Campo vettoriale su varietà
Fino a qualche mese fa, quando ero ancora un giovane e innocente studente di Analisi II (
), un campo vettoriale era tout court una funzione [tex]f: A \subseteq \mathbb{R}^{m} \to \mathbb{R}^{n}$[/tex]. Con questa definizione, potevo calcolare limiti, scrivere la jacobiana etc.
Bene queste certezze sono un po' crollate.
Sia [tex]M[/tex] una varietà differenziabile (di dimensione [tex]n[/tex]) e siano [tex]q^i[/tex] le coordinate su [tex]M[/tex]. Preso un punto [tex]x\in M[/tex], posso definire in maniera abbastanza semplice lo spazio tangente a [tex]M[/tex] in [tex]x[/tex]. Precisamente, questo spazio - denotato con [tex]T_{x}M[/tex] - è uno spazio vettoriale di dimensione [tex]n[/tex] una cui base è data dagli [tex]n[/tex] vettori [tex]\displaystyle \frac{\partial x}{\partial q^{i}}[/tex].
(Intermezzo: è ben scritto fino a qui? Mi sono espresso correttamente?)
Ora, definito il fibrato tangente come [tex]\displaystyle TM = \bigcup_{x \in M} T_{x}M[/tex], posso definire una mappa che lavora in modo ovvio: [tex]\pi: TM \mapsto M[/tex], associando ad ogni vettore tangente il punto in cui esso tange la varietà.
A questo punto "inverto": una qualunque sezione di [tex]\pi[/tex], i.e. una mappa [tex]\psi: M \to TM[/tex] tale che [tex]\pi \circ \psi = id[/tex], è detta campo vettoriale su [tex]M[/tex].
Alcune questioni:
(1) per essere una sezione, [tex]\psi[/tex] deve essere tale che [tex]\pi \circ \psi = id[/tex], giusto? Altre condizioni? Una qualunque sezione del fibrato tangente è un campo vettoriale?
(2) Riuscite a farmi un esempio, per piacere? Nulla di troppo complesso, mi basta una mano o un input poi vado avanti da solo.
Vi ringrazio.

Bene queste certezze sono un po' crollate.
Sia [tex]M[/tex] una varietà differenziabile (di dimensione [tex]n[/tex]) e siano [tex]q^i[/tex] le coordinate su [tex]M[/tex]. Preso un punto [tex]x\in M[/tex], posso definire in maniera abbastanza semplice lo spazio tangente a [tex]M[/tex] in [tex]x[/tex]. Precisamente, questo spazio - denotato con [tex]T_{x}M[/tex] - è uno spazio vettoriale di dimensione [tex]n[/tex] una cui base è data dagli [tex]n[/tex] vettori [tex]\displaystyle \frac{\partial x}{\partial q^{i}}[/tex].
(Intermezzo: è ben scritto fino a qui? Mi sono espresso correttamente?)
Ora, definito il fibrato tangente come [tex]\displaystyle TM = \bigcup_{x \in M} T_{x}M[/tex], posso definire una mappa che lavora in modo ovvio: [tex]\pi: TM \mapsto M[/tex], associando ad ogni vettore tangente il punto in cui esso tange la varietà.
A questo punto "inverto": una qualunque sezione di [tex]\pi[/tex], i.e. una mappa [tex]\psi: M \to TM[/tex] tale che [tex]\pi \circ \psi = id[/tex], è detta campo vettoriale su [tex]M[/tex].
Alcune questioni:
(1) per essere una sezione, [tex]\psi[/tex] deve essere tale che [tex]\pi \circ \psi = id[/tex], giusto? Altre condizioni? Una qualunque sezione del fibrato tangente è un campo vettoriale?
(2) Riuscite a farmi un esempio, per piacere? Nulla di troppo complesso, mi basta una mano o un input poi vado avanti da solo.
Vi ringrazio.

Risposte
Oh, alle prese con meccanica razionale di già?
E' un peccato studiare questi argomenti così, allo scopo fisico. Hanno un fascino di per sé!
Comunque, solitamente in geometria differenziale i campi vettoriali li vorremmo differenziabili. Quella condizione [tex]\pi \circ \psi = id[/tex] è un po' deboluccia.
Un qualsiasi campo tangente va bene. Prendi ad esempio la sfera [tex]x^2+ y^2 + z^2 = 1[/tex] e considera il campo [tex]\psi(x,y,z) = (y,-x,0)[/tex] (pensalo definito su [tex]M[/tex] a valori in [tex]\mathbb R^3[/tex] e poi verifica che abbia valori effettivamente in [tex]TM[/tex]).
Ma per aiutare la tua immaginazione, un campo vettoriale è un'applicazione [tex]\psi : M \to TM[/tex] tale che [tex]\psi(q) \in T_qM[/tex] per ogni [tex]q \in M[/tex] (e se ci mettiamo una condizione di differenziabilità siamo comunque più contenti).
Ah: rispondo all'intermezzo. Detto così a me piace abbastanza. Bisogna vedere come intendi gli oggetti [tex]\displaystyle \frac{\partial x}{\partial q^i}[/tex]...
E' un peccato studiare questi argomenti così, allo scopo fisico. Hanno un fascino di per sé!
Comunque, solitamente in geometria differenziale i campi vettoriali li vorremmo differenziabili. Quella condizione [tex]\pi \circ \psi = id[/tex] è un po' deboluccia.
Un qualsiasi campo tangente va bene. Prendi ad esempio la sfera [tex]x^2+ y^2 + z^2 = 1[/tex] e considera il campo [tex]\psi(x,y,z) = (y,-x,0)[/tex] (pensalo definito su [tex]M[/tex] a valori in [tex]\mathbb R^3[/tex] e poi verifica che abbia valori effettivamente in [tex]TM[/tex]).
Ma per aiutare la tua immaginazione, un campo vettoriale è un'applicazione [tex]\psi : M \to TM[/tex] tale che [tex]\psi(q) \in T_qM[/tex] per ogni [tex]q \in M[/tex] (e se ci mettiamo una condizione di differenziabilità siamo comunque più contenti).

Ah: rispondo all'intermezzo. Detto così a me piace abbastanza. Bisogna vedere come intendi gli oggetti [tex]\displaystyle \frac{\partial x}{\partial q^i}[/tex]...
"Paolo90":
Alcune questioni:
(1) per essere una sezione, [tex]\psi[/tex] deve essere tale che [tex]\pi \circ \psi = id[/tex], giusto? Altre condizioni? Una qualunque sezione del fibrato tangente è un campo vettoriale?
Direi di sì: "campo vettoriale" è esattamente una (qualsiasi) sezione da $M$ a $TM$.
Il fibrato $\pi$ è semplicemente una funzione lineare che sia suriettiva da $TM$ ad $M$.
Tutti i vettori di $T_xM$ hanno come immagine $x$.
Vi sono infinite sezioni che ad $x$ associno un vettore di $T_xM$.
òdit: ho scritto "Lineare" mentre prima avevo scritto "affine": è che prima avevo in mente spazi affini, rispetto ai quali per la prima volta incontrai il "fibrato".
"maurer":
Oh, alle prese con meccanica razionale di già?


"maurer":
E' un peccato studiare questi argomenti così, allo scopo fisico. Hanno un fascino di per sé!
Non me lo dire! Anche io credo siano bellissimi, se visti per bene in corsi dedicati. E' davvero un peccato

"maurer":
Comunque, solitamente in geometria differenziale i campi vettoriali li vorremmo differenziabili. Quella condizione [tex]\pi \circ \psi = id[/tex] è un po' deboluccia.
Ok, d'accordo. Tanto in meccanica ho praticamente sempre a che fare con robe [tex]$C^{\infty}$[/tex], se non addirittura analitiche.
"maurer":
Un qualsiasi campo tangente va bene. Prendi ad esempio la sfera [tex]x^2+ y^2 + z^2 = 1[/tex] e considera il campo [tex]\psi(x,y,z) = (y,-x,0)[/tex] (pensalo definito su [tex]M[/tex] a valori in [tex]\mathbb R^3[/tex] e poi verifica che abbia valori effettivamente in [tex]TM[/tex]).
Sì, capisco quello che intendi. Sarei tentato di mettere su [tex]S^2[/tex] le solite coordinate sferiche, in modo da avere una sola carta, ma qui mi sa che mi complico solo le cose. Se esplicito rispetto a [tex]$z$[/tex], ho che un punto su [tex]$S^2$[/tex] sarà della forma [tex]$(x,y,\pm \sqrt{1-x^2-y^2})$[/tex], giusto?
Quindi, lo spazio tangente ha come base i due vettori [tex]\bold{e}_{1}= (1,0,-\frac{x}{\sqrt{1-x^2-y^2}})[/tex], [tex]\bold{e}_{2}=(0,1,-\frac{y}{\sqrt{1-x^2-y^2}})[/tex] (e infatti [tex]S^2[/tex] ha dimensione 2).
Effettivamente, si vede che [tex]\psi(x,y,z) = (y,-x,0) = y\bold{e}_{1}-x\bold{e}_{2} \in TM[/tex].
E' corretto? Oh, finalmente ho un esempio di campo su [tex]S^2[/tex]! Grazie

Senti, avrei però una curiosità: tu come hai fatto a "vederlo"? Immagino tu non abbia fatto questi conti...
"maurer":
Ah: rispondo all'intermezzo. Detto così a me piace abbastanza. Bisogna vedere come intendi gli oggetti [tex]\displaystyle \frac{\partial x}{\partial q^i}[/tex]...
Come puoi vedere sopra, sarebbero le derivate del generico punto sulla varietà rispetto alle coordinate... Può andare?
Ti ringrazio molto.
@ orazioster: grazie mille anche per il tuo intervento.

