A che serve il fibrato tangente in fisica?
Quando trovo queste definizioni mi blocco.
A che serve sapere cosa è un fibrato tangente in fisica?
Mi sono trovato davanti alla definizione per cui l'unione disgiunta degli spazi tangenti di una varetà differenziabile formano un fibrato tangente.
A che serve?
Nell'esempio c'è scritto che un campo vettoriale può essere inteso come una "sezione del fibrato tangente".
Perché adottare questa definizione e non la più intuitiva che ad ogni punto della varietà si appiccica un vettore con la base nel punto e che si estende nell'iperpiano tangente?
Questa la capisco, la prima no, e mi piacerebbe una motivazione.
Non ho una mentalità matematica e non riesco a capire direttamente dalle definizioni e tutto ciò è leggermente frustrante quando persino i concetti che sembrerebbero intuitivi sono proposti così.
grazie
A che serve sapere cosa è un fibrato tangente in fisica?
Mi sono trovato davanti alla definizione per cui l'unione disgiunta degli spazi tangenti di una varetà differenziabile formano un fibrato tangente.
A che serve?
Nell'esempio c'è scritto che un campo vettoriale può essere inteso come una "sezione del fibrato tangente".
Perché adottare questa definizione e non la più intuitiva che ad ogni punto della varietà si appiccica un vettore con la base nel punto e che si estende nell'iperpiano tangente?
Questa la capisco, la prima no, e mi piacerebbe una motivazione.
Non ho una mentalità matematica e non riesco a capire direttamente dalle definizioni e tutto ciò è leggermente frustrante quando persino i concetti che sembrerebbero intuitivi sono proposti così.
grazie
Risposte
La definizione che trovi incomprensibile dice esattamente la stessa cosa della tua definizione intuitiva, l'unica differenza è che la prima è (appunto) una formalizzazione, la seconda è l'idea che quella formalizzazione rende precisa. Cosa significa, infatti, di preciso "che ad ogni punto della varietà si appiccica un vettore con la base nel punto", se non che stai considerando l'insieme \(\coprod_{x\in M} T_x M\) che riunisce tutti gli spazi tangenti tenendo conto del punto a cui sono "attaccati"?
In ogni caso, al di là del fatto che le due definizioni sono equivalenti, ma quella che ti piace non lo è davvero, mi pare il problema sia psicologico:
Per il problema generale, cioè "a cosa servono" i fibrati vettoriali, direi praticamente a tutto quello che ti può interessare studiare in fisica: la meccanica razionale, la meccanica analitica, l'elettromagnetismo, la relatività, i gruppi di Lie... invece di essere dubbioso rispetto alla loro utilità, meglio cercare di capirli a un sufficiente grado di profondità, data la loro ubiquità.
Per il tuo problema specifico: la collezione $TM$ di vettori attaccati a un punto della varietà dovrà formare un insieme. E una richiesta del tutto naturale è che la funzione "ovvia" $p : TM \to M$ che prende un elemento \((x,v)\) di $TM$, cioè un "vettore applicato a $x$") e restituisce $x$ sia perlomeno continua. Che topologia metti su $TM$ affinché questo sia vero? Hai diverse scelte, ma ce n'è una che rende $p$ continua ed dotata di un sacco di altre proprietà. Per studiare queste proprietà ti serve una definizione formale per $TM$, perché non puoi operare con l'idea intuitiva fino a quando non l'hai formalizzata in maniera appropriata, riportandola alla sintassi del tuo modello matematico.
Un problema più astratto poi è che la definizione che hai in mente tu si adatta molto male a circostanze come: $M$ non è una varietà immersa in un qualche \(\mathbb R^n\), ma una varietà astratta; $M$ ha dimensione infinita; $M$ è una varietà, ma non nel senso della geometria differenziale, bensì in quello della geometria algebrica...
In ogni caso, al di là del fatto che le due definizioni sono equivalenti, ma quella che ti piace non lo è davvero, mi pare il problema sia psicologico:
Perché adottare questa definizione e non la più intuitiva che ad ogni punto della varietà si appiccica un vettore con la base nel punto e che si estende nell'iperpiano tangente?Quella che si sviluppa mediante esempi e disegnini intuitivi è la fisica, la matematica ha bisogno di definizioni formali per procedere. A un fisico questa pedanteria sembra eccessiva (ci sono passato anche io), fino a quando non si rende conto che deve studiare meccanica quantistica, o più in generale quella porzione di fisica teorica che usa l'algebra e la topologia vere, non le varie versioni ad uso del Delfino. Lì iniziano a essere cazzi.
