Perché è così utile uno spazio di Banach?

Riccardo Desimini
Il topic di oggi è cercare di capire per quale motivo tra i Matematici vada molto di moda il concetto di spazio completo (o di Banach).

In pratica, mi interessa capire attraverso qualche esempio e/o citazione di teorie varie perché il concetto di completezza si sia rivelato così vincente per l'Analisi Funzionale.

Risposte
Paolo902
Bella domanda :-)

Guarda, sono un po' di fretta, però due righe le voglio scrivere comunque, i ricordi del corso di Analisi funzionale dello scorso semestre sono troppo belli. Premetto però che sono tutto fuorché un esperto, spero che magari intervenga qualcuno che sappia spiegarti meglio di me.

Anzitutto, completezza e Banach sono cose diverse. Uno spazio completo non è necessariamente normato; esistono molti spazi vettoriali topologici che non sono normabili ma la topologia è metrizzabile e completa (cioè è indotta da una metrica che rende lo spazio completo). Spazi siffatti si chiamano solitamente F-spazi - o anche spazi di Fréchet se sono localmente convessi. (In realtà, si può definire la completezza anche per spazi solo topologici, passando dai net, ma andremmo troppo lontano). Questi spazi sono più utili di quanto uno possa credere: ahimé, non tutto è così bello da essere normabile (o addirittura da essere uno spazio a prodotto scalare, cioè uno spazio di Hilbert). Esempi concreti ne trovi a palate nella teoria delle distribuzioni alla quale vedo che ti stai interessando.

Per venire più alla tua domanda, mi vengono in mente due cose: la prima è "semplice", la seconda invece la trovo nettamente più ostica. In generale, comunque, penso che molte delle cose che ti sto dicendo siano vere a livello "studente": credo che se ti metti a fare ricerca, il "meraviglioso mondo della completezza" te lo puoi anche sognare. Immagino che spesso uno finisca a lavorare con strutture esotiche e si deve arrangiare come può. Certamente, però, mi sento di dire che all'inizio lavorare in un mondo "bello" può avere dei vantaggi.

Insomma, perché la completezza? Risposta diretta: che te ne fai di uno spazio non completo? Ad esempio, hai mai pensato come sarebbe fare Analisi 1 su $QQ$ anziché su $RR$? Insomma, alla fine uno ha bisogno di un po' di strumenti con cui lavorare; ad esempio, ha bisogno che le successioni giuste (le Cauchy) convergano, altrimenti non c'è speranza di mettere su una teoria "seria" (a parole: i termini si avvicinano quanto vuoi, ma non convergono: brutta roba!). E poi pensa ai vari teoremi che richiedono la completezza e ai loro corollari: per dire, da Banach-Caccioppoli discende Cauchy-Lipschitz, l'inversione locale e la funzione implicita. Anche in dimensione infinita è così: la mappa aperta, il grafico chiuso, l'uniforme limitatezza tirano in ballo spazi completi e insiemi di seconda categoria (e così ci si è ricondotti al lemma di Baire, altro pilastro che usa in maniera chiave la completezza).

Perché i Banach? Be', il mio docente di Analisi funzionale mi ha spiegato che "l'Analisi alla fine si fa sui Banach" per questo motivo: se uno spazio vettoriale topologico $X$ è tale che il duale $X^{\star}$ è metrizzabile completo con una topologia più fine di quella debole-$\star$ allora $X$ è un Banach (mi pare fosse un corollario di Banach-Alaouglu).

Spiegare decentemente questa roba qui in due righe penso sia francamente impossibile, ma la cosa mi aveva particolarmente colpito a suo tempo e ci tenevo a riportarlo.

Ribadisco quanto detto sopra: non sono un esperto. Spero comunque di aver soddisfatto in minima parte la tua curiosità.

gugo82
La riposta bruta è: perché le equazioni differenziali ti chiedono "a gran voce" di lavorare lì dentro (come già avevano capito Caccioppoli, Banach, Hilbert, etc...).

