La logica che governa la fisica.

turtle87crociato
E' la cosa più bella studiare mettendo la fisica al centro e tutto il resto a farle da contorno (isomorfismi tra ennuple e vettori geometrici, analisi e "generatori di equazioni"- le funzioni esponenziali). Studiare la natura da protagonisti.

Tuttavia, ciò diventa "faticoso" e non più appassionante, coinvolgente, quando si comincia a chiedersi il senso della cosa. Non un banale "senso utilitaristico", ma un senso "logico", la cui richiesta non abbia al centro ciò che il mondo vuole da me, ma me stesso, la mia mente.

Una persona, poi, di questo forum, una volta mi ha aperto gli occhi sulla reale natura della fisica e delle sue equazioni. Si tratta di un' assiomatizzazione più matematica che "empirica" dello studio della natura. Addirittura il metodo che insegna la fisica, proprio il metodo scientifico, può essere applicato ai campi più disparati (lo studio della mente, chi lo avrebbe mai detto).

Premesso ciò, voglio porre questa domanda. Qual è la logica che governa le equazioni fisiche? Per logica intendo proprio la costruzione delle equazioni fisiche, delle relazioni fisiche. Da dov'è nata, chi è stato il primo a unire due, tre grandezze in un'unica formula? E soprattutto (dato che la prima domanda l'ho posta giusto per completezza di discorso) da dove è nata l'intuizione (di Galileo) non solo di associare "grandezze fisiche" ai fenomeni, ma anche di associare ai loro sviluppi prodotti, prodotti per costanti, rapporti, etc. ?

Se ad esempio, poi, considero una relazione:
$a=k bc$, con $a, b, c$ tre grandezze, allora si può dire che, ad esempio, $a=k_1 b$ e $a=k_2 c$ possono essere unite da un "o" logico (vel), che traduce un' unione insiemistica? Così, in qualche modo, si giustificherebbe logicamente il fatto che basti che vari una variabile indipendente ($b$ e $a$) per far variare l'intera funzione a? (questa cosa magari la riprendo poi, vedrò come formalizzarla meglio).

Se è vero infatti che le equazioni fisiche sono quasi più matematiche che "fisiche", è anche vero che spesso le soluzioni cui esse ci portano sono vere e proprie rivoluzioni fisiche, che riguardano la natura e non semplicemente una sua "matematicizzazione". F=ma non ci dice solo che la forza è uguale al prodotto tra le due grandezze al secondo membro, ma ci suggerisce anche che in un sistema di riferimento inerziale le accelerazioni possono solo essere provocate dalle forze (almeno in meccanica classica): noterete che la rivoluzione di questa scoperta, benchè parta da considerazioni assiomatiche, matematiche, ci consente di scoprire nuovi modi di funzionamento della natura, poichè vengono superate concezioni aristoteliche cui il filosofo greco era arrivato persino non servendosi della matematica. E' per questo, anzi, che la fisica è un'attività feconda, mai sterile, non è una semplice raccolta di dati e formule, ma è un'attività che può anche passare dall'aridità (sempre opinabile) della matematica al "colore" delle scoperte dei funzionamenti della natura.

In sostanza, matematica e fisica sono intimamente collegate, sposa l'una dell'altra: vorrei sapere solo come sia stato celebrato il matrimonio, chi l'ha celebrato, quando è stato celebrato, sempre che questa unione non sia innata.

Capirete che la mia è una domanda che probabilmente potrebbe riguardare risposte da filosofi della scienza o simili. Volevo solo sapere voi cosa ne pensaste.

