Una domanda sulla funzione esponenziale
Le potenze ad esponente naturale sono definite induttivamente e per induzione e per induzione se ne provano le proprietà.
Le potenze ad esponente intero relativo sono definite in virtù dell'opposto dell'esponente e per induzione se ne provano le proprietà (intendo che una volta posto $alpha=-m$ con $m in ZZ^-$ esponente della potenza si può indurre su $alpha$).
Le potenze ad esponente razionale sono definite per mezzo delle radici.
Le potenze ad esponente reale (quindi anche irrazionale) sono definite come limite delle potenze razionali.
A me veniva quindi naturale pensare all'esponenziale come a quella funzione che dato $a>0$ manda $x in RR$ nel numero $a^x$ calcolato tenendo conto di quanto sopra.
Oggi scopro invece che pensavo male: la funzione esponenziale $exp_a$ è un omomorfismo tra $(RR,+)$ e $(RR^+,cdot)$, si dimostra che per gli $x in NN$ si ha $exp_a (x)= a^x$ con $a^x$ potenza a esponente naturale, si dimostra che per gli $x in ZZ$ si ha $exp_a (x)= a^x$ con $a^x$ potenza a esponente relativo, si dimostra che per $x in QQ$ si ha $exp_a (x)=a^x$ con $a^x$ potenza a esponente razionale e per $x in RR \\ QQ$ si pone $exp_a (x)= a^x = e^(x ln a)$.
Premettendo che questa è una cosa che ho scoperto da solo (il prof. di Analisi sta spiegando le derivate e i differenziali: a proposito la sua definizione di differenziale è variazione infinitamente piccola della variabile differenziata e io a sto punto comincio a chiedermi che senso abbia frequentare...), la domanda è: perché quello che io pensavo era sbagliato?
Voglio dire: se possiamo definire tutte quelle belle potenze, perché è sbagliato definire l'esponenziale in conseguenza di quelle potenze e occorre invece provare che l'esponenziale è un omorfismo tra gruppi e dimostrare conseguentemente che per particolari valori della variabile indipendente l'immagine è calcolata con quelle definizioni algebriche delle potenze?
Io avevo sempre pensato di definire l'esponenziale con le definizioni delle potenze e poi eventualmente provare che se un'altra funzione godeva delle proprietà dell'esponenziale (additività, crescenza stretta et cetera et cetera) allora questa coincideva con l'esponenziale. Oggi scopro che così non è, allora dove è sbagliato il mio pensiero originale?
Le potenze ad esponente intero relativo sono definite in virtù dell'opposto dell'esponente e per induzione se ne provano le proprietà (intendo che una volta posto $alpha=-m$ con $m in ZZ^-$ esponente della potenza si può indurre su $alpha$).
Le potenze ad esponente razionale sono definite per mezzo delle radici.
Le potenze ad esponente reale (quindi anche irrazionale) sono definite come limite delle potenze razionali.
A me veniva quindi naturale pensare all'esponenziale come a quella funzione che dato $a>0$ manda $x in RR$ nel numero $a^x$ calcolato tenendo conto di quanto sopra.
Oggi scopro invece che pensavo male: la funzione esponenziale $exp_a$ è un omomorfismo tra $(RR,+)$ e $(RR^+,cdot)$, si dimostra che per gli $x in NN$ si ha $exp_a (x)= a^x$ con $a^x$ potenza a esponente naturale, si dimostra che per gli $x in ZZ$ si ha $exp_a (x)= a^x$ con $a^x$ potenza a esponente relativo, si dimostra che per $x in QQ$ si ha $exp_a (x)=a^x$ con $a^x$ potenza a esponente razionale e per $x in RR \\ QQ$ si pone $exp_a (x)= a^x = e^(x ln a)$.
Premettendo che questa è una cosa che ho scoperto da solo (il prof. di Analisi sta spiegando le derivate e i differenziali: a proposito la sua definizione di differenziale è variazione infinitamente piccola della variabile differenziata e io a sto punto comincio a chiedermi che senso abbia frequentare...), la domanda è: perché quello che io pensavo era sbagliato?
Voglio dire: se possiamo definire tutte quelle belle potenze, perché è sbagliato definire l'esponenziale in conseguenza di quelle potenze e occorre invece provare che l'esponenziale è un omorfismo tra gruppi e dimostrare conseguentemente che per particolari valori della variabile indipendente l'immagine è calcolata con quelle definizioni algebriche delle potenze?
