Dubbio su ipotesi m-parametrizzazione
Ciao a tutti.
Il mio problema è questo.
Definisco una $m$-parametrizzazione sulla mia varietà $m$ dimensionale M e la chiamo $varphi $
$varphi :U rarr varphi(U)$ ; $varphi in\mathcal(C^1)(U, mathbb(R)^m )$
Allora per l'immersività della $varphi $ chiedo che $d varphi $ sia iniettivo ovvero il Jacobiano della $varphi $ deve avere rango massimo $v=n-m$ se $n$ è la dimensione dello spazio e $m$ la dimensione della mia varietà immersa (v è la codimensione di M).
Per quanto riguarda $U$ lo definisco aperto di $mathbb(R)^v $ tale che, essendo $varphi$ immersivo e continuo con derivata continua, $varphi(U)$ sia aperto. Per fare ciò devo considerare il diffeomorfismo locale su U cosi che io possa invertire la $varphi$ e mappare aperti in aperti. Ecco allora il ragionamento fila ma non capisco come mai io debba porre gli aperti come elementi del dominio della $varphi$ e non possa parametrizzare una sfera, ad esempio, con un chiuso, essendo \(\displaystyle B3(0,r) \) chiusa e limitata (una sfera è un compatto). Quindi se devo parametrizzare un compatto perché uso gli aperti come elementi del dominio della $varphi$?
Faccio l'esempio di una superficie sferica sul piano xz posta in rotazione attorno all'asse z. Considero la mappa delle coordinate cilindriche dello spazio $P3(r,z,alpha)=(rcos(alpha),rsen(alpha),z)$ che è un \(\displaystyle diffeomorfismo \) da ]0,+\(\infty\)] x $mathbb(R)$ x ]0,$2pi$)[ su $mathbb(R)^3$-$[(x,0 ,z), r>=0,z in mathbb(R) ]$ . Infatti ho nel dominio il prodotto cartesiano di aperti che mi rendono il determinante del Jacobiano diverso da 0 cosi che la mia mappa $P3$ abbia differenziale biiettivo e quindi sia invertibile e quindi escludo il punto $(0,0,z)$. Escludo anche la superficie del dominio normale sul piano xz (dominio semplice rispetto all' asse y) perché se considerassi l'angolo di rotazione superiore o uguale a $2pi$ la mia parametrizzazione non sarebbe iniettiva e quindi non sarebbe più un diffeomorfismo. Infatti per $alpha=0$ e $alpha=2pi$ otterrei la stessa immagine. Tutte queste considerazioni le ho fatte per poter applicare il cambio di coordinate nell'integrale. Il prolema è che cosi facendo ho escluso un Insieme a Misura nulla.
Ma se devo calcolare la misura del toro ovvero il suo volume o la sua area, perché non mi è possibile avere una parametrizzazione globale che mandi chiusi nel compatto M cosi da potermi calcolare l'area/il volume senza trascurare equatore e circonferenza (superficie equatoriale/superficie) sul piano xz?
So che hanno misura nulla quindi il risultato non cambia ma non mi è chiara l'importanza di avere domini aperti per le parametrizzazioni definite su aperti quando il mio scopo è parametrizzare dei compatti per poi poterle integrare ad esempio considerando la rotazione di superfici nello spazio attorno ad un asse come in questo caso (Guldino).
Sono consapevole di non avere chiare certe cose che magari sono lampanti e vi chiedo un aiuto proprio per evitare confusioni o approssimazioni.
In pratica mi manca una conferma per sapere se ciò che sto dicendo ha senso chiederselo oppure no e se ciò che ho scritto è giusto.
Vi ringrazio per la disponibilità.
Il mio problema è questo.
Definisco una $m$-parametrizzazione sulla mia varietà $m$ dimensionale M e la chiamo $varphi $
$varphi :U rarr varphi(U)$ ; $varphi in\mathcal(C^1)(U, mathbb(R)^m )$
Allora per l'immersività della $varphi $ chiedo che $d varphi $ sia iniettivo ovvero il Jacobiano della $varphi $ deve avere rango massimo $v=n-m$ se $n$ è la dimensione dello spazio e $m$ la dimensione della mia varietà immersa (v è la codimensione di M).
Per quanto riguarda $U$ lo definisco aperto di $mathbb(R)^v $ tale che, essendo $varphi$ immersivo e continuo con derivata continua, $varphi(U)$ sia aperto. Per fare ciò devo considerare il diffeomorfismo locale su U cosi che io possa invertire la $varphi$ e mappare aperti in aperti. Ecco allora il ragionamento fila ma non capisco come mai io debba porre gli aperti come elementi del dominio della $varphi$ e non possa parametrizzare una sfera, ad esempio, con un chiuso, essendo \(\displaystyle B3(0,r) \) chiusa e limitata (una sfera è un compatto). Quindi se devo parametrizzare un compatto perché uso gli aperti come elementi del dominio della $varphi$?