Per il problema generale, cioè "a cosa servono" i fibrati vettoriali, direi praticamente a tutto quello che ti può interessare studiare in fisica: la meccanica razionale, la meccanica analitica, l'elettromagnetismo, la relatività, i gruppi di Lie... invece di essere dubbioso rispetto alla loro utilità, meglio cercare di capirli a un sufficiente grado di profondità, data la loro ubiquità.
Per il tuo problema specifico: la collezione $TM$ di vettori attaccati a un punto della varietà dovrà formare un insieme. E una richiesta del tutto naturale è che la funzione "ovvia" $p : TM \to M$ che prende un elemento \((x,v)\) di $TM$, cioè un "vettore applicato a $x$") e restituisce $x$ sia perlomeno continua. Che topologia metti su $TM$ affinché questo sia vero? Hai diverse scelte, ma ce n'è una che rende $p$ continua ed dotata di un sacco di altre proprietà. Per studiare queste proprietà ti serve una definizione formale per $TM$, perché non puoi operare con l'idea intuitiva fino a quando non l'hai formalizzata in maniera appropriata, riportandola alla sintassi del tuo modello matematico.
Un problema più astratto poi è che la definizione che hai in mente tu si adatta molto male a circostanze come: $M$ non è una varietà immersa in un qualche \(\mathbb R^n\), ma una varietà astratta; $M$ ha dimensione infinita; $M$ è una varietà, ma non nel senso della geometria differenziale, bensì in quello della geometria algebrica...
Non ho una mentalità matematicaLo dici come se questo non fosse un problema. Fattela crescere, o imparerai gran poco. Altrimenti che brutta fine vuoi fare, studiando fisica, finire a costruire pannelli solari?
Un esempio specifico è questo: per ogni \(r\ge 1\) è possibile definire un fibrato vettoriale su una data varietà \(M\), detto fibrato dei getti di ordine \(r\), e denotato \(J^r(M)\). Ora, se \(\pi\colon E\to M\) è un fibrato (anche non vettoriale, ma sempre liscio) e \(r\ge 1\) è un intero, definiamo una lagrangiana di ordine \(r\) come una funzione regolare su \(J^r(M)\), che denotiamo con la lettera \(\mathcal L : J^r(M)\).
Per evitare problemi supponiamo che lo spazio di base sia una varietà orientabile e compatta, in modo che possieda una forma volume \( \mathrm{d}\mu\) e che abbia senso l'integrale \(\int_M \mathrm{d}\mu\) e ogni funzione \(f\in C^\infty(M)\) mediante \(\int_M f \mathrm{d}\mu\). In particolare, per una lagrangiana \(\mathcal L\) denotiamo con \(\bf L\) la mappa \[\Gamma(M)\to \mathbb R : s\mapsto \displaystyle \int_M \mathcal{L}(j^r(s)_p) \mathrm{d}\mu.\]
Ora, quando uno fa calcolo delle variazioni ha voglia di studiare le proprietà di \(\bf L\) quando viene valutata su curve in \(\Gamma(M)\). Il problema classico del calcolo delle variazioni è in particolare quello di studiare la ``variazione all'ordine 1''
\[
\frac{d}{d\lambda}\mathbf{L}(s(\lambda))\Big|_{\lambda=0}
\]
\(\lambda\mapsto s(\lambda)\) essendo una curva sufficientemente regolare in \(\Gamma(M)\). Quando scegli delle coordinate locali opportune, una lagrangiana è quindi una funzione \(\mathcal{L}\colon J^1(M)\to \mathbb R\) rappresentata in coordinate da una funzione
\[
\mathcal{L}=\mathcal L(x^i,\varphi^a,\varphi_{ai})
\]
delle variabili suddette. A questo punto però la \(\mathbf L\) definita sopra acquista una forma molto nota:
\[
\mathbf{L}\colon s \mapsto \int_M \mathcal{L}(x,\varphi(x),\partial\varphi(x)) \mathrm{d}\mu
\]
(o in coordinate \(s\mapsto \int_M \mathcal{L}(x^i, \varphi^a,\varphi_{ai}) \mathrm{d}\mu\)). Con queste notazioni fissate, calcoliamo \(\frac{d}{d\lambda}\mathbf{L}(s(\lambda))\big|_{\lambda=0}\): se \(\lambda\mapsto s(\lambda)=(\varphi_\lambda^a(x))\) è una curva in \(\Gamma(M)\), poniamo
\begin{gather*}
