URGE PARAFRASI LEOPARDI
sono disperata, mi servono urgentemente x domani parafrasi de IL SOGNO -INNO AI PATRIARCHI- LA VITA SOLITARIA- di leopardi....:(
INNO AI PATRIARCHI
O DE' PRINCIPII DEL GENERE UMANO
E voi de' figli dolorosi il canto,
Voi dell'umana prole incliti padri,
Lodando ridirà; molto all'eterno
Degli astri agitator più cari, e molto
Di noi men lacrimabili nell'alma
Luce prodotti. Immedicati affanni
Al misero mortal, nascere al pianto,
E dell'etereo lume assai più dolci
Sortir l'opaca tomba e il fato estremo,
Non la pietà, non la diritta impose
Legge del cielo. E se di vostro antico
Error che l'uman seme alla tiranna
Possa de' morbi e di sciagura offerse,
Grido antico ragiona, altre più dire
Colpe de' figli, e irrequieto ingegno,
E demenza maggior l'offeso Olimpo
N'armaro incontra, e la negletta mano
Dell'altrice natura; onde la viva
Fiamma n'increbbe, e detestato il parto
Fu del grembo materno, e violento
Emerse il disperato Erebo in terra.
Tu primo il giorno, e le purpuree faci
Delle rotanti sfere, e la novella
Prole de' campi, o duce antico e padre
Dell'umana famiglia, e tu l'errante
Per li giovani prati aura contempli:
Quando le rupi e le deserte valli
Precipite l'alpina onda feria
D'inudito fragor; quando gli ameni
Futuri seggi di lodate genti
E di cittadi romorose, ignota
Pace regnava; e gl'inarati colli
Solo e muto ascendea l'aprico raggio
Di febo e l'aurea luna. Oh fortunata,
Di colpe ignara e di lugubri eventi,
Erma terrena sede! Oh quanto affanno
Al gener tuo, padre infelice, e quale
D'amarissimi casi ordine immenso
Preparano i destini! Ecco di sangue
Gli avari colti e di fraterno scempio
Furor novello incesta, e le nefande
Ali di morte il divo etere impara.
Trepido, errante il fratricida, e l'ombre
Solitarie fuggendo e la secreta
Nelle profonde selve ira de' venti,
Primo i civili tetti, albergo e regno
Alle macere cure, innalza; e primo
Il disperato pentimento i ciechi
Mortali egro, anelante, aduna e stringe
Ne' consorti ricetti: onde negata
L'improba mano al curvo aratro, e vili
Fur gli agresti sudori; ozio le soglie
Scellerate occupò; ne' corpi inerti
Domo il vigor natio, languide, ignave
Giacquer le menti; e servitù le imbelli
Umane vite, ultimo danno, accolse.
E tu dall'etra infesto e dal mugghiante
Su i nubiferi gioghi equoreo flutto
Scampi l'iniquo germe, o tu cui prima
Dall'aer cieco e da' natanti poggi
Segno arrecò d'instaurata spene
La candida colomba, e delle antiche
Nubi l'occiduo Sol naufrago uscendo,
L'atro polo di vaga iri dipinse.
Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi
Studi rinnova e le seguaci ambasce
La riparata gente. Agl'inaccessi
Regni del mar vendicatore illude
Profana destra, e la sciagura e il pianto
A novi liti e nove stelle insegna.
Or te, padre de' pii, te giusto e forte,
E di tuo seme i generosi alunni
Medita il petto mio. Dirò siccome
Sedente, oscuro, in sul meriggio all'ombre
Del riposato albergo, appo le molli
Rive del gregge tuo nutrici e sedi,
Te de' celesti peregrini occulte
Beàr l'eteree menti; e quale, o figlio
Della saggia Rebecca, in su la sera,
Presso al rustico pozzo e nella dolce
Di pastori e di lieti ozi frequente
Aranitica valle, amor ti punse
Della vezzosa Labanide: invitto
Amor, ch'a lunghi esigli e lunghi affanni
E di servaggio all'odiata soma
Volenteroso il prode animo addisse.
