Non riesco a dimostrare questo. Aiuto!

alfonsina0
S*T=T*S se e soltanto se S=T

Risposte
gugo82
Quando? Cosa? Dove? Come? Perché?

Insomma, questo non è modo di porre una domanda. Fornisci più contesto.

G.D.5
Prodotto cartesiano?

marco2132k
TIA?

gugo82
@ marco2132k:
[ot]
"marco2132k":
TIA?

Attacco ischemico transitorio??? :lol:[/ot]

marco2132k
[ot]Sì. Però è meglio sentire un espert*.[/ot]

G.D.5
[ot]
"marco2132k":
Sì. Però è meglio sentire un espert*.


Vi prego: non iniziamo anche qui con queste stupidaggini.[/ot]

alfonsina0
"G.D.":
Prodotto cartesiano?

Si prodotto cartesiano

G.D.5
Devi dimostrare due cose:
1. se $S = T$, allora $S \times T = T \times S$;
2. se $S \times T = T \times S$, allora $S = T$.

La (1) dovrebbe essere ovvia: se $S = T$, allora $S \times T = S \times S = T \times S$.

Per la (2) devi invece assumere come ipotesi che $S \times T = T \times S$ e provare come tesi che $S = T$, che equivale a provare che:
a. $S \subseteq T$
b. $T \subseteq S$.

Per provare (a), parti da $x \in S, y \in T$ e, usando l'ipotesi $S \times T = T \times S$, prova che $x \in T$.
Per provare (b), parti ancora da $x \in S, y \in T$ e, usando sempre l'ipotesi $S \times T = T \times S$, prova che $y \in S$.

solaàl
3 x 2 fa 6, così come 2 x 3, ma 3 non è uguale a 2..

G.D.5
"solaàl":
3 x 2 fa 6, così come 2 x 3, ma 3 non è uguale a 2..


Non l'ho capita.

solaàl
"G.D.":
[quote="solaàl"]3 x 2 fa 6, così come 2 x 3, ma 3 non è uguale a 2..


Non l'ho capita.[/quote]
Che c'è da capire? Il prodotto (di numeri o di insiemi) è commutativo

alfonsina0
"G.D.":
Devi dimostrare due cose:
1. se $S = T$, allora $S \times T = T \times S$;
2. se $S \times T = T \times S$, allora $S = T$.

La (1) dovrebbe essere ovvia: se $S = T$, allora $S \times T = S \times S = T \times S$.

Per la (2) devi invece assumere come ipotesi che $S \times T = T \times S$ e provare come tesi che $S = T$, che equivale a provare che:
a. $S \subseteq T$
b. $T \subseteq S$.

Per provare (a), parti da $x \in S, y \in T$ e, usando l'ipotesi $S \times T = T \times S$, prova che $x \in T$.
Per provare (b), parti ancora da $x \in S, y \in T$ e, usando sempre l'ipotesi $S \times T = T \times S$, prova che $y \in S$.



Perché SxT=SxS=TxS ??

G.D.5
@solaàl

Ma qui si sta parlando del prodotto cartesiano.



@foffa

Se $S = T$, allora in $S \times T$ al posto di $T$ si può scrivere $S$ e viceversa, quindi è anche $S \times T = T \times T$.

solaàl
"G.D.":
@solaàl

Ma qui si sta parlando del prodotto cartesiano.

Certo: e infatti non è vero che se \(S\times T = T\times S\) allora \(S=T\), perché \(S\times T = T\times S\) qualsiasi siano \(S,T\), per definizione di cosa significa il segno "=" tra due insiemi.

G.D.5
Non credo proprio che si stia discutendo di uguaglianza tra prodotti cartesiani con in testa l'uguaglianza tra insiemi intesa in quel senso.
Credo che qui se ne stia parlando così come se ne parla agli inizi di un corso di Algebra 1.
Quindi credo che tu sia fuori contesto.
Qui credo proprio che se ne stia parlando ad un livello molto più basso, dove se $S={1}$ e $T={a}$, allora $(1,a) \ne (a,1)$, con la conseguenza che $S \times T \ne T \times S$.

alfonsina0
"G.D.":
Devi dimostrare due cose:
1. se $S = T$, allora $S \times T = T \times S$;
2. se $S \times T = T \times S$, allora $S = T$.