Spiego un po' a braccio, cercando di semplificare il più possibile.
Prendiamo la cosa più banale del mondo, cioé un PdC del tipo:
\[
\begin{cases}
y^\prime (x) = f(x,y(x)) &\text{, in } ]a,b[\\
y(a)=y_0
\end{cases}
\]
in cui \(f\) è "sufficientemente buona" (e.g., continua, o continua e lipschitziana, o di classe \(C^k\), etc...).
L'approccio moderno al PdC è quello di dimostrare prima l'esistenza di soluzioni locali; poi dimostrare che tale soluzione si può prolungare su un sottointervallo \([a,\alpha) \subseteq [a,b]\); ed infine, se possibile, dimostrare anche che la soluzione è pure unica (cosa possibile, ad esempio, sotto condizione di Lipschitz, ma impossibile se si lavora solo con la continuità del secondo membro).

L'esistenza locale è il problema grosso, e di solito si accomoda come segue.
Innanzitutto, si trasforma il problema originario in un problema equivalente ma "strettamente più debole", i.e. nell'equazione integrale:
\[
y(x) = y_0 + \int_a^x f(t,y(t))\ \text{d} t
\]
(il comparativo "più debole" si riferisce al fatto che, mentre nel PdC originario si cercano come soluzioni funzioni aventi la derivata prima continua, nell'equazione integrale si cercano soluzioni che siano meramente continue); poi si prova che il problema "più debole" ha qualche soluzione; infine, si prova che le soluzioni del problema "più debole" sono regolari e soddisfano anche il problema di partenza (quello della regolarità in questo contesto è un problema banale; ma in generale non lo è affatto!).

Il passaggio al problema "più debole" ti fa cambiare drasticamente 1 lo spazio delle funzioni in cui cerchi soluzioni (il più delle volte allargandolo) e 2 l'ottica con la quale guardi al problema.
Mentre il punto 1 è abbastanza evidente (come ho già detto, nel PdC originario la \(y\) è \(C^1\), mentre nell'equazione integrale la \(y\) è solo \(C^0\)), il punto 2 necessita di alcuni commenti: infatti se si guarda la struttura dell'equazione integrale, ci si rende conto che essa è un'equazione del tipo \(y=F(y)\), per un'opportuna funzione \(F\) definita sullo spazio delle funzioni continue (per lo meno intorno ad \(a\)); in particolare, se si pone:
\[
\begin{split}
F: C^0 & \to C^0\\
y &\mapsto y_0+\int_a^x f(t,y(t))\ \text{d} t
\end{split}
\]
l'equazione integrale si scrive proprio come detto sopra.
Ma allora il PdC è "equivalente" all'equazione dei punti uniti per la funzione \(F\), i.e. \(y=F(y)\). Ahhhh... E quindi, se si vuole sfruttare questa analogia, bisogna fare di tutto per far assomigliare quanto più possibile lo spazio \(C^0\) allo spazio dei numeri reali \(\mathbb{R}\), perché, se ci si riesce, si può tentare di applicare tutte le tecniche che funzionano nel campo reale \(\mathbb{R}\) per provare l'esistenza di soluzioni all'equazione \(t=\phi (t)\) pure all'equazione "astratta" \(y=F(y)\), fatte le opportune modifiche.

Come si fa a far assomigliare \(C^0\) ad \(\mathbb{R}\)?
Beh, innanzitutto si nota che in \(\mathbb{R}\) ci sono una somma ed un prodotto per lo scalare; quindi su \(C^0\) si mette una somma ed un prodotto per lo scalare.
Poi, si nota che in \(\mathbb{R}\) è definita una topologia; quindi si prova a definire su \(C^0\) una topologia... Però, la topologia deve essere "fatta bene", perché le operazioni di \(\mathbb{R}\) sono continue rispetto alla topologia; quindi pure le operazioni di \(C^0\) devono risultare continue rispetto alla topologia che si vuole introdurre.
Eh, lo spazio \(\mathbb{R}\) è completo rispetto alla topologia, nel senso che "non ha buchi", e ricordo che questa è la proprietà fondamentale per cui il Calcolo Infinitesimale funziona in \(\mathbb{R}\) e non in \(\mathbb{Q}\); quindi se si vuole portare avanti l'analogia, bisogna che pure \(C^0\) risulti completo rispetto alla topologia che vi si vuole introdurre.
Oh, ma si nota che la topologia definita su \(\mathbb{R}\) non è una topologia qualsiasi, ma è una topologia definita a partire da una distanza, cioé una topologia metrica; quindi su \(C^0\) converrà introdurre una topologia definita a partire da una metrica opportuna.
Infine, si nota che la metrica definita su \(\mathbb{R}\) non è definita a casaccio, ma è indotta da una funzione, i.e. il valore assoluto, che ha alcune importanti proprietà algebriche (e.g., è subadditiva e positivamente omogenea); quindi probabilmente pure queste proprietà si dovranno passare su \(C^0\).

