Significato dei numeri complessi
Ciao a tutti, ho sempre voluto capire il significato di tutto ciò che studio e con la matematica in genere mi è sempre andata bene, ma ora voglio comprendere i numeri complessi fino in fondo, vorrei che diventi tutto ovvio e chiaro per me.
Li uso troppo frequentemente per poter fare a meno di comprenderli e non sono per niente soddisfatto nell'applicare la loro algebra passivamente.
La domanda non è tanto: "perché esistono i numeri complessi, e perché si usano?", dato che ho ormai imparato a memoria gli esempi applicativi classici, ma piuttosto: "Come fa a funzionare l'algebra dei numeri complessi riuscendo a soddisfare e a risolvere problemi reali?"
Mi spiego meglio: è a dir poco offensivo il dover spiegare perché sono stati introdotti i numeri naturali e gli interi. E' immediato comprendere che i razionali esistono per riuscire a risolvere problemi nei quali occorre valutare quantità più piccole dell'unità. Un po' meno immediato è comprendere il perché esistano i reali ma comunque l'intuito riesce a comprendere pienamente che per garantire la continuità sono strettamente necessari i reali.
Ma qui si ferma la mia immaginazione! Il campo dei numeri complessi per me è un vero mistero, non capisco il perché esistono, il mio intuito non riesce da solo a spiegare il tutto e sento di essere ad un passo dalla quella che tutti chiamano "illuminazione". Per questo chiedo aiuto a chi sa più di me! Spero di aver posto in maniera chiara la questione e di ricevere risposte che mi rendano tutto chiaro.
Li uso troppo frequentemente per poter fare a meno di comprenderli e non sono per niente soddisfatto nell'applicare la loro algebra passivamente.
La domanda non è tanto: "perché esistono i numeri complessi, e perché si usano?", dato che ho ormai imparato a memoria gli esempi applicativi classici, ma piuttosto: "Come fa a funzionare l'algebra dei numeri complessi riuscendo a soddisfare e a risolvere problemi reali?"
Mi spiego meglio: è a dir poco offensivo il dover spiegare perché sono stati introdotti i numeri naturali e gli interi. E' immediato comprendere che i razionali esistono per riuscire a risolvere problemi nei quali occorre valutare quantità più piccole dell'unità. Un po' meno immediato è comprendere il perché esistano i reali ma comunque l'intuito riesce a comprendere pienamente che per garantire la continuità sono strettamente necessari i reali.
Ma qui si ferma la mia immaginazione! Il campo dei numeri complessi per me è un vero mistero, non capisco il perché esistono, il mio intuito non riesce da solo a spiegare il tutto e sento di essere ad un passo dalla quella che tutti chiamano "illuminazione". Per questo chiedo aiuto a chi sa più di me! Spero di aver posto in maniera chiara la questione e di ricevere risposte che mi rendano tutto chiaro.
Risposte
Hardy nella sua apologia del matematico si rivolge a chi non crede all'esistenza dei numeri complessi, dicendo fondamentalmente che $i$ ha esattamente lo stesso diritto di esistere di $\sqrt(2)$.
Io ho sempre immaginato che tonnellate di matematica sono state inventate/scoperte per trovare una soluzione a problemi molto semplici. Si è arrivati a un certo punto in cui bisognava misurare la diagonale di un quadrato e allora hanno inventato i numeri irrazionali, capendo semplicemente che bisognava (o almeno, è utile che ci sia) che ci fosse qualcosa perché la diagonale del quadrato è lì che ti guarda e ti prende per i fondelli perché tu non la puoi misurare.
Allo stesso modo un giorno qualche intraprendente matematico si è trovato davanti $x^2 +1$, e ha provato a vedere che veniva fuori se faceva finta che avesse una radice chiamata $i$. Quello che è venuto fuori funzionava ed è piaciuto (o meglio è tornato utile) a un sacco di gente, e quindi ecco qua i numeri complessi.
Insomma, sarò poco romantico e sentimentale, ma credo che gran parte della matematica esista semplicemente perché a qualcuno è venuto in mente di studiarla e ha visto che mettendo le cose in un certo modo, queste funzionavano bene.
Io ho sempre immaginato che tonnellate di matematica sono state inventate/scoperte per trovare una soluzione a problemi molto semplici. Si è arrivati a un certo punto in cui bisognava misurare la diagonale di un quadrato e allora hanno inventato i numeri irrazionali, capendo semplicemente che bisognava (o almeno, è utile che ci sia) che ci fosse qualcosa perché la diagonale del quadrato è lì che ti guarda e ti prende per i fondelli perché tu non la puoi misurare.
Allo stesso modo un giorno qualche intraprendente matematico si è trovato davanti $x^2 +1$, e ha provato a vedere che veniva fuori se faceva finta che avesse una radice chiamata $i$. Quello che è venuto fuori funzionava ed è piaciuto (o meglio è tornato utile) a un sacco di gente, e quindi ecco qua i numeri complessi.
Insomma, sarò poco romantico e sentimentale, ma credo che gran parte della matematica esista semplicemente perché a qualcuno è venuto in mente di studiarla e ha visto che mettendo le cose in un certo modo, queste funzionavano bene.
Grazie della risposta! Mi rendo conto di aver posto la questione non proprio come volevo esprimerla. Ciò che voglio comprendere va più a fondo della "filosofia": voglio intendere, per i numeri reali, dopo aver spiegato l'utilità con esempi paragonabili a quelli che mi hai scritto si passa a mostrare l'assioma di completezza che costituisce una risposta di tipo più matematico ben più soddisfacente. Successivamente si inizia a supporre basandosi su questo assioma quindi ci serviamo del nostro intuito poiché ormai l'assioma è diventato "nostro". I numeri complessi non riesco a farli miei come i reali.