La (1) dovrebbe essere ovvia: se $S = T$, allora $S \times T = S \times S = T \times S$.

Per la (2) devi invece assumere come ipotesi che $S \times T = T \times S$ e provare come tesi che $S = T$, che equivale a provare che:
a. $S \subseteq T$
b. $T \subseteq S$.

Per provare (a), parti da $x \in S, y \in T$ e, usando l'ipotesi $S \times T = T \times S$, prova che $x \in T$.
Per provare (b), parti ancora da $x \in S, y \in T$ e, usando sempre l'ipotesi $S \times T = T \times S$, prova che $y \in S$.



non riesco a capire come fare la 2 ? Puoi spiegarla nei dettagli, passo per passo ?

G.D.5
Devi dimostrare che se \( S \times T = T \times S \), allora \( S = T \). Poiché \( S = T \) equivale alla doppia inclusione \( S \subseteq T \) e \( T \subseteq S \), devi dimostrare che dall'ipotesi \( S \times T = T \times S \) segue giustappunto la doppia inclusione \( S \subseteq T \) e \( T \subseteq S \).

Ti mostro come derivare da \( S \times T = T \times S \) l'inclusione \( S \subseteq T \), l'altra provaci tu.

Prendiamo \( x \in S \): sotto questa ipotesi, quale che sia \( y \in T \), si ha che \( (x,y) \in S \times T \). Poiché \( S \times T = T \times S \), allora, da \( (x,y) \in S \times T \), segue \( (x,y) \in T \times S \). Poiché in un prodotto cartesiano per definizione la prima coordinata di ciascuna coppia ordinata appartiene al primo insieme, essendo \( (x,y) \in T \times S \), si ha che \( x \in T \). E allora partendo da \( x \in S \) siamo arrivati a \( x \in T \), ovvero \( x \in S \implies x \in T \). Giacché questo vale per qualunque \( x \) scegliamo in \( S \), abbiamo allora mostrato che \( \forall x, x \in S \implies x \in T \), ovvero abbiamo mostrato che vale la condizione che definisce l'inclusione, sicché abbiamo mostrato che \( S \subseteq T \).

solaàl
"G.D.":
Non credo proprio che si stia discutendo di uguaglianza tra prodotti cartesiani con in testa l'uguaglianza tra insiemi intesa in quel senso.
Credo che qui se ne stia parlando così come se ne parla agli inizi di un corso di Algebra 1.
Quindi credo che tu sia fuori contesto.
Qui credo proprio che se ne stia parlando ad un livello molto più basso, dove se $S={1}$ e $T={a}$, allora $(1,a) \ne (a,1)$, con la conseguenza che $S \times T \ne T \times S$.

Qualsiasi altro senso in cui intendere l'uguaglianza è diabolico. Vi state incaponendo a dimostrare una cosa falsa, perché il prodotto cartesiano è simmetrico: (1,a), (a,1) sono lo stesso elemento a meno della biiezione che permuta le coordinate

Mi fa sempre (sor)ridere questo approccio relativamente all'insegnamento della matematica, è prerogativa di una certa cattiva scuola aggiungere distinzioni barocche e artificiali tra concetti.

Due insiemi sono uguali quando sono isomorfi. Per un generico insieme non esiste una definizione di uguaglianza più stretta di questa, anche se viene a tutti fatto credere che ci sia (e quando uno prova a definirla...).

G.D.5
Tu stai guardando alla questione adottando un approccio fondazionale di tipo categoriale. È ovvio che in un tale approccio, avendo già a disposizione i morfismi e potendo usare questi e le categorie per strutturare l'insiemistica, congiuntamente con quello che è lo scopo della teoria categoriale di individuare strutture e proprietà universali, si può fare quello che dici tu.

