Dubbio lavoro sistemi aperti (termodinamica)

Noel_91
Salve! dato il seguente sistema aperto (con 1 e 2 rispettivamente sezione di ingresso e uscita) in figura (sotto), in cui ho adottato un certo volume di controllo (osservazione euleriana) e applicato l'equazione di bilancio dell'energia all'intero sistema all'istante [tex]dt[/tex] ho scritto (nell'ipotesi di flusso unidimensionale, regime stazionario, sistema adiabatico cioè [tex]Q = 0[/tex] e trascurando il contributo potenziale e cinetico):

[tex]dU = dm_1*u_1-dm_2*u_2+dL[/tex] tutto riferito all'intervallo infinitesimo [tex]dt[/tex].
essendo u l'energia interna per unità di massa [tex][KJ/Kg][/tex]

riferendoci ad un sistema stazionario [tex]dU = 0[/tex]

dL è il lavoro termodinamico scambiato tra sistema e ambiente nel [tex]dt[/tex] cosiderato. Esso è pari alla somma algebrica del lavoro elementare di pulsione [tex]dL_p[/tex] e del lavoro elementare tecnico [tex]dL'[/tex].
[tex]dL = dL_p + dL'[/tex]

[tex]dL_p = (P_1/\rho_1)*dm_1 - (P_2/\rho_2)*dm_2[/tex] essendo per la conservazione della massa [tex]dm_1 = dm_2 =dm[/tex] otteniamo che [tex]dL_p = (P_1/\rho_1 - P_2/\rho_2)*dm[/tex] (assunta la convenzione sul lavoro, positivo se esercitato sul fluido perché [tex]\rho[/tex] aumenta, e negativo in sede di espansione se esercitato dal fuido perché [tex]\rho[/tex] diminuisce)
quindi possiamo riscrivere la formula sopra come: [tex]0 = dm(u_1 + P_1/\rho_1 - u_2 - P_2/\rho_2) + dL'[/tex] da cui [tex]0 = dm*(h_1 - h_2) +dL'[/tex] ([tex]h[/tex] è l'entalpia specifica) cioè [tex]h_2 - h_1 = dL'/dm[/tex] [tex]=>[/tex] [tex]h_2 - h_1 = l'[/tex] dove [tex]l'[/tex] è il lavoro tecnico specifico la cui forma differenziale la posso ricavare ricordando il fatto che per un sistema aperto in regime stazionario è indifferente dire che:
-1 e 2 rappresentano le condizioni che il fluido assume nella sezione di ingresso e in quella di uscita nei quali le va ad attraversare (osservazione lagrangiana).
-1 e 2 rappresentano le condizioni diverse che, nello stesso istante dt, particelle di fluido diverse assumono rispettivamente nea sezione di ingresso e nella sezione d'uscita.
Seguendo quindi una particella posso dire che il lavoro di pulsione per unità di massa è pari in modulo a [tex]P*v[/tex] con [tex]v = 1/ \rho[/tex] ovvero chiamasi volume specifico [tex]m^3/Kg[/tex].
il lavoro di punsione per unità di massa infinitesimo risulta essere [tex]dl_p = -d(P*v) = -d(P/\rho)[/tex] (il segno meno deriva dalla convenzione usata precedentemente).
il lavoro termodinamico per unità di massa è pari a [tex]dl = dl_p + dl'[/tex] quindi [tex]dl' = dl - dl_p[/tex].
Il mio libro qui dice " per una trasformazione reversibile il lavoro termodinamico è dato da [tex]dl = -P*dv[/tex]", il primo dubbio che sorge da tutto ciò è da cosa è data la variazione del volume specifico da punto a punto in questo sistema aperto? sia dal contributo di pulsione che da quello tecnico dovuto alla presenza dell'elica?