Per esempio io nel caso dei numeri reali posso associare un significato geometrico al risultato algebrico/analitico e questo significato è direttamente applicabile a classi di problemi risolvibili nella realtà. Ma nei numeri complessi, ammesso che mi venga spiegato un esempio in cui venga chiarito il significato geometrico ci terrei particolarmente a capire la connessione con i problemi risolvibili nella realtà. Con questo non sto dicendo che "mi basterebbe" un esempio ma vorrei approfondire su di esso per comprendere tutto a fondo. Per esempio nel caso del polinomio \(\displaystyle x^2+1 \) il fatto che accetto come soluzione la \(\displaystyle \sqrt(-1) \) che poi chiamo \(\displaystyle i \) cosa mi può simboleggiare? Quella quantità come la posso rappresentare? Come la posso interpretare? Come capire che il modello che adopera i numeri reali non arriva a spiegare ciò che invece riesco a comprendere tramite l'uso delle unità immaginaria? Voglio dire, io capisco benissimo che alcune lunghezze se espresse tramite frazioni possono includere un errore di approssimazione per eccesso o per difetto e per questo esistono i reali. Il fatto che io nella mia mente riesca a ricavarmi da solo l'esistenza dell'errore commesso nel trattare le frazioni anziché i reali rende possibile la mia effettiva comprensione dell'argomento ma nel passaggio dai reali ai complessi e sugli esempi classici applicativi come quello da te proposto (che conoscevo benissimo) circa la trattazione dei numeri complessi io non so dire altro che chiacchiere che mi rendo conto, non sono supportate da una mia piena consapevolezza e comprensione. E' questo il mio vero problema! Scusami/scusatemi per la mia prolissità.
Per esempio io nel caso dei numeri reali posso associare un significato geometrico al risultato algebrico/analitico e questo significato è direttamente applicabile a classi di problemi risolvibili nella realtà. Ma nei numeri complessi, ammesso che mi venga spiegato un esempio in cui venga chiarito il significato geometrico ci terrei particolarmente a capire la connessione con i problemi risolvibili nella realtà. Con questo non sto dicendo che "mi basterebbe" un esempio ma vorrei approfondire su di esso per comprendere tutto a fondo. Per esempio nel caso del polinomio \(\displaystyle x^2+1 \) il fatto che accetto come soluzione la \(\displaystyle \sqrt(-1) \) che poi chiamo \(\displaystyle i \) cosa mi può simboleggiare? Quella quantità come la posso rappresentare? Come la posso interpretare? Come capire che il modello che adopera i numeri reali non arriva a spiegare ciò che invece riesco a comprendere tramite l'uso delle unità immaginaria? Voglio dire, io capisco benissimo che alcune lunghezze se espresse tramite frazioni possono includere un errore di approssimazione per eccesso o per difetto e per questo esistono i reali. Il fatto che io nella mia mente riesca a ricavarmi da solo l'esistenza dell'errore commesso nel trattare le frazioni anziché i reali rende possibile la mia effettiva comprensione dell'argomento ma nel passaggio dai reali ai complessi e sugli esempi classici applicativi come quello da te proposto (che conoscevo benissimo) circa la trattazione dei numeri complessi io non so dire altro che chiacchiere che mi rendo conto, non sono supportate da una mia piena consapevolezza e comprensione. E' questo il mio vero problema! Scusami/scusatemi per la mia prolissità.
Il punto di vista prima esaminato è più utilitaristico che per definizione.
Il senso, a quanto ne so io, dei numeri complessi, oltre a quello di dare delle risposte ragionevoli anche se controintuitive a certi problemi affatto semplici, quali l'equazione $x^2 + 1 = 0$ ad esempio, è quello di aver potuto scoprire una struttura che ha, non solo l'utilità che deve avere, ma che rispetta notevoli proprietà.
Magari i complessi potevano essere costruiti in altri modi, definiti in altri modi, eppure ora come ora sono fatti così e più di così non si può fare, o almeno da quanto ne so io. Se ci pensi bene anche la scoperta della struttura di Hamilton, il corpo dei numeri hamiltoniani, è qualcosa di controintuitivo, eppure è immaginabile dunque definibile e se definibile, esistente.
Devi pensare ovviamente che ogni cosa poi, approfondita, ha il fascino di nascondere cose che prima di essere definita erano impensabili. Prendi l'insieme $H$ degli hamiltoniani: è un corpo, cioè un campo non commutativo, eppure se aumenti la dimensione di esso aggiungengo oggetti ai già presenti $i$, $j$, $k$, puoi imbatterti in costruzioni inutili e magari poco interessanti per le proprietà che hanno.
Ora, dopo tutto questo torna ai complessi.
Se hai visto un po' di algebra puoi sempre aspettarti che dato un campo, c'è sempre una chiusura algebrica di esso e l'esistenza è dimostrabile. Ecco, per come è fatto, il campo dei numeri complessi è una chiusura algebrica di $R$ dei reali, inoltre è una delle poche chiusure algebriche conosciute.
Dunque:
1. Ci aiuta a risolvere problemi;
2. E' una chiusura algebrica;
3. E' un campo;
Certo, tutte queste proprietà magari possono lasciare indietro qualcosa, ad esempio non è ben ordinato quanto il campo dei reali, ma se la vedi dal punto di vista dei vantaggi che ha e del fascino che suscita avere introdotto i complessi, noterai che serve al matematico.
p.s.: Puoi anche vederla così: siccome esiste sempre una chiusura algebrica di un campo, esiste anche per $R$. Dunque nella chiusura algebrica esistono tutte le radici dei polinomi di $R[x]$ tra i quali vi è appunto $x^2 + 1$ (tutti gli altri sfociano nei numeri complessi assieme a questo, quindi se considero questo considero tutti).
A questo punto posso pensare a $C$ come all'estensione (che rimane un campo) di $R$ con la radice di quel polinomio di cui usiamo il simbolo $i$ che assoceremo alla radice di -1 tramite opportuna e coerente trasformazione, sapendo PER CERTO, che la radice esiste nella chiusura algebrica che a priori non so che è esattamente $R(i)$, ovvero $C$, ma lo vengo a sapere quando verifico che non c'è nessun polinomio irriducibile all'interno di questa estensione.
Spero mi sia capito. ( e non abbia detto castronerie...)
Il senso, a quanto ne so io, dei numeri complessi, oltre a quello di dare delle risposte ragionevoli anche se controintuitive a certi problemi affatto semplici, quali l'equazione $x^2 + 1 = 0$ ad esempio, è quello di aver potuto scoprire una struttura che ha, non solo l'utilità che deve avere, ma che rispetta notevoli proprietà.