Il punto è che io dubito grandemente che sia questo il caso. La pietra angolare qui è la teoria degli insiemi ZF(C) nella quale l'uguaglianza tra insiemi è regolata da un parte dagli assiomi logici dell'uguaglianza e dall'altra dall'assioma di estensionalità proprio di ZF(C). Qui, come sicuramente saprai, prima viene l'uguaglianza intesa come identità nella composizione degli insiemi e dopo vengono i morfismi. Ma molto dopo. Le uniche cose che hai all'inizio sono gli insiemi, l'appartenenza, gli assiomi logici e quelli propri della teoria. La stessa uguaglianza insiemistica è definita e non assunta tramite l'assioma di estensionalità di cui sopra.

In un siffatto approccio le coppie \( (1,a)\) e \( (a,1) \) non sono lo stesso oggetto perché (concedimi di spiegare questa banalità per chi dovesse leggere trovandosi agli inizi) \( (1,a) = \{ \{1\}, \{1,a\} \} \) e \( (a,1) = \{ \{a\}, \{1,a\} \} \) con l'ovvietà che \( \{1\} \ne \{a\} \).

Io capisco che in un approccio categoriale tutto questo diventi l'equivalente di un gioco di prestigio, tuttavia la fondazione può avvenire anche con un approccio insiemistico e questa è la scelta più frequente. Inoltre non vedo quale sia il problema: in un approccio insiemistico i morfismi si basano sulle applicazioni, queste sui prodotti cartesiani, questi sulle coppie ordinate e queste sull'uguaglianza definita come sopra. È vero che in tutto questo procedere occorre dare per scontato ed assunto il predicato binario di appartenenza e l'ontologia del concetto di insieme, nonché gli assiomi logici che regolano l'uguaglianza, laddove in un approccio categoriale tali concetti guadagnano una loro definizione e un senso più ampio e strutturalista, tuttavia anche in un approccio categoriale occorre dare per assunti i concetti iniziali del linguaggio categoriale, per poi usarli al fine di strutturare l'insiemistica. Inoltre alcune scuole assumo le categorie come estensione e non come fondazione della teoria delle categorie.

Ciò detto e premesso, e aggiunto che so che queste cose le sai sicché non indugio oltre e mi limito qui giusto per non fare sentire spaesato chi dovesse leggere, io capisco anche il tuo punto di vista ma non penso che questa sia la sede opportuna per sviluppare ulteriormente la questione perché, come sopra ho già detto, qui la fondazione è insiemistica. A me piacerebbe pure andare oltre ma da un lato non è questa la sede opportuna e, anche volendo spostarsi in altra sede, dall'altro lato la mia preparazione categoriale è molto di base. Quindi io capisco anche le tue rimostranze ma esposte in questo contesto c'è la possibilità che finiscano col confondere chi si trova agli inizi, anziché aiutarlo ad avere un quadro d'insieme di più ampio respiro.

solaàl
Grazie del commento ben scritto; è una rarità di questi tempi.

Tutto giusto, ma quello che volevo sottolineare è un'idea con cui sono sicuro anche tu sia familiare, e cioè che la nozione di uguaglianza che ZF si dà internamente è troppo rigida per incontrare quella che poi la pratica matematica induce ad assumere (cose uguali sono isomorfe; addirittura a volte la definizione di cosa significa essere uguali è "essere isomorfi").

In questo senso credo molti studenti siano confusi dalla dicotomia che incontrano: da un lato le strutture algebriche sono insiemi, quindi sensibili di essere giudicati uguali solamente nel senso restrittivo di ZF; e dall'altro tutti i gruppi ciclici infiniti "sono" \(\mathbb Z\), solo che il loro generatore si chiama $1$, oppure $a$, oppure \(\text{leopardo}\), e questo processo di ridenominazione è completamente arbitrario e congiunturale, perché appunto, ciò che conta sono le proprietà definienti del gruppo (il suo essere ciclico e infinito), non il nome dei suoi elementi. Strictu senso infatti, il gruppo \(\mathbb Z\) dovrebbe essere considerato un insieme quando il suo generatore si chiama $g$, e un insieme diverso (a rigore, completamente diverso) quando il suo generatore si chiama $1$; e questo esattamente in virtù della nozione di uguaglianza che ZF prescrive. Capisci che farlo è possibile, ma moltiplica in maniera illusoria e ingestibile le informazioni di cui tenere traccia nel corso della propria giornata di matematico.

