Dimostrazione ascissa di convergenza
Ciao a tutti,
devo dimostrare che se una funzione è trasformabile secondo Laplace allora gli unici valori di \( s \) per cui esiste la trasformata sono quelli per i quali \( \operatorname{Re} s > \sigma_0 \) (\( \sigma_0 \) è la cosiddetta ascissa di convergenza) e soprattutto determinare un'espressione esplicita di \( \sigma_0 \) in generale.
Ah, dettaglio non da poco: per fare questa dimostrazione voglio utilizzare l'integrale di Lebesgue.
C'è qualcuno che mi dà un input? Io non so come partire.
devo dimostrare che se una funzione è trasformabile secondo Laplace allora gli unici valori di \( s \) per cui esiste la trasformata sono quelli per i quali \( \operatorname{Re} s > \sigma_0 \) (\( \sigma_0 \) è la cosiddetta ascissa di convergenza) e soprattutto determinare un'espressione esplicita di \( \sigma_0 \) in generale.
Ah, dettaglio non da poco: per fare questa dimostrazione voglio utilizzare l'integrale di Lebesgue.
C'è qualcuno che mi dà un input? Io non so come partire.
Risposte
Determinare analiticamente una formula esplicita per \(\sigma_0\) nel caso generale mi pare proprio impossibile.
Tuttavia credo sia possibile fornire stime più o meno decenti (in effetti, se ben ricordo, la dimostrazione dell'esistenza di \(\sigma_0\) nel caso di funzioni a crescita al più esponenziale è costituita da una stima).
Tuttavia credo sia possibile fornire stime più o meno decenti (in effetti, se ben ricordo, la dimostrazione dell'esistenza di \(\sigma_0\) nel caso di funzioni a crescita al più esponenziale è costituita da una stima).
Mmmh. Cosa ne pensi della dimostrazione che c'è a pagina 32 di questa tesi di laurea?
Quel che non ho capito è come ha fatto a ricavare quell'espressione dell'ascissa di convergenza, o se comunque c'è un altro modo in generale per far vedere che la trasformata di Laplace è definita solo su un insieme del tipo \( \lbrace z \in \mathbb{C} : \operatorname{Re} z > \sigma_0 \rbrace \).
Sai dirmi qualcosa a riguardo?
Quel che non ho capito è come ha fatto a ricavare quell'espressione dell'ascissa di convergenza, o se comunque c'è un altro modo in generale per far vedere che la trasformata di Laplace è definita solo su un insieme del tipo \( \lbrace z \in \mathbb{C} : \operatorname{Re} z > \sigma_0 \rbrace \).
Sai dirmi qualcosa a riguardo?
"Riccardo Desimini":
Mmmh. Cosa ne pensi della dimostrazione che c'è a pagina 32 di questa tesi di laurea?
Quella formula non la ricordavo... L'avevo vista millenni fa, in versione un po' più generale, su un vecchio testo di Widder, ma l'avevo rimossa.

In generale, per la trasformata di Laplace di una distribuzione definita da una funzione \(\varphi \in BV([0,\infty[)\), i.e.:
\[
\mathfrak{L}[\varphi](s) := \int_0^\infty e^{-s\ t}\ \text{d}\varphi (t)
\]
(l'integrale è quello di Stieltjes che si usa in Probabilità), vale la relazione:
\[
\tag{1}
\sigma_0 = \begin{cases} \limsup_{t\to \infty} \frac{1}{t} \log \big| \varphi (t) -\varphi (\infty)\big| &\text{, se } \varphi (\infty):= \lim_{t\to \infty} |\varphi (\infty)| \text{ esiste finito}\\
\limsup_{t\to \infty} \frac{1}{t} \log \big| \varphi (t) \big| &\text{, altrimenti.}
\end{cases}
\]
Nel caso in esame, la \(\varphi\) in (1) è sostituita dalla funzione integrale \(F\) della trasformanda. Ciò è possibile perché \(F\) è assolutamente continua e si ha:
\[
F^\prime (t) = f(t)
\]
q.o. dunque:
\[
\mathfrak{L}[F](s)=\int_0^\infty e^{-s\ t} \text{d} F (t) = \int_0^\infty e^{-s\ t}\ f(t)\ \text{d}t=\mathcal{L}[f](s)
\]
con al secondo membro la trasformata con l'integrale "classico" (Lebesgue o Riemann).