Magari i complessi potevano essere costruiti in altri modi, definiti in altri modi, eppure ora come ora sono fatti così e più di così non si può fare, o almeno da quanto ne so io. Se ci pensi bene anche la scoperta della struttura di Hamilton, il corpo dei numeri hamiltoniani, è qualcosa di controintuitivo, eppure è immaginabile dunque definibile e se definibile, esistente.
Devi pensare ovviamente che ogni cosa poi, approfondita, ha il fascino di nascondere cose che prima di essere definita erano impensabili. Prendi l'insieme $H$ degli hamiltoniani: è un corpo, cioè un campo non commutativo, eppure se aumenti la dimensione di esso aggiungengo oggetti ai già presenti $i$, $j$, $k$, puoi imbatterti in costruzioni inutili e magari poco interessanti per le proprietà che hanno.
Ora, dopo tutto questo torna ai complessi.
Se hai visto un po' di algebra puoi sempre aspettarti che dato un campo, c'è sempre una chiusura algebrica di esso e l'esistenza è dimostrabile. Ecco, per come è fatto, il campo dei numeri complessi è una chiusura algebrica di $R$ dei reali, inoltre è una delle poche chiusure algebriche conosciute.
Dunque:
1. Ci aiuta a risolvere problemi;
2. E' una chiusura algebrica;
3. E' un campo;
Certo, tutte queste proprietà magari possono lasciare indietro qualcosa, ad esempio non è ben ordinato quanto il campo dei reali, ma se la vedi dal punto di vista dei vantaggi che ha e del fascino che suscita avere introdotto i complessi, noterai che serve al matematico.
p.s.: Puoi anche vederla così: siccome esiste sempre una chiusura algebrica di un campo, esiste anche per $R$. Dunque nella chiusura algebrica esistono tutte le radici dei polinomi di $R[x]$ tra i quali vi è appunto $x^2 + 1$ (tutti gli altri sfociano nei numeri complessi assieme a questo, quindi se considero questo considero tutti).
A questo punto posso pensare a $C$ come all'estensione (che rimane un campo) di $R$ con la radice di quel polinomio di cui usiamo il simbolo $i$ che assoceremo alla radice di -1 tramite opportuna e coerente trasformazione, sapendo PER CERTO, che la radice esiste nella chiusura algebrica che a priori non so che è esattamente $R(i)$, ovvero $C$, ma lo vengo a sapere quando verifico che non c'è nessun polinomio irriducibile all'interno di questa estensione.
Spero mi sia capito. ( e non abbia detto castronerie...)
In realtà oggi il problema dei numeri complessi viene approcciato differentemente da come è nato. Effettivamente oggi si parte in genere da equazioni del tipo [tex]x^2+1=0[/tex] e si definisce [tex]i[/tex] partendo dalle radici di tale polinomio. In realtà, geometricamente, il problema posto da quel polinomio potrebbe tranquillamente non avere soluzione (si tratta dell'intersezione tra la parabola [tex]y=x^2[/tex] e la retta [tex]y=-1[/tex] che effettivamente non esiste sul piano reale) così come, in maniera del tutto naturale, non hanno soluzione altri problemi geometrici quali l'intersezione di rette parallele.
Per quanto ne sappia io, il problema è nato dagli studi di Cardano circa la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado. Cioè, portata una di tali equazioni nella forma [tex]x^3+px+q=0[/tex], si ha che una radice di questa è data da:
[tex]\sqrt[3]{-\frac{q}{2}+\sqrt{(\frac{q}{2})^2+(\frac{p}{3})^3}} + \sqrt[3]{\frac{q}{2}+\sqrt{(\frac{q}{2})^2+(\frac{p}{3})^3}}[/tex]
Esistono però casi in cui le soluzioni sono reali ma questo metodo viene bloccato a causa di radici negative. Per fare un esempio numerico:
[tex]x^3-15x-4=01 \to x=\sqrt[3]{2+\sqrt{-121}} + \sqrt[3]{2-\sqrt{-121}}[/tex]
Ora non sarebbe possibile andare avanti nel campo reale quindi quello che Cardano fa è considerare appunto [tex]i[/tex] come unità immaginaria. Con questa è possibile allora proseguire in questo modo: [tex]x=\sqrt[3]{2+11i}+\sqrt[3]{2-11i}[/tex]. Si verifica che [tex](2+i)^3=2+11i[/tex] e [tex](2-i)^3=2-11i[/tex] così [tex]x=2+i+2-i=4[/tex]. Effettivamente questa è soluzione dell'equazione data. Così "allargare il campo" passando ai complessi permette di raggiungere risultati reali che non sarebbero stati trovati altrimenti (da questo metodo). Un'argomentazione di questo tipo, a mio parere, è quella che giustifica meglio di tutte la nascita dei numeri complessi che, da strumenti puramente formale, si sono poi rivelati inaspettatamente potenti generando tutti gli importanti risultati già citati.
Spero sia comprensibile quanto da me scritto ma soprattutto spero di non aver sbagliato qualche segno. Il senso generale comunque rimane quello.
Per quanto ne sappia io, il problema è nato dagli studi di Cardano circa la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado. Cioè, portata una di tali equazioni nella forma [tex]x^3+px+q=0[/tex], si ha che una radice di questa è data da:
[tex]\sqrt[3]{-\frac{q}{2}+\sqrt{(\frac{q}{2})^2+(\frac{p}{3})^3}} + \sqrt[3]{\frac{q}{2}+\sqrt{(\frac{q}{2})^2+(\frac{p}{3})^3}}[/tex]
Esistono però casi in cui le soluzioni sono reali ma questo metodo viene bloccato a causa di radici negative. Per fare un esempio numerico:
[tex]x^3-15x-4=01 \to x=\sqrt[3]{2+\sqrt{-121}} + \sqrt[3]{2-\sqrt{-121}}[/tex]
Ora non sarebbe possibile andare avanti nel campo reale quindi quello che Cardano fa è considerare appunto [tex]i[/tex] come unità immaginaria. Con questa è possibile allora proseguire in questo modo: [tex]x=\sqrt[3]{2+11i}+\sqrt[3]{2-11i}[/tex]. Si verifica che [tex](2+i)^3=2+11i[/tex] e [tex](2-i)^3=2-11i[/tex] così [tex]x=2+i+2-i=4[/tex]. Effettivamente questa è soluzione dell'equazione data. Così "allargare il campo" passando ai complessi permette di raggiungere risultati reali che non sarebbero stati trovati altrimenti (da questo metodo). Un'argomentazione di questo tipo, a mio parere, è quella che giustifica meglio di tutte la nascita dei numeri complessi che, da strumenti puramente formale, si sono poi rivelati inaspettatamente potenti generando tutti gli importanti risultati già citati.
