Questionario su Giorgio Bassani "Gli Occhiali d'oro"

kurtcobain93
ciao a tutti, potete rispondere a queste domande su "gli occhiali d'oro" di giorgio bassani:

1 qual è il narratore del racconto?
2 in quali luoghi è ambientata la vicenda? in che periodo storico si svolgono i fatti narrati ?
3 nel rapporto tra il dott. Fadigati e il giovane Deliliers, quale dei due è la vittima e quale il carnecice ?perchè?
4 in che modo il narratore condivide con il dottore l'etichetta di "diverso"?
5 con quali modalità la società in cui operava, rispettato e stimato, il dott. Fadigati attua la sua sottile ma inedorabile condanna, fino a condurlo alla solitudine e al suicidio?

grazie in anticipo ...
se non riuscite a rispondere potete postare un riassunto che in rete non ne trovo!!
grazie ancora ciao ciao

Risposte
cichinella
ciao...

“Il tempo ha cominciato a diradarli, eppure non si può ancora dire che siano pochi, a Ferrara, quelli che ricordano il dottor Fadigati (Athos Fadigati, sicuro – rievocano -, l’otorinolaringoiatra che aveva studio e casa in via Gorgadello, a due passi da piazza delle Erbe, e che è finito così male, poveruomo, così tragicamente, proprio lui che da giovane, quando venne a stabilirsi nella nostra città dalla nativa Venezia, era parso destinato alla più regolare, più tranquilla, e perciò stesso più invidiabile delle carriere...)”, p. 3.
Gli occhiali d’oro si apre con una sintesi di quella che sarà la storia contenuta nel volume. Proprio tutta la storia, dall’inizio, carico di buoni auspici, al drammatico epilogo. Poggiati sul naso del protagonista, un uomo dell’alta borghesia veneziana dai modi garbati e i gusti sopraffini, gli occhiali d’oro ne diventano presto il segno distintivo, l’indice di usi da viveur che lo portano a frequentare assiduamente i quattro cinema della città.
“Ficcando gli sguardi nelle tenebre, oltre la balaustrata della galleria, lo cercavano là, in basso, lungo le sordide pareti laterali, presso le porte delle uscite di sicurezza e delle latrine, senza trovar requie finché non avessero colto il tipico luccichio che i suoi occhiali d’oro mandavano ogni tanto attraverso il fumo e l’oscurità [...]” , p. 13.
Quella raccontata nelle 109 pagine di questo racconto lungo (o romanzo breve?) del 1958 è dunque la storia – splendidamente narrata – di Athos Fadigati, inizialmente ammirato come professionista e arbiter elegantiae nella Ferrara degli anni ’30, e poi sempre più emarginato man mano che strane, stranissime voci prendono a circolare. Introdotte da striscianti “ma lo sai che...” e “ho sentito che...”, le insinuazioni sulle preferenze sessuali del medico si diffondono e si inseguono fino a trovare la conferma in estate, sulle spiagge di una Riccione affollata di ferraresi in vacanza. In riva all’italico mare, nel pieno dell’epoca fascista, Fadigati viene avvistato in inequivocabile compagnia di ragazzo bello, spregiudicato e noto in città per la vita sregolata: Eraldo Deliliers.
“[Deliliers] Nel ’35 aveva vinto il campionato regionale di boxe, categoria allievi, pesi medi, e a parte questo era un bellissimo ragazzo, alto un metro e ottanta e con un volto e un corpo da statua greca, un reuccio locale vero e proprio. Gli si attribuivano, e non aveva ancora vent’anni, tre o quattro conquiste clamorose. [...] Per vestirci ci si regolava sui suoi abiti, che la madre gli spazzolava, smacchiava e stirava perfettamente. Stare accanto a lui la domenica mattina, al Caffé della Borsa, con la schiena appoggiata a una colonna del portico e guardando le gambe delle donne che passavano, era considerato un autentico privilegio”, p. 39.
Dal momento dell’avvistamento “degli sposini” sulla riviera più pettegola della Penisola, tutto cambia nei confronti del dottore: quello che fino a poche pagine prima era tacitamente tollerato perché solo immaginato diventa improvvisamente disgustoso perché manifesto. Non più dunque deferenza verso l’affermato professionista, ma solo fastidio nei confronti del “facoltoso finocchio”.
Per quanto già affrontata da alcuni grandi della letteratura italiana (Moravia aveva scritto Agostino nel 1944), la tematica dell’omosessualità in Italia negli anni ’50 non doveva certo essere facile o leggera. Da noi, lo sappiamo, certe cose hanno richiesto tempo prima di essere metabolizzate e trattate senza l’ammanto di una fitta coltre di ipocrisia. Ecco, Bassani in questo è stato moderno: non ha espresso giudizi. Senza partecipazione politico-ideologica ha voluto semplicemente qualificare una realtà storica ben precisa e una specialità umana sempreverde: il salto sul carro del vincitore del momento, che in quel momento era un Fascismo tutto muscoli e virilità.
Ferrara, dunque. Qui come nel resto delle opere di Bassani. E, come in tutta la produzione dell’autore, connotata non solo come una piccola città di provincia, ma come “la piccola città di provincia”, un microcosmo simbolo di un’intera società. A parte lo sfondo su cui si snoda la vicenda, numerosi altri solo gli elementi classici bassaniani che si ritrovano ne Gli occhiali d’oro: la prosa elegante e mai sovraccarica; la forte identità ebraica (l’io narrante è uno studente ebreo, oltre che un paziente di Fadigati); le memorie della vita del ghetto; il tema dell’emarginazione e i frequenti presagi, quasi preveggenze, che il futuro non riserverà niente, ma proprio niente di bello.
Il libro presenta tuttavia anche degli importanti elementi di novità. Il primo è l’apparizione dell’io protagonista, quando invece le altre storie del Romanzo di Ferrara “avevano offerto della città padana soprattutto l’ambiente, la scena, le vicende; l’autore aveva osservato dall’esterno i personaggi muoversi su un palcoscenico ove la vita era ricostruita dal suo rigore di storico” (p. 113, dalla Nota di Anna Dolfi). La seconda è l’aver dedicato una pagina intera (p. 89) a una famiglia della Ferrara bene intorno alla quale, nel ’62, Bassani avrebbe costruito il suo romanzo più celebre: i Finzi-Contini.
Più volte è stato detto che Gli occhiali d’oro è, oltre la storia di Athos Fadigati, anche e soprattutto la storia di due emarginazioni, quella derivata dall’indole sessuale (il protagonista) e dalla professione religiosa (l’io narrante). Le due diversità, sempre più invise con l’approssimarsi della promulgazione delle detestate leggi razziali (cfr. Una giornata particolare, Ettore Scola 1977), per un breve volgere di pagine e di tempo si incontrano e si supportano, tuttavia niente, neanche l’idea di un fronte comune tratterà il medico dall’estremo gesto. Un gesto, però, del quale non verrà riconosciuta la vera natura. Il giorno dopo il suicidio di Fadigati i giornali parleranno semplicemente di disgrazia. Stile dei tempi.