"Riccardo Desimini":
Quel che non ho capito è come ha fatto a ricavare quell'espressione dell'ascissa di convergenza, o se comunque c'è un altro modo in generale per far vedere che la trasformata di Laplace è definita solo su un insieme del tipo \( \lbrace z \in \mathbb{C} : \operatorname{Re} z > \sigma_0 \rbrace \).
Sai dirmi qualcosa a riguardo?
Che la trasformata di Laplace sia definita solo in un semipiano del tipo \(\operatorname{Re}(s)>\sigma_0\) o \(\operatorname{Re}(s)\geq \sigma_0\) si dimostra usando tecniche classiche, molto simili a quelle che si usano per provare che una serie di potenze converge in un intervallo.
Puoi trovare le dimostrazioni, ad esempio, sul Droetsch, Introduction to the Theory and Application of the Laplace Transformation (1974), § 3.
Ci darò un'occhiata.
Tuttavia, mi sai indicare un testo che tratta la trasformata di Laplace sfruttando solo l'integrale di Lebesgue e i teoremi ad esso correlati?
Tuttavia, mi sai indicare un testo che tratta la trasformata di Laplace sfruttando solo l'integrale di Lebesgue e i teoremi ad esso correlati?
Tutti i testi "seri" sulla trasformata di Laplace usano integrali più evoluti di quello di Riemann.
Ok.
Ti spiego qual è il mio dubbio: in pratica io definisco la trasformata di Laplace se riesco a trovare dei valori di \( s \in \mathbb{C} \) per i quali la funzione \( t \mapsto e^{-st}f(t) \in L^1(\mathbb{R}) \) (condizione necessaria e sufficiente per la convergenza dell'integrale di Lebesgue).
Una volta data questa definizione si pone il problema dell'ascissa di convergenza: in questo documento c'è scritto che l'ascissa di convergenza che si definisce ponendo
\[ \sigma_f = \inf \lbrace \sigma \in \mathbb{R} : t \mapsto e^{-\sigma t} f(t) \in L^1(\mathbb{R}) \rbrace \]
è in realtà l'ascissa di convergenza assoluta (che in generale è maggiore o uguale a quella di convergenza semplice).
Quello che non ho capito è il perché: se dal punto di vista di Lebesgue la convergenza e la convergenza assoluta coincidono, com'è possibile che esistano due tipi di ascisse di convergenza e soprattutto perché l'ascissa che ho definito in quel modo è proprio quella assoluta e non quella semplice?
Come si fa a definire a partire dalla mia definizione l'ascissa di convergenza semplice?
Ti spiego qual è il mio dubbio: in pratica io definisco la trasformata di Laplace se riesco a trovare dei valori di \( s \in \mathbb{C} \) per i quali la funzione \( t \mapsto e^{-st}f(t) \in L^1(\mathbb{R}) \) (condizione necessaria e sufficiente per la convergenza dell'integrale di Lebesgue).
Una volta data questa definizione si pone il problema dell'ascissa di convergenza: in questo documento c'è scritto che l'ascissa di convergenza che si definisce ponendo
\[ \sigma_f = \inf \lbrace \sigma \in \mathbb{R} : t \mapsto e^{-\sigma t} f(t) \in L^1(\mathbb{R}) \rbrace \]
è in realtà l'ascissa di convergenza assoluta (che in generale è maggiore o uguale a quella di convergenza semplice).
Quello che non ho capito è il perché: se dal punto di vista di Lebesgue la convergenza e la convergenza assoluta coincidono, com'è possibile che esistano due tipi di ascisse di convergenza e soprattutto perché l'ascissa che ho definito in quel modo è proprio quella assoluta e non quella semplice?
Come si fa a definire a partire dalla mia definizione l'ascissa di convergenza semplice?
Secondo me è una questione di definizioni e di notazioni.
Io non direi che per l'integrale di Lebesgue "convergenza e convergenza assoluta" si equivalgono. Infatti, esistono delle funzioni che sono integrabili secondo Lebesgue ma che non sono assolutamente integrabili secondo Lebesgue.
Quello che è vero è che in $L^1$ integrabilità e assoluta integrabilità coincidono, proprio perché $L^1$ è lo spazio delle funzioni integrabili in modulo.
Il problema è che alcuni testi/autori chiamano "integrabile" una qualunque funzione che ha modulo integrabile, cioè sta in $L^1$. Altri invece distinguono più propriamente tra funzioni "sommabili" o "integrabili" (intendendo che $\int f <+\infty$) e funzioni assolutamente integrabili ($\int |f| <\infty$).
Io non direi che per l'integrale di Lebesgue "convergenza e convergenza assoluta" si equivalgono. Infatti, esistono delle funzioni che sono integrabili secondo Lebesgue ma che non sono assolutamente integrabili secondo Lebesgue.
