Misura di Riemann e Misura di Lebesgue
Salve,
nella misura di Lebesgue, considerando un insieme $I sube RR^n$ ,esso si dice misurabile secondo Lebesgue se la misura interna e la misura esterna coincidono.
La misura interna è definita come l'estremo superiore dell'insieme delle misure di un insieme K compatto sottoinsieme di I.
La misura esterna è definita come l'estremo inferiore dell'insieme delle misure di un insieme A aperto,limitato,non vuoto, contenente I.
Se misura esterna = misura interna,l'insieme si dice misurabile secondo Lebesgue,e la misura è pari a misura esterna = misura interna = misura .
La mia domanda è questa:esiste una teoria di Riemann sulla misura in $RR^n$ ? E' in contrasto con quella di Lebesgue?Se è si dove?
Grazie
nella misura di Lebesgue, considerando un insieme $I sube RR^n$ ,esso si dice misurabile secondo Lebesgue se la misura interna e la misura esterna coincidono.
La misura interna è definita come l'estremo superiore dell'insieme delle misure di un insieme K compatto sottoinsieme di I.
La misura esterna è definita come l'estremo inferiore dell'insieme delle misure di un insieme A aperto,limitato,non vuoto, contenente I.
Se misura esterna = misura interna,l'insieme si dice misurabile secondo Lebesgue,e la misura è pari a misura esterna = misura interna = misura .
La mia domanda è questa:esiste una teoria di Riemann sulla misura in $RR^n$ ? E' in contrasto con quella di Lebesgue?Se è si dove?
Grazie
Risposte
Si, interesserebbe molto anche a me questa cosa, ma non ho trovato nulla per ora online.
No, non esiste una "teoria della misura di Riemann".
Ciò, fondamentalmente, è dovuto a ragioni storiche: la sistemazione della Teoria classica dell'Integrazione per le funzioni di una variabile reale, in massima parte dovuta a Riemann (ma con contibuti fondamentali di altri matematici illustrissimi, come Cauchy, Darboux, Jordan, etc...), è stata il presupposto storico per l'ideazione della Teoria della Misura, che successivamente è diventata la base della teoria dell'integrazione.
Si potrebbe pensare, allora, che Riemann non aveva alcuna idea del fatto che servisse una base di quel tipo per proggettare una teoria dell'integrazione sufficientemente generale: però, se si va a leggere attentamente il criterio di integrabilità di Riemann, cioè il teorema:
si vede che ciò non è del tutto vero, poiché in esso si dice che l'insieme delle discontinuità di \(f\) deve essere (in qualche modo) "piccolo".
Il vero problema era un altro.
Come mostra il teorema citato, al tempo di Riemann si avevano chiare due cose: cioè che le funzioni continue in un compatto fossero integrabili; e che le funzioni limitate in un compatto non integrabili dovessero presentare "parecchie" discontinuità; quindi l'integrabilità di una funzione dipendeva in modo essenziale dalla "grandezza" dell'insieme dei suoi punti di discontinuità. Il problema è che non si aveva chiaro cosa si dovesse intendere come "grandezza" dell'inisieme dei punti di discontinuità di una funzione, cioè non si sapeva quale fosse il modo migliore di "misurare" l'insieme dei punti di discontinuità.
Quindi la ricerca si orientò verso il cercare un modo per "misurare" la grandezza degli insiemi e di caratterizzare la classe delle funzioni limitate ed integrabili in funzione della "grandezza" dell'insieme dei punti di discontinuità.
Le strade seguite furono, essenzialmente, tre:
[list=1]
[*:1an3798i] la strada più semplice era quella di trovare un modo di "contare" gli elementi di un insieme e di formulare un "concetto di grandezza" corrispondente alla quantità di punti contati nell'insieme; questa strada fu presa da Cantor (quindi la Teoria della Cardinalità, caposaldo dell'Algebra moderna, affonda le radici in un problema puramente analitico), ma si rivelò inefficace per la risoluzione completa del problema in questione;
[/*:m:1an3798i]
[*:1an3798i] la seconda era più complicata e si basava su una nozione "topologica" di grandezza: in particolare, si fondava il "concetto di grandezza" di un insieme sulla non-densità del complementare di tale insieme; questa strada fu presa da Baire (e portò alla definizione degli insiemi di prima categoria e di seconda categoria che oggi è importante in molte questioni di Analisi Funzionale), ma anch'essa si rivelò inutile per la risoluzione del problema;
[/*:m:1an3798i]
[*:1an3798i] la terza strada si basava sull'idea intuitiva che per avere una buona misura della grandezza di un insieme bastasse misurarne la "lunghezza": quindi bisognava (ri)definire in maniera precisa il "concetto di lunghezza"; questa strada fu presa da Peano, Jordan e Lebesgue e portò alla nascita della moderna Teoria della Misura, come base della Teoria dell'Integrazione.[/*:m:1an3798i][/list:o:1an3798i]
Il più delle volte si dice, erroneamente, che la teoria dell'integrazione di Riemann è basata sulla teoria della misura di Peano e Jordan: quindi se volete cercare di capire il significato geometrico dell'integrale di Riemann basta che vi informiate sulla teoria di Peano-Jordan.