Spero sia comprensibile quanto da me scritto ma soprattutto spero di non aver sbagliato qualche segno. Il senso generale comunque rimane quello.
Non ho capito bene il discorso sui numeri Hamiltoniani poiché non li conosco. Per quanto riguarda invece la solita questione della necessità di ampliare il campo reale per poter trovare gli zeri di ogni polinomio, il tutto mi è chiarissimo anche da prima di intraprendere questa discussione. Sul piano matematico tutto quadra ma su quello logico no ed è qui che voglio insistere, le dimostrazioni matematiche non mi servono a nulla perché ho capito che tutta la teoria sta in piedi a seguito di opportune considerazioni.
Il punto è questo: quando ho un'equazione in R mi aspetto che le sue soluzioni siano dei valori che a seconda dei casi possano essere interpretati come delle lunghezze, come delle misure di tempo, come forze o pesi. Ma quando io risolvo un'equazione come ad esempio la generica equazione di terzo grado proposta da Injo ed ottengo i miei risultati complessi, come li interpreto? Tutto diventa confuso perché devo poter dare un significato preciso alla parte reale e a quella immaginaria. Volevo un valore e ora ne ho una coppia. Come interpreto il mio risultato? Come lo quantifico?
Tutte le nozioni sui numeri reali sono applicabili alla realtà ed è chiaro come questo avvenga ma quando parto da un problema che ha grandezze inizialmente reali e finisco per dover trovar soluzioni che poi son dei numeri complessi, qual è il nesso? Come interpreto? Cosa mi sta a significare che ora non ho un valore che per esempio mi dovrebbe simboleggiare una misura di lunghezza (come volevo aspettarmi) ma ottengo una coppia di valori: parte reale e immaginaria?
Il problema è tutto qui, trovare il nesso tra la quantificazione nella realtà dei risultati complessi ottenuti e la loro teoria.
In seguito cercherei di capire anche come tutto questo sia geometricamente interpretabile, perché ho sempre pensato che capire appieno il collegamento tra significato geometrico e analitico renda un concetto estremamente chiaro.
Il punto è questo: quando ho un'equazione in R mi aspetto che le sue soluzioni siano dei valori che a seconda dei casi possano essere interpretati come delle lunghezze, come delle misure di tempo, come forze o pesi. Ma quando io risolvo un'equazione come ad esempio la generica equazione di terzo grado proposta da Injo ed ottengo i miei risultati complessi, come li interpreto? Tutto diventa confuso perché devo poter dare un significato preciso alla parte reale e a quella immaginaria. Volevo un valore e ora ne ho una coppia. Come interpreto il mio risultato? Come lo quantifico?
Tutte le nozioni sui numeri reali sono applicabili alla realtà ed è chiaro come questo avvenga ma quando parto da un problema che ha grandezze inizialmente reali e finisco per dover trovar soluzioni che poi son dei numeri complessi, qual è il nesso? Come interpreto? Cosa mi sta a significare che ora non ho un valore che per esempio mi dovrebbe simboleggiare una misura di lunghezza (come volevo aspettarmi) ma ottengo una coppia di valori: parte reale e immaginaria?
Il problema è tutto qui, trovare il nesso tra la quantificazione nella realtà dei risultati complessi ottenuti e la loro teoria.
In seguito cercherei di capire anche come tutto questo sia geometricamente interpretabile, perché ho sempre pensato che capire appieno il collegamento tra significato geometrico e analitico renda un concetto estremamente chiaro.
Secondo me non è facile spiegare bene e in poco tempo in che senso è utile usare i numeri complessi in fisica (è questo che intendi con "risolvere problemi reali"?). Ma pensa per esempio alle equazioni differenziali (che saltano fuori dappertutto in fisica e non solo): per fare il primo esempio che mi viene in mente, l'equazione [tex]\ddot{x} = -x[/tex] la risolvi passando per i numeri complessi (quello che uno fa è cercare soluzioni del tipo [tex]x = x(t) = e^{\lambda t}[/tex], se non hai mai provato prova!). Per ogni evenienza segnalo questo. Un mio amico ingegnere mi ripete spesso che senza i numeri complessi non sarebbe possibile (o perlomeno sarebbe molto più difficile) costruire le automobili. Ora non sono mai sceso in dettagli, ma magari se riesco a carpire qualcuno di questi segreti te lo faccio sapere
Il punto è questo: se tu partendo da un problema fisico arrivi a un polinomio e ti aspetti che i suoi zeri siano reali perché devono rappresentare quantità fisiche (per esempio lunghezze) e invece trovi che i suoi zeri sono complessi non reali questo significa solo (assumendo naturalmente che tu abbia fatto i conti giusti) che il tuo problema fisico non ha soluzione.
Faccio un esempio stupido per far vedere una prima facile applicazione dei numeri complessi. Quando moltiplichi due numeri complessi i loro moduli (le loro distanze dall'origine) si moltiplicano, i loro argomenti (gli angoli che formano con l'asse reale positivo) si sommano. Questo significa per esempio che
[tex](\cos(\alpha) + i \sin(\alpha))^n = \cos(n \alpha) + i \sin(n \alpha)[/tex].
Ora usando lo sviluppo binomiale di Newton sul primo membro e poi andando a guardare cosa ottieni come parte reale e parte immaginaria, puoi dedurre formule esplicite per [tex]\cos(n \alpha)[/tex] e [tex]\sin(n \alpha)[/tex] in termini di [tex]\cos(\alpha)[/tex] e [tex]\sin(\alpha)[/tex].