Si conviene, allora, di chiamare norma una funzione che soddisfa le proprietà del valore assoluto in un contesto più astratto; una tale funzione è, ad esempio:
\[
\| y\|_\infty := \max_{x\in [a,b]} |y(x)|
\]
che si chiama "norma del massimo". Usando questa norma, si può costruire una topologia su \(C^0\) con tutte le proprietà elencate sopra... Quindi \(C^0\) è uno spazio di Banach!

Usando allora tutti i teoremi che possono venire suggeriti dal Calcolo Infinitesimale in \(\mathbb{R}\), si può cercare di costruire dei metodi astratti che consentano di risolvere l'equazione \(y=F(y)\) nello spazio \(C^0\) dotato della struttura di spazio di Banach appena costruita.
Fatto ciò, l'esistenza delle soluzioni del PdC è provata...

Ora, questo approccio che può sembrare troppo complicato, è stato uno dei massimi successi dell'Analisi dell'inizio del '900: infatti, sfruttando tale approccio, gli analisti non sono più vincolati a determinare esplicitamente le soluzioni delle EDO (o, peggio, delle PDE) per convincere gli ingegneri che le soluzioni esistono; ma possono anche semplicemente dir loro: "Guarda che la soluzione c'è, anche se non la so scrivere... Quindi ora veditela un po' tu: sei libero di cercarne approssimazioni nel modo che preferisci".
E gli ingegneri sono contenti uguale, anche se un po' si incazzano... :lol:

Rigel1
"gugo82":
[...] per convincere gli ingegneri che le soluzioni esistono; ma possono anche semplicemente dir loro: "Guarda che la soluzione c'è, anche se non la so scrivere... Quindi ora veditela un po' tu: sei libero di cercarne approssimazioni nel modo che preferisci".
E gli ingegneri sono contenti uguale, anche se un po' si incazzano... :lol:

Ma infatti, più in piccolo, è lo stesso principio del teorema degli zeri: grazie alla completezza di \(\mathbb{R}\) puoi dire che qualsiasi funzione continua su un intervallo \([a,b]\) che cambi segno agli estremi ammette zeri nell'intervallo; poi l'ingegnere (o il ragioniere, o chi per esso) si porrà il problema di andarli ad approssimare numericamente.

Noisemaker
"Rigel":
[quote="gugo82"][...] per convincere gli ingegneri che le soluzioni esistono; ma possono anche semplicemente dir loro: "Guarda che la soluzione c'è, anche se non la so scrivere... Quindi ora veditela un po' tu: sei libero di cercarne approssimazioni nel modo che preferisci".
E gli ingegneri sono contenti uguale, anche se un po' si incazzano... :lol:

Ma infatti, più in piccolo, è lo stesso principio del teorema degli zeri: grazie alla completezza di \(\mathbb{R}\) puoi dire che qualsiasi funzione continua su un intervallo \([a,b]\) che cambi segno agli estremi ammette zeri nell'intervallo; poi l'ingegnere (o il ragioniere, o chi per esso) si porrà il problema di andarli ad approssimare numericamente.[/quote]

...che in ogni caso, continuano ad incazzarsi! :D

@Gugo: Leggerti è sempre illuminate...

Rigel1
[ot]Mi ricordo di un mio professore di Teorie quantistiche dei campi che, dopo aver scritto alla lavagna un improbabile integrale (più precisamente, un path integral di Feynman) senza inizio né fine che, ovviamente, nessun essere senziente avrebbe mai affrontato a mani nude (ma nemmeno armato fino ai denti), disse: "vabbé, queste sono cose da ragionieri - ehm - ingegneri - ehm - insomma ci siamo capiti..." :)[/ot]

Riccardo Desimini
"Paolo90":
Anzitutto, completezza e Banach sono cose diverse.

Questa frase mi ha spiazzato. Non lo sapevo!

"Paolo90":
Esempi concreti ne trovi a palate nella teoria delle distribuzioni alla quale vedo che ti stai interessando.