\delta_a(x)=\frac{d}{d\lambda}\varphi_\lambda^a(x)\Big|_{\lambda=0}\\
L_a = \frac{\partial \mathcal L}{\partial \varphi^a};\qquad
L_{ai}\frac{\partial\mathcal L}{\partial \varphi_{ai}}
\end{gather*}
Allora
\begin{align*}
\frac{d}{d\lambda}\mathcal{L}(s(\lambda))\Big|_{\lambda=0} &= \frac{d}{d\lambda}\int_M \mathcal{L}(x,\varphi_\lambda(x),\partial \varphi_\lambda(x)) \mathrm{d} \mu\Big|_{\lambda=0}\\
&=\int_M \big[L_a(x,\varphi(x),\partial\varphi(x))\delta_a(x)\big] \mathrm{d}\mu \\
&+\int_M L_{ai}(x,\varphi(x),\partial\varphi(x))\partial_i\delta_a(x) \mathrm{d}\mu
\end{align*}
Se ora supponiamo che \(\delta_a\) sia a supporto compatto e integriamo opportunamente per parti siamo rimasti con le equazioni di Eulero-Lagrange:
\[
\int_M\Big[ L_a(x,\varphi(x),\partial\varphi(x))-\partial_i L_{ai}(x,\varphi(x),\partial\varphi(x)) \Big]\delta_a(x) \mathrm{d}\mu
\]
Per evitare problemi supponiamo che lo spazio di base sia una varietà orientabile e compatta, in modo che possieda una forma volume \( \mathrm{d}\mu\) e che abbia senso l'integrale \(\int_M \mathrm{d}\mu\) e ogni funzione \(f\in C^\infty(M)\) mediante \(\int_M f \mathrm{d}\mu\). In particolare, per una lagrangiana \(\mathcal L\) denotiamo con \(\bf L\) la mappa \[\Gamma(M)\to \mathbb R : s\mapsto \displaystyle \int_M \mathcal{L}(j^r(s)_p) \mathrm{d}\mu.\]
Ora, quando uno fa calcolo delle variazioni ha voglia di studiare le proprietà di \(\bf L\) quando viene valutata su curve in \(\Gamma(M)\). Il problema classico del calcolo delle variazioni è in particolare quello di studiare la ``variazione all'ordine 1''
\[
\frac{d}{d\lambda}\mathbf{L}(s(\lambda))\Big|_{\lambda=0}
\]
\(\lambda\mapsto s(\lambda)\) essendo una curva sufficientemente regolare in \(\Gamma(M)\). Quando scegli delle coordinate locali opportune, una lagrangiana è quindi una funzione \(\mathcal{L}\colon J^1(M)\to \mathbb R\) rappresentata in coordinate da una funzione
\[
\mathcal{L}=\mathcal L(x^i,\varphi^a,\varphi_{ai})
\]
delle variabili suddette. A questo punto però la \(\mathbf L\) definita sopra acquista una forma molto nota:
\[
\mathbf{L}\colon s \mapsto \int_M \mathcal{L}(x,\varphi(x),\partial\varphi(x)) \mathrm{d}\mu
\]
(o in coordinate \(s\mapsto \int_M \mathcal{L}(x^i, \varphi^a,\varphi_{ai}) \mathrm{d}\mu\)). Con queste notazioni fissate, calcoliamo \(\frac{d}{d\lambda}\mathbf{L}(s(\lambda))\big|_{\lambda=0}\): se \(\lambda\mapsto s(\lambda)=(\varphi_\lambda^a(x))\) è una curva in \(\Gamma(M)\), poniamo
\begin{gather*}
\delta_a(x)=\frac{d}{d\lambda}\varphi_\lambda^a(x)\Big|_{\lambda=0}\\
L_a = \frac{\partial \mathcal L}{\partial \varphi^a};\qquad
L_{ai}\frac{\partial\mathcal L}{\partial \varphi_{ai}}
\end{gather*}
Allora
\begin{align*}
\frac{d}{d\lambda}\mathcal{L}(s(\lambda))\Big|_{\lambda=0} &= \frac{d}{d\lambda}\int_M \mathcal{L}(x,\varphi_\lambda(x),\partial \varphi_\lambda(x)) \mathrm{d} \mu\Big|_{\lambda=0}\\
&=\int_M \big[L_a(x,\varphi(x),\partial\varphi(x))\delta_a(x)\big] \mathrm{d}\mu \\
&+\int_M L_{ai}(x,\varphi(x),\partial\varphi(x))\partial_i\delta_a(x) \mathrm{d}\mu
\end{align*}
Se ora supponiamo che \(\delta_a\) sia a supporto compatto e integriamo opportunamente per parti siamo rimasti con le equazioni di Eulero-Lagrange:
\[
\int_M\Big[ L_a(x,\varphi(x),\partial\varphi(x))-\partial_i L_{ai}(x,\varphi(x),\partial\varphi(x)) \Big]\delta_a(x) \mathrm{d}\mu
\]