Naturalmente questo è solo un esempio relativamente banale, le applicazioni dei numeri complessi in matematica sono sterminate.

"lucamennoia":Secondo me non è veramente questa la domanda che vuoi porre, e se lo è, allora significa solo che ti serve un po' più di esperienza coi numeri complessi.
Il punto è questo: quando ho un'equazione in R mi aspetto che le sue soluzioni siano dei valori che a seconda dei casi possano essere interpretati come delle lunghezze, come delle misure di tempo, come forze o pesi. Ma quando io risolvo un'equazione come ad esempio la generica equazione di terzo grado proposta da Injo ed ottengo i miei risultati complessi, come li interpreto? Tutto diventa confuso perché devo poter dare un significato preciso alla parte reale e a quella immaginaria. Volevo un valore e ora ne ho una coppia. Come interpreto il mio risultato? Come lo quantifico?
Il punto è questo: se tu partendo da un problema fisico arrivi a un polinomio e ti aspetti che i suoi zeri siano reali perché devono rappresentare quantità fisiche (per esempio lunghezze) e invece trovi che i suoi zeri sono complessi non reali questo significa solo (assumendo naturalmente che tu abbia fatto i conti giusti) che il tuo problema fisico non ha soluzione.
Faccio un esempio stupido per far vedere una prima facile applicazione dei numeri complessi. Quando moltiplichi due numeri complessi i loro moduli (le loro distanze dall'origine) si moltiplicano, i loro argomenti (gli angoli che formano con l'asse reale positivo) si sommano. Questo significa per esempio che
[tex](\cos(\alpha) + i \sin(\alpha))^n = \cos(n \alpha) + i \sin(n \alpha)[/tex].
Ora usando lo sviluppo binomiale di Newton sul primo membro e poi andando a guardare cosa ottieni come parte reale e parte immaginaria, puoi dedurre formule esplicite per [tex]\cos(n \alpha)[/tex] e [tex]\sin(n \alpha)[/tex] in termini di [tex]\cos(\alpha)[/tex] e [tex]\sin(\alpha)[/tex].
Naturalmente questo è solo un esempio relativamente banale, le applicazioni dei numeri complessi in matematica sono sterminate.
Questa risposta inizia ad essere soddisfacente
grazie. Rifletterò sull'equazione differenziale e farò altre domande eventualmente. Ancora grazie!

Un'altra cosa che mi ha sempre impressionato parecchio è l'utilità del teorema dei residui.
Vedi per esempio qui, sezione 4.8.
Vedi per esempio qui, sezione 4.8.
lucamennoia io penso di aver capito la tua domanda, molto probabilmente abbiamo lo stesso problema e tutte le risposte date ( sicuramente utili ) non hanno centrato il problema...è passato molto tempo da quando è stata posta la tua domanda, io adesso mi ritrovo a studiare matematica applicata, anche se con i numeri complessi ci ho avuto a che fare per molte altre materie e ne avrò a che fare con molte altre, però adesso sento la necessità di ricevere questa fatidica illuminazione. ho pensato che forse non esiste nessuna illuminazione come se ci si dovesse semplicemente abituare ad una cosa nuova...esempio banale: nel passaggio da lira a euro si cercava sempre la conversione in lire come se il valore in euro non avesse senso e non fosse associabile ad una quantità... l'esempio forse non rende a pieno l'idea che ho in testa ma credo sia uguale alla tua da quello che ho letto.... cmq se tu in questo momento sia riuscito a fare chiarezza sarei davvero felice se tu possa spiegarmi qualcosa.. e come sei arrivato a questo punto.... un altra cosa volevo dirti, in che modo l'equazione differenziale ti ha schiarito le idee??? l'equazione algebrica caratteristica non si riconduce sempre al nostro tanto amato polinomio x^2+1?????
Io penso che dopo un po' sia necessario abbandonare la comodità dell'"applicabilità reale" della matematica. Si pensi solo agli spazi a 4, 5,... n dimensioni.
in che modo l'equazione differenziale ti ha schiarito le idee???
Nell'analisi dei sistemi ho avuto modo di riscontrare il significato fisico della parte reale e immaginaria di un numero complesso.
Molti segnali (che in analisi dei sistemi sono visti come funzioni ottenute risolvendo le equazioni differenziali che descrivono i sistemi stessi) sono del tipo oscillatorio e smorzati quindi generalizzando sono dei coseni pesati con un esponenziale.
Se si dà per scontato che ogni segnale abbia dunque questa struttura:
\(\displaystyle e^{\sigma t}cos(\omega t) \).
allora si può dedurre che ogni segnale è interamente descritto da due numeri reali: il coefficiente di smorzamento \(\displaystyle \sigma \) (parte reale) e la pulsazione \(\displaystyle \omega \) (parte immaginaria).
Le mie riflessioni mi han portato a concludere che trattare le trasformate di Laplace consente di passare al dominio della frequenza utilizzando i numeri complessi e quindi il punto di vista cambia in quanto il problema non è più trattato al variare di un numero reale (il tempo) ma al variare di un numero complesso, cioè da una coppia di reali rappresentata da un punto sul piano \(\displaystyle \mathbb{R}^2\ \).
Quel che ho capito è che un numero complesso ti descrive interamente un tipo di funzione (il segnale in questione) quindi far variare un numero complesso significa tentare di stabilire un criterio (una funzione di variabile complessa) con cui varia la struttura del segnale e cioè di una funzione di variabile reale.
E' così che la teoria dei numeri complessi si lega alle equazioni differenziali.
Quel che sfugge al mio intuito è come l'algebra dei numeri complessi riesca a funzionare in tutto questo gioco di "trasformazioni". Dato che io credo che questo tipo di interpretazione fisica è solo uno degli infiniti aspetti dell'utilità dei numeri complessi, diventa assurdo per me pensare che un'algebra intera nata da caratteri così generici possa funzionare in campi così specifici che trovano così un legame teorico tra loro.
Le mie sono soltanto interpretazioni, perciò ci tengo particolarmente a precisare che ciò che ho scritto è potenzialmente sbagliato. So che può essere offensivo parlare così su un forum di matematica ma io ritengo che questo approccio sia molto importante per capire nella pratica perché abbiamo bisogno di tutte queste sofisticherie.