essendo quindi [tex]dl = -P*dv[/tex] ottengo che [tex]dl' = dl + d(P/\rho)[/tex] ovvero [tex]dl' = - P*dv + P*dv + v*dP[/tex] cioè [tex]dl' = v*dP[/tex]. Questo ragionamento è stato fatto in termini di grandezze specifiche. Se volessi scrivere i differenziali in termini delle grandezze non riferite all'unità di massa otterrei che:
[tex]dL = -P*dV[/tex], [tex]dL_p= -d(P*V)[/tex] e [tex]dL' = V*dP[/tex] (riferite all'intervallo [tex]dt[/tex])
Il mio secondo dubbio riguarda proprio il fatto che non mi capacito come possa avvenire una variazione del volume del sistema aperto (termine del lavoro termodinamico [tex]-P*dV[/tex]) nel [tex]dt[/tex] considerato, se il volume di controllo è costante nel tempo. Inoltre mi domando, essendo il lavoro termodinamico definito come lavoro di espansione e comprassione, come può avvenire un espansione o una compressione in un sistema aperto di questo tipo?
Vi ringrazio per l'attenzione!

Risposte
professorkappa
la variazione di volume e' una combinazione di entrambi. E' vero che il volume di controllo e' rigido, ma l'elica (o una girante o un pistone) agiscono sul gas, e gli fanno compiere una trasformazione (compressione o espansione).
D'altra parte, anche senza elica (per esempio in un ugello, che e' un volume di controllo rigido), il gas cambia di densita nel passaggio tra entrata e uscita (l'ugello e' poi progettato per espellere i gas secondo certe caratteristiche che tengono conto del numero di Mach del gas, rapporti di pressione entrata/uscita e cosi via, che prendono una trattazione dettagliata che non e' bene fare qui).

Di norma, la politropica che descrive la trasformazione e', anche in assenza di isolamento termico, ai fini pratici, un'adiabatica (isoentropica).
Questo perche la trasformazione e' talmente veloce (al fine di assicurare abbastanza potenza) che il gas compresso non ce la fa a freddarsi cedendo calore (o a riscaldarsi assorbendolo, in caso di espansione).

Quello che mi lascia perplesso in tutta la tua dimostrazione e' che normalmente la convenzione impone un lavoro positivo quando fatto dal gas secondo la formula normalmente adotta $U=Q-L$. Se il lavoro e' positivo (fatto dal gas sull'asse della macchina) esso viene fatto a scapito dell'energia del gas.

In queste condizioni si scrive normalmente, se 1 e' l'ingresso e 2 e' l'uscita)

$L'=h_1-h_2$ (salto entalpico positivo, implica lavoro disponibile, la macchina e' una macchina "motrice" - turbina o espansore). Viceversa, se $h_1
Il lavoro all'asse si puo anche esprimere come $L'=-intvdp$: un incremento di pressione tra 1 e 2 risulta in un secondo membro negativo e cioe' in un lavoro negativo: per aumentare la pressione dobbiamo fornire noi lavoro sul fluido.

$-intvdp$ nel diagramma p-v rappresenta l'area della superficie compresa tra l'asse delle pressioni, le proiezioni dei punti di inizio e fine della politropica sull'asse p (proiettati parallelamente all'asse v) e la politiropica stessa.

Graficamente $-intvdp$ e' ottenuta dalla somma dell'area ($intpdv$), a cui viene aggiunta l'area $p_1v_1$ e sottratta la $p_2v_2$.
In definitiva il lavoro all'asse $L'= intpdv+p_1v_1-p_2v_2$

Noel_91
Ti ringrazio per la risposta, ma ho ancora un dubbio, se come abbiamo detto il volume di controllo è rigido, come può esso subire una variazione di volume complessivo nell'intervallo [tex]dt[/tex]? Ripeto, per quanto riguarda il volume specifico mi è chiaro come questo possa variare per via del contributo di pulsione e per la presenza dell'elica, ma del lavoro complessivo termodinamico dato da [tex]dL = -P*dV[/tex] non mi capacito come possa essere diversa da zero la variazione infinitesima [tex]dV[/tex] visto che il volume di controllo in questione abbia le pareti rigide. Grazie e scusa per il disturbo.