La matematica procede sempre per generalizzazioni. Prima studi lo spazio euclideo tridimensionale dove ha senso parlare di oggetti quali rette, piani . Dopodiche' ti accorgi che le proprieta' di cui gode questo spazio possono essere generalizzate in un oggetto chiamato spazio affine. Stesso discorso per le superfici immerse in $R^3$. Possono essere generalizzate in oggetti chiamati varieta' differenziabili o in modo ancora piu' astratto nelle varieta' topologiche . Una volta che hai in mano la definizione di varieta' differenziabile ( che e' sempre un prolungamento concettuale di superficie) ti rendi conto che tale definizione bourbaki (cioe' assolutamente astratta e scollegata da qualsivoglia disegnino o retaggio visuale) ti permette di inglobare moltissimi oggetti astratti e creati nella fantasia nella categoria delle varieta'. Infatti i fibrati vettoriali sono oggetti matematici costruiti in modo artificiale, cioe' attraverso un'unione disgiunta di spazi vettoriali che guarda un po' che coincidenza finiscono per rivelarsi delle varieta' differenziabili, cosa del tutto non preventivabile all'atto del concepimento. Il fibrato tangente devi pensarlo come uno schedario, al posto dei cassetti hai i punti della varieta' e quando apri un cassetto (cioe' quando consideri uno spazio tangente nel punto considerato) trovi tutti i fogli di carta di quel cassetto che nel paragone sarebbero i vettori tangenti.
Ora come vedi non ho usato nessun simbolo matematico a per trattare le varieta' devi usare il formalismo che ti risparmia questo blaterare estenuante. A cosa servono i fibrati vettoriali? in matematica niente serve a niente, nello spirito di Hilbert tutto viene assiomatizzato e poi si deducono teoremi e risultati astratti interessanti fini a se stessi che poi miracolosamente si riveleranno fondamentali per dimostrare nuovi teoremi e gettare le basi per nuove teorie matematiche. Purtroppo i fisici non riescono a compiere questo atto mentale, i fisici ragionano sempre e solo per analogia un po' come gli empiristi, l'esperienza quotidiana ti da' l'idea per concepire una teoria, mentre i matematici brancolano nel buio, a loro non serve un riscontro pratico.
Infatti quello che accade e' questo: la matematica crea degli oggetti chiamati varieta' differenziabili dove a nessuno sorge l'ansia per trattare oggetti astratti come i fibrati. Poi un giorno si sveglia un fisico e decide che secondo lui il linguaggio delle varieta' e' quello attraverso il quale il Dio di Galileo Galieli ha progettato l'universo , in particolare una 4-varieta'. Capisci bene che questa modellizzazione della realta' e' una forzatura , dove persino i fibrati vettoriali sembrerebbero inventati da Gesu' per descrivere l'universo.
Ora come vedi non ho usato nessun simbolo matematico a per trattare le varieta' devi usare il formalismo che ti risparmia questo blaterare estenuante. A cosa servono i fibrati vettoriali? in matematica niente serve a niente, nello spirito di Hilbert tutto viene assiomatizzato e poi si deducono teoremi e risultati astratti interessanti fini a se stessi che poi miracolosamente si riveleranno fondamentali per dimostrare nuovi teoremi e gettare le basi per nuove teorie matematiche. Purtroppo i fisici non riescono a compiere questo atto mentale, i fisici ragionano sempre e solo per analogia un po' come gli empiristi, l'esperienza quotidiana ti da' l'idea per concepire una teoria, mentre i matematici brancolano nel buio, a loro non serve un riscontro pratico.
Infatti quello che accade e' questo: la matematica crea degli oggetti chiamati varieta' differenziabili dove a nessuno sorge l'ansia per trattare oggetti astratti come i fibrati. Poi un giorno si sveglia un fisico e decide che secondo lui il linguaggio delle varieta' e' quello attraverso il quale il Dio di Galileo Galieli ha progettato l'universo , in particolare una 4-varieta'. Capisci bene che questa modellizzazione della realta' e' una forzatura , dove persino i fibrati vettoriali sembrerebbero inventati da Gesu' per descrivere l'universo.