"Paolo90":
[quote="maurer"]Un qualsiasi campo tangente va bene. Prendi ad esempio la sfera [tex]x^2+ y^2 + z^2 = 1[/tex] e considera il campo [tex]\psi(x,y,z) = (y,-x,0)[/tex] (pensalo definito su [tex]M[/tex] a valori in [tex]\mathbb R^3[/tex] e poi verifica che abbia valori effettivamente in [tex]TM[/tex]).
Sì, capisco quello che intendi. Sarei tentato di mettere su [tex]S^2[/tex] le solite coordinate sferiche, in modo da avere una sola carta, ma qui mi sa che mi complico solo le cose. Se esplicito rispetto a [tex]$z$[/tex], ho che un punto su [tex]$S^2$[/tex] sarà della forma [tex]$(x,y,\pm \sqrt{1-x^2-y^2})$[/tex], giusto?
Quindi, lo spazio tangente ha come base i due vettori [tex]\bold{e}_{1}= (1,0,-\frac{x}{\sqrt{1-x^2-y^2}})[/tex], [tex]\bold{e}_{2}=(0,1,-\frac{y}{\sqrt{1-x^2-y^2}})[/tex] (e infatti [tex]S^2[/tex] ha dimensione 2).
Effettivamente, si vede che [tex]\psi(x,y,z) = (y,-x,0) = y\bold{e}_{1}-x\bold{e}_{2} \in TM[/tex].
[/quote]
Alt!!! [tex]\mathcal S^2[/tex] è compatta, quindi non può esistere un omeomorfismo con un aperto di [tex]\mathbb R^2[/tex]. In particolare nemmeno un diffeomorfismo può esistere. Quindi un atlante di [tex]\mathcal S^2[/tex] è sempre formato da almeno due carte.
Comunque, le due carte che poi hai selezionato vanno bene uguale. Io, ho una certa tendenza a preferire le proiezioni stereografiche.
E un trucco utile: anche le coordinate sferiche classiche (credo che siano quelle che intendevi tu) non vanno malaccio, a patto di escludere i punti in cui il differenziale non è iniettivo.
"Paolo90":
Senti, avrei però una curiosità: tu come hai fatto a "vederlo"? Immagino tu non abbia fatto questi conti...
Se te lo dico prometti di non arrabbiarti? Dai, ti credo sulla parola. Un campo vettoriale tangente è molto informalmente il dato di un vettore tangente alla varietà per ogni punto della varietà, che vari in maniera un po' decorosa (= differenziabile). Ora, dato [tex](a,b,c) \in \mathcal S^2[/tex], il piano (vettoriale) tangente è il piano di equazione [tex]ax+by+cz = 0[/tex]. Selezionando un qualsiasi vettore di questo piano abbiamo un vettore tangente. Ad esempio [tex](a,b,c) \cdot (b,-a,0) = 0[/tex], quindi [tex](b,-a,0)[/tex] è una possibile scelta. Il campo risultante è differenziabile, quindi siamo felicissimi.
"Paolo90":
Come puoi vedere sopra, sarebbero le derivate del generico punto sulla varietà rispetto alle coordinate... Può andare?
Ti ringrazio molto.
Ecco, questo mi piace di meno (come temevo). Cosa intendi per derivata di un punto? Ad esempio, in [tex]\mathbb R^n[/tex], che cos'è la derivata di [tex](x_1, \ldots, x_n)[/tex]?
Anzitutto ti ringrazio per il tempo che mi dedichi. Grazie mille per la tua disponibilità e competenza.
Ok, questo mi era abbastanza chiaro. In particolare, prima ho preso la carta con il [tex]$+$[/tex], per completezza avrei dovuto fare i conti anche con il [tex]$-$[/tex], ma tanto cambiava nulla, giusto (a parte il segno si intende)?
Uh, scusami, mi sono perso. Immagino che quello che mi stai dicendo, sotto sotto, è che devo fare attenzione agli intervalli in cui variano co-latitudine e longitudine, giusto? Quindi non prendere ad esempio $[0,2pi]$ chiuso, ma solo [tex][0, 2\pi)[/tex]. Ho intuito quello che volevi dirmi? E scusami ma in che modo entra in gioco il differenziale e la sua iniettività? Scusami, davvero, ma è proprio un punto oscuro.
Figo
E' vero, grazie per le spiegazioni. Figurati se mi arrabbio! Ti ringrazio davvero molto per il tuo aiuto assai prezioso.
Anche io temevo che mi sarei impappinato, per questo chiedevo. E' vero, "derivata di un punto" è un'espressione turpe.
Quello che intendo, come vedi da quanto ho fatto sopra, è derivare le coordinate del punto (coordinata date rispetto alle carte) rispetto alle [tex]q^{i}[/tex]. Mi dai una mano a formalizzare decentemente questa cosa (ammesso che sia corretto)?
Grazie mille
"maurer":
Alt!!! [tex]\mathcal S^2[/tex] è compatta, quindi non può esistere un omeomorfismo con un aperto di [tex]\mathbb R^2[/tex]. In particolare nemmeno un diffeomorfismo può esistere. Quindi un atlante di [tex]\mathcal S^2[/tex] è sempre formato da almeno due carte.
Ok, questo mi era abbastanza chiaro. In particolare, prima ho preso la carta con il [tex]$+$[/tex], per completezza avrei dovuto fare i conti anche con il [tex]$-$[/tex], ma tanto cambiava nulla, giusto (a parte il segno si intende)?
"maurer":
Comunque, le due carte che poi hai selezionato vanno bene uguale. Io, ho una certa tendenza a preferire le proiezioni stereografiche.
E un trucco utile: anche le coordinate sferiche classiche (credo che siano quelle che intendevi tu) non vanno malaccio, a patto di escludere i punti in cui il differenziale non è iniettivo.
Uh, scusami, mi sono perso. Immagino che quello che mi stai dicendo, sotto sotto, è che devo fare attenzione agli intervalli in cui variano co-latitudine e longitudine, giusto? Quindi non prendere ad esempio $[0,2pi]$ chiuso, ma solo [tex][0, 2\pi)[/tex]. Ho intuito quello che volevi dirmi? E scusami ma in che modo entra in gioco il differenziale e la sua iniettività? Scusami, davvero, ma è proprio un punto oscuro.
"maurer":
Se te lo dico prometti di non arrabbiarti? Dai, ti credo sulla parola. Un campo vettoriale tangente è molto informalmente il dato di un vettore tangente alla varietà per ogni punto della varietà, che vari in maniera un po' decorosa (= differenziabile). Ora, dato [tex](a,b,c) \in \mathcal S^2[/tex], il piano (vettoriale) tangente è il piano di equazione [tex]ax+by+cz = 0[/tex]. Selezionando un qualsiasi vettore di questo piano abbiamo un vettore tangente. Ad esempio [tex](a,b,c) \cdot (b,-a,0) = 0[/tex], quindi [tex](b,-a,0)[/tex] è una possibile scelta. Il campo risultante è differenziabile, quindi siamo felicissimi.
Figo

E' vero, grazie per le spiegazioni. Figurati se mi arrabbio! Ti ringrazio davvero molto per il tuo aiuto assai prezioso.
"maurer":
Ecco, questo mi piace di meno (come temevo). Cosa intendi per derivata di un punto? Ad esempio, in [tex]\mathbb R^n[/tex], che cos'è la derivata di [tex](x_1, \ldots, x_n)[/tex]?
Anche io temevo che mi sarei impappinato, per questo chiedevo. E' vero, "derivata di un punto" è un'espressione turpe.
Quello che intendo, come vedi da quanto ho fatto sopra, è derivare le coordinate del punto (coordinata date rispetto alle carte) rispetto alle [tex]q^{i}[/tex]. Mi dai una mano a formalizzare decentemente questa cosa (ammesso che sia corretto)?
Grazie mille

"Paolo90":
Anzitutto ti ringrazio per il tempo che mi dedichi. Grazie mille per la tua disponibilità e competenza.
Figurati, è un piacere! La competenza lasciamola giudicare a qualcuno più competente di entrambi