Io avevo sempre pensato di definire l'esponenziale con le definizioni delle potenze e poi eventualmente provare che se un'altra funzione godeva delle proprietà dell'esponenziale (additività, crescenza stretta et cetera et cetera) allora questa coincideva con l'esponenziale. Oggi scopro che così non è, allora dove è sbagliato il mio pensiero originale?
Risposte
Sono varie maniere diverse di arrivare dalla stessa parte. Quella mediante il morfismo $(RR, +)\to(RR, *)$, come dici tu, è più semplice e ha anche altri vantaggi di natura analitica. Ma è possibilissimo partire dalle potenze ad esponente intero, estendersi a quelle razionali e infine a quelle reali; su molti manuali si fa proprio così, ad esempio sull'Avantaggiati.
Quindi quello che era il mio modo di vedere derivante dagli studi liceali non è sbagliato? Se dicessi "potenza naturale-potenza intera-potenza razionale con radice-potenza reale con limite-funzione esponenziale con assegnazione data dalle potenze" non sarei in errore?
No, assolutamente. Come dicevo il manuale di Avantaggiati procede esattamente così; invece Rudin Principi di analisi matematica, nel quarto capitolo, propone questa costruzione come esercizio (abbastanza difficile, IMHO).
Lo schema è questo:
prendiamo una base, $a$, strettamente positiva (altrimenti avremmo problemi già con gli esponenti razionali, come certamente sai). Cosa siano le potenze ad esponente intero lo sappiamo, è un fatto puramente algebrico.
Vogliamo estenderci agli esponenti razionali e già qui entra in ballo la proprietà del sup dei numeri reali (ogni parte limitata superiormente ha sup). Infatti questa proprietà ci permette di risolvere le equazioni $x^n=a$, e la soluzione è unica per ogni $n$. Lavorandoci un po', arriviamo alle potenze ad esponente razionale.
Ora ci si estende alle potenze con esponente reale, con una costruzione molto interessante (che potrà essere generalizzata a spazi più generali): osserviamo infatti che ogni numero reale è il sup di una famiglia di numeri razionali. Viene naturale allora definire, per ogni $x$ reale, $a^x="sup"{a^(q)\ :\ q\inQQ,\ q<=x}$. Ancora la proprietà del sup di $RR$ ci dirà che questa definizione è ben posta. E poi si tratterà di dimostrare che questa funzione è continua e che è un morfismo $(RR, +)\to(RR, *)$. (*)
Fatto questo lungo lavoro, ci accorgeremo che sono proprio queste due ultime proprietà quelle più importanti della funzione così ottenuta. Viene allora il dubbio: e se rovesciassimo questo processo, costruendo direttamente una funzione siffatta, che succederebbe? Succede che tutto diventa MOLTO più semplice e gestibile.
___________________
(*) Qui per la verità ho qualche dubbio che sia proprio così. Bisognerà distinguere rispetto alla posizione di $a$ rispetto ad $1$, penso. Oppure -ed è questa la costruzione che potremo generalizzare- osservare che la funzione potenza ad esponente razionale trasforma successioni di Cauchy di numeri razionali in successioni di Cauchy di numeri reali. Ma queste ultime sono sempre convergenti (completezza dei numeri reali), e quindi... eccetera eccetera.
Lo schema è questo:
prendiamo una base, $a$, strettamente positiva (altrimenti avremmo problemi già con gli esponenti razionali, come certamente sai). Cosa siano le potenze ad esponente intero lo sappiamo, è un fatto puramente algebrico.
Vogliamo estenderci agli esponenti razionali e già qui entra in ballo la proprietà del sup dei numeri reali (ogni parte limitata superiormente ha sup). Infatti questa proprietà ci permette di risolvere le equazioni $x^n=a$, e la soluzione è unica per ogni $n$. Lavorandoci un po', arriviamo alle potenze ad esponente razionale.