Fu certo, fu (né d'error vano e d'ombra
L'aonio canto e della fama il grido
Pasce l'avida plebe) amica un tempo
Al sangue nostro e dilettosa e cara
Questa misera piaggia, ed aurea corse
Nostra caduca età. Non che di latte
Onda rigasse intemerata il fianco
Delle balze materne, o con le greggi
Mista la tigre ai consueti ovili
Né guidasse per gioco i lupi al fonte
Il pastorel; ma di suo fato ignara
E degli affanni suoi, vota d'affanno
Visse l'umana stirpe; alle secrete
Leggi del cielo e di natura indutto
Valse l'ameno error, le fraudi, il molle
Pristino velo; e di sperar contenta
Nostra placida nave in porto ascese.
Tal fra le vaste californie selve
Nasce beata prole, a cui non sugge
Pallida cura il petto, a cui le membra
Fera tabe non doma; e vitto il bosco,
Nidi l'intima rupe, onde ministra
L'irrigua valle, inopinato il giorno
Dell'atra morte incombe. Oh contra il nostro
Scellerato ardimento inermi regni
Della saggia natura! I lidi e gli antri
E le quiete selve apre l'invitto
Nostro furor; le violate genti
Al peregrino affanno, agl'ignorati
Desiri educa; e la fugace, ignuda
Felicità per l'imo sole incalza.
G. Leopardi, Il sogno (l82l)
1 Era il mattino, e tra le chiuse imposte
2 per lo balcone insinuava il sole
3 nella mia cieca stanza il primo albore;
4 quando in sul tempo che piú leve il sonno
5 e piú soave le pupille adombra,
6 stettemi allato e riguardommi in viso
7 il simulacro di colei che amore
8 prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto.
9 Morta non mi parea, ma trista, e quale
10 degl’infelici è la sembianza. Al capo
11 appressommi la destra, e sospirando,
12 vivi, mi disse, e ricordanza alcuna
13 serbi di noi? Donde, risposi, e come
14 vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto
15 di te mi dolse e duol: né mi credea
16 che risaper tu lo dovessi; e questo
17 facea piú sconsolato il dolor mio.
18 Ma sei tu per lasciarmi un’altra volta?
19 Io n’ho gran tema. Or dimmi, e che t’avvenne?
20 Sei tu quella di prima? E che ti strugge
21 internamente? Obblivione ingombra
22 i tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno;
23 disse colei. Son morta, e mi vedesti
24 l’ultima volta, or son piú lune. Immensa
25 doglia m’oppresse a queste voci il petto.
26 Ella seguí: nel fior degli anni estinta,
27 quand’è il viver piú dolce, e pria che il core
28 certo si renda com’è tutta indarno
29 l’umana speme. A desiar colei
30 che d’ogni affanno il tragge, ha poco andare
31 l’egro mortal; ma sconsolata arriva
32 la morte ai giovanetti, e duro è il fato
33 di quella speme che sotterra è spenta.
34 Vano è saper quel che natura asconde
35 agl’inesperti della vita, e molto
36 all’immatura sapienza il cieco
37 dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara,
38 taci, taci, diss’io, che tu mi schianti
39 con questi detti il cor. Dunque sei morta,
40 o mia diletta, ed io son vivo, ed era
41 pur fisso in ciel che quei sudori estremi
42 cotesta cara e tenerella salma
43 provar dovesse, a me restasse intera
44 questa misera spoglia? Oh quante volte
45 in ripensar che piú non vivi, e mai
46 non avverrà ch’io ti ritrovi al mondo,
47 creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa
48 che morte s’addimanda? Oggi per prova
49 intenderlo potessi, e il capo inerme
50 agli atroci del fato odii sottrarre.
51 Giovane son, ma si consuma e perde
52 la giovanezza mia come vecchiezza;
53 la qual pavento, e pur m’è lunge assai.
54 Ma poco da vecchiezza si discorda
55 il fior dell’età mia. Nascemmo al pianto,
56 disse, ambedue; felicità non rise
57 al viver nostro; e dilettossi il cielo
58 de’ nostri affanni. Or se di pianto il ciglio,
59 soggiunsi, e di pallor velato il viso
60 per la tua dipartita, e se d’angoscia
61 porto gravido il cor; dimmi: d’amore
62 favilla alcuna, o di pietà, giammai
63 verso il misero amante il cor t’assalse
64 mentre vivesti? Io disperando allora
65 e sperando traea le notti e i giorni;
66 oggi nel vano dubitar si stanca
67 la mente mia. Che se una volta sola
68 dolor ti strinse di mia negra vita,
69 non mel celar, ti prego, e mi soccorra
70 la rimembranza or che il futuro è tolto
71 ai nostri giorni. E quella: ti conforta,
72 o sventurato. Io di pietade avara
73 non ti fui mentre vissi, ed or non sono,
74 che fui misera anch’io. Non far querela
75 di questa infelicissima fanciulla.