"Paolo90":
[quote="maurer"]
Alt!!! [tex]\mathcal S^2[/tex] è compatta, quindi non può esistere un omeomorfismo con un aperto di [tex]\mathbb R^2[/tex]. In particolare nemmeno un diffeomorfismo può esistere. Quindi un atlante di [tex]\mathcal S^2[/tex] è sempre formato da almeno due carte.
Ok, questo mi era abbastanza chiaro. In particolare, prima ho preso la carta con il [tex]$+$[/tex], per completezza avrei dovuto fare i conti anche con il [tex]$-$[/tex], ma tanto cambiava nulla, giusto (a parte il segno si intende)?
[/quote]
Mi riferivo ad un'altra cosa. Tu prima hai detto di essere tentato di mettere le coordinate sferiche "in modo da avere una sola carta". E io ti dico: questo è impossibile. Se con una funzione descrivi tutta [tex]\mathcal S^2[/tex], quella funzione allora non è una parametrizzazione (nel mio linguaggio le carte sono le inverse delle parametrizzazioni: le carte sono definite sulla varietà, le parametrizzazioni sugli aperti di [tex]\mathbb R^n[/tex]). E infatti, le solite coordinate sferiche presentano punti singolari.
"Paolo90":
[quote="maurer"]Comunque, le due carte che poi hai selezionato vanno bene uguale. Io, ho una certa tendenza a preferire le proiezioni stereografiche.
E un trucco utile: anche le coordinate sferiche classiche (credo che siano quelle che intendevi tu) non vanno malaccio, a patto di escludere i punti in cui il differenziale non è iniettivo.
Uh, scusami, mi sono perso. Immagino che quello che mi stai dicendo, sotto sotto, è che devo fare attenzione agli intervalli in cui variano co-latitudine e longitudine, giusto? Quindi non prendere ad esempio $[0,2pi]$ chiuso, ma solo [tex][0, 2\pi)[/tex]. Ho intuito quello che volevi dirmi? E scusami ma in che modo entra in gioco il differenziale e la sua iniettività? Scusami, davvero, ma è proprio un punto oscuro. [/quote]
Innanzi tutto, ho sbagliato io. Perché quelle due parametrizzazioni da sole non bastano a formare un atlante. Infatti, il dominio deve essere sempre preso aperto (anche se in meccanica spesso chiudono un occhio su questo fatto!) e quindi nel tuo caso rimarrebbe escluso l'equatore sul piano [tex]z = 0[/tex].
Poi, per la tua domanda, la questione è, per certi versi, sottile. Prima di tutto osserva che vogliamo che due carte locali siano sempre differenziabilmente compatibili di classe [tex]C^\infty[/tex] (di solito)(*) tra di loro. Se [tex](U,\varphi), (V,\psi)[/tex] sono due carte locali e [tex]U \cap V \ne \emptyset[/tex], questo vuol dire che la mappa tra aperti di [tex]\mathbb R^n[/tex] definita da [tex]\psi \circ \varphi^{-1} : \varphi(U \cap V) \to \psi(U \cap V)[/tex] sia un diffeomorfismo di classe [tex]C^\infty[/tex].
Quando pensiamo a varietà usuali, cioè immerse in [tex]\mathbb R^N[/tex], vorremmo (**) che le parametrizzazioni (o le loro inverse, le carte locali) [tex]\varphi^{-1} : \varphi(U) \to U[/tex] siano diffeomorfismi (***) da un aperto di [tex]\mathbb R^n[/tex] ad un insieme di [tex]\mathbb R^n[/tex]. Ora, perché questo sia possibile, occorre che il differenziale sia iniettivo (il teorema del rango entra qui in gioco, ma scommetto che non lo hai mai sentito perché Analisi 2 te l'ha fatta un certo imbecille che inizia con D e finisce con o; è un argomento collegato strettamente al teorema di inversione locale, altra pietra miliare che a Torino pare proprio non piacere).
"Paolo90":
Anche io temevo che mi sarei impappinato, per questo chiedevo. E' vero, "derivata di un punto" è un'espressione turpe.
Quello che intendo, come vedi da quanto ho fatto sopra, è derivare le coordinate del punto (coordinata date rispetto alle carte) rispetto alle [tex]q^{i}[/tex]. Mi dai una mano a formalizzare decentemente questa cosa (ammesso che sia corretto)?
Massì, è abbastanza corretto, ma fa schifo (non offenderti: sono sicuro che è stato qualcuno a dirtela così, in primo luogo!). Allora la questione non è immediata da formalizzare e si può fare in almeno due modi distinti (che poi si dimostrano essere equivalenti). Ti dico prima quella che mi piace di più, poi quella che mi piace di meno (metterei la mano sul fuoco che per il 95% delle altre persone è il contrario