Ora ci si estende alle potenze con esponente reale, con una costruzione molto interessante (che potrà essere generalizzata a spazi più generali): osserviamo infatti che ogni numero reale è il sup di una famiglia di numeri razionali. Viene naturale allora definire, per ogni $x$ reale, $a^x="sup"{a^(q)\ :\ q\inQQ,\ q<=x}$. Ancora la proprietà del sup di $RR$ ci dirà che questa definizione è ben posta. E poi si tratterà di dimostrare che questa funzione è continua e che è un morfismo $(RR, +)\to(RR, *)$. (*)
Fatto questo lungo lavoro, ci accorgeremo che sono proprio queste due ultime proprietà quelle più importanti della funzione così ottenuta. Viene allora il dubbio: e se rovesciassimo questo processo, costruendo direttamente una funzione siffatta, che succederebbe? Succede che tutto diventa MOLTO più semplice e gestibile.
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(*) Qui per la verità ho qualche dubbio che sia proprio così. Bisognerà distinguere rispetto alla posizione di $a$ rispetto ad $1$, penso. Oppure -ed è questa la costruzione che potremo generalizzare- osservare che la funzione potenza ad esponente razionale trasforma successioni di Cauchy di numeri razionali in successioni di Cauchy di numeri reali. Ma queste ultime sono sempre convergenti (completezza dei numeri reali), e quindi... eccetera eccetera.
Il mio prof. di Analisi I procedeva esattamente come il Rudin.
Questo al primo anno (ovviamente) secondo mese di corso.
A proposito, WiZ, se ti interessano ancora quegli appunti (se ne era parlato quattro mesi fa qui), sono riuscito a recuperarli.
Domani dovrei essere al dipartimento almeno fino all'una (il condizionale è d'obbligo, vista la febbra degli ultimi giorni) a seguire corsi di dottorato.
Questo al primo anno (ovviamente) secondo mese di corso.
A proposito, WiZ, se ti interessano ancora quegli appunti (se ne era parlato quattro mesi fa qui), sono riuscito a recuperarli.
Domani dovrei essere al dipartimento almeno fino all'una (il condizionale è d'obbligo, vista la febbra degli ultimi giorni) a seguire corsi di dottorato.
Avevo pensato a questa cosa: sarebbe possibile usare la funzione esponenziale per definire le potenze? CIoè una cosa di questo tipo: definiamo solo le potenze a esponente naturale, poi introduciamo l'esponenziale e diamo come pura notazione $a^x$. Analizziamo la funzione introdotta e notiamo che per $x in NN$ quella notazione si identifica con la potenza a esponente naturale. Poi analizziamo $x in ZZ$ e, non so come, tiriamo fuori che perché la funzione $exp$ sia un omomorfismo tra $(RR,+)$ e $(RR,cdot)$ occorre porre $a^x=1/(a^(-x))$, poi analizziamo $x in QQ$ e notiamo che occorre porre $a^(x=m/n)=root(n)(a)^m$, poi analizziamo il caso $x in RR \\ QQ$ e notiamo che occorre definire $a^x$ mediante la funzione inversa dell'esponenziale.
Ho cercato di trovare risposta consultando il Prodi che prende una strada che non riesco a capire se risponda positivamente alla mia pensata:
In sostanza mi pare che il Prodi dia per implicitamente definita la potenza a esponente naturale e sfrutti le relazioni che l'esponenziale produce sugli interi relativi per spiegare perché la potenza a esponente relativo è definita come è definita sin dalle scuole superiori.
Poi continua:
Quello che mi incuriosisce è la frase in grassetto: non capisco se il Prodi in tutto questo discorso usa la funzione esponenziale per spiegare il perché delle definizioni delle varie potenze a seconda dell'esponente, oppure intende dire che l'assegnazione dell'omomorfismo che sta costruendo non può essere altra se non quella data dalle potenze definite come sono definite a seconda degli esponenti, cioè non mi è ben chiaro se definisce le potenze a esponente negativo e razionale per mezzo della funzione, oppure mostra che la funzione va identificata con quella potenze.
_____________
(*) ${x mapsto a^x}$ è la notazione che il Prodi usa per le funzioni.
Ho cercato di trovare risposta consultando il Prodi che prende una strada che non riesco a capire se risponda positivamente alla mia pensata:
"Prodi - Analisi Matematica - Bollati Boringhieri":
36.1 Teorema. Fissato un numero reale positivo $a$, esiste un unico omomorfismo continuo del gruppo additivo $RR$ (dei numeri reali) nel gruppo moltiplicativo $S$ (dei reali positivi), che manda $1$ in $a$. Per ogni $a != 1$ esso è, inoltre, un isomorfismo di $RR$ su $S$.
