Primo principio della termodinamica.
Dall’ esperimento di Joule si ricava che, per trasformazioni cicliche, $Q=J*L $, dove $J$ è la costante di Joule. Misurando sia il calore che il lavoro in Joule, si ottiene l’uguaglianza $Q – L = 0$ sempre valida per trasformazioni cicliche (poichè l’energia interna dipende dai parametri di stato iniziale e finale, che sono evidentemente lo stesso).
Questa uguaglianza, di per sé, non contempla ancora la generalità del primo principio, che da essa si ricava. Il mio testo, infatti, apparentemente in modo diverso, e certamente più "semplice", da come fanno altre fonti (vedi wikipedia), descrive l’esperimento di Joule come un esperimento che avviene in due fasi:
-Viene compiuto sul sistema lavoro meccanico, che provoca lo scioglimento di ghiaccio e la conseguente misura di questo scioglimento con il calorimetro;
- Successivamente il sistema, sottoposto a scambi termici (nella fattispecie interazioni energetiche con una sorgente termica a temperatura più alta – viene sottratto al sistema calore), viene riportato allo stato iniziale, cioè allo stato in cui non era ancora stato compiuto del lavoro meccanico.
Ciò detto, solo una volta che è stata definita questa legge per le trasformazioni cicliche, allora è possibile porre l’equivalenza tra calore e lavoro ;intendendo l’esperimento di Joule come la maggior parte delle fonti riportano (per intenderci, nella versione di wikipedia), non so vedere come sia possibile dimostrare tale equivalenza.
Infine, si utilizza tale legge per dimostrare che $Q – L = \Delta U$.
Ora, a me è stato, in fisica tecnica (un corso di ingegneria, per chi non lo sapesse), già presentato un approccio al primo principio della termodinamica. E’ un approccio che però non tiene conto degli esperimenti di Joule, però, almeno nell’importanza che essi rivestono nel definire l’equivalenza tra calore e lavoro. Per me serve, in tale contesto, solo per capire che il calore netto è uguale alla somma tra calore uscente e entrante, come il lavoro netto è uguale alla somma tra lavoro entrante e lavoro uscente (somma che diventa differenza adottando la convenzione dei segni adottata da James Watt, secondo cui sono positivi calore entrante e lavoro uscente, negativi gli altri). La $Q$ e la $L$ che compaiono nella legge non ancora primo principio Q- L = 0, sono da intendersi proprio in tal senso.
Tale dimostrazione, che cercherò di riportare qui, non mi è molto chiara.
Si considerano due trasformazioni cicliche passanti attraverso due stessi punti, $A$ e $B$, di cui $A$ è lo stato iniziale del processo e B quello finale. Se vale il principio posto in precedenza, allora l’uguaglianza $Q-L = 0$ vale indipendentemente dal cammino della trasformazione. Per motivi di convenienza, si sceglie, per due trasformazioni distinte due tratti $a$ e $b$ distinti da $A$ a $B$, e un tratto comune di ritorno $c$.
Si pongono così le uguaglianze:
$ (Q-L)_a + (Q-L)_c = 0 $
$(Q-L)_a + (Q-L)_c =0$
Si sottrae membro a membro e si ottiene la relazione:
$(Q-L)_a – (Q-L)_b =0 => (Q-L)_a= (Q-L)_b$
Come si fa a ricavare che la differenza tra Q ed L è una funzione di stato, da questa uguaglianza?
Infine una domanda. Il primo principio della termodinamica è anche noto per essere l’estensione del principio di conservazione dell’energia meccanica a tutti i sistemi.
Io ricordo come veniva esteso il principio di conservazione dell’energia meccanica nel caso in cui oltre alle forze conservative agivano anche forze d’attrito:
$K(b) – K(a) = U(a) - U(b) + L_nc$,
dove con K indico l’energia cinetica, U la potenziale, e L_nc il lavoro compiuto dalla forza non conservative.
C’è una corrispondenza tra le grandezze coinvolte in questa legge e quelle coinvolte nel primo principio della termodinamica? In che senso il primo principio della termodinamica diventa "principio di conservazione dell'energia"?
Questa uguaglianza, di per sé, non contempla ancora la generalità del primo principio, che da essa si ricava. Il mio testo, infatti, apparentemente in modo diverso, e certamente più "semplice", da come fanno altre fonti (vedi wikipedia), descrive l’esperimento di Joule come un esperimento che avviene in due fasi:
-Viene compiuto sul sistema lavoro meccanico, che provoca lo scioglimento di ghiaccio e la conseguente misura di questo scioglimento con il calorimetro;
- Successivamente il sistema, sottoposto a scambi termici (nella fattispecie interazioni energetiche con una sorgente termica a temperatura più alta – viene sottratto al sistema calore), viene riportato allo stato iniziale, cioè allo stato in cui non era ancora stato compiuto del lavoro meccanico.