Il problema è definire il concetto di vettore tangente. Allora fissiamo un punto [tex]p \in M[/tex] sulla varietà e consideriamo le funzioni differenziabili (sai cosa intendo?) definite in un intorno di [tex]p[/tex]. Denotiamo questo insieme con [tex]\mathcal E_p(M)[/tex]. Osserviamo che se [tex]F,G \in \mathcal E_p(M)[/tex] allora [tex]F + G, FG \in \mathcal E_p(M)[/tex]. Diciamo che un vettore tangente è una qualsiasi applicazione [tex]\mathbf v(\cdot)_p : \mathcal E_p(M) \to \mathbb R[/tex] tale che
- i. [tex]\mathbf v(\lambda F+ \mu G)_p = \lambda \mathbf v(F)_p + \mu \mathbf v(G)_p[/tex] per ogni [tex]F,G \in \mathcal E_p(M)[/tex], [tex]\lambda, \mu \in \mathbb R[/tex];
ii. [tex]\mathbf v(FG)_p = \mathbf v(F)_p G(p) + F(p) \mathbf v(G)_p[/tex]
[/list:u:1mjkk3tj]
Adesso, fissata una parametrizzazione [tex]\varphi^{-1} : \varphi(U) \to U \subset M[/tex] e denotate con [tex]q^i = x^i \circ \varphi[/tex] le coordinate locali, le funzioni [tex]\displaystyle \left(\frac{\partial}{\partial q^i} \right)_p : \mathcal E_p(M) \to \mathbb R[/tex] definite da [tex]\displaystyle \left( \frac{\partial}{\partial q^i} \right)_p(F) := \frac{\partial F \circ \varphi^{-1}}{\partial x^i}(\varphi(p))[/tex] sono vettori tangenti (osserva che adesso deriviamo in [tex]\mathbb R^n[/tex] e qui, grazie a dio, lo sappiamo fare)! (a te l'onere della - non troppo difficoltosa - verifica).
L'altro modo è forse più naturale e si tratta di definire una relazione di equivalenza. Prendi [tex]p \in M[/tex] e considera l'insieme delle curve differenziabili (di nuovo, sai cosa vuol dire?) [tex]\sigma : (-\epsilon, \epsilon) \to M[/tex] tali che [tex]\sigma(0) = p[/tex]. Denotiamo con una lettera a caso questo insieme, ad esempio [tex]C(p,M)[/tex]. Adesso diciamo che due curve [tex]\sigma, \tau \in C(p,M)[/tex] sono equivalenti se, fissata una carta locale [tex]\varphi : U \subset M \to A \subset \mathbb R^n[/tex] con [tex]U[/tex] intorno di [tex]p[/tex], si ha [tex]\displaystyle \frac{d}{dt} (\varphi \circ \sigma)(0) = \frac{d}{dt} (\varphi \circ \tau)(0)[/tex]. Anche in questo caso, si controlla che la definizione non dipende dalla carta scelta e che la relazione definita è un'equivalenza. In questo caso diciamo spazio tangente il quoziente di [tex]C(p,M)[/tex] per questa relazione di equivalenza e diciamo vettori tangenti (o derivazioni) le classi di equivalenza.
Si può inoltre mostrare che le due definizioni sono equivalenti, ma preferirei rimandarti ad un testo come il Sernesi per la dimostrazione...
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(*) In realtà, si può dimostrare che se su una varietà abbiamo un atlante [tex]\mathcal C^1[/tex], allora possiamo mettercene anche uno di classe [tex]\mathcal C^\infty[/tex].
(**) Questa fa parte di una definizione più generale: quella di sottovarietà di una varietà data. Ma al momento sorvolerei un attimo.
(***) E' da specificare che cos'è un diffeomorfismo in quella situazione. Se [tex]S \subset \mathbb R^n[/tex] è un sottoinsieme, diciamo che una funzione [tex]f : S \to \mathbb R^m[/tex] è differenziabile, se per ogni [tex]\mathbf x \in S[/tex] esiste un aperto [tex]\mathbf x \in U \subset \mathbb R^n[/tex] e una funzione differenziabile [tex]\tilde{F} : U \to \mathbb R^m[/tex] tale che [tex]\tilde{F}_{\mid U \cap S} \equiv f[/tex]. Si dimostra che questa definizione è ben data, naturalmente. A questo punto lascio a te il compito di dire che cos'è un diffeomorfismo in quella bizzarra situazione di prima.
Una prima definizione di vettore tangente che funziona su qualsiasi varietà di classe almeno [tex]C^1[/tex] è la seguente:
Sia [tex]x \in M[/tex] un punto di una varietà differenziabile [tex]M[/tex] di classe [tex]C^k[/tex] ([tex]k \ge 1[/tex]). Un vettore tangente a [tex]x[/tex] è una mappa [tex]V : C^k_x M \to \mathbb R[/tex] ([tex]C^k_x M[/tex] è l'algebra delle funzioni di classe [tex]C^k[/tex] in un intorno di [tex]x[/tex]) che, per ogni carta [tex](U, \phi)[/tex] contenente [tex]x[/tex] e ogni funzione [tex]f \in C^k_x M[/tex], può essere scritta in modo unico nella forma:
[tex]V \, f = \sum_{i=1}^n a_i \left. \frac{\partial (f \circ \phi^{-1})}{\partial x_i} \right|_{\phi(x)}[/tex]
dove le [tex]x_i[/tex] sono le coordinate di [tex]\mathbb R^n[/tex]. Si può facilmente mostrare che se una mappa di questo tipo rispetta la condizione per una qualche carta lo rispetta per tutte (usi la mappa di transizione) e che questa mappa rispetti le condizioni mostrate da maurer. In realtà la definizione di maurer è valida solo per varietà lisce ([tex]C^{\infty}[/tex]). Lo spazio vettoriale delle derivazioni di classe inferiore a [tex]\infty[/tex] è infatti di dimensione infinita e non [tex]n[/tex]. In molti libri di geometria differenziale si preferisce però limitarsi al caso di varietà lisce per comodità.
Una definizione più categoriale (e che ho usato nella mia tesi) è invece quella di vedere i vettori tangenti come classi di equivalenza di triplette [tex](U, \phi, v)[/tex] dove [tex](U, \phi)[/tex] è una carta che contiene il punto e [tex]v[/tex] è un vettore di [tex]\mathbb R^n[/tex]. Le classi di equivalenza sono date dalla relazione di equivalenza seguente: [tex](U, \phi, v) \sim (W, \psi, w)[/tex] se e solo se [tex](\psi \circ \phi^{-1})'_{\phi(x)} v = w[/tex]. Cioè se il Jacobiano della mappa di transizione nell'immagine di [tex]x[/tex] manda un vettore nell'altro. Siccome [tex](\psi \circ \phi^{-1})'_{\phi(x)}[/tex] è un isomorfismo, si vede facilmente che si tratta di uno spazio vettoriale di dimensione [tex]n[/tex] la cui struttura di spazio vettoriale è indotta da quella di [tex]\mathbb R^n[/tex].
EDIT: Ho modificato alcune cose.
Sia [tex]x \in M[/tex] un punto di una varietà differenziabile [tex]M[/tex] di classe [tex]C^k[/tex] ([tex]k \ge 1[/tex]). Un vettore tangente a [tex]x[/tex] è una mappa [tex]V : C^k_x M \to \mathbb R[/tex] ([tex]C^k_x M[/tex] è l'algebra delle funzioni di classe [tex]C^k[/tex] in un intorno di [tex]x[/tex]) che, per ogni carta [tex](U, \phi)[/tex] contenente [tex]x[/tex] e ogni funzione [tex]f \in C^k_x M[/tex], può essere scritta in modo unico nella forma:
[tex]V \, f = \sum_{i=1}^n a_i \left. \frac{\partial (f \circ \phi^{-1})}{\partial x_i} \right|_{\phi(x)}[/tex]
dove le [tex]x_i[/tex] sono le coordinate di [tex]\mathbb R^n[/tex]. Si può facilmente mostrare che se una mappa di questo tipo rispetta la condizione per una qualche carta lo rispetta per tutte (usi la mappa di transizione) e che questa mappa rispetti le condizioni mostrate da maurer. In realtà la definizione di maurer è valida solo per varietà lisce ([tex]C^{\infty}[/tex]). Lo spazio vettoriale delle derivazioni di classe inferiore a [tex]\infty[/tex] è infatti di dimensione infinita e non [tex]n[/tex]. In molti libri di geometria differenziale si preferisce però limitarsi al caso di varietà lisce per comodità.
Una definizione più categoriale (e che ho usato nella mia tesi) è invece quella di vedere i vettori tangenti come classi di equivalenza di triplette [tex](U, \phi, v)[/tex] dove [tex](U, \phi)[/tex] è una carta che contiene il punto e [tex]v[/tex] è un vettore di [tex]\mathbb R^n[/tex]. Le classi di equivalenza sono date dalla relazione di equivalenza seguente: [tex](U, \phi, v) \sim (W, \psi, w)[/tex] se e solo se [tex](\psi \circ \phi^{-1})'_{\phi(x)} v = w[/tex]. Cioè se il Jacobiano della mappa di transizione nell'immagine di [tex]x[/tex] manda un vettore nell'altro. Siccome [tex](\psi \circ \phi^{-1})'_{\phi(x)}[/tex] è un isomorfismo, si vede facilmente che si tratta di uno spazio vettoriale di dimensione [tex]n[/tex] la cui struttura di spazio vettoriale è indotta da quella di [tex]\mathbb R^n[/tex].
EDIT: Ho modificato alcune cose.
"apatriarca":
La definizione di maurer è valida solo per varietà lisce ([tex]C^{\infty}[/tex]).
Uhm... non è così restrittiva, grazie al teorema di raffinamento di cui parlavo!
"apatriarca":
Una definizione più categoriale è invece quella di vedere i vettori tangenti come classi di equivalenza di triplette [tex](U, \phi, v)[/tex] dove [tex]U[/tex] è un aperto che contiene il punto, [tex]\phi[/tex] è un sistema di coordinate il cui dominio è [tex]U[/tex] e [tex]v[/tex] è un vettore di [tex]\mathbb R^n[/tex]. Le classi di equivalenza sono date dalla relazione di equivalenza seguente: [tex](U, \phi, v) \sym (W, \psi, w)[/tex] se e solo se [tex](\psi \circ \phi^{-1})'_{\phi(x)} v = w[/tex]. Cioè se il Jacobiano della mappa di transizione nell'immagine di [tex]x[/tex] manda un vettore nell'altro.
Questa invece non l'ho mai vista! Perché dici che è un approccio categoriale?
Hai ragione.. così com'è non è funtoriale
... Diciamo che è più adatta ad uno studio successivo che faccia uso solo di proprietà funtoriali... La definizione funtoriale consiste però più che altro nel vedere lo spazio tangente come un funtore dalla categorie delle varietà puntate a quella degli spazi vettoriali in cui le mappe sono date dai differenziali e le immagini degli oggetti sono gli spazi vettoriali che ho definito prima.

"apatriarca":
Hai ragione..
Ehm... fortuna? Ti confesso che non so nulla di categorie! A parte che non si devono mai nominare gli elementi degli oggetti!
"apatriarca":
Diciamo che è più adatta ad uno studio successivo che faccia uso solo di proprietà funtoriali... La definizione funtoriale consiste però più che altro nel vedere lo spazio tangente come un funtore dalla categorie delle varietà puntate a quella degli spazi vettoriali in cui le mappe sono date dai differenziali.
Questo comunque mi interessa assai. Saresti così buono da prodigarti in un riferimento?

Se non sbaglio Lang lo definisce in modo simile in Fundamentals of Differential Geometry. Ma in realtà quello del funtore era più che altro una nota, un'interessante curiosità e credo che sia abbastanza inutile. I vantaggi di questo approccio sono però evidenti nel caso in cui si inizi a parlare di fibrati. Nel mio caso ho definito i vettori tangenti in questo modo perché la tesi fa un uso massiccio delle categorie in altre parti e non avevo alcuna necessità di vedere i vettori tangenti come derivazioni. Inoltre mi sembra abbastanza intuitiva come idea. In effetti, da un certo punto in poi faccio principalmente uso delle forme differenziali e i campi vettoriali sono a dir poco secondari.
Ok, grazie mille! Come si sarà capito, questi argomenti mi appassionano moltissimo! Anche le forme differenziali mi piacciono un sacco (a patto che siano definite bene!). Anche se la mia predilezione va alla geometria algebrica... Ma questa è un'altra storia!
Mamma mia quanta roba!
Grazie per i vostri interventi.
Cavolo, menomale che è venuta fuori qui. Hai proprio ragione, maurer, verissimo. Non c'è speranza di ricoprire la sfera con una sola carta.
Una domanda a questo sorge spontanea: quali sono i punti singolari per le coordinate sferiche? Per caso è un discorso simile a quello delle coordinate polari nel piano? Confesso che non ho mai capito a fondo questo fatto sulle coordinate polari: non riesco a descrivere tutto il piano, giusto? Devo togliere una retta?
Succede una cosa analoga per le coordinare sferiche?
Ah già, mi era sfuggito.
Li ho sentiti nominare, proprio qui in Meccanica. Me li devo studiare: provo a dare un'occhiata se ci sono su qualche testo di Analisi che ho qui.
La seconda definizione mi è familiare e mi è stata data durante il corso di Meccanica; non abbiamo fatto tutte le verifiche del caso, ma l'ho vista e l'ho più o meno assorbita. La prima invece è abbastanza nuova e mi sa che ci devo meditare un po' su. Non credo di aver capito bene che cosa devo verificare; ti chiedo scusa, sarà stanchezza, ma devo meditare ancora un po'.
Effettivamente, confesso di non saper dare una definizione di funzione o curva differenziabile; così su due piedi, direi che una funzione definita su una varietà è differenziabile se lo è la sua rappresentazione in qualche $\mathbb{R}^{n}$, però non sono molto sicuro. Che dici?
Intanto, ti ringrazio molto per tutto; un grazie anche ad apatriarca per gli interventi, che spero un giorno di essere in grado di capire (sono ovviamente digiuno di categorie).