M.I.10
Il problema nasce dall'interpretare [tex]V[/tex] come "volume di controllo" fisso nello spazio: [tex]V[/tex] è una variabile termodinamica estensiva ed è il volume occupato dalla massa [tex]m[/tex], per cui il lavoro sulla massa [tex]m[/tex] è [tex]dL=-p dV[/tex] (ed il primo principio ha forma [tex]dU=dQ+dL=dQ-pdV[/tex], incidentalmente non ho mai capito l'insistenza ingegneristica nel voler definire [tex]dL^*=pdV[/tex] in modo da essere poi costretti a scrivere il primo principio come [tex]dU=dQ-dL^*[/tex]. Capisco i lavori di Carnot e Clapeyron sulle macchine motrici, ma sono passati quasi due secoli ed è passata tanta acqua sotto i ponti! a questo punto tantovale ragionare in termini di "fluido calorico" come Carnot... ).
In nessun testo ingegneristico di base (diciamo, di "termodinamica applicata" in senso lato) ho mai trovato una spiegazione coerente di che cosa sarebbe il "lavoro tecnico" [tex]dL'=v dp[/tex] (anche se per fortuna in una trasformazione ciclica [tex]\int dL'=\int dL[/tex] e questo in qualche modo mette la coscienza a posto). Devo ammettere che ho sempre trovato ciò piuttosto frustrante, dato l'ampio uso che in tutti questi testi si fa di [tex]\int dL'[/tex] anche per trasformazioni non cicliche. Una sorta di "ipse dixit" che viene appreso come dogma e ripetuto da testo a testo.
Spesso viene affermato che [tex]dL'[/tex] sarebbe "il lavoro esercitato da una corrente che percorre un condotto su elementi mobili (pale, eliche ecc.)" o qualche stilisticamente parafrasi migliore dello stesso concetto, ma non viene mai veramente dimostrato e ogni spiegazione è sempre molto fumosa o limitata ad un un esempio talmente specifico da non essere significativo. In effetti, utilizzando la termodinamica classica con le sue trasformazioni quasi-statiche di un sistema omogeneo non è possibile riuscire a descrivere pienamente una trasformazione che richiede una velocità del fluido. Ci si potrebbe arrivare integrando le equazioni della fluidodinamica in un volume di controllo contenente la porzione di condotto in cui si trovano gli elementi mobili accennati: la fluidodinamica (e in generale la meccanica del continuo) ammette un equilibrio termodinamico locale, sicché ogni "punto" del sistema si possa considerare un sistema in equilibrio e vi si possa applicare la termodinamica classica, ma fondamentalmente ammette l'esistenza di disomogeneità (non tutti i "punti" sono nello stesso stato) e di quantità di moto (e quindi anche di energia cinetica del moto "macroscopico" del fluido).
Rimanendo a livello elementare e riferendoci allo schema proposto da "professorkappa", proviamo ad abbozzare una spiegazione "fisicamente ragionevole": immaginiamo una corrente che scorrendo in un condotto (per semplicità immaginiamo trascurabile la sua energia cinetica iniziale) subisca una rapida espansione adiabatica, in cui, per unità di massa, si abbia una variazione di entalpia [tex]dh[/tex]. Dove è finita l'entalpia? è finita in energia cinetica: il fluido, espandendosi attraverso un salto di pressione [tex]dp[/tex] accelera. Se poi immaginiamo che il nostro fluido interagisca adiabaticamente con pareti mobili, possiamo pensare che "spingendo" tali pareti mobili ceda loro l'energia cinetica acquisita fino a tornare all'energia cinetica iniziale (ovvero nulla se era inizialmente fermo). Quanto è il lavoro compiuto "sulle parti mobili"? non può che essere pari alla variazione di energia cinetica del fluido, a sua volta pari a [tex]dh[/tex] per unità di massa. Ma allora è pari a [tex]vdp[/tex] perché per il primo principio [tex]dh=vdp[/tex] in una trasformazione adiabatica. Si noti che lo stato iniziale e lo stato finale sono stati di equilibrio, sicché possiamo utilizzare il primo principio per descrivere complessivamente la trasformazione.
A conforto di questa semplice rappresentazione, matematicamente non del tutto esaustiva, possiamo vedere come sono realmente costruite le "macchine" che sfruttano il "lavoro tecnico" (e per le quali gli ingegneri calcolano [tex]\int dL'[/tex]). Consideriamo lo stato di una turbina: aprendo un qualunque testo dedicato scopriamo infatti che lo stadio più semplice (chiamato chissà perché stadio "ad azione") è caratterizzato da due parti: una prima parte "fissa" in cui il gas o il vapore viene fatto espandere, accelerando, in condotti opportunamente sagomati (ugelli o schiere di palette fisse) per poi essere così "lanciato" su una schiera di palette "mobili" fissate al rotore della macchina. Leggendo oltre, nel momento in cui viene definita l'efficienza della turbina, si scopre che tra le cause sommariamente elencate di una efficienza non unitaria (rapporto tra il lavoro realmente ottenuto ed il salto di entalpia) viene citata anche "l'energia cinetica allo scarico". Direi quindi che come spiegazione elementare potrebbe andare bene :D