Ciò detto, solo una volta che è stata definita questa legge per le trasformazioni cicliche, allora è possibile porre l’equivalenza tra calore e lavoro ;intendendo l’esperimento di Joule come la maggior parte delle fonti riportano (per intenderci, nella versione di wikipedia), non so vedere come sia possibile dimostrare tale equivalenza.
Infine, si utilizza tale legge per dimostrare che $Q – L = \Delta U$.
Ora, a me è stato, in fisica tecnica (un corso di ingegneria, per chi non lo sapesse), già presentato un approccio al primo principio della termodinamica. E’ un approccio che però non tiene conto degli esperimenti di Joule, però, almeno nell’importanza che essi rivestono nel definire l’equivalenza tra calore e lavoro. Per me serve, in tale contesto, solo per capire che il calore netto è uguale alla somma tra calore uscente e entrante, come il lavoro netto è uguale alla somma tra lavoro entrante e lavoro uscente (somma che diventa differenza adottando la convenzione dei segni adottata da James Watt, secondo cui sono positivi calore entrante e lavoro uscente, negativi gli altri). La $Q$ e la $L$ che compaiono nella legge non ancora primo principio Q- L = 0, sono da intendersi proprio in tal senso.
Tale dimostrazione, che cercherò di riportare qui, non mi è molto chiara.
Si considerano due trasformazioni cicliche passanti attraverso due stessi punti, $A$ e $B$, di cui $A$ è lo stato iniziale del processo e B quello finale. Se vale il principio posto in precedenza, allora l’uguaglianza $Q-L = 0$ vale indipendentemente dal cammino della trasformazione. Per motivi di convenienza, si sceglie, per due trasformazioni distinte due tratti $a$ e $b$ distinti da $A$ a $B$, e un tratto comune di ritorno $c$.
Si pongono così le uguaglianze:
$ (Q-L)_a + (Q-L)_c = 0 $
$(Q-L)_a + (Q-L)_c =0$
Si sottrae membro a membro e si ottiene la relazione:
$(Q-L)_a – (Q-L)_b =0 => (Q-L)_a= (Q-L)_b$
Come si fa a ricavare che la differenza tra Q ed L è una funzione di stato, da questa uguaglianza?
Infine una domanda. Il primo principio della termodinamica è anche noto per essere l’estensione del principio di conservazione dell’energia meccanica a tutti i sistemi.
Io ricordo come veniva esteso il principio di conservazione dell’energia meccanica nel caso in cui oltre alle forze conservative agivano anche forze d’attrito:
$K(b) – K(a) = U(a) - U(b) + L_nc$,
dove con K indico l’energia cinetica, U la potenziale, e L_nc il lavoro compiuto dalla forza non conservative.
C’è una corrispondenza tra le grandezze coinvolte in questa legge e quelle coinvolte nel primo principio della termodinamica? In che senso il primo principio della termodinamica diventa "principio di conservazione dell'energia"?
Risposte
"turtle87":
$(Q-L)_a= (Q-L)_b$
Come si fa a ricavare che la differenza tra Q ed L è una funzione di stato, da questa uguaglianza?
Infine una domanda. Il primo principio della termodinamica è anche noto per essere l’estensione del principio di conservazione dell’energia meccanica a tutti i sistemi.
Io ricordo come veniva esteso il principio di conservazione dell’energia meccanica nel caso in cui oltre alle forze conservative agivano anche forze d’attrito:
$K(b)-K(a) = U(a)-U(b) + L_nc$,
dove con K indico l’energia cinetica, U la potenziale, e L_nc il lavoro compiuto dalla forza non conservative.
C’è una corrispondenza tra le grandezze coinvolte in questa legge e quelle coinvolte nel primo principio della termodinamica? In che senso il primo principio della termodinamica diventa "principio di conservazione dell'energia"?
Quando una grandezza non dipende dal cammino svolto ma dipende solo dai punti di partenza e di arrivo, di solito si tende a definirla come differenza di potenziale, e quindi si tende a definire una funzione di stato detta appunto potenziale.
Siccome nel caso $(Q-W)_a=(Q-W)_b$ i due cammini sono qualsiasi e hanno in comune solo i punti di partenza A e di arrivo B, è possibile definire una funzione U tale per cui $U_A-U_B=(Q-W)_(A-B)$. Ovviamente U non è una funzione definibile in assoluto, ma soltanto a meno di una costante C, che nelle differenze però non gioca alcun ruolo. Dunque può essere scelta in modo arbitrario. Si è scelta credo questa funzione energia interna in modo intuitivo assumendo che si annulli a temperatura zero assoluto (almeno per i gas ideali). A me questa cosa mi convince abbastanza.