36.2 Definizione. Questo omomorfismo si indica col simbolo ${x mapsto a^x}$ (*) e si dice funzione esponenziale di base $a$. Se $a != 1$ l'omomorfismo inverso si dice logaritmo di base $a$ e si indica col simbolo ${y mapsto log_{a} y}$.
Alla dimostrazione del teorema 36.1 premetteremo due lemmi.
36.3 Lemma. Esiste un unico omomorfismo $f : QQ to S$ che manda $1$ nel numero $a>0$. (Ricordiamo che si indica con $QQ$ il corpo dei razionali).
Dimostrazione. Supponiamo che $f$ sia un omomorfismo soddisfacente alla condizione enunciata, e vediamo anzitutto come opera nell'insieme $ZZ$ degli interi relativi (che è un sottogruppo di $QQ$). Per ogni $n$ intero $>0$ deve essere $f(n)=f(1)^n=a^n$; deve essere poi $f(0)=1$; inoltre, per ogni intero $m<0$, posto $m=-k$ deve essere $f(m)=f(-k)=1/(f(k))=1/(a^k)$.
Queste relazioni ci portano a introdurre gli esponenziali negativi (cosa, del resto, familare al lettore da lunga data), cosicché possiamo scrivere, per ogni intero relativo $m$, $f(m)=a^m$. Dunque, è ben individuato un omomorfismo $ZZ to S$ tale che $1 mapsto a$. Cerchiamo di estendere il nostro omomorfismo al gruppo $QQ$ dei razionali.
In sostanza mi pare che il Prodi dia per implicitamente definita la potenza a esponente naturale e sfrutti le relazioni che l'esponenziale produce sugli interi relativi per spiegare perché la potenza a esponente relativo è definita come è definita sin dalle scuole superiori.
Poi continua:
"Prodi - Analisi Matematica - Bollati Boringhieri":
In primo luogo dovrà essere, per ogni $n$ intero $>0$, $f(1/n)=root(n)(a)$ (e non v'è altra scelta possibile, perché deve essere $f(1/n)^n=f(1)=a$, ed è unica, come sappiamo, la radice n-esima dei numeri reali positivi). Consideriamo ora un qualunque numero razionale $m/n$ ($n$ intero $>0$; $m in ZZ$); deve essere necessariamente $f(m/n)=(root(n)(a))^m$. Però - per dimostrare che la definizione dell'omomorfismo può essere estesa a $QQ$ . occorre dimostrare che la definizione posta è coerente, cioè indipendente dalla particolare rappresentazione del numero razionale considerato. Sia dunque $m/n=m'/(n')$, cioè $mn'=m'n$ ($n,n'$ interi $>0$, $m$ ed $m'$ interi relativi). Allora si vede subito che è
(36.1) (root(n)(a))^m=(root(n')(a))^(m')$.
Infatti, essendo evidente l'eguaglianza quando $m$ ed $M'$ sono entrambi nulli, supponiamo che siamo entrambi $>0$. Elevando ambo i membri dalla potenza $mn'=m'n$ si ottiene
$[(root(n)(a))^m]^(nm')=[(root(n)(a)^n]^(m m')=a^(m m')$
e, allo stesso modo
$[(root(n')(a))^(m')]^(mn')=[(root(n')(a)^(n')]^(m m')=a^(m m')$.
Dunque, la (36.1) sussiste per l'unicità della radice $nm'$-esima. Se poi $m$ ed $m'$ sono negativi, basta prendere i reciproci di ambo i membri della (36.1) e poi elevare alla potenza $(-m)n'=(-m')n$. Si dimostra quindi con analogo procedeimento che in $QQ$ vale la relazione $f(x+y)=f(x)f(y)$, cioè $f$ è effettivamente un omomorfismo.
Quello che mi incuriosisce è la frase in grassetto: non capisco se il Prodi in tutto questo discorso usa la funzione esponenziale per spiegare il perché delle definizioni delle varie potenze a seconda dell'esponente, oppure intende dire che l'assegnazione dell'omomorfismo che sta costruendo non può essere altra se non quella data dalle potenze definite come sono definite a seconda degli esponenti, cioè non mi è ben chiaro se definisce le potenze a esponente negativo e razionale per mezzo della funzione, oppure mostra che la funzione va identificata con quella potenze.