Quello che è vero è che in $L^1$ integrabilità e assoluta integrabilità coincidono, proprio perché $L^1$ è lo spazio delle funzioni integrabili in modulo.
Il problema è che alcuni testi/autori chiamano "integrabile" una qualunque funzione che ha modulo integrabile, cioè sta in $L^1$. Altri invece distinguono più propriamente tra funzioni "sommabili" o "integrabili" (intendendo che $\int f <+\infty$) e funzioni assolutamente integrabili ($\int |f| <\infty$).
Ah. Adesso capisco perché si parla di ascissa di convergenza assoluta. Ma scusate allora come posso fare per definire l'ascissa di convergenza (non assoluta) con la definizione che ho dato prima?
P.S.: in mio possesso ho due definizioni di \( L^1 \) nello stesso testo:
(1) Sia \( (X, \mathscr{F}, \mu) \) uno spazio di misura. Allora \( L^1(X, \mathscr{F}, \mu) \) è lo spazio vettoriale delle (classi di) funzioni misurabili definite su \( X \) e integrabili rispetto a \( \mu \).
(2) Sia \( I \) un intervallo anche illimitato di \( \mathbb{R} \). Allora \( L^1(I) \) denota lo spazio delle funzioni misurabili \( f : I \rightarrow \mathbb{R} \) (o \( \mathbb{C} \)) per le quali \( \vert f \vert \) è integrabile in \( I \).
Secondo voi queste definizioni sono equivalenti? Secondo me sono in contrasto, ma forse sbaglio io nell'interpretare qualcosa...
P.S.: in mio possesso ho due definizioni di \( L^1 \) nello stesso testo:
(1) Sia \( (X, \mathscr{F}, \mu) \) uno spazio di misura. Allora \( L^1(X, \mathscr{F}, \mu) \) è lo spazio vettoriale delle (classi di) funzioni misurabili definite su \( X \) e integrabili rispetto a \( \mu \).
(2) Sia \( I \) un intervallo anche illimitato di \( \mathbb{R} \). Allora \( L^1(I) \) denota lo spazio delle funzioni misurabili \( f : I \rightarrow \mathbb{R} \) (o \( \mathbb{C} \)) per le quali \( \vert f \vert \) è integrabile in \( I \).
Secondo voi queste definizioni sono equivalenti? Secondo me sono in contrasto, ma forse sbaglio io nell'interpretare qualcosa...
Dipende tutto da che cosa vuol dire "integrabili" nella def. 1. Se si sottointende l'avverbio "assolutamente", allora le due definizioni sono equivalenti. Altrimenti non sono equivalenti e, anzi, direi che la 1 è "sbagliata" - nel senso che generalmente si denota con \( L^1(X, \mathscr F, \mu )\) l'insieme delle funzioni $f$ tali che \( \int_X \vert f \vert d\mu <\infty\).
Ribadisco: non è vero che l'integrale di Lebesgue non distingue tra integrabilità e assoluta integrabilità.
L'ambiguità nasce dal chiamare per brevità "integrabili" tout-court le funzioni che sono modulo-integrabili.
Ribadisco: non è vero che l'integrale di Lebesgue non distingue tra integrabilità e assoluta integrabilità.
L'ambiguità nasce dal chiamare per brevità "integrabili" tout-court le funzioni che sono modulo-integrabili.
Ok perfetto, ti ringrazio.
Per quanto riguarda invece la mia domanda
nessuno sa dirmi nulla?
Per quanto riguarda invece la mia domanda
"Riccardo Desimini":
come posso fare per definire l'ascissa di convergenza (non assoluta) con la definizione che ho dato prima?
nessuno sa dirmi nulla?
"Riccardo Desimini":
Per quanto riguarda invece la mia domanda
[quote="Riccardo Desimini"]come posso fare per definire l'ascissa di convergenza (non assoluta) con la definizione che ho dato prima?
nessuno sa dirmi nulla?[/quote]
Non sono un esperto ma che ne dici di
\[
\sigma_f := \inf \lbrace \sigma \in \mathbb{R} : t \mapsto e^{-\sigma t} f(t) \text{è Lebesgue integrabile su} \mathbb R \rbrace
\]
Sì, dovrebbe andare, ti ringrazio.
Alla luce di quello che ci siamo detti in questo thread, ho alcune domande da fare riguardo a questo argomento.
Quello che vorrei capire con il vostro aiuto è se l'autore di questa tesi sta utilizzando una definizione di sommabilità diversa dalla mia.
