea di più piccola lunghezza tra due punti dati, la quale ha per estremi tali punti.
la definizione usa il concetto di linea, introdotto nella definizione precedente, cioè:
Si chiama linea una lunghezza senza larghezza; i cui estremi sono due punti.
Già da qui si vede che la formalizzazione di Euclide è basata solo sul senso comune: tutti hanno un'idea intuitiva di cosa sia una lunghezza, perciò egli usa tale idea come base per definire una linea, senza preoccuparsi di spiegare cos'è effettivamente una lunghezza (lo stesso accade con le definizioni di punto e di superficie).
Inoltre, quello che Euclide chiama linea retta è ciò che noi siamo ormai abituati a chiamare segmento: una linea "breve" che collega due punti dati.
I due postulati cui facevo riferimento sono i seguenti.
Il postulato 1:
Sia possibile congiungere due qualsiasi punti assegnati mediante una linea retta.
Come debba essere costruita questa linea retta non si sà; ma probabilmente Euclide non ci fa caso perché si basa sul fatto che chiunque avesse l'idea che per costruire linee rette bisognasse usare la riga.
Inoltre, la parola "una" doveva essere intesa come una unica, dato che nei seguenti libri degli Elementi Euclide usa sempre l'unicità della retta congiungente due punti.
(Forse qui chi conosce il greco potrebbe chiarire se ci sono stati problemi di traduzione nell'articolo indeterminativo.)
Il postulato 2:
Sia possibile prolungare una linea retta, da ambo i suoi estremi, in modo continuo, fin quanto serve.
Qui entra in gioco l'idea che i commentatori chiamano di solito infinito in potenza.
Ho già detto sopra che noi siamo abituati a chiamare segmento la linea retta nel senso di Euclide: ciò è dovuto a un mutamento profondo nella nostra mentalità.
Infatti a noi non fa più "paura" immaginare una retta come una linea dritta che attraversa tutto il piano infinito della Geometria (anzi, è proprio così che ci insegnano ad immaginare una retta fin dalle scuole elementari); in altre parole, non ci sconvolge più di tanto immaginare l'infinito in atto, cioè pensare come se effettivamente fosse realizzabile, ossia come se ce l'avessimo sotto gli occhi, un oggetto di lunghezza "infinita".
Al contrario, Euclide non concepiva fosse possibile immaginare una lunghezza "infinita" (o una superficie "infinita"): questa è una difficoltà del mondo Greco Classico, un retaggio probabilmente pitagorico* o addirittura precedente. Perciò in Euclide l'infinità, o meglio l'illimitatezza, della linea retta è solo in potenza: insomma, è possibile prolungare una linea retta "fin quanto serve", fino a punti o regioni lontanissime, ma la linea retta non ha mai lunghezza "infinita".
Queste considerazioni personali te le lascio come spunti di riflessione, punti di partenza per approfondire il discorso.
__________
* Non dimenticare che Pitagora, o chi per lui, scopre che la diagonale del quadrato ed il lato sono incommensurabili, cioè che non esistono sottomultipli comuni delle loro due lunghezze (sicché l'operazione di misurare la diagonale usando sottomultipli della lunghezza del lato comporta l'esecuzione di infinite operazioni di divisioni) e tace la cosa per evitare il problema di rappresentare qualcosa di "infinito".