professorkappa
"M.I.":
Il problema nasce dall'interpretare [tex]V[/tex] come "volume di controllo" fisso nello spazio: [tex]V[/tex] è una variabile termodinamica estensiva ed è il volume occupato dalla massa [tex]m[/tex], per cui il lavoro sulla massa [tex]m[/tex] è [tex]dL=-p dV[/tex] (ed il primo principio ha forma [tex]dU=dQ+dL=dQ-pdV[/tex], incidentalmente non ho mai capito l'insistenza ingegneristica nel voler definire [tex]dL^*=pdV[/tex] in modo da essere poi costretti a scrivere il primo principio come [tex]dU=dQ-dL^*[/tex]. Capisco i lavori di Carnot e Clapeyron sulle macchine motrici, ma sono passati quasi due secoli ed è passata tanta acqua sotto i ponti! a questo punto tantovale ragionare in termini di "fluido calorico" come Carnot... ).
In nessun testo ingegneristico di base (diciamo, di "termodinamica applicata" in senso lato) ho mai trovato una spiegazione coerente di che cosa sarebbe il "lavoro tecnico" [tex]dL'=v dp[/tex] (anche se per fortuna in una trasformazione ciclica [tex]\int dL'=\int dL[/tex] e questo in qualche modo mette la coscienza a posto). Devo ammettere che ho sempre trovato ciò piuttosto frustrante, dato l'ampio uso che in tutti questi testi si fa di [tex]\int dL'[/tex] anche per trasformazioni non cicliche. Una sorta di "ipse dixit" che viene appreso come dogma e ripetuto da testo a testo.
Spesso viene affermato che [tex]dL'[/tex] sarebbe "il lavoro esercitato da una corrente che percorre un condotto su elementi mobili (pale, eliche ecc.)" o qualche stilisticamente parafrasi migliore dello stesso concetto, ma non viene mai veramente dimostrato e ogni spiegazione è sempre molto fumosa o limitata ad un un esempio talmente specifico da non essere significativo. In effetti, utilizzando la termodinamica classica con le sue trasformazioni quasi-statiche di un sistema omogeneo non è possibile riuscire a descrivere pienamente una trasformazione che richiede una velocità del fluido. Ci si potrebbe arrivare integrando le equazioni della fluidodinamica in un volume di controllo contenente la porzione di condotto in cui si trovano gli elementi mobili accennati: la fluidodinamica (e in generale la meccanica del continuo) ammette un equilibrio termodinamico locale, sicché ogni "punto" del sistema si possa considerare un sistema in equilibrio e vi si possa applicare la termodinamica classica, ma fondamentalmente ammette l'esistenza di disomogeneità (non tutti i "punti" sono nello stesso stato) e di quantità di moto (e quindi anche di energia cinetica del moto "macroscopico" del fluido).
Rimanendo a livello elementare e riferendoci allo schema proposto da "professorkappa", proviamo ad abbozzare una spiegazione "fisicamente ragionevole": immaginiamo una corrente che scorrendo in un condotto (per semplicità immaginiamo trascurabile la sua energia cinetica iniziale) subisca una rapida espansione adiabatica, in cui, per unità di massa, si abbia una variazione di entalpia [tex]dh[/tex]. Dove è finita l'entalpia? è finita in energia cinetica: il fluido, espandendosi attraverso un salto di pressione [tex]dp[/tex] accelera. Se poi immaginiamo che il nostro fluido interagisca adiabaticamente con pareti mobili, possiamo pensare che "spingendo" tali pareti mobili ceda loro l'energia cinetica acquisita fino a tornare all'energia cinetica iniziale (ovvero nulla se era inizialmente fermo). Quanto è il lavoro compiuto "sulle parti mobili"? non può che essere pari alla variazione di energia cinetica del fluido, a sua volta pari a [tex]dh[/tex] per unità di massa. Ma allora è pari a [tex]vdp[/tex] perché per il primo principio [tex]dh=vdp[/tex] in una trasformazione adiabatica. Si noti che lo stato iniziale e lo stato finale sono stati di equilibrio, sicché possiamo utilizzare il primo principio per descrivere complessivamente la trasformazione.
A conforto di questa semplice rappresentazione, matematicamente non del tutto esaustiva, possiamo vedere come sono realmente costruite le "macchine" che sfruttano il "lavoro tecnico" (e per le quali gli ingegneri calcolano [tex]\int dL'[/tex]). Consideriamo lo stato di una turbina: aprendo un qualunque testo dedicato scopriamo infatti che lo stadio più semplice (chiamato chissà perché stadio "ad azione") è caratterizzato da due parti: una prima parte "fissa" in cui il gas o il vapore viene fatto espandere, accelerando, in condotti opportunamente sagomati (ugelli o schiere di palette fisse) per poi essere così "lanciato" su una schiera di palette "mobili" fissate al rotore della macchina. Leggendo oltre, nel momento in cui viene definita l'efficienza della turbina, si scopre che tra le cause sommariamente elencate di una efficienza non unitaria (rapporto tra il lavoro realmente ottenuto ed il salto di entalpia) viene citata anche "l'energia cinetica allo scarico". Direi quindi che come spiegazione elementare potrebbe andare bene :D