In pratica, se io seguo le definizioni che ho dato nel thread sulla Lebesgue-integrabilità, la distinzione tra ascissa di convergenza e ascissa di convergenza assoluta viene completamente a perdere di senso, mentre nella tesi (pagina 37 del documento) questa distinzione continua a sussistere nonostante l'utilizzo dell'integrale di Lebesgue.
L'unica possibilità che mi viene in mente è che la sua definizione di sommabilità sia diversa dalla mia o che, ancora peggio, lui abbia adottato la costruzione alternativa dell'integrale di cui parlava gugo nel thread sulla Lebesgue-integrabilità.
Ora, il mio dubbio è: se io adotto le definizioni che ho presentato nel thread sulla Lebesgue-integrabilità, devo ancora fare la distinzione tra ascissa di convergenza assoluta e ascissa di convergenza oppure posso parlare solamente di ascissa di convergenza facendo coincidere le due nozioni?
Un'altra ipotesi possibile è che lui, dato che parla di sola esistenza della trasformata (ed esistenza del limite), in realtà ammetta come possibili le trasformate di Laplace che hanno integrale infinito (ma comunque esistente). In tal caso il discorso filerebbe, perché allora l'esistenza della trasformata non implica la sommabilità della integranda.
Quello che vorrei capire con il vostro aiuto è se l'autore di questa tesi sta utilizzando una definizione di sommabilità diversa dalla mia.
In pratica, se io seguo le definizioni che ho dato nel thread sulla Lebesgue-integrabilità, la distinzione tra ascissa di convergenza e ascissa di convergenza assoluta viene completamente a perdere di senso, mentre nella tesi (pagina 37 del documento) questa distinzione continua a sussistere nonostante l'utilizzo dell'integrale di Lebesgue.
L'unica possibilità che mi viene in mente è che la sua definizione di sommabilità sia diversa dalla mia o che, ancora peggio, lui abbia adottato la costruzione alternativa dell'integrale di cui parlava gugo nel thread sulla Lebesgue-integrabilità.
Ora, il mio dubbio è: se io adotto le definizioni che ho presentato nel thread sulla Lebesgue-integrabilità, devo ancora fare la distinzione tra ascissa di convergenza assoluta e ascissa di convergenza oppure posso parlare solamente di ascissa di convergenza facendo coincidere le due nozioni?
Un'altra ipotesi possibile è che lui, dato che parla di sola esistenza della trasformata (ed esistenza del limite), in realtà ammetta come possibili le trasformate di Laplace che hanno integrale infinito (ma comunque esistente). In tal caso il discorso filerebbe, perché allora l'esistenza della trasformata non implica la sommabilità della integranda.
La distinzione c'è, perché lì dentro si lavora con funzioni localmente integrabili secondo Lebesgue (ma ci sarebbe anche altrimenti, cioé se si lavorasse con funzioni sommabili).
A quanto ho capito, la storia è la seguente.
Insomma, se \(f\in L_{\text{loc}}^1(0,\infty)\), ha senso istituire la funzione \(\phi :[0,\infty[\times \mathbb{C}\to \mathbb{C}\) ponendo:
\[
\phi (T ;s):= \int_0^T e^{-s\ t}\ f(t)\ \text{d} t\; .
\]
La funzione parziale \(\phi(\cdot; s)\) (per ogni fissato valore del parametro \(s\in \mathbb{C}\)) è una funzione localmente assolutamente continua in \([0,\infty[\): ciò discende dal fatto che, per ogni \(s\in \mathbb{C}\), la funzione integranda \(e^{-st}f(t)\) è in \(L_{\text{loc}}^1\) e da fatti standard di teoria dell'integrazione.
Se per qualche valore di \(s\) esiste finito il \(\lim_{T \to \infty} \phi (T;s)\), chiami il valore di tale limite trasformata di Laplace di \(f\) in \(s\) e lo denoti col simbolo \(\mathcal{L}[f](s)\) oppure \(F(s)\); in altri termini, poni per definizione:
\[ \tag{1}
F(s) := \lim_{T\to \infty} \phi (T;s)\; .
\]
Nota che la convergenza dell'integrale è semplice, perché l'integrando non è preso in modulo.