76 Per le sventure nostre, e per l’amore
77 che mi strugge, esclamai; per lo diletto
78 nome di giovanezza e la perduta
79 speme dei nostri dí, concedi, o cara,
80 che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto
81 soave e tristo, la porgeva. Or mentre
82 di baci la ricopro, e d’affannosa
83 dolcezza palpitando all’anelante
84 seno la stringo, di sudore il volto
85 ferveva e il petto, nelle fauci stava
86 la voce, al guardo traballava il giorno.
87 Quando colei teneramente affissi
88 gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro,
89 disse, che di beltà son fatta ignuda?
90 E tu d’amore, o sfortunato, indarno
91 ti scaldi e fremi. Or finalmente addio.
92 Nostre misere menti e nostre salme
93 son disgiunte in eterno. A me non vivi
94 e mai piú non vivrai: già ruppe il fato
95 la fe che mi giurasti. Allor d’angoscia
96 gridar volendo, e spasimando, e pregne
97 di sconsolato pianto le pupille,
98 dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi
99 pur mi restava, e nell’incerto raggio
100 del Sol vederla io mi credeva ancora.
G. Leopardi, La vita solitaria (l82l)
1 La mattutina pioggia, allor che l’ale
2 battendo esulta nella chiusa stanza
3 la gallinella, ed al balcon s’affaccia
4 l’abitator de’ campi, e il Sol che nasce
5 i suoi tremuli rai fra le cadenti
6 stille saetta, alla capanna mia
7 dolcemente picchiando, mi risveglia;
8 e sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo
9 degli augelli susurro, e l’aura fresca,
10 e le ridenti piagge benedico:
11 poiché voi, cittadine infauste mura,
12 vidi e conobbi assai, là dove segue
13 odio al dolor compagno; e doloroso
14 io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
15 benché scarsa pietà pur mi dimostra
16 natura in questi lochi, un giorno oh quanto
17 verso me piú cortese! E tu pur volgi
18 dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
19 le sciagure e gli affanni, alla reina
20 felicità servi, o natura. In cielo,
21 in terra amico agl’infelici alcuno
22 e rifugio non resta altro che il ferro.
23 Talor m’assido in solitaria parte,
24 sovra un rialto, al margine d’un lago
25 di taciturne piante incoronato.
26 Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
27 la sua tranquilla imago il Sol dipinge,
28 ed erba o foglia non si crolla al vento,
29 e non onda incresparsi, e non cicala
30 strider, né batter penna augello in ramo,
31 né farfalla ronzar, né voce o moto
32 da presso né da lunge odi né vedi.
33 Tien quelle rive altissima quiete;
34 ond’io quasi me stesso e il mondo obblio
35 sedendo immoto; e già mi par che sciolte
36 giaccian le membra mie, né spirto o senso
37 piú le commova, e lor quiete antica
38 co’ silenzi del loco si confonda.
39 Amore amore, assai lungi volasti
40 dal petto mio, che fu sí caldo un giorno,
41 anzi rovente. Con sua fredda mano
42 lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
43 nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo
44 che mi scendesti in seno. Era quel dolce
45 e irrevocabil tempo, allor che s’apre
46 al guardo giovanil questa infelice
47 scena del mondo, e gli sorride in vista
48 di paradiso. Al garzoncello il core
49 di vergine speranza e di desio
50 balza nel petto; e già s’accinge all’opra
51 di questa vita come a danza o gioco
52 il misero mortal. Ma non sí tosto,
53 amor, di te m’accorsi, e il viver mio
54 fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
55 non altro convenia che il pianger sempre.
