Dante: La prima apparizione di Beatrice
Chiudete,ho fatto solo!
Risposte
Over eh Frat'm
ma quale tanta fatica per nullaaa!
hai fatto solo copia e incolla..ma va..
hai fatto solo copia e incolla..ma va..
È utile tener presente, nello studio della Vita nuova, la duplice prospettiva in base alla quale l’opera è costruita. Da un lato, infatti, esiste un Dante-personaggio, il giovane poeta innamorato di Beatrice. Dall’altra esiste un Dante-narratore il quale, alcuni anni dopo la morte di Beatrice, sfoglia il libro della sua memoria e, ormai consapevole di tutte le implicazioni morali e religiose della vicenda, ne fornisce un’interpretazione complessiva universalmente valida.
Tenendo presente questa duplicità di prospettiva, possiamo dividere il capitolo in quattro sequenze (escludendo l’ultimo periodo, che si limita ad anticipare la materia dei capitoli successivi).
Collocazione temporale della vicenda
Le due ampie perifrasi astronomiche, che collocano in un preciso momento storico (l’anno 1274) la prima apparizione di Beatrice, appartengono ovviamente alla prospettiva del narratore consapevole. Egli sa che l’incontro con Beatrice è stata una manifestazione del divino e per questo insiste sul ricorrere del numero nove (numero che nella simbologia dantesca rappresenta il miracolo, in quanto quadrato di tre, ossia prodotto del numero della Trinità moltiplicato per se stesso [G14]). Notevole è il fatto che a questa articolata collocazione temporale non corrisponda alcuna precisazione circa lo spazio in cui la vicenda si colloca: il narratore evita infatti ogni riferimento concreto che possa far apparire il suo «libello» come la semplice trascrizione di un’esperienza biografica che riguardi esclusivamente un singolo uomo e sia avvenuta in un luogo ben preciso; egli insiste, al contrario, sugli elementi che consentono un’interpretazione universale (e soprannaturale) della vicenda.
Indice della consapevolezza del narratore è anche la constatazione che questa donna «fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare» [1]: nella prospettiva medievale, secondo la quale nomina sunt consequentia rerum, il fatto che quanti ignoravano il nome della donna le attribuissero spontaneamente quello di «apportatrice di beatitudine» vale come conferma, intuitiva e perciò ancor più pregnante, della natura sovrumana di questa figura femminile.
Apparizione di Beatrice
Il periodo che contiene la raffigurazione della donna è non a caso introdotto da un verbo religiosamente connotato come «apparve». La descrizione contiene alcuni particolari concreti, che si riferiscono però solo all’abbigliamento della donna, il quale è conforme all’età di lei ed è definito con aggettivi che lo fanno apparire come indice di virtù morali («umile») e di decoro esteriore («onesto»). L’assenza di qualsiasi descrizione fisica immerge questa figura vestita di rosso in un’atmosfera rarefatta, che contribuisce ulteriormente ad innalzarla al di sopra del mondo terreno.
Effetti immediati dell’apparizione: sconvolgimento dell’amante
I tre periodi seguenti sono collegati dall’anafora «in quello punto» e da una fitta serie di parallelismi: «lo spirito della vita […] cominciò a tremare […] e tremando disse queste parole» [4]; «lo spirito animale […] si cominciò a maravigliare molto […] sì disse queste parole» [5]; «lo spirito naturale […] cominciò a piangere […] e piangendo disse queste parole» [6]. Tali periodi descrivono analiticamente una serie di eventi simultanei o, per meglio dire, istantanei: tutto ciò che, immediatamente dopo l’apparizione, avviene nell’anima dell’amante. L’analisi dei moti psicologici risente fortemente della dottrina degli spiriti su cui è costruita tanta poesia di Cavalcanti (ma si rifà anche al trattato De spiritu et respiratione di Alberto Magno). In questa sequenza, in cui il tempo del discorso appare rallentato rispetto al tempo della storia (tre periodi in successione per descrivere ciò che è avvenuto «in quello punto»), la distanza tra narratore e personaggio si riduce al minimo; ciò può spiegare la prevalenza di immagini di tremore e angoscia, tipiche della concezione cavalcantiana dell’amore. Il significato religioso della vicenda non è esplicitato, anche se ad esso rimandano le frasi pronunciate dagli spiriti, per almeno due delle quali sono individuabili precisi richiami scritturali.
Effetti a lungo termine dell’amore per Beatrice: perfezionamento dell’amante [7, 8, 9]
La prospettiva del narratore e quella del protagonista si distanziano nuovamente nei tre successivi paragrafi, in cui si inverte anche il rapporto tra tempo della storia e tempo del discorso. Il tempo della storia infatti si dilata (si tratta di molti anni, in pratica tutti quelli della «puerizia»), mentre il tempo del discorso è praticamente uguale a quello della sequenza precedente (tre periodi). Il narratore consapevole non si limita a insistere sulle connotazioni religiose della figura di Beatrice, ma mira a prendere ideologicamente le distanze dal cavalcantismo, confutando esplicitamente l’idea di un’inconciliabilità tra amore e ragione e gettando le basi per il superamento del tradizionale conflitto tra amore e religione. Può essere utile, per misurare le distanze tra Dante e la precedente tradizione stilnovistica, riflettere sul valore che assume l’immagine della donna-angelo in questo testo e istituire un confronto con la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli. Nel testo dantesco la donna non si limita ad avere «d’angel sembianza»; non compare cioè semplicemente come primo termine di una similitudine galante (che, come abbiamo a suo tempo mostrato, non risolveva affatto il conflitto, ma si limitava ad aggirarlo). In Dante la donna è definita, senza mediazioni retoriche, «angiola giovanissima»: e che non si tratti di semplice metafora apparirà ancora più chiaro via via che si procederà nello studio della Vita nuova .