Con la nozione di trasformata data in precedenza, si dimostra quanto segue:
A questo punto uno è naturalmente portato a porre:
\[
\sigma_0=\sigma_0(f) := \inf \left\{ \operatorname{Re}(s), \text{ con } s\in \mathbb{C} \text{ tale che } F(s) \text{ esiste finito}\right\}\; ;
\]
tale numero è caratterizzato dal fatto che il limite \(\lim_{T\to \infty} \phi (T;s)\) esiste finito per \(\operatorname{Re}(s)>\sigma_0\) e non esiste o non esiste finito per \(\operatorname{Re}(s)<\sigma_0\). Pertanto il numero \(\sigma_0\) è chiamato ascissa di convergenza (semplice) della trasformata di Laplace di \(f\).
Conseguentemente, se \(\sigma_0<\infty\), la (1) definisce una funzione \(F:]\sigma_0,\infty[\to \mathbb{C}\) che si chiama trasformata di Laplace di \(f\) e che ha le numerose proprietà che tutti noi conosciamo.
In maniera del tutto analoga, consideriamo la funzione \(\psi:[0,\infty[\times \mathbb{C}\to \mathbb{C}\) definita ponendo:
\[
\psi (T;s):= \int_0^T |e^{-st}|\ |f(t)|\ \text{d} t = \int_0^T e^{-\operatorname{Re}(s)\ t}\ |f(t)|\ \text{d} t\; .
\]
La funzione parziale \(\psi (\cdot;s)\) è anc'hessa loclamente assolutamente continua in \([0,\infty[\) ed è evidentemente regolare in \(\infty\); in particolare, il:
\[
\tag{2}
\lim_{T\to \infty} \psi (T;s)
\]
o è finito e nonnegativo oppure vale \(\infty\).
Si prova per tale limite un teorema del tutto analogo a quello citato prima per il limite (1), ergo è possibile porre:
\[
\varsigma_0=\varsigma_0(f) := \inf \left\{ \operatorname{Re}(s), \text{ con } s\in \mathbb{C} \text{ tale che } \lim_{T\to \infty} \psi (T;s) \text{ esiste} \right\}\; ;
\]
tale numero è caratterizzato dal fatto che per \(\operatorname{Re}(s)>\varsigma_0\) [risp. per \(\operatorname{Re}(s)<\varsigma_0\)] il limite (2) è finito [risp. è \(\infty\)]. Inoltre è evidente che anche il limite (1) esiste finito, cioé che \(F(s)\) esiste, quando \(\operatorname{Re}(s)>\varsigma_0\).
Pertanto il numero \(\varsigma_0\) si chiama ascissa di convergenza assoluta della trasformata di Laplace di \(f\).
In generale, dato che l'integrale \(\phi (T;s)\) può essere convergente senza esserlo assolutamente, i.e. senza che sia convergente \(\psi (T;s)\),[nota]E questo suppongo di verifichi sia se \(f\in L_{\text{loc}}^1\) sia se \(f\in L^1\), perché c'è quell'esponenziale che modula il contributo di \(f\) nell'integrando...[/nota] è chiaro che \(\sigma_0<\varsigma_0\).
Quindi la differenza tra ascisse di convergenza assoluta e semplice continua a sussistere anche usando l'integrale di Lebesgue.
In particolare, secondo il teorema da te citato, il fatto che per \(\operatorname{Re}(s)>\varsigma_0\) valga:
\[
\lim_{T\to \infty} \int_0^T |e^{-s t}|\ |f(t)|\ \text{d} t <\infty
\]
equivale a dire che \(e^{-st}f(t)\) è una funzione di \(L^1(0,\infty)\) per ogni \(s\) con parte reale "sufficientemente grande"; questo accade, ad esempio, quando \(f\) è di classe esponenziale[nota]Cioé se \(f(t)=\text{O}(e^{at})\) per qualche \(\alpha \in \mathbb{R}\); in questo caso si dice che \(f\) ha ordine esponenziale uguale ad \(\alpha\).[/nota]. In tal caso, infatti, si vede che \(\sigma_0\leq \varsigma_0\leq \alpha\). Tuttavia nessuno assicura che \(\sigma_0=\varsigma_0\) nemmeno in questo caso (o sbaglio)?
A quanto ho capito, la storia è la seguente.
Insomma, se \(f\in L_{\text{loc}}^1(0,\infty)\), ha senso istituire la funzione \(\phi :[0,\infty[\times \mathbb{C}\to \mathbb{C}\) ponendo:
\[
\phi (T ;s):= \int_0^T e^{-s\ t}\ f(t)\ \text{d} t\; .
\]
La funzione parziale \(\phi(\cdot; s)\) (per ogni fissato valore del parametro \(s\in \mathbb{C}\)) è una funzione localmente assolutamente continua in \([0,\infty[\): ciò discende dal fatto che, per ogni \(s\in \mathbb{C}\), la funzione integranda \(e^{-st}f(t)\) è in \(L_{\text{loc}}^1\) e da fatti standard di teoria dell'integrazione.