56 Pur se talvolta per le piagge apriche,
57 su la tacita aurora o quando al sole
58 brillano i tetti e i poggi e le campagne,
59 scontro di vaga donzelletta il viso;
60 o qualor nella placida quiete
61 d’estiva notte, il vagabondo passo
62 di rincontro alle ville soffermando,
63 l’erma terra contemplo, e di fanciulla
64 che all’opre di sua man la notte aggiunge
65 odo sonar nelle romite stanze
66 l’arguto canto; a palpitar si move
67 questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
68 tosto al ferreo sopor; ch’è fatto estrano
69 ogni moto soave al petto mio.
70 O cara Luna, al cui tranquillo raggio
71 danzan le lepri nelle selve; e duolsi
72 alla mattina il cacciator, che trova
73 l’orme intricate e false, e dai covili
74 error vario lo svia; salve, o benigna
75 delle notti reina. Infesto scende
76 il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
77 a deserti edifici, in su l’acciaro
78 del pallido ladron ch’a teso orecchio
79 il fragor delle rote e de’ cavalli
80 da lungi osserva o il calpestio de’ piedi
81 su la tacita via; poscia improvviso
82 col suon dell’armi e con la rauca voce
83 e col funereo ceffo il core agghiaccia
84 al passegger, cui semivivo e nudo
85 lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre
86 per le contrade cittadine il bianco
87 tuo lume al drudo vil, che degli alberghi
88 va radendo le mura e la secreta
89 ombra seguendo, e resta, e si spaura
90 delle ardenti lucerne e degli aperti
91 balconi. Infesto alle malvage menti,
92 a me sempre benigno il tuo cospetto
93 sarà per queste piagge, ove non altro
94 che lieti colli e spaziosi campi
95 m’apri alla vista. Ed ancor io soleva,
96 bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso
97 raggio accusar negli abitati lochi,
98 quand’ei m’offriva al guardo umano, e quando
99 scopriva umani aspetti al guardo mio.
100 Or sempre loderollo, o ch’io ti miri
101 veleggiar tra le nubi, o che serena
102 dominatrice dell’etereo campo,
103 questa flebil riguardi umana sede.
104 Me spesso rivedrai solingo e muto
105 errar pe’ boschi e per le verdi rive,
106 o seder sovra l’erbe, assai contento
107 se core e lena a sospirar m’avanza.
INNO AI PATRIARCHI
O DE' PRINCIPII DEL GENERE UMANO
E voi de' figli dolorosi il canto,
Voi dell'umana prole incliti padri,
Lodando ridirà; molto all'eterno
Degli astri agitator più cari, e molto
Di noi men lacrimabili nell'alma
Luce prodotti. Immedicati affanni
Al misero mortal, nascere al pianto,
E dell'etereo lume assai più dolci
Sortir l'opaca tomba e il fato estremo,
Non la pietà, non la diritta impose
Legge del cielo. E se di vostro antico
Error che l'uman seme alla tiranna
Possa de' morbi e di sciagura offerse,
Grido antico ragiona, altre più dire
Colpe de' figli, e irrequieto ingegno,
E demenza maggior l'offeso Olimpo
N'armaro incontra, e la negletta mano
Dell'altrice natura; onde la viva
Fiamma n'increbbe, e detestato il parto
Fu del grembo materno, e violento
Emerse il disperato Erebo in terra.
Tu primo il giorno, e le purpuree faci
Delle rotanti sfere, e la novella
Prole de' campi, o duce antico e padre
Dell'umana famiglia, e tu l'errante
Per li giovani prati aura contempli:
Quando le rupi e le deserte valli
Precipite l'alpina onda feria
D'inudito fragor; quando gli ameni
Futuri seggi di lodate genti
E di cittadi romorose, ignota
Pace regnava; e gl'inarati colli
Solo e muto ascendea l'aprico raggio
Di febo e l'aurea luna. Oh fortunata,
Di colpe ignara e di lugubri eventi,
Erma terrena sede! Oh quanto affanno
Al gener tuo, padre infelice, e quale
D'amarissimi casi ordine immenso
Preparano i destini! Ecco di sangue
Gli avari colti e di fraterno scempio
Furor novello incesta, e le nefande
Ali di morte il divo etere impara.