Nell'esempio c'è scritto che un campo vettoriale può essere inteso come una "sezione del fibrato tangente".
Perché adottare questa definizione e non la più intuitiva che ad ogni punto della varietà si appiccica un vettore con la base nel punto e che si estende nell'iperpiano tangente?
Questa la capisco, la prima no, e mi piacerebbe una motivazione.
Un campo vettoriale e' per definizione una sezione del fibrato tangente. Cioe' una mappa liscia che ad ogni punto $P \in M$ associa una derivazione $ \vec v \in T_P M$.
Cosa intendi con l'espressione si estende nell'iperpiano tangente? In quale accezione matematica utilizzi il verbo estendere?E comunque cosa significa che una definizione e' piu' intuitiva di un'altra? Una definizione e' tale punto e basta, va imparata a memoria. Anche perche' l'oggetto che definisci proprio in virtu' di tale atto significa che prima non esisteva. Se la stessa espressione italiana del tipo campo vettoriale la ritrovi in contesti matematici diversi allora significa che uno dei due casi e' piu' generale dell'altro. Per esempio se un tizio studia solo campi vettoriali su $R^n$ si rendera' conto che le varieta' differenziabili generalizzano tutta la baracca.
megas_archon
Come faccio a sviluppare una mentalità matematica?
Il mio problema è che non capisco se mi si presenta il concetto tramite la definizione matematica senza dirmi perchè, a che serve, quale interpretazione ha, ecc.
In fondo la fisica stessa consiste nell'associare entità matematiche a concetti fisici, costruire una teoria e poi verificare sperimentalmente i risultati. Sbaglio?
Ad esempio per me la tua spiegazione delle eq. di Eulero-Lagrange è troppo difficile, non capisco cosa viene rappresentato nella realtà fisica da quelle definizioni matematiche. Cosa rappresenta $M$? E $\pi$? Nel prossimo messaggio provo a spiegarti cosa sono per me le eq. di Eulero-Lagrange, mi rendo conto che è un approccio ingenuo a questo punto.
Come faccio a sbloccarmi?
Come faccio a sviluppare una mentalità matematica?
Il mio problema è che non capisco se mi si presenta il concetto tramite la definizione matematica senza dirmi perchè, a che serve, quale interpretazione ha, ecc.
In fondo la fisica stessa consiste nell'associare entità matematiche a concetti fisici, costruire una teoria e poi verificare sperimentalmente i risultati. Sbaglio?
Ad esempio per me la tua spiegazione delle eq. di Eulero-Lagrange è troppo difficile, non capisco cosa viene rappresentato nella realtà fisica da quelle definizioni matematiche. Cosa rappresenta $M$? E $\pi$? Nel prossimo messaggio provo a spiegarti cosa sono per me le eq. di Eulero-Lagrange, mi rendo conto che è un approccio ingenuo a questo punto.
Come faccio a sbloccarmi?
Esempio di come io ho "capito" le eq. di Eulero-Lagrange.
Supponiamo di avere una particella puntiforme di cui vogliamo calcolare la legge del moto.
Innanzitutto c'è la meccanica newtoniana. Qui ci basta sapere posizione iniziale, velocità iniziale, campo di forze e possiamo con $F=ma$ ricavare le leggi del moto risolvendo equazioni differenziali.
La meccanica lagrangiana è una visione alternativa, più potente, in cui, a partire da posizione -ed istanti- iniziali e finali e potenziale ci chiediamo quale percorso farà la particella.
A questo punto assegnamo ad ogni percorso un "punteggio" integrando sulla traiettoria il valore di $T-V$.
La condizione che ci permette di trovare la traiettoria reale è che questo punteggio sia "massimo"*. Quindi usiamo i teoremi di calcolo delle variazioni sull'integrale per ricavare le eq. di Eulero-Lagrange. Tali teoremi possono presentare delle difficoltà dovuti al fatto che si tratta di uno spazio di funzioni e quindi la dimensione dello spazio delle possibli traiettorie è infinita. Tuttavia le argomentazioni sono spesso simili al trovare il "massimo" di una funzione, ed infatti si scopre che la traiettoria reale sarà quella che stabilizza il punteggio su citato -e non massimizza, esattamente come la condizione di derivata uguale a 0 per le funzioni-.