Se per qualche valore di \(s\) esiste finito il \(\lim_{T \to \infty} \phi (T;s)\), chiami il valore di tale limite trasformata di Laplace di \(f\) in \(s\) e lo denoti col simbolo \(\mathcal{L}[f](s)\) oppure \(F(s)\); in altri termini, poni per definizione:
\[ \tag{1}
F(s) := \lim_{T\to \infty} \phi (T;s)\; .
\]
Nota che la convergenza dell'integrale è semplice, perché l'integrando non è preso in modulo.
Con la nozione di trasformata data in precedenza, si dimostra quanto segue:
Se \(s_0\in \mathbb{C}\) è tale che il limite \(\lim_{T\to \infty} \phi (T;s_0)\) esiste finito, allora per ogni \(s\in \mathbb{C}\) con \(\operatorname{Re}(s)> \operatorname{Re}(s_0)\) il limite \(\lim_{T\to \infty} \phi (T;s)\) esiste finito.
In altre parole, se \(F(s_0)\) esiste allora \(F(s)\) esiste per ogni \(s=\sigma +\imath\ \tau\) nel semipiano \(\sigma > \operatorname{Re}(s_0)\).
Viceversa, se per un certo \(s_0\in \mathbb{C}\) il limite \(\lim_{T\to \infty} \phi (T;s_0)\) non esiste o non è finito, allora per ogni \(s\in \mathbb{C}\) con \(\operatorname{Re}(s)< \operatorname{Re}(s_0)\) il limite \(\lim_{T\to \infty} \phi (T;s)\) non esiste o non esiste finito.
A questo punto uno è naturalmente portato a porre:
\[
\sigma_0=\sigma_0(f) := \inf \left\{ \operatorname{Re}(s), \text{ con } s\in \mathbb{C} \text{ tale che } F(s) \text{ esiste finito}\right\}\; ;
\]
tale numero è caratterizzato dal fatto che il limite \(\lim_{T\to \infty} \phi (T;s)\) esiste finito per \(\operatorname{Re}(s)>\sigma_0\) e non esiste o non esiste finito per \(\operatorname{Re}(s)<\sigma_0\). Pertanto il numero \(\sigma_0\) è chiamato ascissa di convergenza (semplice) della trasformata di Laplace di \(f\).
Conseguentemente, se \(\sigma_0<\infty\), la (1) definisce una funzione \(F:]\sigma_0,\infty[\to \mathbb{C}\) che si chiama trasformata di Laplace di \(f\) e che ha le numerose proprietà che tutti noi conosciamo.
In maniera del tutto analoga, consideriamo la funzione \(\psi:[0,\infty[\times \mathbb{C}\to \mathbb{C}\) definita ponendo:
\[
\psi (T;s):= \int_0^T |e^{-st}|\ |f(t)|\ \text{d} t = \int_0^T e^{-\operatorname{Re}(s)\ t}\ |f(t)|\ \text{d} t\; .
\]
La funzione parziale \(\psi (\cdot;s)\) è anc'hessa loclamente assolutamente continua in \([0,\infty[\) ed è evidentemente regolare in \(\infty\); in particolare, il:
\[
\tag{2}
\lim_{T\to \infty} \psi (T;s)
\]
o è finito e nonnegativo oppure vale \(\infty\).
Si prova per tale limite un teorema del tutto analogo a quello citato prima per il limite (1), ergo è possibile porre:
\[
\varsigma_0=\varsigma_0(f) := \inf \left\{ \operatorname{Re}(s), \text{ con } s\in \mathbb{C} \text{ tale che } \lim_{T\to \infty} \psi (T;s) \text{ esiste} \right\}\; ;
\]
tale numero è caratterizzato dal fatto che per \(\operatorname{Re}(s)>\varsigma_0\) [risp. per \(\operatorname{Re}(s)<\varsigma_0\)] il limite (2) è finito [risp. è \(\infty\)]. Inoltre è evidente che anche il limite (1) esiste finito, cioé che \(F(s)\) esiste, quando \(\operatorname{Re}(s)>\varsigma_0\).
Pertanto il numero \(\varsigma_0\) si chiama ascissa di convergenza assoluta della trasformata di Laplace di \(f\).