Riguardo alla seconda domanda conviene riportare la formula differenziale completa per i sistemi chiusi e per massa unitaria che è $d[U+\frac(1)(2)v^2+gh]=dQ-dW$. Come si vede le energie cinetiche e potenziali di tipo meccanico ci sono ancora, e in aggiunta ci sono anche quelle di tipo termico e il lavoro trasmesso verso l'esterno del sistema, elementi che nella formula da te riportata venivano sintetizzati entro il termine $L_(nc)$.
Riguardo alla seconda domanda conviene riportare la formula differenziale completa per i sistemi chiusi e per massa unitaria che è d[U+12v2+gh]=dQ-dW. Come si vede le energie cinetiche e potenziali di tipo meccanico ci sono ancora, e in aggiunta ci sono anche quelle di tipo termico e il lavoro trasmesso verso l'esterno del sistema, elementi che nella formula da te riportata venivano sintetizzati entro il termine Lnc.
Potresti spiegarmi allora, caro Falco, come si spiega l'attrito alla luce della prima legge della termodinamica? Dai testi leggo che il fatto che il calore venisse considerata come una forma di scambio di energia, e non come "fluido calorico", nasce proprio dalla reale esigenza di spiegarsi le variazioni di stato termico di corpi soggetti a ai fenomeni di attrito.
Io provo ad immaginare la rotaia di una via ferroviaria, quando passa un treno, magari in discesa, cosicchè il treno si muove soggetto a forze conservative (è un treno che non necessita di energia elettrica o di carbone per camminare) e a forze di attrito esercitate dal contatto con le rotaie, che tende a frenarlo. Il nostro sistema termodinamico, nel frattempo, è quello dei contatti tra treno e rotaie. Le forze di attrito compiono del lavoro sulle “ruote” del treno. Si deve per forza ricorrere a considerazioni microscopiche per spiegare come tali forze d’attrito siano collegate al calore, agli scambi di energia in una modalità diversa da quella del lavoro? Se sì, come è possibile ragionare?
"turtle87":
Potresti spiegarmi allora, caro Falco, come si spiega l'attrito alla luce della prima legge della termodinamica? Dai testi leggo che il fatto che il calore venisse considerata come una forma di scambio di energia, e non come "fluido calorico", nasce proprio dalla reale esigenza di spiegarsi le variazioni di stato termico di corpi soggetti a ai fenomeni di attrito.
Io provo ad immaginare la rotaia di una via ferroviaria, quando passa un treno, magari in discesa, cosicchè il treno si muove soggetto a forze conservative (è un treno che non necessita di energia elettrica o di carbone per camminare) e a forze di attrito esercitate dal contatto con le rotaie, che tende a frenarlo. Il nostro sistema termodinamico, nel frattempo, è quello dei contatti tra treno e rotaie. Le forze di attrito compiono del lavoro sulle “ruote” del treno. Si deve per forza ricorrere a considerazioni microscopiche per spiegare come tali forze d’attrito siano collegate al calore, agli scambi di energia in una modalità diversa da quella del lavoro? Se sì, come è possibile ragionare?
Ti dico quello che credo di aver capito io in questo marasma che è la termodinamica, nella quale, ripeto, ragiono con qualche difficoltà.
Nel bilancio del primo principio bisogna capire bene cosa si intende coi vari simboli.
L'energia interna è forse la cosa che meno si presta a equivoci: è l'energia immagazzinata nel corpo, quindi è una grandezza di stato. Però il primo principio concerne gli scambi, e pertanto afferma che la variazione di energia interna si ottiene scambiando calore Q e lavoro W. E qui secondo me si rischiano gli equivoci. Dopo averci meditato sopra sono giunto a conclusione che il confine tra i due potrebbe non essere così netto. E allora per dirimere i dubbi mi sono dato questa regola: il calore Q è l'energia trasmessa per conduzione, convezione o irraggiamento e proveniente dall'esterno del sistema, e basta. Il resto è lavoro. A sua volta il lavoro può essere suddiviso tra lavoro utile e lavoro dissipativo o inutile. Ad esempio se il sistema è un cilindro col solito pistone che si muove e poi c'è un attrito interno tra pistone e cilindro, per comprimere il cilindro si fornisce un lavoro totale che è la somma tra il lavoro utile (cioè $dW=pdV$) e il lavoro dissipativo, che è quello sprecato dagli attriti.