-_-" tutta fatica per niente.. xDDD
Tenendo presente questa duplicità di prospettiva, possiamo dividere il capitolo in quattro sequenze (escludendo l’ultimo periodo, che si limita ad anticipare la materia dei capitoli successivi).
Collocazione temporale della vicenda
Le due ampie perifrasi astronomiche, che collocano in un preciso momento storico (l’anno 1274) la prima apparizione di Beatrice, appartengono ovviamente alla prospettiva del narratore consapevole. Egli sa che l’incontro con Beatrice è stata una manifestazione del divino e per questo insiste sul ricorrere del numero nove (numero che nella simbologia dantesca rappresenta il miracolo, in quanto quadrato di tre, ossia prodotto del numero della Trinità moltiplicato per se stesso [G14]). Notevole è il fatto che a questa articolata collocazione temporale non corrisponda alcuna precisazione circa lo spazio in cui la vicenda si colloca: il narratore evita infatti ogni riferimento concreto che possa far apparire il suo «libello» come la semplice trascrizione di un’esperienza biografica che riguardi esclusivamente un singolo uomo e sia avvenuta in un luogo ben preciso; egli insiste, al contrario, sugli elementi che consentono un’interpretazione universale (e soprannaturale) della vicenda.
Indice della consapevolezza del narratore è anche la constatazione che questa donna «fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare» [1]: nella prospettiva medievale, secondo la quale nomina sunt consequentia rerum, il fatto che quanti ignoravano il nome della donna le attribuissero spontaneamente quello di «apportatrice di beatitudine» vale come conferma, intuitiva e perciò ancor più pregnante, della natura sovrumana di questa figura femminile.
Apparizione di Beatrice
Il periodo che contiene la raffigurazione della donna è non a caso introdotto da un verbo religiosamente connotato come «apparve». La descrizione contiene alcuni particolari concreti, che si riferiscono però solo all’abbigliamento della donna, il quale è conforme all’età di lei ed è definito con aggettivi che lo fanno apparire come indice di virtù morali («umile») e di decoro esteriore («onesto»). L’assenza di qualsiasi descrizione fisica immerge questa figura vestita di rosso in un’atmosfera rarefatta, che contribuisce ulteriormente ad innalzarla al di sopra del mondo terreno.
Effetti immediati dell’apparizione: sconvolgimento dell’amante
I tre periodi seguenti sono collegati dall’anafora «in quello punto» e da una fitta serie di parallelismi: «lo spirito della vita […] cominciò a tremare […] e tremando disse queste parole» [4]; «lo spirito animale […] si cominciò a maravigliare molto […] sì disse queste parole» [5]; «lo spirito naturale […] cominciò a piangere […] e piangendo disse queste parole» [6]. Tali periodi descrivono analiticamente una serie di eventi simultanei o, per meglio dire, istantanei: tutto ciò che, immediatamente dopo l’apparizione, avviene nell’anima dell’amante. L’analisi dei moti psicologici risente fortemente della dottrina degli spiriti su cui è costruita tanta poesia di Cavalcanti (ma si rifà anche al trattato De spiritu et respiratione di Alberto Magno). In questa sequenza, in cui il tempo del discorso appare rallentato rispetto al tempo della storia (tre periodi in successione per descrivere ciò che è avvenuto «in quello punto»), la distanza tra narratore e personaggio si riduce al minimo; ciò può spiegare la prevalenza di immagini di tremore e angoscia, tipiche della concezione cavalcantiana dell’amore. Il significato religioso della vicenda non è esplicitato, anche se ad esso rimandano le frasi pronunciate dagli spiriti, per almeno due delle quali sono individuabili precisi richiami scritturali.
Effetti a lungo termine dell’amore per Beatrice: perfezionamento dell’amante [7, 8, 9]
La prospettiva del narratore e quella del protagonista si distanziano nuovamente nei tre successivi paragrafi, in cui si inverte anche il rapporto tra tempo della storia e tempo del discorso. Il tempo della storia infatti si dilata (si tratta di molti anni, in pratica tutti quelli della «puerizia»), mentre il tempo del discorso è praticamente uguale a quello della sequenza precedente (tre periodi). Il narratore consapevole non si limita a insistere sulle connotazioni religiose della figura di Beatrice, ma mira a prendere ideologicamente le distanze dal cavalcantismo, confutando esplicitamente l’idea di un’inconciliabilità tra amore e ragione e gettando le basi per il superamento del tradizionale conflitto tra amore e religione. Può essere utile, per misurare le distanze tra Dante e la precedente tradizione stilnovistica, riflettere sul valore che assume l’immagine della donna-angelo in questo testo e istituire un confronto con la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli. Nel testo dantesco la donna non si limita ad avere «d’angel sembianza»; non compare cioè semplicemente come primo termine di una similitudine galante (che, come abbiamo a suo tempo mostrato, non risolveva affatto il conflitto, ma si limitava ad aggirarlo). In Dante la donna è definita, senza mediazioni retoriche, «angiola giovanissima»: e che non si tratti di semplice metafora apparirà ancora più chiaro via via che si procederà nello studio della Vita nuova .
-_-" tutta fatica per niente.. xDDD