Aggiunto 1 minuti più tardi:

ferrara e Athos Fadigati: l’inizio della follia che condurrà il mondo all’orrore dell’olocausto. Gli occhiali d’oro apparve nel 1958 come romanzo breve appartenente al nucleo Il romanzo di Ferrara.
Sul palcoscenico di questa piccola città di provincia, i protagonisti si muovono come sospesi, come figure e figurine di un’età che sta per smarrirsi. Non ci sarà più l’ambulatorio di via Gorgadello, le pigre domeniche in bicicletta, gli occhiali d’oro del professionista stimato dall’alta borghesia del luogo, che brillano nell’oscurità della platea di uno dei quattro cinema cittadini; quegli stessi occhiali d’oro che «incorniciano il vago sorriso che gli spianava il volto»
Gli occhiali d’oro rappresentano una diversità dapprima tollerata e poi sempre più invisa, fatta precipitare dalla scandalosa relazione fra Fadigati e il giovane, molle e spregiudicato, Deliliers. Sarà sempre meno tollerata anche l’appartenenza alla comunità ebraica dell’io narrante. L’introduzione dell’io narrante è un'innovazione stilistica dirompente, vivacizza il romanzo di Bassani, rendendo scorrevole e fluente la lettura, arricchita da dialoghi diretti che misurano la caducità, l’instabilità del momento storico.
L’introduzione dell’io narrante, dunque, la narrazione asciutta e oggettiva, la coralità lasciano luogo a una lettura coinvolgente e, a tratti, tragica. I dialoghi serrati scoprono il volto borghese e conformista della piccola città di provincia, evidenziano il motivo dell’esclusione, dell’emarginazione, si avvolgono sui temi decadenti dell’omosessualità e dell’ebraismo affrontati da Bassani senza alcuna partecipazione ideologico-politica, ma con l'unica intenzione di definire una realtà storicamente ben precisa.
Il tentativo di raggiungere l’eguaglianza per e di tutti, unitamente a un’affannosa normalità struggentemente ricercata — nonostante gli echi della tragedia siano oramai prossimi — sembrano mestamente viaggiare sulle note del Tristano wagneriano, «mentre la campagna scorre fresca e luminosa nel riquadro del finestrino», come se le vite dei protagonisti fossero tutte lì in quel riquadro, senza alcuna soluzione di continuità, come fissate in uno spazio inamovibile, così come fissi e immobili sono i loro destini.
L’appartenenza a mondi diversi emargina e ghettizza Fadigati e il narratore ai confini della società borghese, proscenio dell’imminente tragedia ove si incontreranno non solo i deuteragonisti, ma anche compassione e comprensione, sino al gesto di estremo dolore quale il suicidio del medico veneziano, un suicidio che la virile società del tempo non gli riconoscerà neppure:
«Noto Professionista Ferrarese Annegato nelle acque del Po presso Pontelagoscuro»

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