Farebbe solo confusione dire che il lavoro inutile si trasforma prima in calore (grazie all'attrito) e poi contribuisce a innalzare l'energia interna, sarebbe un passaggio superfluo che farebbe solo casino. In questo caso, invece, il lavoro di attrito è contribuente diretto all'innalzamento dell'energia interna, senza passare per fenomeni microscopici di traformazione in calore che ci complicherebbero inutilmente la vita. Chiaramente questa è solo una convenzione, ma secondo me è assai utile vedere le cose in questo modo.
Non so se in queste mie parole c'è qualche elemento di risposta alle tue domande, lo spero. Altrimenti chiarisci meglio i tuoi dubbi.
Quindi deduco che, secondo quanto dici (è importante anche verificare se si è capito quello che uno ha detto), il termine del lavoro delle forze conservative, dell' energia dissipata a cause di queste è contenuto all'interno della variazione di energia interna, ed esclusivamente in essa, mentre nell'espressione $dL$ è presente solo il lavoro effettivamente fatto dalle forze ($pdV$, quindi) mentre nel termine $dQ$ è presente solo l'energia scambiata, a causa di una differenza di temperatura (questa magari la discutiamo poi, questa definizione di calore) nelle tre modalità classiche (conduzione, convezione, irraggiamento), prescindendo da un eventuale contributo apportato dalle forze di attrito. E vero o meno?
"turtle87":
Quindi deduco che, secondo quanto dici (è importante anche verificare se si è capito quello che uno ha detto), il termine del lavoro delle forze conservative, dell' energia dissipata a cause di queste è contenuto all'interno della variazione di energia interna, ed esclusivamente in essa, mentre nell'espressione $dL$ è presente solo il lavoro effettivamente fatto dalle forze ($pdV$, quindi) mentre nel termine $dQ$ è presente solo l'energia scambiata, a causa di una differenza di temperatura (questa magari la discutiamo poi, questa definizione di calore) nelle tre modalità classiche (conduzione, convezione, irraggiamento), prescindendo da un eventuale contributo apportato dalle forze di attrito. E vero o meno?
Quasi. In realtà il lavoro di attrito è quota parte del lavoro, non dell'energia interna. Ho detto che il lavoro dissipativo contribuisce direttamente all'enegia interna senza passare per il concetto di calore, ma non ho detto che il lavoro dissipativo sia energia interna! Se scrivo il principio in questa forma forse è più chiaro:
$dU=dQ-dW$, dove $dW=dW_u-dW_a$ (questi ultimi sono il lavoro utile e il lavoro perso in attrito), cioè alla fine $dU=dQ-dW_u+dW_a$. Da questa relazione si vede come anche in assenza di $dQ$ e di $dW_u$, l'incremento di energia interna sia possibile per diretto contributo del lavoro di attrito.
Verifico.
Il lavoro che compare nell'espressione del primo principio in realtà è il lavoro netto, ovvero la differenza tra il lavoro uscente dal sistema, definito positivo, e il lavoro entrante in esso. Formalmente:
$L = L_u - L_e$, dove non ho usato i simboli di differenziale per semplificare il formalismo.
Nella fattispecie, se un corpo si muove per effetto di forze interne al sistema che compiono un certo lavoro lavoro (es., il motore del treno), ma al contempo è frenato da forze dissipative che compiono al contempo lavoro su di esso, mi pare di poter concludere che nel primo caso si abbia $L_u$, nel secondo $L_e$. In tal caso, allora, il computo delle forze di attrito rientra nel termine $L_e$ delle forze entranti nel sistema, e la variazione di temperatura del corpo, provocata dagli attriti, che è conseguenza di essi, rientra nel termine U: difatti $U$ è funzione della temperatura, oltre che di altri parametri di stato, e quindi il termine $dU$ (o, equivalentemente, $U_2 - U_1$) esprime compiutamente tale riscaldamento.
Infine, sorge però un altro problema, che provo a spiegare, ragionando come ho fatto in questa ultima risposta.
Supponiamo il caso di una palla che cade dalla di una montagna, su cui si trova in equilibrio instabile. La palla nella caduta è soggetta alla sole forze di gravità, e di attrito dell'aria. Il lavoro che tali forze compiono, di diverso segno evidentemente, è esterno al sistema, è entrante in esso. L'espressione che ho messo sopra, diventa allora:
$L = 0 - (L_c - L_nc)$, dove i pedici stanno ad indicare i lavori rispettivamente compiuti dalle forze conservative e dalle forze non conservative?
Il lavoro che compare nell'espressione del primo principio in realtà è il lavoro netto, ovvero la differenza tra il lavoro uscente dal sistema, definito positivo, e il lavoro entrante in esso. Formalmente:
$L = L_u - L_e$, dove non ho usato i simboli di differenziale per semplificare il formalismo.