Ciò, fondamentalmente, è dovuto a ragioni storiche: la sistemazione della Teoria classica dell'Integrazione per le funzioni di una variabile reale, in massima parte dovuta a Riemann (ma con contibuti fondamentali di altri matematici illustrissimi, come Cauchy, Darboux, Jordan, etc...), è stata il presupposto storico per l'ideazione della Teoria della Misura, che successivamente è diventata la base della teoria dell'integrazione.
Si potrebbe pensare, allora, che Riemann non aveva alcuna idea del fatto che servisse una base di quel tipo per proggettare una teoria dell'integrazione sufficientemente generale: però, se si va a leggere attentamente il criterio di integrabilità di Riemann, cioè il teorema:
Sia \(f:[a,b]\to \mathbb{R}\) limitata.
La \(f\) è integrabile in \([a,b]\) se e solo se, comunque si fissino \(\varepsilon ,\eta >0\), esiste un \(\delta >0\) tale che, per ogni partizione \(D\) di \([a,b]\) con ampiezza minore di \(\delta\), sia più piccola di \(\varepsilon\) la somma delle ampiezze degli intervallini di \(D\) in cui l'oscillazione di \(f\) superi \(\eta\).
si vede che ciò non è del tutto vero, poiché in esso si dice che l'insieme delle discontinuità di \(f\) deve essere (in qualche modo) "piccolo".
Il vero problema era un altro.
Come mostra il teorema citato, al tempo di Riemann si avevano chiare due cose: cioè che le funzioni continue in un compatto fossero integrabili; e che le funzioni limitate in un compatto non integrabili dovessero presentare "parecchie" discontinuità; quindi l'integrabilità di una funzione dipendeva in modo essenziale dalla "grandezza" dell'insieme dei suoi punti di discontinuità. Il problema è che non si aveva chiaro cosa si dovesse intendere come "grandezza" dell'inisieme dei punti di discontinuità di una funzione, cioè non si sapeva quale fosse il modo migliore di "misurare" l'insieme dei punti di discontinuità.
Quindi la ricerca si orientò verso il cercare un modo per "misurare" la grandezza degli insiemi e di caratterizzare la classe delle funzioni limitate ed integrabili in funzione della "grandezza" dell'insieme dei punti di discontinuità.
Le strade seguite furono, essenzialmente, tre:
[list=1]
[*:1an3798i] la strada più semplice era quella di trovare un modo di "contare" gli elementi di un insieme e di formulare un "concetto di grandezza" corrispondente alla quantità di punti contati nell'insieme; questa strada fu presa da Cantor (quindi la Teoria della Cardinalità, caposaldo dell'Algebra moderna, affonda le radici in un problema puramente analitico), ma si rivelò inefficace per la risoluzione completa del problema in questione;
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[*:1an3798i] la seconda era più complicata e si basava su una nozione "topologica" di grandezza: in particolare, si fondava il "concetto di grandezza" di un insieme sulla non-densità del complementare di tale insieme; questa strada fu presa da Baire (e portò alla definizione degli insiemi di prima categoria e di seconda categoria che oggi è importante in molte questioni di Analisi Funzionale), ma anch'essa si rivelò inutile per la risoluzione del problema;
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[*:1an3798i] la terza strada si basava sull'idea intuitiva che per avere una buona misura della grandezza di un insieme bastasse misurarne la "lunghezza": quindi bisognava (ri)definire in maniera precisa il "concetto di lunghezza"; questa strada fu presa da Peano, Jordan e Lebesgue e portò alla nascita della moderna Teoria della Misura, come base della Teoria dell'Integrazione.[/*:m:1an3798i][/list:o:1an3798i]
Il più delle volte si dice, erroneamente, che la teoria dell'integrazione di Riemann è basata sulla teoria della misura di Peano e Jordan: quindi se volete cercare di capire il significato geometrico dell'integrale di Riemann basta che vi informiate sulla teoria di Peano-Jordan.