Trepido, errante il fratricida, e l'ombre
Solitarie fuggendo e la secreta
Nelle profonde selve ira de' venti,
Primo i civili tetti, albergo e regno
Alle macere cure, innalza; e primo
Il disperato pentimento i ciechi
Mortali egro, anelante, aduna e stringe
Ne' consorti ricetti: onde negata
L'improba mano al curvo aratro, e vili
Fur gli agresti sudori; ozio le soglie
Scellerate occupò; ne' corpi inerti
Domo il vigor natio, languide, ignave
Giacquer le menti; e servitù le imbelli
Umane vite, ultimo danno, accolse.
E tu dall'etra infesto e dal mugghiante
Su i nubiferi gioghi equoreo flutto
Scampi l'iniquo germe, o tu cui prima
Dall'aer cieco e da' natanti poggi
Segno arrecò d'instaurata spene
La candida colomba, e delle antiche
Nubi l'occiduo Sol naufrago uscendo,
L'atro polo di vaga iri dipinse.
Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi
Studi rinnova e le seguaci ambasce
La riparata gente. Agl'inaccessi
Regni del mar vendicatore illude
Profana destra, e la sciagura e il pianto
A novi liti e nove stelle insegna.
Or te, padre de' pii, te giusto e forte,
E di tuo seme i generosi alunni
Medita il petto mio. Dirò siccome
Sedente, oscuro, in sul meriggio all'ombre
Del riposato albergo, appo le molli
Rive del gregge tuo nutrici e sedi,
Te de' celesti peregrini occulte
Beàr l'eteree menti; e quale, o figlio
Della saggia Rebecca, in su la sera,
Presso al rustico pozzo e nella dolce
Di pastori e di lieti ozi frequente
Aranitica valle, amor ti punse
Della vezzosa Labanide: invitto
Amor, ch'a lunghi esigli e lunghi affanni
E di servaggio all'odiata soma
Volenteroso il prode animo addisse.
Fu certo, fu (né d'error vano e d'ombra
L'aonio canto e della fama il grido
Pasce l'avida plebe) amica un tempo
Al sangue nostro e dilettosa e cara
Questa misera piaggia, ed aurea corse
Nostra caduca età. Non che di latte
Onda rigasse intemerata il fianco
Delle balze materne, o con le greggi
Mista la tigre ai consueti ovili
Né guidasse per gioco i lupi al fonte
Il pastorel; ma di suo fato ignara
E degli affanni suoi, vota d'affanno
Visse l'umana stirpe; alle secrete
Leggi del cielo e di natura indutto
Valse l'ameno error, le fraudi, il molle
Pristino velo; e di sperar contenta
Nostra placida nave in porto ascese.
Tal fra le vaste californie selve
Nasce beata prole, a cui non sugge
Pallida cura il petto, a cui le membra
Fera tabe non doma; e vitto il bosco,
Nidi l'intima rupe, onde ministra
L'irrigua valle, inopinato il giorno
Dell'atra morte incombe. Oh contra il nostro
Scellerato ardimento inermi regni
Della saggia natura! I lidi e gli antri
E le quiete selve apre l'invitto
Nostro furor; le violate genti
Al peregrino affanno, agl'ignorati
Desiri educa; e la fugace, ignuda
Felicità per l'imo sole incalza.
G. Leopardi, Il sogno (l82l)
1 Era il mattino, e tra le chiuse imposte
2 per lo balcone insinuava il sole
3 nella mia cieca stanza il primo albore;
4 quando in sul tempo che piú leve il sonno
5 e piú soave le pupille adombra,
6 stettemi allato e riguardommi in viso
7 il simulacro di colei che amore
8 prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto.
9 Morta non mi parea, ma trista, e quale
10 degl’infelici è la sembianza. Al capo
11 appressommi la destra, e sospirando,
12 vivi, mi disse, e ricordanza alcuna
13 serbi di noi? Donde, risposi, e come
14 vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto
15 di te mi dolse e duol: né mi credea
16 che risaper tu lo dovessi; e questo
17 facea piú sconsolato il dolor mio.
18 Ma sei tu per lasciarmi un’altra volta?
19 Io n’ho gran tema. Or dimmi, e che t’avvenne?
20 Sei tu quella di prima? E che ti strugge
21 internamente? Obblivione ingombra
22 i tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno;
23 disse colei. Son morta, e mi vedesti
24 l’ultima volta, or son piú lune. Immensa
25 doglia m’oppresse a queste voci il petto.