Nella fattispecie, se un corpo si muove per effetto di forze interne al sistema che compiono un certo lavoro lavoro (es., il motore del treno), ma al contempo è frenato da forze dissipative che compiono al contempo lavoro su di esso, mi pare di poter concludere che nel primo caso si abbia $L_u$, nel secondo $L_e$. In tal caso, allora, il computo delle forze di attrito rientra nel termine $L_e$ delle forze entranti nel sistema, e la variazione di temperatura del corpo, provocata dagli attriti, che è conseguenza di essi, rientra nel termine U: difatti $U$ è funzione della temperatura, oltre che di altri parametri di stato, e quindi il termine $dU$ (o, equivalentemente, $U_2 - U_1$) esprime compiutamente tale riscaldamento.
Infine, sorge però un altro problema, che provo a spiegare, ragionando come ho fatto in questa ultima risposta.
Supponiamo il caso di una palla che cade dalla di una montagna, su cui si trova in equilibrio instabile. La palla nella caduta è soggetta alla sole forze di gravità, e di attrito dell'aria. Il lavoro che tali forze compiono, di diverso segno evidentemente, è esterno al sistema, è entrante in esso. L'espressione che ho messo sopra, diventa allora:
$L = 0 - (L_c - L_nc)$, dove i pedici stanno ad indicare i lavori rispettivamente compiuti dalle forze conservative e dalle forze non conservative?
"turtle87":
Supponiamo il caso di una palla che cade dalla di una montagna, su cui si trova in equilibrio instabile. La palla nella caduta è soggetta alla sole forze di gravità, e di attrito dell'aria. Il lavoro che tali forze compiono, di diverso segno evidentemente, è esterno al sistema, è entrante in esso. L'espressione che ho messo sopra, diventa allora:
$L = 0 - (L_c - L_nc)$, dove i pedici stanno ad indicare i lavori rispettivamente compiuti dalle forze conservative e dalle forze non conservative?
Attento però che qui va applicata la formula generale che ho scritto qualche post addietro.
$d[U+\frac(1)(2)v^2+gh]=dQ-dW$
Finché la palla cade senza sbattere da alcuna parte, si ha solo $dW=-dW_(nc)$ che è prodotto dall'attrito dell'aria sulla palla. L'energia potenziale e cinetica sono parte del potenziale totale e quindi nell'espressione stanno dalla stessa parte dell'energia interna.
Quando poi la palla sbatte da qualche parte e ad esempio muove un sasso facendo quindi lavoro esterno utile, allora questo va a destra del segno di uguale nell'uguaglianza. Insomma il lavoro è una grandezza di scambio come il calore, e quindi si evidenzia solo quando si manifesta come una interazione con elementi esterni al sistema "palla" (l'aria, il sasso smosso...). Invece l'energia cinetica e potenziale sono qualcosa di intrinseco e interno al sistema "palla", dunque non vanno considerate come lavoro, ma come energie interne.
Insomma il lavoro è una grandezza di scambio come il calore, e quindi si evidenzia solo quando si manifesta come una interazione con elementi esterni al sistema "palla" (l'aria, il sasso smosso...). Invece l'energia cinetica e potenziale sono qualcosa di intrinseco e interno al sistema "palla", dunque non vanno considerate come lavoro, ma come energie interne.
E' una distinzione vera e propria, quella tra proprietà esterne ed interne al sistema, che fa anche il mio testo di fisica tecnica. Solo che una cosa è leggere, una cosa è sentire le cose che si leggono, esplicarle nei processi, etc.
Quindi praticamente il lavoro che compare in forma autonoma nelle espressioni termodinamiche è da riferirsi alle sole proprietà interne al sistema? E se si considera un sistema termodinamico caratterizzato dalla palla, come ambiente la Terra, e in mezzo il vuoto, dobbiamo concludere che il secondo termine del primo principio è nullo? Calore non se ne scambia perchè il vuoto non garantisce un contatto termico, se non erro.
Detto così non vuol dire molto. Me ne rendo conto, ma la cosa è complicata dal momento che per me è complicata la fisica classica, a livello intuitivo, molto più di quella microscopica. Cioè, a livello intuitivo, a me (ma credo a chiunque) riesce più facile capire certi fenomeni, vederli, basandosi sugli atomi che compongono i corpi, sul fatto di ricondurre forze a campi di forze dei quattro tipi base etc. Da qui forse nasce l'equivoco, anche se ovviamente non conosco proprio niente di fisica microscopica, per cui quello che si intuisce sono solo supposizioni, immaginazioni, niente di concreto insomma.
Il calore si scambia anche per irraggiamento (onde elettromagnetiche), quindi attraverso il vuoto. Altrimenti la terra non verrebbe scaldata dal sole!