Faccio l'esempio di una superficie sferica sul piano xz posta in rotazione attorno all'asse z. Considero la mappa delle coordinate cilindriche dello spazio $P3(r,z,alpha)=(rcos(alpha),rsen(alpha),z)$ che è un \(\displaystyle diffeomorfismo \) da ]0,+\(\infty\)] x $mathbb(R)$ x ]0,$2pi$)[ su $mathbb(R)^3$-$[(x,0 ,z), r>=0,z in mathbb(R) ]$ . Infatti ho nel dominio il prodotto cartesiano di aperti che mi rendono il determinante del Jacobiano diverso da 0 cosi che la mia mappa $P3$ abbia differenziale biiettivo e quindi sia invertibile e quindi escludo il punto $(0,0,z)$. Escludo anche la superficie del dominio normale sul piano xz (dominio semplice rispetto all' asse y) perché se considerassi l'angolo di rotazione superiore o uguale a $2pi$ la mia parametrizzazione non sarebbe iniettiva e quindi non sarebbe più un diffeomorfismo. Infatti per $alpha=0$ e $alpha=2pi$ otterrei la stessa immagine. Tutte queste considerazioni le ho fatte per poter applicare il cambio di coordinate nell'integrale. Il prolema è che cosi facendo ho escluso un Insieme a Misura nulla.
Ma se devo calcolare la misura del toro ovvero il suo volume o la sua area, perché non mi è possibile avere una parametrizzazione globale che mandi chiusi nel compatto M cosi da potermi calcolare l'area/il volume senza trascurare equatore e circonferenza (superficie equatoriale/superficie) sul piano xz?
So che hanno misura nulla quindi il risultato non cambia ma non mi è chiara l'importanza di avere domini aperti per le parametrizzazioni definite su aperti quando il mio scopo è parametrizzare dei compatti per poi poterle integrare ad esempio considerando la rotazione di superfici nello spazio attorno ad un asse come in questo caso (Guldino).
Sono consapevole di non avere chiare certe cose che magari sono lampanti e vi chiedo un aiuto proprio per evitare confusioni o approssimazioni.
In pratica mi manca una conferma per sapere se ciò che sto dicendo ha senso chiederselo oppure no e se ciò che ho scritto è giusto.
Vi ringrazio per la disponibilità.
Risposte
Stai facendo una certa confusione con le notazioni: chi è $n$, e per quale motivo $U$ è un aperto di $RR^{n-m}$ (deve essere un aperto di $M$)?
Il suo volume o la sua area (=la misura 2-dimensionale del suo bordo)? Sono cose diverse che si trovano diversamente.
Ma se devo calcolare la misura del toro ovvero il suo volume o la sua area
Il suo volume o la sua area (=la misura 2-dimensionale del suo bordo)? Sono cose diverse che si trovano diversamente.
Ciao Killing Budda.
Allora io ho definito $n$ come dimensione dello spazio in cui M varietà di dimensione $m<=n$ è immersa. Ad esempio ponendo $n=3$ la varietà sarà una superficie in $R^3$ ovvero una 2-varietà in $R^3$. Per la parametrizzazione $varphi$ da $U$ aperto di $R^V$ in $varphi(U)$ aperto di $R^m$ intendo una mappa immersiva che prenda elementi da un dominio di dimensione $v=n-m$ e me li mappi in M che è la mia varietà m-dimensionale. Per intenderci $varphi(t)rarr(cos(t),sen(t))$ mappa t appartenente ad $R$ in $cis(t) sub R$. In questo modo mi è possibile parametrizzare la mia circonferenza (varietà 1 dimensionale in $R^2$ con $n=1+1$). Lo scopo di avere una $varphi$ immersiva è quello di poter diminuire il numero di variabili in pratica uguali al numero di vincoli della mia $varphi$ senza rinunciare all'iniettività della mia applicazione, per poter poter toccare tutti i punti della mia varietà. Per fare questa verifica devo guardare il rango del Jacobiano e accertarmi che abbia rango v essendo definita da $R^v$ a $ R^m$. Nel caso della mappa $cis(t)$ questo è sempre verificato perché $D(cis(t))=(-sen(t),cos(t))$ che ha rango massimo 1 perché il seno e il coseno non si annullano mai contemporaneamente.
La mia domanda è perché devo prendere per forza degli aperti di $R^v$ e non dei chiusi da mappare in tutta la mia varietà che è un compatto?
Per quanto dicevi su $U$ esso è un aperto di $R^(n-m)$ ma $varphi(U)$ è un aperto di M.