"lucamennoia":
So che può essere offensivo parlare così su un forum di matematica ma io ritengo che questo approccio sia molto importante per capire nella pratica perché abbiamo bisogno di tutte queste sofisticherie.
Ne abbiamo bisogno perchè il mondo fisico è molto più complesso da descrivere di quanto pensassero gli antichi filosofi greci.
Quindi, più strumenti abbiamo nelle nostre mani, "migliore"* è la descrizione che ne possiamo dare.
__________
* "Migliore" in tanti sensi: nel senso di "più precisa", nel senso di "più utile", nel senso di "trasmissibile con meno margine di errore", etc...
Io da tanto non uso i numeri complessi e l'esempio sui segnali di lucamennoia mi ha riportato alla mente l'esame di elettrotecnica e quindi all'interpretazione fisica che dice lui. Però ho le idee un po' confuse, perché omega è la parte immaginaria? Lì c'è un esponenziale reale moltiplicato per una funzione trigonometrica, da dove escono i numeri complessi? Per fare diventare l'esponenziale un numero complesso dovrebbe esserci l'unità immaginaria all'esponente e poi applicare la formula di Eulero. Eppure mi ricordo che li usavo.
In realtà perché nella pratica abbiamo bisogno delle "sofisitcherie" e la matematica può descrivere il mondo fisico così bene non lo sa nessuno, ci sono ad esempio le posizioni platoniste e quelle antiplatoniste.
Molti anni fa su un'enciclopedia avevo letto un accenno agli spazi vettoriali ad infinite dimensioni di Hilbert ho pensato qualcosa tipo "infinite dimensioni, che forza! peccato che non serviranno mai a niente" poi ho scoperto che c'è un'applicazione in fisica quantistica (non ne so niente ma sono abbastanza sicuro che sia così, qualcuno mi corregga se sbaglio). Avevo anche letto che G.H. Hardy si voleva dedicare ad argomenti matematici che non avrebbero avuto alcuna utilità, solo che anni dopo anche alcuni dei suoi risultati sono serviti in fisica e altre applicazioni pratiche. Per concludere, non credo che qualcuno possa veramente rispondere al perché questi risultati matematici poi siano diventati utili.
In realtà perché nella pratica abbiamo bisogno delle "sofisitcherie" e la matematica può descrivere il mondo fisico così bene non lo sa nessuno, ci sono ad esempio le posizioni platoniste e quelle antiplatoniste.
Molti anni fa su un'enciclopedia avevo letto un accenno agli spazi vettoriali ad infinite dimensioni di Hilbert ho pensato qualcosa tipo "infinite dimensioni, che forza! peccato che non serviranno mai a niente" poi ho scoperto che c'è un'applicazione in fisica quantistica (non ne so niente ma sono abbastanza sicuro che sia così, qualcuno mi corregga se sbaglio). Avevo anche letto che G.H. Hardy si voleva dedicare ad argomenti matematici che non avrebbero avuto alcuna utilità, solo che anni dopo anche alcuni dei suoi risultati sono serviti in fisica e altre applicazioni pratiche. Per concludere, non credo che qualcuno possa veramente rispondere al perché questi risultati matematici poi siano diventati utili.
perché omega è la parte immaginaria? Lì c'è un esponenziale reale moltiplicato per una funzione trigonometrica, da dove escono i numeri complessi? Per fare diventare l'esponenziale un numero complesso dovrebbe esserci l'unità immaginaria all'esponente e poi applicare la formula di Eulero. Eppure mi ricordo che li usavo.
Attenzione! Non c'è alcuna relazione "diretta" tra la forma esponenziale del numero complesso \(\displaystyle \rho e^{i\theta} \) alla quale ti riferisci e tra l'esponenziale moltiplicato al coseno \(\displaystyle e^{\sigma t} cos(\omega t) \) che ho scritto io, per questa ragione non ti trovi con i conti. La forma esponenziale di un numero complesso è un numero complesso (ovviamente) ma l'esponenziale moltiplicato al coseno è un numero reale e quindi è ovvio che sia impossibile trasformare l'uno nell'altro mediante le comuni rappresentazioni che conosciamo, incluse le formule di eulero che collegano quantità reali a quantità complesse.
Quel risultato si ottiene mediante il processo di trasformazione/antitrasformazione secondo Laplace di un generico fratto semplice di una funzione di trasferimento.
\(\displaystyle G(s)=\frac{1}{[z_1-(\sigma_1 + i \omega_1)][z_2-(\sigma_2 + i \omega_2)]...}=\frac{A}{z_1-(\sigma_1 + i \omega_1)} + \frac{B}{z_2-(\sigma_2 + i \omega_2)} + ... \)
Il passaggio ai fratti semplici permette di interpretare la fattorizzazione di un polinomio come una somma di frazioni i cui denominatori sono i fattori del vecchio polinomio.
Ora, nella teoria dei segnali trasformati secondo Laplace, il segnale di uscita da un sistema a cui è stato applicato un diverso segnale di ingresso, è definito in generale come una combinazione lineare di vari contributi di base: questi contributi sono chiamati "modi" e la forma più generale per rappresentare un "modo" (cioè un singolo contributo) è appunto \(\displaystyle e^{\sigma t} cos(\omega t) \).
La teoria sui libri spiega che nel dominio della frequenza hai un "semplice" numero complesso: \(\displaystyle \sigma + i\omega \) e, corrispondentemente, nel dominio del tempo hai questa cosa: \(\displaystyle e^{\sigma t} cos(\omega t) \)
Domanda: come ci arrivi?
Risposta: Grazie alle trasformate/antitrasformate di Laplace!
Altra domanda: come mai accade proprio questo tipo di trasformazione e come cavolo fa a funzionare?
Risposta: bella domanda!! E' proprio questo il grande dilemma che non ho capito ma che sono costretto a dare per buono!
In aggiunta a tutto questo, i numeri complessi funzionano anche in applicazioni completamente diverse da tutto quel che ho scritto qui e la cosa assurda è proprio il dover pensare che questa specie di algebra magica riesca a funzionare in cose i cui concetti siano così distanti fra loro! E' davvero riduttivo dire che tutto questo è assurdo! Il bello è che è vero e funziona quindi che ci piaccia o no, che lo acquisiamo o no, dobbiamo accettarlo!