Aggiungo qui questo post, per una questione di ordine, visto che le domande che pongo non credo possano essere di interesse generale, ma solo personale. Comunque, aspetto comunicazioni a riguardo da parte dei moderatori, scusandomi se creo spesso problemi di questo tipo.
Dunque, la domanda è la seguente: la Temperatura, come la Pressione e il Volume, possono essere considerate particolari funzioni di stato? In effetti sarei tentato a rispondere subito no, poichè uno stato termodinamico (con il solo limite, se non erro, dei sistemi semplici comprimibili) è definito in virtù proprio delle tre grandezze summenzionate (al massimo, anzi chiedo lumi anche su questo, si sostituisce al volume il volume specifico). Quindi matematicamente una generica funzione di stato per sistemi di questo tipo è definita così: $F(P, V, T)$ (non so se inserire, per la limitazione da me fatta, anche il numero di moli $n$). Se consideriamo un sistema termodinamico, definito quindi da un' equazione di stato, allora evidentemente la temperatura viene a dipendere da $P$ e da $V$, così come $V$ e $P$ dalle altre due. Per cui, in teoria potrebbe essere $T(P, V)$ (escludo le eventuali espressioni per pressione e volume) e quindi in un certo senso anche la temperatura potrebbe essere annoverata tra le funzioni di stato.
Chi mi aiuta?
Dunque, la domanda è la seguente: la Temperatura, come la Pressione e il Volume, possono essere considerate particolari funzioni di stato? In effetti sarei tentato a rispondere subito no, poichè uno stato termodinamico (con il solo limite, se non erro, dei sistemi semplici comprimibili) è definito in virtù proprio delle tre grandezze summenzionate (al massimo, anzi chiedo lumi anche su questo, si sostituisce al volume il volume specifico). Quindi matematicamente una generica funzione di stato per sistemi di questo tipo è definita così: $F(P, V, T)$ (non so se inserire, per la limitazione da me fatta, anche il numero di moli $n$). Se consideriamo un sistema termodinamico, definito quindi da un' equazione di stato, allora evidentemente la temperatura viene a dipendere da $P$ e da $V$, così come $V$ e $P$ dalle altre due. Per cui, in teoria potrebbe essere $T(P, V)$ (escludo le eventuali espressioni per pressione e volume) e quindi in un certo senso anche la temperatura potrebbe essere annoverata tra le funzioni di stato.
Chi mi aiuta?
Un'altra considerazione mi è venuta leggendo un'appunto.
Dunque, considero l'esperimento di Joule, quello che utilizza un calorimetro, una massa in caduta e una puleggia. La massa, cadendo, provoca il movimento di un'elica, che produce attrito con l'acqua. O meglio, con il ghiaccio fondente, di cui viene sciolta, dopo il processo, una certa quantità in acqua.
Ovviamente si utilizza l'acqua a 0°C, contenuta nel calorimetro, come sistema termodinamico. Il lavoro che viene fatto sull'acqua qual è? Quello esclusivo delle forze d'attrito tra le pale e il ghiaccio fondente, oppure quello meccanico delle pale?
Dunque, considero l'esperimento di Joule, quello che utilizza un calorimetro, una massa in caduta e una puleggia. La massa, cadendo, provoca il movimento di un'elica, che produce attrito con l'acqua. O meglio, con il ghiaccio fondente, di cui viene sciolta, dopo il processo, una certa quantità in acqua.
Ovviamente si utilizza l'acqua a 0°C, contenuta nel calorimetro, come sistema termodinamico. Il lavoro che viene fatto sull'acqua qual è? Quello esclusivo delle forze d'attrito tra le pale e il ghiaccio fondente, oppure quello meccanico delle pale?
Se T,V e P fossero variabili tra loro indipendenti allora le chiamerei variabili termodinamiche, ma siccome sono tra loro dipendenti allora direi che ciascuna può essere espressa come funzione delle altre due. Dunque parlare di funzioni di stato mi pare giusto. In generale tutte le funzioni termodinamiche (comprese entropia, entalpia, densità ecc.) possono essere espresse come funzioni di 2 variabili indipendenti.
Riguardo al lavoro fatto sull'acqua dalle pale nell'esperimento di Joule, non so se ho capito la domanda ma direi che è tutto dissipato in attrito. Infatti anche l'energia cinetica comunicata in un primo tempo all'acqua dalle pale, dopo un tempo sufficiente si traduce tutta in energia interna a causa degli attriti interni dell'acqua. Prova ne sia il fatto che le onde mosse dall'elica dopo un certo tempo si smorzano e l'acqua torna in perfetta quiete. Dunque si assiste alla completa trasformazione del lavoro meccanico delle pale (coppia motrice x vel.angolare x tempo) in energia interna.