26 Ella seguí: nel fior degli anni estinta,
27 quand’è il viver piú dolce, e pria che il core
28 certo si renda com’è tutta indarno
29 l’umana speme. A desiar colei
30 che d’ogni affanno il tragge, ha poco andare
31 l’egro mortal; ma sconsolata arriva
32 la morte ai giovanetti, e duro è il fato
33 di quella speme che sotterra è spenta.
34 Vano è saper quel che natura asconde
35 agl’inesperti della vita, e molto
36 all’immatura sapienza il cieco
37 dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara,
38 taci, taci, diss’io, che tu mi schianti
39 con questi detti il cor. Dunque sei morta,
40 o mia diletta, ed io son vivo, ed era
41 pur fisso in ciel che quei sudori estremi
42 cotesta cara e tenerella salma
43 provar dovesse, a me restasse intera
44 questa misera spoglia? Oh quante volte
45 in ripensar che piú non vivi, e mai
46 non avverrà ch’io ti ritrovi al mondo,
47 creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa
48 che morte s’addimanda? Oggi per prova
49 intenderlo potessi, e il capo inerme
50 agli atroci del fato odii sottrarre.
51 Giovane son, ma si consuma e perde
52 la giovanezza mia come vecchiezza;
53 la qual pavento, e pur m’è lunge assai.
54 Ma poco da vecchiezza si discorda
55 il fior dell’età mia. Nascemmo al pianto,
56 disse, ambedue; felicità non rise
57 al viver nostro; e dilettossi il cielo
58 de’ nostri affanni. Or se di pianto il ciglio,
59 soggiunsi, e di pallor velato il viso
60 per la tua dipartita, e se d’angoscia
61 porto gravido il cor; dimmi: d’amore
62 favilla alcuna, o di pietà, giammai
63 verso il misero amante il cor t’assalse
64 mentre vivesti? Io disperando allora
65 e sperando traea le notti e i giorni;
66 oggi nel vano dubitar si stanca
67 la mente mia. Che se una volta sola
68 dolor ti strinse di mia negra vita,
69 non mel celar, ti prego, e mi soccorra
70 la rimembranza or che il futuro è tolto
71 ai nostri giorni. E quella: ti conforta,
72 o sventurato. Io di pietade avara
73 non ti fui mentre vissi, ed or non sono,
74 che fui misera anch’io. Non far querela
75 di questa infelicissima fanciulla.
76 Per le sventure nostre, e per l’amore
77 che mi strugge, esclamai; per lo diletto
78 nome di giovanezza e la perduta
79 speme dei nostri dí, concedi, o cara,
80 che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto
81 soave e tristo, la porgeva. Or mentre
82 di baci la ricopro, e d’affannosa
83 dolcezza palpitando all’anelante
84 seno la stringo, di sudore il volto
85 ferveva e il petto, nelle fauci stava
86 la voce, al guardo traballava il giorno.
87 Quando colei teneramente affissi
88 gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro,
89 disse, che di beltà son fatta ignuda?
90 E tu d’amore, o sfortunato, indarno
91 ti scaldi e fremi. Or finalmente addio.
92 Nostre misere menti e nostre salme
93 son disgiunte in eterno. A me non vivi
94 e mai piú non vivrai: già ruppe il fato
95 la fe che mi giurasti. Allor d’angoscia
96 gridar volendo, e spasimando, e pregne
97 di sconsolato pianto le pupille,
98 dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi
99 pur mi restava, e nell’incerto raggio
100 del Sol vederla io mi credeva ancora.
G. Leopardi, La vita solitaria (l82l)
1 La mattutina pioggia, allor che l’ale
2 battendo esulta nella chiusa stanza
3 la gallinella, ed al balcon s’affaccia
4 l’abitator de’ campi, e il Sol che nasce
5 i suoi tremuli rai fra le cadenti
6 stille saetta, alla capanna mia
7 dolcemente picchiando, mi risveglia;
8 e sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo
9 degli augelli susurro, e l’aura fresca,
10 e le ridenti piagge benedico:
11 poiché voi, cittadine infauste mura,
12 vidi e conobbi assai, là dove segue
13 odio al dolor compagno; e doloroso
14 io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
15 benché scarsa pietà pur mi dimostra
16 natura in questi lochi, un giorno oh quanto
17 verso me piú cortese! E tu pur volgi
18 dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
19 le sciagure e gli affanni, alla reina
20 felicità servi, o natura. In cielo,
21 in terra amico agl’infelici alcuno
22 e rifugio non resta altro che il ferro.