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(*) ${x mapsto a^x}$ è la notazione che il Prodi usa per le funzioni.
"WiZaRd":
Avevo pensato a questa cosa: sarebbe possibile usare la funzione esponenziale per definire le potenze? CIoè una cosa di questo tipo: definiamo solo le potenze a esponente naturale, poi introduciamo l'esponenziale e diamo come pura notazione $a^x$. Analizziamo la funzione introdotta e notiamo che per $x in NN$ quella notazione si identifica con la potenza a esponente naturale. Poi analizziamo $x in ZZ$ e, non so come, tiriamo fuori che perché la funzione $exp$ sia un omomorfismo tra $(RR,+)$ e $(RR,cdot)$ occorre porre $a^x=1/(a^(-x))$, poi analizziamo $x in QQ$ e notiamo che occorre porre $a^(x=m/n)=root(n)(a)^m$, poi analizziamo il caso $x in RR \\ QQ$ e notiamo che occorre definire $a^x$ mediante la funzione inversa dell'esponenziale.
Certo. Va benissimo.
Ma se segui questa strada (imho) tanto vale considerare direttamente il caso $x\inRR$. Per costruire tutto "con le mani", ovvero distinguendo i casi $x\inZZ, x\inQQ, x\inRR$, puoi applicare il procedimento dei post precedenti.
Se ti può essere di aiuto, ti cito per sommi capi come si definisce la potenza ad esponente reale nella maniera che dico sopra.
1) Si può dimostrare che esiste una sola funzione $y=y(x)$, reale di variabile reale, tale che ${(y'=y), (y(0)=1):}$. Dimostrare l'unicità è anche facile, è per l'esistenza che serve qualche strumento più avanzato (le serie di potenze).
2) Sfruttando questa relazione fondamentale si verificano le principali proprietà di $e^x$, tra cui quella di essere morfismo di gruppi e di essere monotona strettamente crescente (quindi invertibile).
3) Ora si introduce il logaritmo ed è fatta: per definizione, data $a>0$, $a^x=e^(xloga)$.
Questo modo di procedere, come vedi, è molto snello, e diventa particolarmente trasparente quando lo vedi dal punto di vista dell'analisi complessa. Ha l'unico difetto di richiedere alcuni strumenti analitici più avanzati (ma neanche tanto). La costruzione secondo questi tre punti l'ho presa dal Lang Undergraduate Analysis seconda edizione, capitolo IV.
L'idea è la stessa di quella di Prodi, in fondo, ma parte da un punto di vista più analitico che algebrico. Infatti qui indentifichiamo l'esponenziale mediante la sua proprietà caratterizzante ${(y'=y), (y(0)=1):}$, da cui discende subito l'essere morfismo di gruppi. Lui fa esattamente il contrario. So che questo non risponde alla tua domanda ma spero ti sia di aiuto ugualmente!
In fondo è quello che si fa in Analisi Complessa.
Le potenze ad esponente naturale/intero sono definite per ricorrenza, mentre per $z^zeta$ ($z,zeta \in CC$) c'è la definizione via esponenziale e logaritmo, cioè $z^zeta:=e^(zeta log z)$.
Si vede che se $zeta \in ZZ \subseteq CC$, allora la $z^n$ (definita per ricorrenza) ed $e^(nlogz)$ coincidono.
Vorrei far notare, però, che in $RR$ questo ragionamento implica che le basi delle potenze (sia ad esponente intero che razionale con denominatore dispari) vanno scelte positive, contro il fatto che noi sappiamo dare significato ad espressioni del tipo $(-1)^(1/3)$.
Le potenze ad esponente naturale/intero sono definite per ricorrenza, mentre per $z^zeta$ ($z,zeta \in CC$) c'è la definizione via esponenziale e logaritmo, cioè $z^zeta:=e^(zeta log z)$.
Si vede che se $zeta \in ZZ \subseteq CC$, allora la $z^n$ (definita per ricorrenza) ed $e^(nlogz)$ coincidono.
Vorrei far notare, però, che in $RR$ questo ragionamento implica che le basi delle potenze (sia ad esponente intero che razionale con denominatore dispari) vanno scelte positive, contro il fatto che noi sappiamo dare significato ad espressioni del tipo $(-1)^(1/3)$.