Spero tanto di non aver frainteso le domande e di non esser stato impertinente al tema richiesto.
Molti anni fa su un'enciclopedia avevo letto un accenno agli spazi vettoriali ad infinite dimensioni di Hilbert ho pensato qualcosa tipo "infinite dimensioni, che forza! peccato che non serviranno mai a niente" poi ho scoperto che c'è un'applicazione in fisica quantistica
Io ho letto pochissimo sulla meccanica quantistica perché le mie competenze non sono sufficienti per poterla studiare adeguatamente; fortunatamente i miei esami non la prevedono ma il mese scorso ho studiato gli spazi di Banach con qualche brevissimo accenno agli spazi di Hilbert.
Fino a pochissimo tempo fa la mia immaginazione limitata mi "costringeva" a pensare che gli spazi con più di 3 o 4 dimensioni fossero inutili. Questo avveniva perché mi sono abituato a imparare e a capire la matematica creando delle proiezioni 3D nella mia mente. Ma dopo l'esempio di spazio vettoriale a dimensione infinita, il mio modo di pensare ha iniziato (con molte difficoltà) a cambiare perché ho capito che l'associare delle immagini ai concetti, per quanto potente come stratagemma, è diventato insufficiente. In matematica, superato un certo livello, cercare la proiezione in 3D di quel che si studia porta a compiere molti errori di valutazione e di deduzione perché un immagine non è più sufficiente! Per capire la realtà, un'immagine non è sufficiente, per capire la realtà, ciò che vediamo non è sufficiente!
Cerco di spiegare la mia esperienza:
Provare che uno spazio vettoriale abbia dimensione infinita equivale a provare che una sua base sia costituita da infiniti vettori linearmente indipendenti.
L'esempio è stato trattato con le funzioni viste come oggetti appartenenti a insiemi che sono appunto detti spazi di funzioni; gli spazi di funzioni sono dunque intesi come collezioni di funzioni: per esempio lo spazio delle sole funzioni continue, quello delle sole funzioni limitate, lo spazio delle sole funzioni integrabili e così via.
Se già siamo capaci di comprendere come "l'infinito sia contenuto nel finito" (esempio: un qualsiasi compatto reale) allora non è per niente difficile immaginare che questi tipi di spazi contengano infiniti oggetti e non c'è problema nel far proprio anche questo concetto.
I fondamenti matematici della meccanica quantistica diventano una teoria che riesce a motivare anche ciò che la matematica della meccanica classica non può fare.
Premettendo che ciò che sto per dire è una mia intuizione non supportata da alcuna conoscenza (perciò potenzialmente falsa) gli stati fisici di un qualsiasi ente presente nell'universo sono come il codominio di una funzione, cioè non sono numerabili, sono infiniti e poiché lo studio della fisica è basato su cause e conseguenze delle interazioni tra vari enti dell'universo (ciascuno con il proprio stato fisico) si deve poter considerare ogni eventualità come una combinazione lineare di "oggetti" e dato che ad un evento naturale può sempre aggiungersi un altro evento che modifica il suo stato allora non esiste un numero massimo di oggetti che figurano in una combinazione e per questo è necessario supporre che la dimensione diventi infinita. In altre parole io credo che quando incontriamo il termine "dimensione" non dobbiamo più pensare all'immediata sensazione di "spazio" che ci viene in mente (che peraltro è il processo mentale che ci fa pensare che sia inutile pensare a dimensioni superiori a 3 o a 4) perché se concepiamo la dimensione come il numero di eventi che si possono combinare per ottenere un determinato stato naturale di una qualsiasi particella del nostro universo a quel punto diventa più che ovvio e sensato pensare all'infinito ed ecco qui che spunta la dimensione infinita.
Ribadisco che i miei son soltanto pensieri, non voglio assolutamente fare il "maestro" su nulla.
Ecco, dovrei andare a riguardarmi quella cosa della trasformata di Laplace che fondamentalmente ho usato in un paio di esami senza sapere da dove uscisse. Mi ricordavo l'esempio di considerare un vettore rotante nel piano complesso e quindi "era utile" considerare una parte reale e una immaginaria *nel dominio della frequenza* (erano queste le parole chiave).
L'ultima parte mi ha fatto venire in mente il principio di Mach (non verificato) in pratica le proprietà di una particella potrebbero essere dovute solo all'interazione che ha con tutte le altre nell'universo e non averne realmente di proprie. Questo magari potrebbe (sottolineo il condizionale) spiegare l'utilità delle dimensioni infinite ma non ancora dei numeri complessi... Tra l'altro il mo era solo un esempio per dire che cose apparentemente senza senso poi si possono rivelare utili ma in fondo nessuno sa il perché.
L'ultima parte mi ha fatto venire in mente il principio di Mach (non verificato) in pratica le proprietà di una particella potrebbero essere dovute solo all'interazione che ha con tutte le altre nell'universo e non averne realmente di proprie. Questo magari potrebbe (sottolineo il condizionale) spiegare l'utilità delle dimensioni infinite ma non ancora dei numeri complessi... Tra l'altro il mo era solo un esempio per dire che cose apparentemente senza senso poi si possono rivelare utili ma in fondo nessuno sa il perché.