Questo apre due questioni interessanti, e correlate tra loro:

la prima è una domanda: quanti insiemi con un solo elemento esistono, usando la definizione di uguaglianza di ZF? E quanti usando "la mia"? Il punto è: che l'unico elemento di un singoletto si chiami "vincenzo" o "\(\{\bullet\}\)", poco (anzi, zero) conta ai fini del suo utilizzo pratico. Certo, ZF ti dice che \(a,b\) sono elementi diversi, i singoletti \(\{a\}, \{b\}\) sono insiemi diversi; del resto in ZF hai solo insiemi, quindi \(a,b\) non possono che essere insiemi a loro volta, sicché quello che stai dicendo è che esiste un \(x\in a\) che non sta in \(b\); il che sposta il problema a quello di confrontare \(x\) (che è a sua volta un insieme) con gli elementi di $b$, che sono a loro volta insiemi; insomma, si apre una scatola di serpenti che autorizzerebbe qualsiasi studente desideroso di formalizzare e approfondire il problema a pensare che i matematici sono brutte persone. A ragione, dico io, perché la questione si può formalizzare, ma in un modo artificiale e barocco che incontra poco o nulla la prassi del matematico (si può usare una ZF "con atomi", si può cercare di evitare il problema in altra maniera... nessuna di queste soluzioni è veramente elegante o -cosa piu importante- veramente risolutiva).

La seconda questione, legata a questa, è che la proprietà definiente di un insieme (perché sì, anche gli insiemi sono "strutture matematiche") è la loro numerosità; in seno alla teoria degli insiemi, oggetti con lo stesso numero di elementi sono indistinguibili, e questa è una ragione sia tecnica che morale per non voler distinguere i singoletti l'uno dall'altro: siccome non c'è modo di guardare dentro a un insieme, non c'è modo di asserire che i suoi elementi siano letteralmente diversi dagli elementi di un altro insieme; tutto quello che posso fare è rinominarli, chiamarli \(\{1,\dots,7\}\) piuttosto che coi nomi dei peccati capitali, o delle meraviglie del mondo antico, o dei colori dell'arcobaleno.
Porre etichette estemporanee sugli elementi di un insieme è però un'attività umana, che poco ha a che fare con ciò che quegli elementi erano prima che io li isolassi dall'ambiente per farne uso.

Vi sono dei tentativi di emendarsi da entrambi questi problemi. Sarebbe lungo (e ora non ho tempo) entrare nel merito, ma l'idea è che ogni teoria matematica possiede internamente una nozione di "uguaglianza" che è "quella giusta relativamente al tipo di strutture che essa contiene": i gruppi ne hanno una, gli insiemi ne hanno una, gli spazi topologici ne hanno una. Fatto interessante è che si recupera come un teorema il principio operativo del matematico, cioè che due insiemi in biiezione sono indistinguibili, così come due gruppi isomorfi o due spazi topologici omotopicamente equivalenti (non omeomorfi!); c'è di più: la più rigida nozione di uguaglianza di cui tu G.D. parli, che è quella in seno a ZF, è sbagliata "per lo stesso motivo" meta-teorico per cui è troppo rigida l'identificazione di spazi topologici omeomorfi, laddove invece la (assai) più lasca nozione di equivalenza omotopica "è giusta" in un senso superiore, interno alla teoria.

Per chi vuole approfondire, c'è questo interessante talk di Martin Escardo: http://www.mat.uc.pt/~categ/events/Abst ... scardo.pdf
https://www.cs.bham.ac.uk/~mhe/.talks/xii-pcc.pdf

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