Vedi benissimo (tra l'altro sono ancora in attesa di conferme sul thread riguardante il portar fuori la serie dal prodotto di dualità, al quale si era gentilmente interessato gugo): potresti indicarmene alcuni esplicitamente? Potrebbe essere interessante fare dei confronti concreti.

"gugo82":
L'esistenza locale è il problema grosso, e di solito si accomoda come segue.
Innanzitutto, si trasforma il problema originario in un problema equivalente ma "strettamente più debole", i.e. nell'equazione integrale:
\[ y(x) = y_0 + \int_a^x f(t,y(t))\ \text{d} t \]
(il comparativo "più debole" si riferisce al fatto che, mentre nel PdC originario si cercano come soluzioni funzioni aventi la derivata prima continua, nell'equazione integrale si cercano soluzioni che siano meramente continue); poi si prova che il problema "più debole" ha qualche soluzione; infine, si prova che le soluzioni del problema "più debole" sono regolari e soddisfano anche il problema di partenza (quello della regolarità in questo contesto è un problema banale; ma in generale non lo è affatto!).

Il passaggio al problema "più debole" ti fa cambiare drasticamente 1 lo spazio delle funzioni in cui cerchi soluzioni (il più delle volte allargandolo) e 2 l'ottica con la quale guardi al problema.
Mentre il punto 1 è abbastanza evidente (come ho già detto, nel PdC originario la \( y \) è \( C^1 \), mentre nell'equazione integrale la \( y \) è solo \( C^0 \)), il punto 2 necessita di alcuni commenti: infatti se si guarda la struttura dell'equazione integrale, ci si rende conto che essa è un'equazione del tipo \( y=F(y) \), per un'opportuna funzione \( F \) definita sullo spazio delle funzioni continue (per lo meno intorno ad \( a \)); in particolare, se si pone:
\[ \begin{split} F: C^0 & \to C^0\\ y &\mapsto y_0+\int_a^x f(t,y(t))\ \text{d} t \end{split} \]
l'equazione integrale si scrive proprio come detto sopra.
Ma allora il PdC è "equivalente" all'equazione dei punti uniti per la funzione \( F \), i.e. \( y=F(y) \). Ahhhh... E quindi, se si vuole sfruttare questa analogia, bisogna fare di tutto per far assomigliare quanto più possibile lo spazio \( C^0 \) allo spazio dei numeri reali \( \mathbb{R} \), perché, se ci si riesce, si può tentare di applicare tutte le tecniche che funzionano nel campo reale \( \mathbb{R} \) per provare l'esistenza di soluzioni all'equazione \( t=\phi (t) \) pure all'equazione "astratta" \( y=F(y) \), fatte le opportune modifiche.

Come si fa a far assomigliare \( C^0 \) ad \( \mathbb{R} \)?
Beh, innanzitutto si nota che in \( \mathbb{R} \) ci sono una somma ed un prodotto per lo scalare; quindi su \( C^0 \) si mette una somma ed un prodotto per lo scalare.
Poi, si nota che in \( \mathbb{R} \) è definita una topologia; quindi si prova a definire su \( C^0 \) una topologia... Però, la topologia deve essere "fatta bene", perché le operazioni di \( \mathbb{R} \) sono continue rispetto alla topologia; quindi pure le operazioni di \( C^0 \) devono risultare continue rispetto alla topologia che si vuole introdurre.
Eh, lo spazio \( \mathbb{R} \) è completo rispetto alla topologia, nel senso che "non ha buchi", e ricordo che questa è la proprietà fondamentale per cui il Calcolo Infinitesimale funziona in \( \mathbb{R} \) e non in \( \mathbb{Q} \); quindi se si vuole portare avanti l'analogia, bisogna che pure \( C^0 \) risulti completo rispetto alla topologia che vi si vuole introdurre.
Oh, ma si nota che la topologia definita su \( \mathbb{R} \) non è una topologia qualsiasi, ma è una topologia definita a partire da una distanza, cioé una topologia metrica; quindi su \( C^0 \) converrà introdurre una topologia definita a partire da una metrica opportuna.
Infine, si nota che la metrica definita su \( \mathbb{R} \) non è definita a casaccio, ma è indotta da una funzione, i.e. il valore assoluto, che ha alcune importanti proprietà algebriche (e.g., è subadditiva e positivamente omogenea); quindi probabilmente pure queste proprietà si dovranno passare su \( C^0 \).