Grazie per i vostri interventi.
"maurer":
Tu prima hai detto di essere tentato di mettere le coordinate sferiche "in modo da avere una sola carta". E io ti dico: questo è impossibile. Se con una funzione descrivi tutta [tex]\mathcal S^2[/tex], quella funzione allora non è una parametrizzazione (nel mio linguaggio le carte sono le inverse delle parametrizzazioni: le carte sono definite sulla varietà, le parametrizzazioni sugli aperti di [tex]\mathbb R^n[/tex]). E infatti, le solite coordinate sferiche presentano punti singolari.
Cavolo, menomale che è venuta fuori qui. Hai proprio ragione, maurer, verissimo. Non c'è speranza di ricoprire la sfera con una sola carta.
Una domanda a questo sorge spontanea: quali sono i punti singolari per le coordinate sferiche? Per caso è un discorso simile a quello delle coordinate polari nel piano? Confesso che non ho mai capito a fondo questo fatto sulle coordinate polari: non riesco a descrivere tutto il piano, giusto? Devo togliere una retta?
Succede una cosa analoga per le coordinare sferiche?
"maurer":
Innanzi tutto, ho sbagliato io. Perché quelle due parametrizzazioni da sole non bastano a formare un atlante. Infatti, il dominio deve essere sempre preso aperto (anche se in meccanica spesso chiudono un occhio su questo fatto!) e quindi nel tuo caso rimarrebbe escluso l'equatore sul piano [tex]z = 0[/tex].
Ah già, mi era sfuggito.
"maurer":
Poi, per la tua domanda, la questione è, per certi versi, sottile. Prima di tutto osserva che vogliamo che due carte locali siano sempre differenziabilmente compatibili di classe [tex]C^\infty[/tex] (di solito)(*) tra di loro. Se [tex](U,\varphi), (V,\psi)[/tex] sono due carte locali e [tex]U \cap V \ne \emptyset[/tex], questo vuol dire che la mappa tra aperti di [tex]\mathbb R^n[/tex] definita da [tex]\psi \circ \varphi^{-1} : \varphi(U \cap V) \to \psi(U \cap V)[/tex] sia un diffeomorfismo di classe [tex]C^\infty[/tex].
Quando pensiamo a varietà usuali, cioè immerse in [tex]\mathbb R^N[/tex], vorremmo (**) che le parametrizzazioni (o le loro inverse, le carte locali) [tex]\varphi^{-1} : \varphi(U) \to U[/tex] siano diffeomorfismi (***) da un aperto di [tex]\mathbb R^n[/tex] ad un insieme di [tex]\mathbb R^n[/tex]. Ora, perché questo sia possibile, occorre che il differenziale sia iniettivo (il teorema del rango entra qui in gioco, ma scommetto che non lo hai mai sentito perché Analisi 2 te l'ha fatta un certo imbecille che inizia con D e finisce con o; è un argomento collegato strettamente al teorema di inversione locale, altra pietra miliare che a Torino pare proprio non piacere).


Li ho sentiti nominare, proprio qui in Meccanica. Me li devo studiare: provo a dare un'occhiata se ci sono su qualche testo di Analisi che ho qui.
"maurer":
Il problema è definire il concetto di vettore tangente. Allora fissiamo un punto [tex]p \in M[/tex] sulla varietà e consideriamo le funzioni differenziabili (sai cosa intendo?) definite in un intorno di [tex]p[/tex]. Denotiamo questo insieme con [tex]\mathcal E_p(M)[/tex]. Osserviamo che se [tex]F,G \in \mathcal E_p(M)[/tex] allora [tex]F + G, FG \in \mathcal E_p(M)[/tex]. Diciamo che un vettore tangente è una qualsiasi applicazione [tex]\mathbf v(\cdot)_p : \mathcal E_p(M) \to \mathbb R[/tex] tale che
i. [tex]\mathbf v(\lambda F+ \mu G)_p = \lambda \mathbf v(F)_p + \mu \mathbf v(G)_p[/tex] per ogni [tex]F,G \in \mathcal E_p(M)[/tex], [tex]\lambda, \mu \in \mathbb R[/tex];
ii. [tex]\mathbf v(FG)_p = \mathbf v(F)_p G(p) + F(p) \mathbf v(G)_p[/tex]
[/list:u:r0eoqhlh]
Adesso, fissata una parametrizzazione [tex]\varphi^{-1} : \varphi(U) \to U \subset M[/tex] e denotate con [tex]q^i = x^i \circ \varphi[/tex] le coordinate locali, le funzioni [tex]\displaystyle \left(\frac{\partial}{\partial q^i} \right)_p : \mathcal E_p(M) \to \mathbb R[/tex] definite da [tex]\displaystyle \left( \frac{\partial}{\partial q^i} \right)_p(F) := \frac{\partial F \circ \varphi^{-1}}{\partial x^i}(\varphi(p))[/tex] sono vettori tangenti (osserva che adesso deriviamo in [tex]\mathbb R^n[/tex] e qui, grazie a dio, lo sappiamo fare)! (a te l'onere della - non troppo difficoltosa - verifica).
L'altro modo è forse più naturale e si tratta di definire una relazione di equivalenza. Prendi [tex]p \in M[/tex] e considera l'insieme delle curve differenziabili (di nuovo, sai cosa vuol dire?) [tex]\sigma : (-\epsilon, \epsilon) \to M[/tex] tali che [tex]\sigma(0) = p[/tex]. Denotiamo con una lettera a caso questo insieme, ad esempio [tex]C(p,M)[/tex]. Adesso diciamo che due curve [tex]\sigma, \tau \in C(p,M)[/tex] sono equivalenti se, fissata una carta locale [tex]\varphi : U \subset M \to A \subset \mathbb R^n[/tex] con [tex]U[/tex] intorno di [tex]p[/tex], si ha [tex]\displaystyle \frac{d}{dt} (\varphi \circ \sigma)(0) = \frac{d}{dt} (\varphi \circ \tau)(0)[/tex]. Anche in questo caso, si controlla che la definizione non dipende dalla carta scelta e che la relazione definita è un'equivalenza. In questo caso diciamo spazio tangente il quoziente di [tex]C(p,M)[/tex] per questa relazione di equivalenza e diciamo vettori tangenti (o derivazioni) le classi di equivalenza.
La seconda definizione mi è familiare e mi è stata data durante il corso di Meccanica; non abbiamo fatto tutte le verifiche del caso, ma l'ho vista e l'ho più o meno assorbita. La prima invece è abbastanza nuova e mi sa che ci devo meditare un po' su. Non credo di aver capito bene che cosa devo verificare; ti chiedo scusa, sarà stanchezza, ma devo meditare ancora un po'.
Effettivamente, confesso di non saper dare una definizione di funzione o curva differenziabile; così su due piedi, direi che una funzione definita su una varietà è differenziabile se lo è la sua rappresentazione in qualche $\mathbb{R}^{n}$, però non sono molto sicuro. Che dici?
Intanto, ti ringrazio molto per tutto; un grazie anche ad apatriarca per gli interventi, che spero un giorno di essere in grado di capire (sono ovviamente digiuno di categorie).