Non sono certo di aver capito quali siano i tuoi dubbi, quale sia l'ipse dixit e quale sia l'antiquata convenzione ingegneristica che non ti trova d'accordo (o che ti frustra).
Il fluido che passa nel condotto subisce: un lavoro da parte dell'ambiente esterno (su una delle bocche). Fa lavoro sull'altra bocca. E riceve lavoro o lo cede all'asse della macchina. La descrizione che fai tu del fluido che attraversa un condotto senza parti mobili e' correttissima: dunque quale e' il tuo dubbio? Quale spiegazione coerente ti aspetteresti per il lavoro tecnico $-vdp$, se non quello utile, raccolto o ceduto all'asse della macchina?

Per quanto riguarda la dicitura "ad azione", il motivo e' semplice: il fluido, opportunamente accelerato, "agisce", fa "azione" diretta sulle palette. Le normali turbine che trovi in un impianto idrolettrico funzionano cosi. O le pale eoliche. E' evidente che il fluido abbandona la paletta azionata con una certa energia cinetica, non si ferma. Di questo si deve tenere conto nel calcolo del rendimento (odio il termine efficienza, traduzione dall'inglese, anche se devo ammettere, scappa anche a me ogni tanto). Esattamente come si tiene conto del fatto che i fumi caldi che abbandonano una turbina a gas sono energia dispersa nell'ambiente (calore che se ne va) a scapito del rendimento della turbina. Il termine "azione" si contrappone al termine "reazione" in cui il fluido subisce un'ulteriore trasformazione nelle palette e le fa muovere, appunto, per reazione: la variazione di quantita di moto genera una forza di reazione, ne' piu' ne meno che la forza che senti tu quando apri il soffione della doccia e devi contrastare la spinta del getto dell'acqua.