Mi si è come accesa una lampadina e mi è tornata in mente la parola fasore, era a quello che mi riferivo parlando del vettore rotante in elettrotecnica
http://it.wikipedia.org/wiki/Fasore
Sarà che è la prima applicazione pratica (nel senso che avesse un senso fisico) dei numeri complessi che ho visto ma credo che sia questo l'esempio più semplice di senso fisico dei numeri complessi. Quindi semplicemente i numeri complessi potrebbero essere considerati un'astrazione dei fenomeni periodici. Wikipedia parla di trasformata di Steinmetz, non ne ho mai sentito parlare, la spiegazione che avevano dato a me era praticamente identica a quella che c'è nell'articolo di wikipedia che ti ho linkato. Avevo afferratto delle somiglianze con la trasformata di Laplace di cui ho sentito parlare in un corso successivo di automazione ma non saprei valutare il legame (un po' perché non mi ricordo un po' perché non so se ho gli strumenti per farlo). Sull'articolo di Wikipedia sulla trasformata di Steinmetz è scritta la relazione con la trasformata di Fourier.
http://it.wikipedia.org/wiki/Fasore
Sarà che è la prima applicazione pratica (nel senso che avesse un senso fisico) dei numeri complessi che ho visto ma credo che sia questo l'esempio più semplice di senso fisico dei numeri complessi. Quindi semplicemente i numeri complessi potrebbero essere considerati un'astrazione dei fenomeni periodici. Wikipedia parla di trasformata di Steinmetz, non ne ho mai sentito parlare, la spiegazione che avevano dato a me era praticamente identica a quella che c'è nell'articolo di wikipedia che ti ho linkato. Avevo afferratto delle somiglianze con la trasformata di Laplace di cui ho sentito parlare in un corso successivo di automazione ma non saprei valutare il legame (un po' perché non mi ricordo un po' perché non so se ho gli strumenti per farlo). Sull'articolo di Wikipedia sulla trasformata di Steinmetz è scritta la relazione con la trasformata di Fourier.
Ciao!
Se ho inteso bene il tuo problema è lo stesso che ho avuto anche io a suo tempo quando mi approcciai agli studi di analisi matematica. La domanda che posi al mio professore di Analisi 1 fu "Ma i numeri complessi esistono? o sono semplicemente un escamotage che usiamo per i problemi irrisolvibili con i reali"....la risposta fu:
- disegna un piano cartesiano alla lavagna
- traccia una vettore che va dall'origine al punto (0,1) e chiamalo X
- ora disegna nuovamente un vettore dall'origine al punto (0,1) e chiamalo X (in effetti è lo stesso di prima)
- ora esegui una moltiplicazione tra i due vettori
La moltiplicazione tra i due vettori è, passaggio per passaggio: (0x0 - 1x1, 0x1+1x0) con x ho indicato il simbolo della moltiplicazione.
Il risultato è il vettore (-1,0) ed ESISTE, NON è IMMAGINARIO!
Cioè (0,1)x(0,1) = (-1,0) che in termini algebrici nient'altro è se non X^2 = -1.
Per me questa spiegazione fu illuminante...spero sia stato altrettanto per te.
Se ho inteso bene il tuo problema è lo stesso che ho avuto anche io a suo tempo quando mi approcciai agli studi di analisi matematica. La domanda che posi al mio professore di Analisi 1 fu "Ma i numeri complessi esistono? o sono semplicemente un escamotage che usiamo per i problemi irrisolvibili con i reali"....la risposta fu:
- disegna un piano cartesiano alla lavagna
- traccia una vettore che va dall'origine al punto (0,1) e chiamalo X
- ora disegna nuovamente un vettore dall'origine al punto (0,1) e chiamalo X (in effetti è lo stesso di prima)
- ora esegui una moltiplicazione tra i due vettori
La moltiplicazione tra i due vettori è, passaggio per passaggio: (0x0 - 1x1, 0x1+1x0) con x ho indicato il simbolo della moltiplicazione.
Il risultato è il vettore (-1,0) ed ESISTE, NON è IMMAGINARIO!
Cioè (0,1)x(0,1) = (-1,0) che in termini algebrici nient'altro è se non X^2 = -1.
Per me questa spiegazione fu illuminante...spero sia stato altrettanto per te.
I numeri complessi risolvono il problema dell'oscillazione.
Fisica delle onde, elettrotecnica, vibrazioni,.. Tutte queste discipline hanno di base, lo studi di sistemi oscillatori.
L'oscillazione è caratterizzata da un modulo ed uno sfasamento (la fase), quindi due informazioni; Tuttavia un numero complesso è vettore caratterizzata a sua volta da un modulo ed una fase (2 informazioni). Il modulo ne indica l'amplificazione, mentre la fase rappresenta il ritardo temporale di risposta del sistema.
Dunque la parte immaginaria spiega il ritardo, mentre il modulo (parte reale ed immaginaria) ne spiega l'amplificazione.
In sintesi: Un numero complesso è la soluzione di un equazione differenziale (e quindi anche polinomiale) di un problema di oscillazione.
Mi rendo conto come i numeri complessi, come altri argomenti della Matematica/Fisica, sollevino dubbi nonché curiosità; Ed è per questo motivo che a breve pubblicherò un video sui numeri complessi, se qualcuno è interessato mi contatti per mail: [hide="."]elfares1990@hotmail.it[/hide]
spero di essere stato di aiuto.
Buon lavoro a tutti
Fisica delle onde, elettrotecnica, vibrazioni,.. Tutte queste discipline hanno di base, lo studi di sistemi oscillatori.
L'oscillazione è caratterizzata da un modulo ed uno sfasamento (la fase), quindi due informazioni; Tuttavia un numero complesso è vettore caratterizzata a sua volta da un modulo ed una fase (2 informazioni). Il modulo ne indica l'amplificazione, mentre la fase rappresenta il ritardo temporale di risposta del sistema.
Dunque la parte immaginaria spiega il ritardo, mentre il modulo (parte reale ed immaginaria) ne spiega l'amplificazione.
In sintesi: Un numero complesso è la soluzione di un equazione differenziale (e quindi anche polinomiale) di un problema di oscillazione.
Mi rendo conto come i numeri complessi, come altri argomenti della Matematica/Fisica, sollevino dubbi nonché curiosità; Ed è per questo motivo che a breve pubblicherò un video sui numeri complessi, se qualcuno è interessato mi contatti per mail: [hide="."]elfares1990@hotmail.it[/hide]
spero di essere stato di aiuto.
Buon lavoro a tutti
Un'altra cosa straordinaria sui numeri complessi è che essi esauriscono tutti i campi di numeri necessari. In sostanza non sarà necessario introdurne altri per qualsivoglia problema. Di questo asserto c'è una dimostrazione che è interessantissima ma che non ho mai ben compreso. Se ci pensate è una deduzione grandiosa!
Se qualcuno ne sa di più mi piacerebbe sentire cosa ha da dirci
Se qualcuno ne sa di più mi piacerebbe sentire cosa ha da dirci