Il punteggio citato su si ottiene sulla base di considerazioni di invarianza di lorentz e non è sempre $T-V$.
Poi si sviluppa la meccanica classica compreso teorema di Noether, coordinate generalizzate, spazio delle configurazioni, sistemi "giocattolo", meccanica Hamiltoniana, campi, interazioni campi-particelle, ecc
Questo ragionamento mi ha permesso finora di derivare le eq. di Eulero-Lagrange e ricordarmi i concetti.
Non mi ricordo ovviamente TUTTE le condizioni matematiche formali e le definizioni necessarie a ricavare il tutto ma credo di essere in grado di "capire" la meccanica classica così.
Cioè: se guardo un corso di meccanica classica riesco a capire quello che viene spiegato e riesco a fare gli esercizi.
Questo approccio è sbagliato? Se si come faccio a cambiarlo?
Supponiamo di avere una particella puntiforme di cui vogliamo calcolare la legge del moto.
Innanzitutto c'è la meccanica newtoniana. Qui ci basta sapere posizione iniziale, velocità iniziale, campo di forze e possiamo con $F=ma$ ricavare le leggi del moto risolvendo equazioni differenziali.
La meccanica lagrangiana è una visione alternativa, più potente, in cui, a partire da posizione -ed istanti- iniziali e finali e potenziale ci chiediamo quale percorso farà la particella.
A questo punto assegnamo ad ogni percorso un "punteggio" integrando sulla traiettoria il valore di $T-V$.
La condizione che ci permette di trovare la traiettoria reale è che questo punteggio sia "massimo"*. Quindi usiamo i teoremi di calcolo delle variazioni sull'integrale per ricavare le eq. di Eulero-Lagrange. Tali teoremi possono presentare delle difficoltà dovuti al fatto che si tratta di uno spazio di funzioni e quindi la dimensione dello spazio delle possibli traiettorie è infinita. Tuttavia le argomentazioni sono spesso simili al trovare il "massimo" di una funzione, ed infatti si scopre che la traiettoria reale sarà quella che stabilizza il punteggio su citato -e non massimizza, esattamente come la condizione di derivata uguale a 0 per le funzioni-.
Il punteggio citato su si ottiene sulla base di considerazioni di invarianza di lorentz e non è sempre $T-V$.
Poi si sviluppa la meccanica classica compreso teorema di Noether, coordinate generalizzate, spazio delle configurazioni, sistemi "giocattolo", meccanica Hamiltoniana, campi, interazioni campi-particelle, ecc
Questo ragionamento mi ha permesso finora di derivare le eq. di Eulero-Lagrange e ricordarmi i concetti.
Non mi ricordo ovviamente TUTTE le condizioni matematiche formali e le definizioni necessarie a ricavare il tutto ma credo di essere in grado di "capire" la meccanica classica così.
Cioè: se guardo un corso di meccanica classica riesco a capire quello che viene spiegato e riesco a fare gli esercizi.
Questo approccio è sbagliato? Se si come faccio a cambiarlo?
In fondo la fisica stessa consiste nell'associare entità matematiche a concetti fisici, costruire una teoria e poi verificare sperimentalmente i risultati. Sbaglio?
É assolutamente il contrario. La fisica segue un metodo induttivo cioé dopo una serie di osservazioni si cerca di ricavare una regola generale. Galileo a differenza di Francesco Bacone ha introdotto il linguaggio matematico come fattore determinante per scrivere queste regole della natura. Si chiama metodo scientifico cioé una commistione tra metodo induttivo e deduttivo; fai degli esperimenti e credi di aver intuito una legge, la scrivi in un linguaggio matematico.Dopodiché usi la formula astratta per fare previsioni astratte teoriche e se tali previsioni si rivelano esatte entro un certo limite di errore allora significa che il modello matematico che stai usando é scientificamente valido.
E' assolutamente sbagliato pensare che si costruisce una teoria algebrica astratta e poi con la pesca miracolosa in qualche modo si cerchi di farla aderire alla realtá. forse ho interpretato male il tuo pensiero.
La meccanica lagrangiana è una visione alternativa, più potente, in cui, a partire da posizione -ed istanti- iniziali e finali e potenziale ci chiediamo quale percorso farà la particella.Per meccanica lagrangiana intendi il formalismo lagrangiano? Perché in quel caso hai semplicemente riscritto le equazioni del moto con un cambio di variabili usando il teorema della funzione implicita.