Riguardo al lavoro fatto sull'acqua dalle pale nell'esperimento di Joule, non so se ho capito la domanda ma direi che è tutto dissipato in attrito. Infatti anche l'energia cinetica comunicata in un primo tempo all'acqua dalle pale, dopo un tempo sufficiente si traduce tutta in energia interna a causa degli attriti interni dell'acqua. Prova ne sia il fatto che le onde mosse dall'elica dopo un certo tempo si smorzano e l'acqua torna in perfetta quiete. Dunque si assiste alla completa trasformazione del lavoro meccanico delle pale (coppia motrice x vel.angolare x tempo) in energia interna.
Cerco di entrare più in profondità.
Volevo analizzare ciò che avviene proprio a livello di energia meccanica del sistema, poichè studiando l'esperimento ho avuto una rivelazione su come in realtà il concetto di energia meccanica debba ancora approfondirlo.
Dunque, il sistema è dimensionato da Joule in modo tale che il corpo in caduta precipiti lentamente, al punto da rendere la propria energia cinetica trascurabile. Tuttavia mi è difficile capire cosa succede realmente al sistema in caduta. Trascurabile è anche l’attrito del pesetto con l’aria, penso.
Prendo in considerazione dunque il solo corpo in caduta, e ne analizzo, basandomi sul teorema della conservazione dell'energia meccanica, il "bilancio energetico"
. Dunque, il corpo, all'inizio, possiede energia meccanica pari a $mgh$, in quanto fermo. Scendendo, in maniera molto lenta, è possibile trascurare il termine $1/2 m v^2$. Quindi in ogni punto del tragitto che separa il corpo da terra, l'energia che il corpo possiede è circa uguale a $mgh$.
Non capisco perché vi siano stati sforzi da parte di Joule per rendere lenta la caduta.
Volevo analizzare ciò che avviene proprio a livello di energia meccanica del sistema, poichè studiando l'esperimento ho avuto una rivelazione su come in realtà il concetto di energia meccanica debba ancora approfondirlo.
Dunque, il sistema è dimensionato da Joule in modo tale che il corpo in caduta precipiti lentamente, al punto da rendere la propria energia cinetica trascurabile. Tuttavia mi è difficile capire cosa succede realmente al sistema in caduta. Trascurabile è anche l’attrito del pesetto con l’aria, penso.
Prendo in considerazione dunque il solo corpo in caduta, e ne analizzo, basandomi sul teorema della conservazione dell'energia meccanica, il "bilancio energetico"

Non capisco perché vi siano stati sforzi da parte di Joule per rendere lenta la caduta.
In generale vale il teorema delle forze vive o dell'energia cinetica:
la variazione di energia cinetica è uguale al lavoro complessivo fatto sul sistema da tutte le forze.
Nell'esperienza di Joule il lavoro è fatto:
1) dalla forza peso (che si misura facilmente perché è la variazione di energia potenziale gravitazionale) ed è positivo
2) dalla resistenza dell'acqua sulle pale (che è quello che si deve misurare)
3) dalla resistenza dell'aria sul corpo (di più difficile valutazione)
Se il corpo è fatto scendere lentamente il terzo contributo può essere trascurato e inoltre in prima approssimazione si può considerare nulla anche la variazione di energia cinetica (questa comunque si può misurare più facilmente).
La bassa velocità consente quindi una agevole valutazione del lavoro dissipato.
NB: non è vero che " in ogni punto del tragitto che separa il corpo da terra, l'energia che il corpo possiede è circa uguale a $mgh$" in effetti il corpo possiede sempre meno energia mentre scende in quanto sta aumentando l'energia interna dell'acqua.
la variazione di energia cinetica è uguale al lavoro complessivo fatto sul sistema da tutte le forze.
Nell'esperienza di Joule il lavoro è fatto:
1) dalla forza peso (che si misura facilmente perché è la variazione di energia potenziale gravitazionale) ed è positivo
2) dalla resistenza dell'acqua sulle pale (che è quello che si deve misurare)
3) dalla resistenza dell'aria sul corpo (di più difficile valutazione)
Se il corpo è fatto scendere lentamente il terzo contributo può essere trascurato e inoltre in prima approssimazione si può considerare nulla anche la variazione di energia cinetica (questa comunque si può misurare più facilmente).
La bassa velocità consente quindi una agevole valutazione del lavoro dissipato.
NB: non è vero che " in ogni punto del tragitto che separa il corpo da terra, l'energia che il corpo possiede è circa uguale a $mgh$" in effetti il corpo possiede sempre meno energia mentre scende in quanto sta aumentando l'energia interna dell'acqua.
dalla resistenza dell'acqua sulle pale (che è quello che si deve misurare)
Penso di poter capire da quanto dici dopo che si misura indirettamente tale lavoro, vero?