In generale, dato che l'integrale \(\phi (T;s)\) può essere convergente senza esserlo assolutamente, i.e. senza che sia convergente \(\psi (T;s)\),[nota]E questo suppongo di verifichi sia se \(f\in L_{\text{loc}}^1\) sia se \(f\in L^1\), perché c'è quell'esponenziale che modula il contributo di \(f\) nell'integrando...[/nota] è chiaro che \(\sigma_0<\varsigma_0\).
Quindi la differenza tra ascisse di convergenza assoluta e semplice continua a sussistere anche usando l'integrale di Lebesgue.
In particolare, secondo il teorema da te citato, il fatto che per \(\operatorname{Re}(s)>\varsigma_0\) valga:
\[
\lim_{T\to \infty} \int_0^T |e^{-s t}|\ |f(t)|\ \text{d} t <\infty
\]
equivale a dire che \(e^{-st}f(t)\) è una funzione di \(L^1(0,\infty)\) per ogni \(s\) con parte reale "sufficientemente grande"; questo accade, ad esempio, quando \(f\) è di classe esponenziale[nota]Cioé se \(f(t)=\text{O}(e^{at})\) per qualche \(\alpha \in \mathbb{R}\); in questo caso si dice che \(f\) ha ordine esponenziale uguale ad \(\alpha\).[/nota]. In tal caso, infatti, si vede che \(\sigma_0\leq \varsigma_0\leq \alpha\). Tuttavia nessuno assicura che \(\sigma_0=\varsigma_0\) nemmeno in questo caso (o sbaglio)?
Ti ringrazio molto per la risposta, quando avrò occasione la leggerò per bene e ti farò eventuali domande di chiarimento.
Intanto ti invito a dare un'occhiata qui: cosa intende dire allora l'autore secondo te con le frasi «Se nella definizione di trasformata si utilizza l’integrale di Lebesgue la questione invece non si pone» e «Nella definizione data in questo testo invece distinguiamo tra convergenza e assoluta convergenza»?
Intanto ti invito a dare un'occhiata qui: cosa intende dire allora l'autore secondo te con le frasi «Se nella definizione di trasformata si utilizza l’integrale di Lebesgue la questione invece non si pone» e «Nella definizione data in questo testo invece distinguiamo tra convergenza e assoluta convergenza»?
Vuol dire, a braccio, che se poni per definizione:
\[
\tag{1}
F(s) := (\mathfrak{L})\int_0^\infty e^{-s t} f(t)\ \text{d} t
\]
(la \((\mathfrak{L})\) denota integrale di Lebesgue) sei portato a dire che (1) vale solo se l'integrando è \(L^1(0,\infty)\) in corrispondenza del valore \(s\). Quindi non distingui tra convergenza e convergenza assoluta.
D'altra parte, posto come sopra:
\[
\tag{2}
F(s) := \lim_{T\to \infty} (\mathfrak{L})\int_0^T e^{-s t} f(t)\ \text{d} t
\]
la distinzione la puoi fare; e ciò ti viene anche dimostrato con l'uso di controesempi.
Mi pare che ci sia sotto un fatto "ovvio": la condizione \(e^{-st} f(t)\) è \(L_{\text{loc}}^1(0,\infty)\) per \(s\) "grande" non implica che \(e^{-s t} f(t)\) è \(L^1(0,\infty)\) per \(s\) "grande"; perciò, in generale, il limite (2) può esistere anche se non esiste l'integrale di Lebesgue (1), cioé in generale non hai l'uguaglianza:
\[
(\mathfrak{L})\int_0^\infty e^{-s t} f(t)\ \text{d} t = \lim_{T\to \infty} (\mathfrak{L})\int_0^T e^{-s t} f(t)\ \text{d} t
\]
(la quale, però, vale in maniera ovvia se l'integrando è \(L^1(0,\infty)\) per il valore fissato del parametro).
\[
\tag{1}
F(s) := (\mathfrak{L})\int_0^\infty e^{-s t} f(t)\ \text{d} t
\]
(la \((\mathfrak{L})\) denota integrale di Lebesgue) sei portato a dire che (1) vale solo se l'integrando è \(L^1(0,\infty)\) in corrispondenza del valore \(s\). Quindi non distingui tra convergenza e convergenza assoluta.
D'altra parte, posto come sopra:
\[
\tag{2}
F(s) := \lim_{T\to \infty} (\mathfrak{L})\int_0^T e^{-s t} f(t)\ \text{d} t
\]
la distinzione la puoi fare; e ciò ti viene anche dimostrato con l'uso di controesempi.