La mia seconda definizione è in realtà molto più semplice di quanto sembri.. Dice praticamente che lo spazio tangente ad un punto è una copia di [tex]\mathbb R^n[/tex] sul quale è definita una base che dipende dalla carta locale scelta. Passando da una carta locale ad un'altra avrò allora un cambiamento di base sullo spazio tangente e la definizione ci dice che questa trasformazione è semplicemente dato dalla matrice Jacobiana della mappa di transizione tra le carte locali. Un discorso simile si ha quando si ha poi una mappa tra varietà. La mappa tra le varietà induce infatti un'applicazione lineare tra gli spazi tangenti e questa mappa è data dalla matrice Jacobiana di questa funzione (la mappa viene composta con i sistemi di coordinate nel modo ovvio per avere una mappa tra aperti di [tex]\mathbb R^m[/tex] e [tex]\mathbb R^n[/tex]). Quest'ultima mappa non è più un isomorfismo però.. Si tratta in pratica della definizione dei vettori come oggetti che si trasformano in un particolare modo che piace ai fisici.
Una funzione differenziabile non è altro che una funzione continua [tex]f : M \to \mathbb R[/tex] tale che [tex]f \circ \varphi^{-1}[/tex] è differenziabile per ogni sistema di coordinate [tex]\varphi[/tex]. Una curva differenziabile è invece una funzione continua [tex]\gamma : [a, b] \to M[/tex] tale che [tex]\varphi \circ \gamma[/tex] è differenziabile per ogni sistema di coordinate [tex]\varphi[/tex]. Puoi provare a dimostrare che è sufficiente che le due definizioni valgano per un singolo sistema di coordinate.
Una funzione differenziabile non è altro che una funzione continua [tex]f : M \to \mathbb R[/tex] tale che [tex]f \circ \varphi^{-1}[/tex] è differenziabile per ogni sistema di coordinate [tex]\varphi[/tex]. Una curva differenziabile è invece una funzione continua [tex]\gamma : [a, b] \to M[/tex] tale che [tex]\varphi \circ \gamma[/tex] è differenziabile per ogni sistema di coordinate [tex]\varphi[/tex]. Puoi provare a dimostrare che è sufficiente che le due definizioni valgano per un singolo sistema di coordinate.
"Paolo90":
Cavolo, menomale che è venuta fuori qui. Hai proprio ragione, maurer, verissimo. Non c'è speranza di ricoprire la sfera con una sola carta.
Una domanda a questo sorge spontanea: quali sono i punti singolari per le coordinate sferiche? Per caso è un discorso simile a quello delle coordinate polari nel piano? Confesso che non ho mai capito a fondo questo fatto sulle coordinate polari: non riesco a descrivere tutto il piano, giusto? Devo togliere una retta?
Succede una cosa analoga per le coordinare sferiche?
Non è che non riesci a descrivere tutto il piano. Il problema è che noi vorremmo delle descrizioni del piano tramite diffeomorfismi. Adesso, per definizione una mappa [tex]f : U \subset R^n \to V \subset R^n[/tex] definita tra due aperti è un diffeomorfismo se:
- 1. E' differenziabile di (almeno) classe [tex]\mathcal C^1[/tex];
2. è invertibile;
3. la sua inversa [tex]f^{-1} : V \to U[/tex] è differenziabile di classe (almeno) [tex]\mathcal C^1[/tex].
[/list:u:1orw5mo1]
Considera adesso la "funzione" (credo che funtore sarebbe più appropriato, perché la faccenda ha sapore categoriale) che ad una mappa associa il suo jacobiano valutato in un punto (fissato a priori). Questa "mappa" gode appunto di proprietà funtoriali. Mi spiego: il celebre teorema di derivazione delle funzioni composte asserisce che [tex]J_{\bold x_0} (g \circ f) = J_{f(\bold x_0)}(g) J_{\bold x_0} (f)[/tex]. Adesso, se [tex]f[/tex] è un diffeomorfismo e se [tex]g[/tex] è la sua inversa, allora si ha [tex]g \circ f = \text{id}_U[/tex] e pertanto [tex]J_{f(\bold x_0)} (g) J_{\bold x_0} (f) = I_n[/tex], da cui segue che lo jacobiano di [tex]f[/tex] è invertibile (e ha rango massimo).
Il teorema della funzione inversa dice che vale il viceversa: se una funzione ha jacobiano invertibile in un punto, allora la funzione definisce un diffeomorfismo di un intorno del punto stesso su un intorno dell'immagine del punto. Estremamente potente, non trovi? (*)
La nozione di diffeomorfismo è quella "giusta" in geometria differenziale: un diffeomorfismo non preserva solo la struttura topologica, ma anche quella differenziale (una cuspide non sarà mandata in un punto liscio, cosa fattibile per un omeomorfismo!). Pertanto quando descriviamo oggetti, come il piano o come la sfera, vogliamo diffeomorfismi. E questo, in particolare, significa richiedere che lo jacobiano sia invertibile quando dominio e codominio hanno la stessa dimensione, oppure che lo jacobiano abbia rango massimo (siccome vai da dimensione inferiore a dimensione superiore, questo equivale a chiedere che il differenziale sia iniettivo, fatto su cui chiedevi spiegazioni qualche messaggio fa; la motivazione sta nel teorema del rango cui accennavo poco fa).
Adesso abbiamo finalmente percorso la strada che porta alla realtà: possiamo tornare alle coordinate polari. Il difetto delle coordinate polari è che il loro differenziale (= il loro jacobiano) si annulla nell'origine! Quindi non definiscono un diffeomorfismo di tutto il piano in sé... devi togliere l'origine, appunto! La stessa cosa, succede per le coordinate sferiche!
Ho fatto tutto questo giro per riassumerti le "scoperte" di tre anni da autodidatta - si può dire: sono quasi pronto a giurarti che nella triennale nessuno ti dirà le cose in questo modo. Ma secondo me è il modo giusto di dirle! Spero di averti aiutato a dipanare la matassa, almeno nei punti più aggrovigliati (mi baso sulla mia esperienza, sui punti su cui ho dovuto riflettere più a lungo...)
"Paolo90":
Li ho sentiti nominare, proprio qui in Meccanica. Me li devo studiare: provo a dare un'occhiata se ci sono su qualche testo di Analisi che ho qui.
Non so che testi tu abbia, ma se vuoi un consiglio spassionato, leggi qui. Sono di Paolo Acquistapace (faccina di adorazione che non trovo) e sono veramente magnifici. Io posso dire di aver capito quei teoremi solo grazie a questi appunti (anche sul Pagani Salsa li trovi fatti abbastanza bene, ma secondo me complica la dimostrazione in modi che distolgono l'attenzione dal punto focale).
"Paolo90":
La seconda definizione mi è familiare e mi è stata data durante il corso di Meccanica; non abbiamo fatto tutte le verifiche del caso, ma l'ho vista e l'ho più o meno assorbita. La prima invece è abbastanza nuova e mi sa che ci devo meditare un po' su. Non credo di aver capito bene che cosa devo verificare; ti chiedo scusa, sarà stanchezza, ma devo meditare ancora un po'.
Sì, in effetti la seconda è quella che è stata data anche a noi a Meccanica. Ma io continuo a preferire la prima. Comunque non preoccuparti, mi sarei stupito davvero un sacco se ne avessi colto l'essenza al volo. Io ci ho messo un mese e mezzo a digerirla! Ma poi ti giuro che ti apre gli occhi: capisci, sostanzialmente, cosa sono i covettori. E, se hai voglia di spingerti fin là, capirai le forme differenziali come non ti saranno mai spiegate nella triennale. E se hai voglia di andare ancora oltre (come ho fatto io) capirai anche il teorema generale di Stokes per varietà. E finalmente potrai dire: "Credo a Gauss-Green nel piano" (io ero felicissimo quando sono riuscito a dire questa frase! Peccato che a quel punto, nessuno di quelli con cui ho parlato seguisse più i miei discorsi...). Beh, sì nel mezzo ti serviranno anche un altro paio di strumenti tecnici... ma quella definizione di vettore tangente è assolutamente una delle cose più geniali che io abbia mai visto.
"Paolo90":
Effettivamente, confesso di non saper dare una definizione di funzione o curva differenziabile; così su due piedi, direi che una funzione definita su una varietà è differenziabile se lo è la sua rappresentazione in qualche $\mathbb{R}^{n}$, però non sono molto sicuro. Che dici?
Come lo ha detto apatriarca è perfetto. Anch'io ti invito a fare gli esercizi che ti ha suggerito. Servono per prendere dimestichezza con le nozioni (ci sono davvero troppi concetti da digerire in una botta sola, lo capisco fin troppo bene).
"Paolo90":
Intanto, ti ringrazio molto per tutto; un grazie anche ad apatriarca per gli interventi, che spero un giorno di essere in grado di capire (sono ovviamente digiuno di categorie).
Ripeto è un piacere spiegarti perché sei molto sveglio e capisci al volo. Per non parlare del fatto che pensare a questi argomenti è una delizia


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(*) Esiste un teorema ancora più potente: il teorema di invarianza del dominio. Questo asserisce che una funzione [tex]f : U \subset \mathbb R^n \to \mathbb R^n[/tex] che sia continua e iniettiva allora è un omeomorfismo! Roba da pazzi...
"maurer":
E se hai voglia di andare ancora oltre (come ho fatto io) capirai anche il teorema generale di Stokes per varietà. E finalmente potrai dire: "Credo a Gauss-Green nel piano" (io ero felicissimo quando sono riuscito a dire questa frase! Peccato che a quel punto, nessuno di quelli con cui ho parlato seguisse più i miei discorsi...).

* ho usato questa notazione perché permette di notare meglio la simmetria nella formula.
"apatriarca":
[quote="maurer"]E se hai voglia di andare ancora oltre (come ho fatto io) capirai anche il teorema generale di Stokes per varietà. E finalmente potrai dire: "Credo a Gauss-Green nel piano" (io ero felicissimo quando sono riuscito a dire questa frase! Peccato che a quel punto, nessuno di quelli con cui ho parlato seguisse più i miei discorsi...).