"Gugo82":
Vorrei far notare, però, che in $RR$ questo ragionamento implica che le basi delle potenze (sia ad esponente intero che razionale con denominatore dispari) vanno scelte positive, contro il fatto che noi sappiamo dare significato ad espressioni del tipo $(-1)^(1/3)$.
Proprio a questo riguardo, alcuni (ViciousGoblin sosteneva questo punto di vista tempo fa) distinguono tra scritture come $a^(1/n)$ e $root(n)(a)$, considerando la seconda definita anche per $a$ negative se $n$ è dispari. Questo perché per definire la prima scrittura stiamo usando la $a^(1/n)=e^(1/nloga)$, mentre per la seconda la proprietà algebrica dei numeri reali di risolvere -con unica soluzione- le equazioni $x^n=a$ per ogni $a$, se $n$ è dispari.
IMHO è una questione di lana caprina, ma può essere interessante se uno si appassiona alla precisione del linguaggio formale.
"dissonance":
IMHO è una questione di lana caprina, ma può essere interessante se uno si appassiona alla precisione del linguaggio formale.
E dato che io faccio parte di questa schiera di appassionati mi interesso molto, per cui, domanda: qual è questa discussione in cui ViciousGoblin sostiene questo punto di vista?
Tornando a quello che fa il Prodi, rileggendolo ancora una volta, ritengo che abbia fatto quanto segue:
1) Assunta come implicita la definizione ricorsiva delle potenze ad esponente naturale, mostra che l'omomorfismo continuo tra gruppo additivo reale e gruppo moltiplicativo reale positivo si comporta su $NN subseteq RR$ come si comportano le potenze naturali, quindi identifica la notazione $a^x$ dell'omomorfismo con la notazione $a^x$ delle potenze.
2) Poi analizza il comportamento dell'omomorfismo su $ZZ$ e nota che perché rispetti le condizione poste occorre porre $a^m=a^(-k)=1/(a^k), k in NN$ che va a costituire la definizione di potenza a esponente negativo: sono portato a pensare questo perché dice "Queste relazioni ci portano a introdurre gli esponenziali negativi".
3) Quindi analizza il comportamento dell'omomorfismo su $QQ$ e dovendo essere $f(1/n)^n=a$ ed avendo in una parte precedente del manuale provato l'esistenza e unicità della radice di $x^n=a$, pone $a^(1/n)=root(n)(a)$ che va a costituire la definizione di potenza razionale.
Siete d'accordo?
"WiZaRd":
io faccio parte di questa schiera di appassionati mi interesso molto...
Lo so, l'ho detto apposta

https://www.matematicamente.it/forum/pos ... tml#276544
"WiZaRd":
2) Poi analizza il comportamento dell'omomorfismo su $ZZ$ e nota che perché rispetti le condizione poste occorre porre $a^m=a^(-k)=1/(a^k), k in NN$ che va a costituire la definizione di potenza a esponente negativo: sono portato a pensare questo perché dice "Queste relazioni ci portano a introdurre gli esponenziali negativi".
Sono d'accordo su tutti e tre i punti. Qui faccio una osservazione che sicuramente ti è nota: possiamo svincolarci dal campo reale, questo è un fatto vero in qualsiasi gruppo.
Mi spiego: sia $(G, *)$ un gruppo. Per ogni $g\inG, n\inNN$, è naturale definire $g^n=g*g*...*g$, ovvero come iterazione della $*$. Risulta che $g^(n+m)=g^n*g^m$ per ogni $n, m\inNN$. Se vogliamo estendere la definizione alle $n$ negative, vorremo che questa proprietà sia conservata. In particolare, per ogni $n\inNN$ dovrà essere
$g^(-1)*g=g^(-1+1)=g^(0)=1$ (1 inteso come unità del gruppo, naturalmente). Siamo pertanto obbligati a definire $g^(-n)=[g^(-1)]^n$.
Applicando questo discorso a $(G, *)=(RR-{0}, *)$ otteniamo quello che dice Prodi.
Tutto OK.
Grazie per il link alla discussione: si vede che non frequento molto la sezione generale
Grazie per il link alla discussione: si vede che non frequento molto la sezione generale

Volendo seguire la convenzione "$a^(1/n)$ distinto da $\root(n)(a)$" dovremmo inventare nuovi simboli anche per la potenza ad esponente intero; troppo casino per troppo poco.