La bassa velocità consente quindi una agevole valutazione del lavoro dissipato.
Ecco, come? Cioè, provo a immaginare di misurarlo per differenza, limitandomi alla prima approssimazione secondo cui l'energia cinetica è trascurabile: se non lo fosse infatti non ci sarebbero problemi; ma se lo è, allora non riesco a capire come si possa misurare il calore dissipato.
Poi c'è un' altra questione, alla quale Falco ha già provato a dare una risposta, che ho avuto modo di approfondire oggi. Rimane la domanda di fondo, comunque, che magari ripropongo. Mirco diceva che quello che dev' essere misurato è il lavoro provocato dalle forze di resistenza dell'acqua. In sostanza, è quello che viene ad essere equivalente al calore che misura il calorimetro? Cioè, misurando (in che modo poi mi direte) il lavoro delle forze di resistenza del fluido, si nota proporzionalità tra questo lavoro e il calore che misura il calorimetro?
E' possibile analizzare l'elica (strumento dinamico di una certa importanza, visto che si parla di lavoro d'elica come forma principale di lavoro compiuto su sistemi termodinamici aperti) come sistema dinamico in modo compiuto, magari facendo riferimento alle leggi del corpo rigido, o anche al collegamento che c'è tra il pesetto e l'elica stessa?
Io ci ho provato, poi mi direte se va bene o meno. Dunque, l'elica considerata come un sistema rigido ruota con velocità angolare $\omega _0$. Se viene applicata una coppia di forze di carattere impulsivo, considerando il sistema nel vuoto, l'elica raggiunge diverse accelerazioni angolari $\alpha$ nell'intervallo $dt$ per cui dura l'impulso. Alla fine, nel vuoto, senza alcuna interazione con nessun campo di forze o sorgente di qualsiasi tipo (sospendo il giudizio su questo), il corpo raggiunge una certa velocità angolare $\omega_b$ e la mantiene, continuando a ruotare. Ovviamente, ho considerato come asse di rotazione un asse centrale di inerzia. L'energia cinetica del corpo, non traslando il centro di massa, è pari a $1/2 * I * \omega^2$. Ora, considerando $\omega = \omega_b$, il corpo, nel vuoto, ruotando attorno a un asse centrale di inerzia, non dissiperebbe energia (uso il condizionale perchè il mio è un ragionamento ipotetico).
Inseriamo ora l'elica nell'acqua e colleghiamola al pesetto. Ora qui provo a ragionare considerando ogni tipo di attrito possibile nel processo. Il pesetto comincia a scendere, e quindi dissipa una certa energia con l'attrito dell'aria, oltre che con i collegamenti che esistono tra pesetto e elica (carrucole, fili mai completamente inestensibili, altri elementi meccanici).
Sul sostegno dell'elica operano le forze degli agenti sul sostegno stesso, che chiamo con $F$ e che dipendono dalla forza di gravità del pesetto, dagli attriti vari e dall'attrito dell'aria. Quando l'elica è immersa in acqua, allora c'è anche l'attrito dell' acqua.
Ora, come si fa a quantificare il lavoro compiuto da $F$? Lo si fa indirettamente, oppure si considera l' integrale di linea calcolato su una circonferenza (quella compiuta dall'elica che ruota, in sostanza)? Come si fa a ragionare con energia e lavoro effettivamente compiuto per calcolare le dissipazioni?
Ma scusa, non capisco perché ti vuoi complicare la vita con tutte queste considerazioni sulle pale dell'elica. Forse dipende dal fatto che non credi nella conservazione dell'energia? perché se non ci credi allora capisco lo sforzo. Ma se ci credi, devi anche credere che se il pesetto scende di una altezza h e supponiamo che sta nel vuoto (no aria = no energia persa in attrito fuori del sistema ), e se prendiamo un tratto nel quale il peso scende a velocità costante (l'energia cinetica iniziale è uguale a quella finale, e così anche questa non gioca), allora l'energia persa dal pesetto è proprio $mgh$. Ma dove è andata a finire questa energia persa? sicccome l'unico elemento che frena è l'elica immersa in acqua (e data la costanza della velocità del pesetto anche la velocità angolare dell'elica è costante e quindi lo è la sua energia cinetica), è evidente che l'energia potenziale persa dal pesetto si è dispersa nell'acqua. Ebbene se scopriamo che la temperatura dell'acqua in questo lasso di tempo è salita allora possiamo supporre che l'energia meccanica si sia trasformata in qualcosa che chiamiamo energia interna e che ha a che vedere con l'aumento di temperatura. Questo sempre che crediamo che l'energia non può sparire, perché se mettiamo in dubbio questo assioma allora ogni discussione resta aperta.