* ho usato questa notazione perché permette di notare meglio la simmetria nella formula.[/quote]
Hai perfettamente ragione! E comunque l'ho chiamato teorema generale di Stokes e intendevo proprio quello per varietà (che ha come caso particolare quelli che dici tu). Pairing = "accoppiamento"? (non lo so, è una proposta)
Bellissima la formula. La simmetria è spettacolare...
Ok, rieccomi. Scusate per l'assenza di ieri, ma sono stato impegnato.
Grazie per il vostro aiuto.
Devo dire che detta così l'ho capita e ammetto di averla già sentita; un po' di tempo fa mi ero messo lì e avevo fatto due conti per i fatti miei (mi pare sempre con [tex]S^2[/tex]) e avevo visto che le coordinate cambiavano con la Jacobiana. Ora provo a ristudiarmi la definizione che mi hai scritto qualche post fa.
Ecco, questa cosa invece non l'ho mai digerita del tutto, come credo sia abbastanza naturale all'inizio. Ho le idee molto confuse. Ne approfitto per agganciarmi al discorso "covettori" che facevi tu, maurer.
E' che bisogna intendersi su queste cose, invece ognuno (i prof, i testi) usa la sua notazione e il risultato è un patatrac.
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Contravarianti. Prendiamo uno spazio vettoriale [tex]$V$[/tex], facciamo pure di dimensione finita; siano [tex]\mathcal{B}[/tex] e [tex]\mathcal{C}[/tex] due sue basi. Chiamiamo [tex]P \in \rm{GL}(n,\mathbb{R})[/tex] la matrice ottenuta mettendo in colonna le componenti dei vettori di [tex]\mathcal{C}[/tex], date rispetto a [tex]\mathcal{B}[/tex].
La relazione che c'è tra le componenti di un vettore [tex]\bold{x}[/tex] espresse nella base [tex]\mathcal{B}[/tex] e quelle espresse rispetto a [tex]\mathcal{C}[/tex] è [tex]X=PX'[/tex] (dove con [tex]X'[/tex] denoto le componenti rispetto a [tex]\mathcal{C}[/tex]).
[Probabilmente vi trovate con le notazioni, visto che veniamo tutti (credo) dalla stessa scuola, dagli stessi corsi di Geometria del triennio.
]
Allora, io ho sempre chiamato [tex]P[/tex] "matrice del cambiamento di base"; però, nel passare da [tex]\mathcal{B}[/tex] a [tex]\mathcal{C}[/tex], la matrice che mi serve è [tex]P^{-1}[/tex], quindi l'inversa della matrice del cambiamento di base. Adesso, nel linguaggio tensoriale (per piacere, ditemi se ho capito) se una quantità si trasforma come un vettore, quindi con l'inversa di [tex]P[/tex], è detta contravariante.
Covarianti D'altra parte, se si introducono i covettori (ad esempio, se vediamo il duale come lo spazio delle forme lineari), si verifica che la legge di trasformazione dei covettori funziona in modo opposto. Detto meglio, siano [tex]\mathcal{D}[/tex] e [tex]\mathcal{E}[/tex] due basi di [tex]V^*[/tex] e sia [tex]\alpha \in V^{*}[/tex]. Allora [tex]\alpha'=Q \alpha[/tex] (al solito, indico con [tex]\alpha'[/tex] le componenti di [tex]\alpha[/tex] rispetto a [tex]\mathcal{E}[/tex] con [tex]\alpha[/tex] le componenti di [tex]\alpha[/tex] rispetto a [tex]\mathcal{D}[/tex] e con [tex]Q[/tex] la matrice che ha sulle colonne le componenti dei covettori di [tex]\mathcal{E}[/tex] date rispetto a [tex]\mathcal{D}[/tex].
Se una quantità si trasforma come un covettore allora è detta covariante.
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Ci sono fin qui? Mi sembrava necessario togliermi questi dubbi, anche perché devo studiare anche un po' di forme differenziali e, ovviamente, ora come ora non so nulla, non ho capito nulla.
Grazie per le definizioni e per l'esercizio. Penso che la chiave per risolverlo sia usare le formule - appunto - del cambiamento di riferimento. Dimmi se ho capito, per piacere. Su [tex]M[/tex] metto il sistema di coordinate [tex]\varphi[/tex], cioè [tex]\varphi: M \to U \subseteq \mathbb{R}^{n}[/tex]; ora considero un altro sistema di coordinate [tex]\psi: M \to A \subseteq \mathbb{R}^{n}[/tex].
Nella definizione stessa di varietà c'è scritto che si deve avere che la mappa tra i due aperti di [tex]\mathbb{R}^{n}[/tex], [tex]\psi \circ \varphi^{-1}[/tex] deve essere un diffeomorfismo [tex]C^{k}[/tex]. Questo significa che [tex]\psi \circ \varphi^{-1}=:\xi[/tex] è differenziabile di classe [tex]C^{k}[/tex].
Ora supponiamo che [tex]f \circ \varphi^{-1}[/tex] sia differenziabile. Allora anche [tex]f \circ \psi^{-1}= f \circ \varphi^{-1} \circ \xi^{-1}[/tex] è differenziabile perché composizione di funzioni differenziabili.
Che dici? Forse ho sbagliato qualcosa nei conti (...), però in sostanza l'idea dovrebbe essere giusta: vero? Grazie mille.
Perfettamente chiaro, ti ringrazio.
Oh, sì, ora è decisamente tutto più chiaro. E' che con 'sti jacobiani ho poca dimestichezza, come puoi ben immaginare.
Ora capisco! Grazie, mi hai illuminato su una questione che da un bel po' mi frullava per la testa.
Sì, li avevo già visti e usati; i testi di Acquistapace sono veramente ottimi, condivido assolutamente il tuo giudizio.
Vi ringrazio molto per il vostro aiuto e per la vostra pazienza.
Grazie per il vostro aiuto.
"apatriarca":
La mia seconda definizione è in realtà molto più semplice di quanto sembri.. Dice praticamente che lo spazio tangente ad un punto è una copia di [tex]\mathbb R^n[/tex] sul quale è definita una base che dipende dalla carta locale scelta. Passando da una carta locale ad un'altra avrò allora un cambiamento di base sullo spazio tangente e la definizione ci dice che questa trasformazione è semplicemente dato dalla matrice Jacobiana della mappa di transizione tra le carte locali. Un discorso simile si ha quando si ha poi una mappa tra varietà.
La mappa tra le varietà induce infatti un'applicazione lineare tra gli spazi tangenti e questa mappa è data dalla matrice Jacobiana di questa funzione (la mappa viene composta con i sistemi di coordinate nel modo ovvio per avere una mappa tra aperti di [tex]\mathbb R^m[/tex] e [tex]\mathbb R^n[/tex]). Quest'ultima mappa non è più un isomorfismo però..
Devo dire che detta così l'ho capita e ammetto di averla già sentita; un po' di tempo fa mi ero messo lì e avevo fatto due conti per i fatti miei (mi pare sempre con [tex]S^2[/tex]) e avevo visto che le coordinate cambiavano con la Jacobiana. Ora provo a ristudiarmi la definizione che mi hai scritto qualche post fa.
"apatriarca":
Si tratta in pratica della definizione dei vettori come oggetti che si trasformano in un particolare modo che piace ai fisici.
Ecco, questa cosa invece non l'ho mai digerita del tutto, come credo sia abbastanza naturale all'inizio. Ho le idee molto confuse. Ne approfitto per agganciarmi al discorso "covettori" che facevi tu, maurer.
E' che bisogna intendersi su queste cose, invece ognuno (i prof, i testi) usa la sua notazione e il risultato è un patatrac.

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Contravarianti. Prendiamo uno spazio vettoriale [tex]$V$[/tex], facciamo pure di dimensione finita; siano [tex]\mathcal{B}[/tex] e [tex]\mathcal{C}[/tex] due sue basi. Chiamiamo [tex]P \in \rm{GL}(n,\mathbb{R})[/tex] la matrice ottenuta mettendo in colonna le componenti dei vettori di [tex]\mathcal{C}[/tex], date rispetto a [tex]\mathcal{B}[/tex].
La relazione che c'è tra le componenti di un vettore [tex]\bold{x}[/tex] espresse nella base [tex]\mathcal{B}[/tex] e quelle espresse rispetto a [tex]\mathcal{C}[/tex] è [tex]X=PX'[/tex] (dove con [tex]X'[/tex] denoto le componenti rispetto a [tex]\mathcal{C}[/tex]).
[Probabilmente vi trovate con le notazioni, visto che veniamo tutti (credo) dalla stessa scuola, dagli stessi corsi di Geometria del triennio.

Allora, io ho sempre chiamato [tex]P[/tex] "matrice del cambiamento di base"; però, nel passare da [tex]\mathcal{B}[/tex] a [tex]\mathcal{C}[/tex], la matrice che mi serve è [tex]P^{-1}[/tex], quindi l'inversa della matrice del cambiamento di base. Adesso, nel linguaggio tensoriale (per piacere, ditemi se ho capito) se una quantità si trasforma come un vettore, quindi con l'inversa di [tex]P[/tex], è detta contravariante.
Covarianti D'altra parte, se si introducono i covettori (ad esempio, se vediamo il duale come lo spazio delle forme lineari), si verifica che la legge di trasformazione dei covettori funziona in modo opposto. Detto meglio, siano [tex]\mathcal{D}[/tex] e [tex]\mathcal{E}[/tex] due basi di [tex]V^*[/tex] e sia [tex]\alpha \in V^{*}[/tex]. Allora [tex]\alpha'=Q \alpha[/tex] (al solito, indico con [tex]\alpha'[/tex] le componenti di [tex]\alpha[/tex] rispetto a [tex]\mathcal{E}[/tex] con [tex]\alpha[/tex] le componenti di [tex]\alpha[/tex] rispetto a [tex]\mathcal{D}[/tex] e con [tex]Q[/tex] la matrice che ha sulle colonne le componenti dei covettori di [tex]\mathcal{E}[/tex] date rispetto a [tex]\mathcal{D}[/tex].
Se una quantità si trasforma come un covettore allora è detta covariante.
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Ci sono fin qui? Mi sembrava necessario togliermi questi dubbi, anche perché devo studiare anche un po' di forme differenziali e, ovviamente, ora come ora non so nulla, non ho capito nulla.
"apatriarca":
Una funzione differenziabile non è altro che una funzione continua [tex]f : M \to \mathbb R[/tex] tale che [tex]f \circ \varphi^{-1}[/tex] è differenziabile per ogni sistema di coordinate [tex]\varphi[/tex]. Una curva differenziabile è invece una funzione continua [tex]\gamma : [a, b] \to M[/tex] tale che [tex]\varphi \circ \gamma[/tex] è differenziabile per ogni sistema di coordinate [tex]\varphi[/tex]. Puoi provare a dimostrare che è sufficiente che le due definizioni valgano per un singolo sistema di coordinate.
Grazie per le definizioni e per l'esercizio. Penso che la chiave per risolverlo sia usare le formule - appunto - del cambiamento di riferimento. Dimmi se ho capito, per piacere. Su [tex]M[/tex] metto il sistema di coordinate [tex]\varphi[/tex], cioè [tex]\varphi: M \to U \subseteq \mathbb{R}^{n}[/tex]; ora considero un altro sistema di coordinate [tex]\psi: M \to A \subseteq \mathbb{R}^{n}[/tex].
Nella definizione stessa di varietà c'è scritto che si deve avere che la mappa tra i due aperti di [tex]\mathbb{R}^{n}[/tex], [tex]\psi \circ \varphi^{-1}[/tex] deve essere un diffeomorfismo [tex]C^{k}[/tex]. Questo significa che [tex]\psi \circ \varphi^{-1}=:\xi[/tex] è differenziabile di classe [tex]C^{k}[/tex].
Ora supponiamo che [tex]f \circ \varphi^{-1}[/tex] sia differenziabile. Allora anche [tex]f \circ \psi^{-1}= f \circ \varphi^{-1} \circ \xi^{-1}[/tex] è differenziabile perché composizione di funzioni differenziabili.
Che dici? Forse ho sbagliato qualcosa nei conti (...), però in sostanza l'idea dovrebbe essere giusta: vero? Grazie mille.