Si conviene, allora, di chiamare norma una funzione che soddisfa le proprietà del valore assoluto in un contesto più astratto; una tale funzione è, ad esempio:
\[ \| y\|_\infty := \max_{x\in [a,b]} |y(x)| \]
che si chiama "norma del massimo". Usando questa norma, si può costruire una topologia su \( C^0 \) con tutte le proprietà elencate sopra... Quindi \( C^0 \) è uno spazio di Banach!

Usando allora tutti i teoremi che possono venire suggeriti dal Calcolo Infinitesimale in \( \mathbb{R} \), si può cercare di costruire dei metodi astratti che consentano di risolvere l'equazione \( y=F(y) \) nello spazio \( C^0 \) dotato della struttura di spazio di Banach appena costruita.
Fatto ciò, l'esistenza delle soluzioni del PdC è provata...

Ora, questo approccio che può sembrare troppo complicato, è stato uno dei massimi successi dell'Analisi dell'inizio del '900: infatti, sfruttando tale approccio, gli analisti non sono più vincolati a determinare esplicitamente le soluzioni delle EDO (o, peggio, delle PDE) per convincere gli ingegneri che le soluzioni esistono; ma possono anche semplicemente dir loro: "Guarda che la soluzione c'è, anche se non la so scrivere... Quindi ora veditela un po' tu: sei libero di cercarne approssimazioni nel modo che preferisci".
E gli ingegneri sono contenti uguale, anche se un po' si incazzano... :lol:

Questa risposta si avvicina molto alle mie aspettative, nel senso che dà un'idea di come sia potuto nascere e con quale utilità il concetto di spazio di Banach.
La cosa che mi lascia perplesso è: come fa a funzionare una cosa simile? Lo trovo semplicemente incredibile. E poi, in che senso "equivalente" (riferito al PdC)?

Siete stati entrambi molto gentili, vi ringrazio molto.

Paolo902
"Riccardo Desimini":
[quote="Paolo90"]Anzitutto, completezza e Banach sono cose diverse.

Questa frase mi ha spiazzato. Non lo sapevo!
[/quote]

Ma sì che lo sapevi, dai, non ti credo :-D
Ad ogni modo, per aggiungere qualche altra informazione, parecchio tempo fa mi hanno raccontato che il teorema di Banach-Caccioppoli - le contrazioni, appunto - fu dimostrato da Banach negli spazi... di Banach ( :lol: ); in seguito, Caccioppoli si accorse che bastava uno spazio metrico completo e quindi il teorema prese questo nome. La differenza può sembrare sottile ma non lo è: se ci pensi, Caccioppoli ha dimostrato che se tu prendi un qualunque insieme, lo munisci di una distanza che lo rende spazio metrico completo, allora ogni contrazione ha un unico punto fisso. Qualunque insieme: non serve avere struttura, non devi saper fare somme e/o prodotti per scalare.

"Riccardo Desimini":

[quote="Paolo90"]Esempi concreti ne trovi a palate nella teoria delle distribuzioni alla quale vedo che ti stai interessando.

Vedi benissimo (tra l'altro sono ancora in attesa di conferme sul thread riguardante il portar fuori la serie dal prodotto di dualità, al quale si era gentilmente interessato gugo): potresti indicarmene alcuni esplicitamente? Potrebbe essere interessante fare dei confronti concreti.
[/quote]

Mi chiedi esempi di F-spazi o spazi di Fréchet, insomma esempi di spazi non normabili? Be', ad esempio prendi il solito \( \mathscr C^{\infty}(\Omega) \), con $\Omega$ aperto non vuoto di $\RR^n$. Che topologia ci metti? I \( \mathscr C^k \) con $k \in \NN$ sono tutti Banach - con la solita norma - ma \( \mathscr C^{\infty} \)? La topologia che di solito si piazza su questo insieme è costruita prendendo un'esaustione numerabile in compatti e definendo - su questi compatti - una famiglia (numerabile) di seminorme. Da qui, con una tecnica piuttosto standard, si riesce a definire esplicitamente una metrica che si verifica essere completa. Inoltre, si dimostra che vale Heine Borel, cioè i compatti sono tutti e soli i chiusi e limitati. Da ciò, poi si deduce che tale spazio non può essere localmente limitato e questo implica che non è normabile. Sono stato abbastanza rapido, ne sono consapevole: per i dettagli ti rimando al Rudin, Functional Analysis, cap. 1 (che è dove ho studiato io questa cosa). Circa il legame che \( \mathscr C^{\infty}(\Omega) \) ha con la teoria delle distribuzioni non credo di dover dire molto, dati i tuoi studi in materia (come saprai, esso è essenzialmente legato - mediante il solito argomento di dualità - alle distribuzioni a supporto compatto).