So benissimo che area e volume sono cose diverse, le ho messe assieme solo perché il problema sussiste nei due casi, che mi calcoli il volume o l'area di rotazione (ovvero applichi il primo o il secondo teorema di Pappo Guldino) devo in entrambi i casi escludere delle parti di M a misura nulla (per fortuna) e mi chiedo perché non esista una parametrizzazione che mi mappi tutto il compatto partendo da chiusi e non da aperti.
Dimmi pure dove sbaglio, io ho scritto quello che so ma dato che sono concetti abbastanza nuovi sono pronto a capire come funzionano davvero le cose e perché effettivamente io considero $varphi$ immersiva con $varphi in C'(U,R^m)$ con $U$ aperto di $R^v$.
Allora io ho definito $n$ come dimensione dello spazio in cui M varietà di dimensione $m<=n$ è immersa. Ad esempio ponendo $n=3$ la varietà sarà una superficie in $R^3$ ovvero una 2-varietà in $R^3$. Per la parametrizzazione $varphi$ da $U$ aperto di $R^V$ in $varphi(U)$ aperto di $R^m$ intendo una mappa immersiva che prenda elementi da un dominio di dimensione $v=n-m$ e me li mappi in M che è la mia varietà m-dimensionale. Per intenderci $varphi(t)rarr(cos(t),sen(t))$ mappa t appartenente ad $R$ in $cis(t) sub R$. In questo modo mi è possibile parametrizzare la mia circonferenza (varietà 1 dimensionale in $R^2$ con $n=1+1$). Lo scopo di avere una $varphi$ immersiva è quello di poter diminuire il numero di variabili in pratica uguali al numero di vincoli della mia $varphi$ senza rinunciare all'iniettività della mia applicazione, per poter poter toccare tutti i punti della mia varietà. Per fare questa verifica devo guardare il rango del Jacobiano e accertarmi che abbia rango v essendo definita da $R^v$ a $ R^m$. Nel caso della mappa $cis(t)$ questo è sempre verificato perché $D(cis(t))=(-sen(t),cos(t))$ che ha rango massimo 1 perché il seno e il coseno non si annullano mai contemporaneamente.
La mia domanda è perché devo prendere per forza degli aperti di $R^v$ e non dei chiusi da mappare in tutta la mia varietà che è un compatto?
Per quanto dicevi su $U$ esso è un aperto di $R^(n-m)$ ma $varphi(U)$ è un aperto di M.
So benissimo che area e volume sono cose diverse, le ho messe assieme solo perché il problema sussiste nei due casi, che mi calcoli il volume o l'area di rotazione (ovvero applichi il primo o il secondo teorema di Pappo Guldino) devo in entrambi i casi escludere delle parti di M a misura nulla (per fortuna) e mi chiedo perché non esista una parametrizzazione che mi mappi tutto il compatto partendo da chiusi e non da aperti.
Dimmi pure dove sbaglio, io ho scritto quello che so ma dato che sono concetti abbastanza nuovi sono pronto a capire come funzionano davvero le cose e perché effettivamente io considero $varphi$ immersiva con $varphi in C'(U,R^m)$ con $U$ aperto di $R^v$.
"Lebby":
Ciao Killing Budda.
Allora io ho definito $n$ come dimensione dello spazio in cui M varietà di dimensione $m<=n$ è immersa.
Ah, vabbè, con le varietà immerse diventa tutto piu facile allora

La mia domanda è perché devo prendere per forza degli aperti di $R^v$ e non dei chiusi da mappare in tutta la mia varietà che è un compatto?
La risposta breve è che non è quello che vuoi, perché gli oggetti che soddisfano questa proprietà sono, in un senso molto preciso, banali. In particolare,
mi chiedo perché non esista una parametrizzazione che mi mappi tutto il compatto partendo da chiusi e non da aperti.Un omeomorfismo (qualsiasi senso della parola parametrizzazione chiede almeno questo) induce isomorfismi su tutti gli invarianti che attacchi alla varietà; in particolare induce isomorfismi tra i gruppi di omologia singolare, cosicché una varietà $M$ che si riesce a parametrizzare con un unica carta $(M,\psi)$ deve essere tale che
\[ H_n(M,\mathbb Z)\cong H_n(\mathbb R^d,\mathbb Z)\] dato che $RR^d$ (come tutti gli spazi vettoriali topologici) è contraibile, $M$ deve essere pure lei contraibile (sto usando il teorema di Whitehead e il fatto che le varietà topologiche sono tutte in maniera abbastanza semplice dei CW-complessi). Ovviamente avrei potuto usare un invariante smooth della varietà, se $M$ è liscia va benissimo la coomologia di de Rham \(H^*_\text{dR}(M)\), ad esempio. Oppure i gruppi di omotopia, ma sono molto più difficili da calcolare (mentre invece per una grande famiglia di varietà, per esempio i gruppi di Lie classici, abbiamo una comprensione completa della struttura del loro anello di coomologia).