Risposte
maurymat
Se ho ben capito le questioni che poni, mi sento di dire questo:
ha senso chiedersi se l'atteggiamento dell'uomo di "assiomatizzare" la realtà sia più un bisogno innato che una scelta di "convenienza".
L'uomo è parte integrante della realtà non semplicemente un osservatore super partes! E' possibile che cerchi di ritrovare delle regolarità in ciò che lo circonda perchè egli stesso "funziona", agisce e pensa secondo gli stessi canoni, i canoni della Natura. La logica che l'uomo cerca di astrarre dalla realtà è la stessa che lo permea e che gli dà fattività di uomo in quanto elemento del tutto.
Perchè amiamo la musica, perchè ci piace un'architettura piuttosto che un'altra, perchè amiamo una precisa combinazione cromatica.
Semplicemente perchè dietro queste cose possono esserci precisi rapporti tra enti che noi chiamiamo matematici: una scala musicale, un'edificio costruito sulla base della sezione aurea, una particolare sequenza di lunghezze d'onda. Cioè, amiamo e crediamo di comprendere meglio cose che manifestano un'essenza che al nostro cervello appare "familiare".
Ha senso perciò chiedersi se la matematica sia un'invenzione umana o è solo il mestiere di catturare una ratio che è insita nell'universo ab ovo.

C'è un bellissimo esempio nell'arte. Il grande Mondrian, geniale pittore, continuò a dipingere l'albero che vedeva difronte casa sua. Le prime volte il dipinto aveva un carattere figurativo, man mano, col passare degli anni, diventò un insieme di linee curve. Non so quanto consapevolmente Mondrian, anno dopo anno, stava semplicemente "astraendo" l'essenza "logica" dell'entità albero. Ne aveva bisogno, egli cercava di trarne "i principi" costitutivi, la logica "strutturale".

Concludo citando il grande matematico Renato Caccioppoli, napoletano come me, il quale pare abbia scritto, ma io non ho ancora avuto la fortuna di leggerlo, un manuale di analisi matematica in cui non c'è un sola formula, solo concetti.

Sono i concetti, le astrazioni, il pane per il nostro cervello. Abbiamo bisogno di capire "il giocattolo come funziona" lo facciamo dalla nascita e, forse le classificazioni dello studio nelle varie discipline fisiche, matematiche, musicali, filosofiche ecc. sono solo e puramente arbitrarie. Ne era tanto convinto il mio prof di Cibernetica (complementare del corso di fisica dell'indirizzo omonimo) che le nostre lezioni erano seguite anche da un gruppo di filosofi che avevano scelto piani di studio un po' inconsueti.

Le cose da dire sono ancora tante e magari se il tuo post appassionerà più persone, tornerò a dire la mia.
Complimenti intanto per averci irretito su questioni così ariose e stuzzicanti.

A presto

turtle87crociato
Renato Caccioppoli, napoletano come me, il quale pare abbia scritto, ma io non ho ancora avuto la fortuna di leggerlo, un manuale di analisi matematica in cui non c'è un sola formula, solo concetti.


Io sono di Aversa (non c'entra, giusto per spirito patriottico:-d) e ho letto qualche libro di De Crescenzo (che pare amasse trascorrere del tempo con lui, quando era suo allievo a ingegneria), conosco il personaggio, e sarebbe secondo me stimolante sapere il titolo di quest'opera.

Spero anche io come te che il maggior numero di persone possibile risponda qui, mi farebbe piacere sentire quanti più pareri "diversi" possibili. Grazie, comunque, per la risposta.
In ogni caso, la mia domanda parte da una considerazione fatta da un professore: il "vel" logico si traduce con la "moltiplicazione", mentre l'"e" logico si traduce con la messa a sistema.
Magari sarà banale il mio dubbio, magari poco "profonda" la mia analisi, ma perchè se in una legge fisica tipo $a=k bc$, dove una grandezza $a$ dev' essere contemporaneamente proporzionale a $b$ e $c$ non si usa il sistema, ma la moltiplicazione? In effetti la relazione unirebbe le proporzionalità parziali tra $a$ e $b$ e $a$ e $c$, che dovrebbero essere contemporaneamente vere (da qui l' idea dell' "e" logico, e quindi del sistema). Non so se è chiaro quanto scrivo, domani se troverò un po' di tempo chiederò anche al professore.

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