M.I.10
Gentile "professorkappa", non era un'osservazione al suo commento ma, in generale, alla didattica ingegneristica e mi spiace che se la sia presa. A parte la questione del segno del lavoro (il lavoro di compressione/espansione su un sistema è [tex]-pdV[/tex], non ha molto senso scrivere il lavoro del sistema sull'ambiente esterno nell'equazione che esprime il bilancio di energia di un sistema, retaggio arcaico (e scomodo) usato ormai soltanto in alcuni ambiti ingegneristici), avevo solo cercato di far notare a "Noel_91" che il suo problema nasceva dal vedere [tex]V[/tex] come un volume fisso nello spazio, mentre [tex]V[/tex] è il volume della massa di fluido, non di un generico volume di controllo, perché i principi della termodinamica, usando la terminologia della meccanica del continuo, sono formulati in coordinate materiali, non spaziali.
Questo poneva la seconda questione della valutazione del lavoro che in fondo era il punto di partenza delle domande di "Noel_91", in cui osservavo che in fondo da nessuna parte viene mai data una spiegazione compiuta del perché il lavoro "tecnico", ovvero quello su elementi mobili incontrati dal fluido che scorre in un condotto, sia proprio pari a [tex]v dp[/tex], fatto che osservo venire dato per scontato, in maniera quasi dogmatica. Cercavo quindi di spiegare che con la sola termodinamica di processi quasi-statici non è possibile darne una spiegazione soddisfacente ed abbozzavo un ragionamento elementare e semplice anche se non esaustivo (per quello bisognerebbe integrare le equazioni di Eulero su un dominio fisso nello spazio).
Riguardo la terminologia delle turbine, capisco che sia stratificata nell'uso, ma non è poi così né evocativa né così precisa per chi vi si avvicina per la prima volta, in quanto sia negli stati "ad azione" sia negli stadi "a reazione" la spinta sulle palette è sempre data dalla variazione di quantità di moto della corrente, né potrbbe essere altrimenti (volendo essere pignoli, anche in quelli "a reazione" l'elemento predominante mi pare che non sia tanto la variazione del modulo della velocità nell'attraversamento delle palette mobili, ma la sua deviazione). Sarà un vezzo, ma mi piace rendermi conto di che cosa si cela dietro nomi e formule. Forse avrei fatto meglio a tacere l'inciso.

professorkappa
Non me la sono affatto presa. Semplicemente non capisco perche' non abbia senso scrivere il lavoro del sistema nel bi;ancio energetico e perche sia un retaggio arcaico e scomodo. Io lo trovo molto semplice e pratico.
Anche la spiegazione di $vdp$ non mi sembra dogmatica, e' un;equazione di bilancio delle energie che entrano ed escono dal fluido.
Tutto li.

Noel_91
"M.I.":
avevo solo cercato di far notare a "Noel_91" che il suo problema nasceva dal vedere [tex]V[/tex] come un volume fisso nello spazio, mentre [tex]V[/tex] è il volume della massa di fluido, non di un generico volume di controllo, perché i principi della termodinamica, usando la terminologia della meccanica del continuo, sono formulati in coordinate materiali, non spaziali.


Ti ringrazio tantissimo per la risposta, però ora mi è sorto un dubbio. Se ho un sistema aperto in cui scorre del flusso e volessi esprimere il primo principio della termodinamica (per i sistemi aperti), potrei assumere sia il punto di vista Lagrangiano che Euleriano. Uno è riferito in termini di coordinate materiali, l'altro in termini di coordinate spaziali. Se è vero (e sono perfettamente d'accordo con te) che i principi della termodinamica sono formulati in coordinate materiali, allora perché lo studio termodinamico dei sistemi aperti può essere condotto anche seguendo il punto di vista Euleriano?

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