23 Talor m’assido in solitaria parte,
24 sovra un rialto, al margine d’un lago
25 di taciturne piante incoronato.
26 Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
27 la sua tranquilla imago il Sol dipinge,
28 ed erba o foglia non si crolla al vento,
29 e non onda incresparsi, e non cicala
30 strider, né batter penna augello in ramo,
31 né farfalla ronzar, né voce o moto
32 da presso né da lunge odi né vedi.
33 Tien quelle rive altissima quiete;
34 ond’io quasi me stesso e il mondo obblio
35 sedendo immoto; e già mi par che sciolte
36 giaccian le membra mie, né spirto o senso
37 piú le commova, e lor quiete antica
38 co’ silenzi del loco si confonda.
39 Amore amore, assai lungi volasti
40 dal petto mio, che fu sí caldo un giorno,
41 anzi rovente. Con sua fredda mano
42 lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
43 nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo
44 che mi scendesti in seno. Era quel dolce
45 e irrevocabil tempo, allor che s’apre
46 al guardo giovanil questa infelice
47 scena del mondo, e gli sorride in vista
48 di paradiso. Al garzoncello il core
49 di vergine speranza e di desio
50 balza nel petto; e già s’accinge all’opra
51 di questa vita come a danza o gioco
52 il misero mortal. Ma non sí tosto,
53 amor, di te m’accorsi, e il viver mio
54 fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
55 non altro convenia che il pianger sempre.
56 Pur se talvolta per le piagge apriche,
57 su la tacita aurora o quando al sole
58 brillano i tetti e i poggi e le campagne,
59 scontro di vaga donzelletta il viso;
60 o qualor nella placida quiete
61 d’estiva notte, il vagabondo passo
62 di rincontro alle ville soffermando,
63 l’erma terra contemplo, e di fanciulla
64 che all’opre di sua man la notte aggiunge
65 odo sonar nelle romite stanze
66 l’arguto canto; a palpitar si move
67 questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
68 tosto al ferreo sopor; ch’è fatto estrano
69 ogni moto soave al petto mio.
70 O cara Luna, al cui tranquillo raggio
71 danzan le lepri nelle selve; e duolsi
72 alla mattina il cacciator, che trova
73 l’orme intricate e false, e dai covili
74 error vario lo svia; salve, o benigna
75 delle notti reina. Infesto scende
76 il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
77 a deserti edifici, in su l’acciaro
78 del pallido ladron ch’a teso orecchio
79 il fragor delle rote e de’ cavalli
80 da lungi osserva o il calpestio de’ piedi
81 su la tacita via; poscia improvviso
82 col suon dell’armi e con la rauca voce
83 e col funereo ceffo il core agghiaccia
84 al passegger, cui semivivo e nudo
85 lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre
86 per le contrade cittadine il bianco
87 tuo lume al drudo vil, che degli alberghi
88 va radendo le mura e la secreta
89 ombra seguendo, e resta, e si spaura
90 delle ardenti lucerne e degli aperti
91 balconi. Infesto alle malvage menti,
92 a me sempre benigno il tuo cospetto
93 sarà per queste piagge, ove non altro
94 che lieti colli e spaziosi campi
95 m’apri alla vista. Ed ancor io soleva,
96 bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso
97 raggio accusar negli abitati lochi,
98 quand’ei m’offriva al guardo umano, e quando
99 scopriva umani aspetti al guardo mio.
100 Or sempre loderollo, o ch’io ti miri
101 veleggiar tra le nubi, o che serena
102 dominatrice dell’etereo campo,
103 questa flebil riguardi umana sede.
104 Me spesso rivedrai solingo e muto
105 errar pe’ boschi e per le verdi rive,
106 o seder sovra l’erbe, assai contento
107 se core e lena a sospirar m’avanza.
Risposte
Qui trovate la parafrasi completa di di diversi canti di giacomo leopardi tra cui quelli che cerchi!
http://leopardi.letteraturaoperaomnia.org/parafrasi/index_canti.html
http://leopardi.letteraturaoperaomnia.org/parafrasi/index_canti.html
Per le parafrasi dovete scrivere il testo....