"maurer":
Adesso, per definizione una mappa [tex]f : U \subset R^n \to V \subset R^n[/tex] definita tra due aperti è un diffeomorfismo se:
1. E' differenziabile di (almeno) classe [tex]\mathcal C^1[/tex];
2. è invertibile;
3. la sua inversa [tex]f^{-1} : V \to U[/tex] è differenziabile di classe (almeno) [tex]\mathcal C^1[/tex].
[/list:u:nh9v1oag]
Considera adesso la "funzione" (credo che funtore sarebbe più appropriato, perché la faccenda ha sapore categoriale) che ad una mappa associa il suo jacobiano valutato in un punto (fissato a priori). Questa "mappa" gode appunto di proprietà funtoriali. Mi spiego: il celebre teorema di derivazione delle funzioni composte asserisce che [tex]J_{\bold x_0} (g \circ f) = J_{f(\bold x_0)}(g) J_{\bold x_0} (f)[/tex]. Adesso, se [tex]f[/tex] è un diffeomorfismo e se [tex]g[/tex] è la sua inversa, allora si ha [tex]g \circ f = \text{id}_U[/tex] e pertanto [tex]J_{f(\bold x_0)} (g) J_{\bold x_0} (f) = I_n[/tex], da cui segue che lo jacobiano di [tex]f[/tex] è invertibile (e ha rango massimo).
Perfettamente chiaro, ti ringrazio.
"maurer":
Il teorema della funzione inversa dice che vale il viceversa: se una funzione ha jacobiano invertibile in un punto, allora la funzione definisce un diffeomorfismo di un intorno del punto stesso su un intorno dell'immagine del punto. Estremamente potente, non trovi? (*)
La nozione di diffeomorfismo è quella "giusta" in geometria differenziale: un diffeomorfismo non preserva solo la struttura topologica, ma anche quella differenziale (una cuspide non sarà mandata in un punto liscio, cosa fattibile per un omeomorfismo!). Pertanto quando descriviamo oggetti, come il piano o come la sfera, vogliamo diffeomorfismi. E questo, in particolare, significa richiedere che lo jacobiano sia invertibile quando dominio e codominio hanno la stessa dimensione, oppure che lo jacobiano abbia rango massimo (siccome vai da dimensione inferiore a dimensione superiore, questo equivale a chiedere che il differenziale sia iniettivo, fatto su cui chiedevi spiegazioni qualche messaggio fa; la motivazione sta nel teorema del rango cui accennavo poco fa).
Oh, sì, ora è decisamente tutto più chiaro. E' che con 'sti jacobiani ho poca dimestichezza, come puoi ben immaginare.
"maurer":
Adesso abbiamo finalmente percorso la strada che porta alla realtà: possiamo tornare alle coordinate polari. Il difetto delle coordinate polari è che il loro differenziale (= il loro jacobiano) si annulla nell'origine! Quindi non definiscono un diffeomorfismo di tutto il piano in sé... devi togliere l'origine, appunto! La stessa cosa, succede per le coordinate sferiche!
Ora capisco! Grazie, mi hai illuminato su una questione che da un bel po' mi frullava per la testa.
"maurer":
Non so che testi tu abbia, ma se vuoi un consiglio spassionato, leggi qui. Sono di Paolo Acquistapace (faccina di adorazione che non trovo) e sono veramente magnifici. Io posso dire di aver capito quei teoremi solo grazie a questi appunti (anche sul Pagani Salsa li trovi fatti abbastanza bene, ma secondo me complica la dimostrazione in modi che distolgono l'attenzione dal punto focale).
Sì, li avevo già visti e usati; i testi di Acquistapace sono veramente ottimi, condivido assolutamente il tuo giudizio.
Vi ringrazio molto per il vostro aiuto e per la vostra pazienza.

È esattamente così che si risolvono quegli esercizi (e molti altri di geometria differenziale). L'altro strumento fondamentale sono le partizioni dell'unità, ma credo che le vedrai solo alla specialistica (non ricordo di averle fatte nei corsi della triennale ma nel frattempo i corsi sono cambiati).
Per quanto riguarda i vettori covarianti e contravarianti avevo scritto qualcosa a riguardo in una recente discussione qui. Ma uso una notazione un po' particolare. L'obiettivo era mostrare come i vettori controvarianti e quelli covarianti si trasformassero in maniera diversa (sono dopotutto uno il duale dell'altro) e la relazione tra le trasformazioni delle basi e le trasformazioni delle componenti. Credo che quella notazione fosse particolarmente comoda comunque. Normalmente preferisco parlare di vettori e vettori duali (o covettori). Non piace neanche a me la scelta dei termini contravariante e covariante e le ragioni...
Per quanto riguarda i vettori covarianti e contravarianti avevo scritto qualcosa a riguardo in una recente discussione qui. Ma uso una notazione un po' particolare. L'obiettivo era mostrare come i vettori controvarianti e quelli covarianti si trasformassero in maniera diversa (sono dopotutto uno il duale dell'altro) e la relazione tra le trasformazioni delle basi e le trasformazioni delle componenti. Credo che quella notazione fosse particolarmente comoda comunque. Normalmente preferisco parlare di vettori e vettori duali (o covettori). Non piace neanche a me la scelta dei termini contravariante e covariante e le ragioni...
"apatriarca":
È esattamente così che si risolvono quegli esercizi (e molti altri di geometria differenziale). L'altro strumento fondamentale sono le partizioni dell'unità, ma credo che le vedrai solo alla specialistica (non ricordo di averle fatte nei corsi della triennale ma nel frattempo i corsi sono cambiati).
Ottimo, sono contento che vada bene. Grazie per le osservazioni e le anticipazioni (le partizioni dell'unità le ho viste sul Sernesi: non servono per il teorema di Whitney? Penso darò un'occhiata più approfondita quando avrò un po' di tempo).
"apatriarca":
Per quanto riguarda i vettori covarianti e contravarianti avevo scritto qualcosa a riguardo in una recente discussione qui. Ma uso una notazione un po' particolare. L'obiettivo era mostrare come i vettori controvarianti e quelli covarianti si trasformassero in maniera diversa (sono dopotutto uno il duale dell'altro) e la relazione tra le trasformazioni delle basi e le trasformazioni delle componenti. Credo che quella notazione fosse particolarmente comoda comunque. Normalmente preferisco parlare di vettori e vettori duali (o covettori). Non piace neanche a me la scelta dei termini contravariante e covariante e le ragioni...
Bello, ora leggo la discussione con calma.
Vorrei però ora chiedere ancora una cosa, se posso. Ho chiarito finalmente il concetto di campo vettoriale su una varietà.
Ora avrei bisogno di capire come si arriva - partendo da qui - alle forme differenziali. E' -diciamo- il mio obiettivo, perché devo assolutamente capire che cosa diavolo sia la forma di Poincaré-Cartan (il fantasma di questi giorni

Naturalmente sotto a tutto c'è sempre la dualità (e d'altra parte si chiamano forme!).
Prendo la mia solità varietà [tex]M[/tex], e considero il fibrato tangente [tex]TM[/tex]. Questo è uno spazio vettoriale di dimensione [tex]n[/tex]; ne considero il duale, che si chiama fibrato cotangente, [tex]T^{*}M[/tex] che è di nuovo uno spazio vettoriale di dimensione [tex]n[/tex].
Un campo vettoriale è una sezione del fibrato tangente, una forma differenziale una sezione del fibrato cotangente. Ci sono?
Però adesso?
Per tornare di nuovo al punto di partenza, c'è un esempio non troppo complesso su cui posso ragionare, per piacere?
Non sono interessato in questo momento ai concetti che normalmente si fanno quando si studiano le forme (chiusura, esattezza, potenziali), ma ho bisogno di capire la definizione astratta.
Vi ringrazio per tutto.