Mi pare che ci sia sotto un fatto "ovvio": la condizione \(e^{-st} f(t)\) è \(L_{\text{loc}}^1(0,\infty)\) per \(s\) "grande" non implica che \(e^{-s t} f(t)\) è \(L^1(0,\infty)\) per \(s\) "grande"; perciò, in generale, il limite (2) può esistere anche se non esiste l'integrale di Lebesgue (1), cioé in generale non hai l'uguaglianza:
\[
(\mathfrak{L})\int_0^\infty e^{-s t} f(t)\ \text{d} t = \lim_{T\to \infty} (\mathfrak{L})\int_0^T e^{-s t} f(t)\ \text{d} t
\]
(la quale, però, vale in maniera ovvia se l'integrando è \(L^1(0,\infty)\) per il valore fissato del parametro).
Non ci crederai, ma era proprio il fatto "ovvio" che mi mancava ed ora si spiegano mooolte cose.
Dunque voglio essere sicuro di aver capito bene; ci sono due strade:
(1) Decido di definire la trasformata di Laplace come
\[ \int_0^{+\infty} f(t) e^{-st}\, \text{d}t \]
Con questa definizione l'ascissa di convergenza assoluta e quella semplice sono uguali (e quindi indistinguibili).
(2) Decido di definire la trasformata di Laplace come
\[ \lim_{\lambda \to +\infty} \int_0^{\lambda} f(t) e^{-st}\, \text{d}t \]
e stavolta l'ascissa di convergenza semplice e assoluta sono diverse e vanno dunque distinte.
Infine, in entrambi i casi si parte da una funzione \( L^1_{\rm loc}(\mathbb{R}) \) con supporto contenuto in \( [0, +\infty) \).
P.S.: ai fini della teoria della trasformata di Laplace, c'è differenza tra il chiedere che le funzioni siano \( L^1_{\rm loc} (0, +\infty) \) e chiedere (come ho fatto io) che la funzione sia \( L^1_{\rm loc}(\mathbb{R}) \) con supporto contenuto in \( [0, +\infty) \)?
Dunque voglio essere sicuro di aver capito bene; ci sono due strade:
(1) Decido di definire la trasformata di Laplace come
\[ \int_0^{+\infty} f(t) e^{-st}\, \text{d}t \]
Con questa definizione l'ascissa di convergenza assoluta e quella semplice sono uguali (e quindi indistinguibili).
(2) Decido di definire la trasformata di Laplace come
\[ \lim_{\lambda \to +\infty} \int_0^{\lambda} f(t) e^{-st}\, \text{d}t \]
e stavolta l'ascissa di convergenza semplice e assoluta sono diverse e vanno dunque distinte.
Infine, in entrambi i casi si parte da una funzione \( L^1_{\rm loc}(\mathbb{R}) \) con supporto contenuto in \( [0, +\infty) \).
P.S.: ai fini della teoria della trasformata di Laplace, c'è differenza tra il chiedere che le funzioni siano \( L^1_{\rm loc} (0, +\infty) \) e chiedere (come ho fatto io) che la funzione sia \( L^1_{\rm loc}(\mathbb{R}) \) con supporto contenuto in \( [0, +\infty) \)?
"Riccardo Desimini":
Non ci crederai, ma era proprio il fatto "ovvio" che mi mancava ed ora si spiegano mooolte cose.
Dunque voglio essere sicuro di aver capito bene; ci sono due strade:
(1) Decido di definire la trasformata di Laplace come
\[ \int_0^{+\infty} f(t) e^{-st}\, \text{d}t \]
Con questa definizione l'ascissa di convergenza assoluta e quella semplice sono uguali (e quindi indistinguibili).
(2) Decido di definire la trasformata di Laplace come
\[ \lim_{\lambda \to +\infty} \int_0^{\lambda} f(t) e^{-st}\, \text{d}t \]
e stavolta l'ascissa di convergenza semplice e assoluta sono diverse e vanno dunque distinte.
Infine, in entrambi i casi si parte da una funzione \( L^1_{\rm loc}(\mathbb{R}) \) con supporto contenuto in \( [0, +\infty) \).
Credo di sì... O, almeno, così me la immagino io.
"Riccardo Desimini":
P.S.: ai fini della teoria della trasformata di Laplace, c'è differenza tra il chiedere che le funzioni siano \( L^1_{\rm loc} (0, +\infty) \) e chiedere (come ho fatto io) che la funzione sia \( L^1_{\rm loc}(\mathbb{R}) \) con supporto contenuto in \( [0, +\infty) \)?
Non credo ci sia alcuna differenza.
Perfetto, ti ringrazio infinitamente per il tuo prezioso contributo.