Altri esempi che ti accenno solamente: lo spazio $H(\Omega)$, costituito dalle funzioni olomorfe in un aperto di $\CC^n$. Come sopra si mostra che è metrizzabile completo, vale Heine-Borel, non è localmente limitato quindi non è normabile: quindi è un Fréchet. Ancora, gli spazi $L^p$, con $p \in (0,1)$: non sono molto usati, in realtà (perché sostanzialmente non hanno duale), ma si dimostra che una certa metrica (analoga ma non uguale a quella usuale sugli $L^p$ con $p\ge 1$) rende lo spazio completo, ma non localmente convesso. Da ciò segue, ancora una volta, l'impossibilità di "normarlo" (e segue anche subito che non c'è duale) e questo è l'esempio classico di F-spazio.

"Riccardo Desimini":
Siete stati entrambi molto gentili, vi ringrazio molto.

Figurati, è un piacere discutere con persone intelligenti e curiose (anche se comunque penso che il mio contributo sia minimo in confronto a quello di gugo). :wink:

Riccardo Desimini
"Paolo90":
Ma sì che lo sapevi, dai, non ti credo :-D

Giuro, sulla dispensa del corso che sto seguendo (Analisi Funzionale e Trasformate per Ingegneria) c'è scritta una roba del tipo: uno spazio normato \( X \) si dice completo (o di Banach) se etc..

Paolo902
Ehm, forse non mi sono spiegato bene e non vorrei aver generato confusione.

Per spazi normati, l'attributo "completo" e la locuzione "di Banach" sono perfettamente sinonimi (e quindi la definizione che riporti ha perfettamente senso). Ciò non è più vero per insiemi in generale: in altre parole, se mi dici "spazio di Banach" io penso a uno spazio vettoriale normato completo. Se mi dici che uno spazio è completo penso che lo spazio è "solo" metrico completo, non necessariamente normato. Spero che ora sia chiaro e mi scuso in caso contrario.

vict85
"Rigel":
Ma infatti, più in piccolo, è lo stesso principio del teorema degli zeri: grazie alla completezza di \(\mathbb{R}\) puoi dire che qualsiasi funzione continua su un intervallo \([a,b]\) che cambi segno agli estremi ammette zeri nell'intervallo; poi l'ingegnere (o il ragioniere, o chi per esso) si porrà il problema di andarli ad approssimare numericamente.


Sapere che una soluzione esiste non implica che quest'ultima sia approssimabile. Il problema potrebbe essere tremendamente mal condizionato. Comunque anche tutta la teoria delle approssimazioni ‘vive’ negli spazi di Banach.

Rigel1
Beh, male che vada con una bella bisezione uno zero lo approssimi...

Quinzio
"gugo82":

E gli ingegneri sono contenti uguale, anche se un po' si incazzano... :lol:


[ot]Non avendo idea di cosa sia uno spazio di Banach, mi fido di voi.


[/ot]

Riccardo Desimini
"Paolo90":
Ehm, forse non mi sono spiegato bene e non vorrei aver generato confusione.

Per spazi normati, l'attributo "completo" e la locuzione "di Banach" sono perfettamente sinonimi (e quindi la definizione che riporti ha perfettamente senso). Ciò non è più vero per insiemi in generale: in altre parole, se mi dici "spazio di Banach" io penso a uno spazio vettoriale normato completo. Se mi dici che uno spazio è completo penso che lo spazio è "solo" metrico completo, non necessariamente normato. Spero che ora sia chiaro e mi scuso in caso contrario.

Tranquillo Paolo, sono io che ho letto la cosa in maniera un po' superficiale, ora mi è più chiaro. Grazie.

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