La spiegazione "vera" è più complicata: il fatto è che il problema "qual è la più piccola cardinalità di un atlante per una varietà topologica $M$ tale che \(\{U_i\to M\}_{i\le k(M)}\) siano tutti embedding nullomotopi?" non è affatto banale: questo numero $k(M)$ si chiama "categoria di Lusternik-Schnirelmann" di $M$, e (piuttosto sorprendente) ne è un invariante per omotopia sebbene sia definito da una proprietà squisitamente topologica. Questo numero dà un limite inferiore al numero di punti critici che una funzione regolare $f\in C^\infty(M)$ ammette quando ha $M$ per dominio (c'è una analogia con un'altra teoria: un altro invariante omotopico di $M$, la dimensione dello spazio vettoriale graduato \(H^*_\text{dR}(M)\) ti dà lo stesso lower bound sul numero di punti critici di una funzione, a patto che il suo hessiano non sia mai indefinito in quei punti critici). Una volta mi piaceva un sacco questa roba, poi ho capito che la topologia differenziale è una forma di masochismo cui non volevo prestarmi

Quindi nella sfortunata ipotesi in cui io scegliessi un chiuso da mandare in un chiuso per parametrizzare il mio compatto, la mia varietà (la sfera ad esempio), cosa succederebbe?
Con le sfere non puoi sceglierlo, la sfera ha categoria 2 (prendi due calotte)
Io ho una risposta molto più scema. Il concetto di “varietà differenziabile” si introduce per estendere il calcolo differenziale dallo spazio euclideo a varietà più generali. Ora, il calcolo differenziale dell’analisi 2 si può fare solo sugli APERTI di \(\mathbb R^n\). E questa è una limitazione fondamentale: per fare calcolo differenziale intorno al punto \(x_0\), occorre potersi spostare di un \(\epsilon\) in tutte le direzioni attorno ad \(x_0\).
Conseguentemente, se vogliamo estendere il calcolo differenziale, l’unica maniera sensibile di farlo è considerare parametrizzazioni locali definite sugli aperti (o carte a valori negli aperti - una carta è l’inverso di una parametrizzazione locale). D’altra parte, anche il concetto di “carte compatibili” perde di significato se non consideriamo aperti di \(\mathbb R^n\). (Per definizione, due carte sono compatibili se la funzione di transizione dall’una all’altra è \(C^\infty\)). E senza carte compatibili la definizione di varietà differenziabile perde completamente di senso.
@killing_buddha: e va bene la generalizzazione, ma tirare fuori Lusternik-Schnirnelmann qui mi sembra davvero fuori luogo. Bisogna andare alle radici delle definizioni, non nelle nuvole.
Conseguentemente, se vogliamo estendere il calcolo differenziale, l’unica maniera sensibile di farlo è considerare parametrizzazioni locali definite sugli aperti (o carte a valori negli aperti - una carta è l’inverso di una parametrizzazione locale). D’altra parte, anche il concetto di “carte compatibili” perde di significato se non consideriamo aperti di \(\mathbb R^n\). (Per definizione, due carte sono compatibili se la funzione di transizione dall’una all’altra è \(C^\infty\)). E senza carte compatibili la definizione di varietà differenziabile perde completamente di senso.
@killing_buddha: e va bene la generalizzazione, ma tirare fuori Lusternik-Schnirnelmann qui mi sembra davvero fuori luogo. Bisogna andare alle radici delle definizioni, non nelle nuvole.
Se uno mi chiede il motivo per cui una cosa non si può fare, gli dico il motivo per cui non si può fare

Grazie mille ad entrambi. Dissonance ha colto nel segno perché avendo gia risposto a un mio post in precedenza (e non solo a uno) sa che sono studente di Analisi 2 e nonostante ami la matematica faccio pure ingegneria in cui diciamo la pragmaticità di certe risposte è più efficace in certi casi. Però apprezzo anche lo sforzo di Killing Buddha. Una dimostrazione è sempre una dimostrazione e per quanto io non abbia gli strumenti per capirla, averla sotto gli occhi mi da molta più sicurezza che non averla. D'altronde ad ingegneria siamo abituati a fidarci delle dimostrazioni dei matematici, ma di sicuro finche non ci viene data la dimostrazione (ovviamente a volte solo sbrigativa atta a dirci "lo potete fare") non ha senso iniziare a risolvere i problemi ed è giusto che sia cosi.