Percorso sull'avidità , collegamenti con materie scientifiche e arte

Alb9393
Salve a tutti , frequento il liceo scientifico e avevo pensato come percorso d'esame al tema dell'avidità , accezione positiva per quanto riguarda il progresso scientifico e negativa . Però ho bisogno di suggerimenti per quanto riguarda collegamenti di tipo scientifico ( biologia , chimica , scienze della terra , matematica e fisica ) e storia dell'arte , voi avreste qualche idea ? Grazie in anticipo! :)

Risposte
Alb9393
Veramente non ho avuto tempo di chiedere dato che ho deciso ultimamente D: , cmq non mi dispero molto dato che la prof che si occupa di chimica biologia e scienze della terra non fa molto caso ai collegamenti , le interessa ascoltare solamente gli argomenti che la riguardano , cmq sia avevo pensato di collegare con le materie scientifiche accennando al progresso scientifico reso possibile dall' "avidità di sapere" e per quanto riguarda arte porto Andy Warhol collegato ad una critica del sistema capitalistico e appunto l'avidità di denaro

Francy1982
nelle materie scientifiche il tema non si collega molto bene, ma i tuoi prof lo hanno accettato?

dolce misteriosa^___^
matematica
Maurits Cornelis Escher (1898-1972)
Immagine da http://www.mcescher.com/
Maurits Cornelius Escher, artista e matematico olandese, morto nel 1972, a 73 anni, era nato in Olanda a Leeuwarden nel 1898. A scuola, confessa, non era molto bravo in matematica:
“Alle superiori ero molto scarso in aritmetica e in algebra perché avevo, e ho ancora una grande difficoltà nell’astrazione di numeri e lettere. Più tardi, quando la mia immaginazione venne attratta dalla stereometria [geometria solida] le cose andarono un po’ meglio, ma a scuola non riuscii mai ad avere buoni risultati in queste discipline. Ma il percorso della nostra vita può prendere strane svolte”.
Scrive però il grande fisico e matematico Roger Penrose, amico di Escher:
"Non crediate affatto a quello che Escher racconta sulla sua ignoranza matematica. Forse non aveva dei buoni voti, o forse non aveva avuto un buon rapporto con i professori. Ma una conoscenza molto chiara ed approfondita della matematica e della geometria ce le aveva eccome. D'altra parte questo è evidentissimo nei suoi disegni". Forse è il solito problema: una scuola che non porta lo studente ad amare la matematica, a scoprirne la bellezza.
Dopo i suoi studi in architettura, fece diversi viaggi in Italia dove conobbe la sua futura moglie, Jetta Umiker, che sposò nel 1924 e con lei visse per 11 anni a Roma, fino al 1935. Si trasferirono poi in Svizzera, successivamente a Bruxelles e infine si stabilirono in Olanda, nella città di Baarn.
Quand'era ancora un ragazzino, come ricorderà una sua amica, si divertiva a sistemare fettine di formaggio sulla sua grande fetta di pane imburrato in modo da ricoprirla interamente, senza lasciare spazi vuoti. Più tardi confesserà: “La divisione regolare del piano è diventata un’autentica “mania”, a cui sono ormai assuefatto, e da cui talvolta mi è difficile allontanarmi”. Un altro dei suoi giochi preferiti, preludio ai suoi disegni fatti di strane connessioni, consisteva nel partire da due concetti arbitrari, apparentemente lontani fra loro come significato, tentandone poi un collegamento logico. Ad esempio, passare dall’autista del tram alla sedia di cucina:

AUTISTA DEL TRAM
TRAM TRAINATO DA CAVALLI
SU ROTAIE
ATTRAVERSAMENTO DELLA CITTA’
FINO AL LIMITE
LIMITAR DEL BOSCO
LEGNA
ASSI SEGATE
PER COSTRUIRE MOBILI
UNA SEDIA DI CUCINA






M. C. Escher, Three Spheres II, 1946
Immagine da http://www.nga.gov/collection/gallery/ggescher/ggescher-53944.0.html

“Il gioco diventa difficile – osserva Escher - quando si vuol trasformare questo flusso di pensieri in immagini. Ho scoperto come si fa soltanto molti anni più tardi”.
Per riuscire a realizzare i suoi fantastici “racconti per immagini”, Escher capì che doveva approfondire lo studio matematico del piano, partendo dalle tassellature più note. In tal modo sarebbe stato in grado di creare nuovi disegni periodici, combinando fra loro le diverse tessere dei suoi curiosi mosaici.


Alhambra, Patio dei leoni
Immagine da http://www.alhambradegranada.org/historia/alhambraPtLeones_en.asp

La rivelazione furono le stupende decorazioni dell’Alhambra di Granada, che visitò nell’autunno del 1922, scoprendo la bellezza dei disegni astratti che ornavano le pareti del palazzo.
“L’arte di riempire un piano con uno schema ripetuto - affermò il grande matematico H. S. M. Coxeter, che aiutò Escher capire il significato e il valore matematico delle sue opere - raggiunse il suo massimo sviluppo nella Spagna del tredicesimo secolo, dove i Mori usarono tutti i diciassette gruppi di simmetria, nelle loro intriganti decorazioni dell’Alhambra. La loro preferenza per gli schemi astratti era dovuta alla stretta osservanza del precetto del Corano: “Tu non disegnerai alcuna figura...””.


Particolare di un mosaico dell’Alhambra
Immagine da http://www.greatbuildings.com/cgi-
“Molto tempo fa, durante uno dei miei vagabondaggi – scrive Escher – mi capitò di trovarmi in questo campo (la divisione regolare del piano); vidi un alto muro e poiché avevo il presentimento di trovare qualcosa di enigmatico e di sconosciuto, lo scavalcai faticosamente. Dall’altra parte c’era un deserto che attraversai con gran fatica fino a quando seguendo un complicato percorso, mi trovai su una soglia: davanti a me si spalancavano le porte della matematica. Da qui si dipartivano in diverse direzioni molti sentieri ben tracciati e da allora mi soffermo spesso in questo luogo. Talvolta mi pare di aver perlustrato l’intera zona, di averne percorso ogni sentiero e ammirato ogni veduta; poi improvvisamente scopro un sentiero ancora inesplorato e assaporo nuove delizie”.
“Mentre disegno – scrive ancora – mi sento come un medium, controllato dalle creature che sto evocando. E’ come se esse stesse scegliessero le forme in cui apparire. E non si curano, durante la loro nascita, della mia opinione critica e non riesco a esercitare nessuna influenza sulle dimensioni del loro sviluppo. Di solito sono creature difficilissime e ostinate”.


Schizzo di Escher , da un mosaico murale dell’Alhambra, 1922.
In realtà, dietro i suoi lavori c’è un grande studio matematico. I vari percorsi che Escher ha seguito per arrivare alla comprensione delle regole di costruzione dei suoi disegni, sono raccolti in una serie di quaderni fitti di appunti, semplici quaderni di scuola i cui quadretti lo aiutano a tracciare le griglie dei tasselli elementari delle sue figure.


Un disegno di Escher, tratto dal volume Visioni della simmetria, edito da Zanichelli.

Questi appunti, ricuperati da Doris Schattschneider, matematica e grande ammiratrice dell’artista olandese, sono pubblicati nel suo libro, Visioni della Simmetria, Zanichelli, 1992. Un libro stupendo che finalmente svela i trucchi del mestiere di Escher e che raccoglie tutto il suo lavoro sulla divisione regolare del piano, quella che chiamò la “teoria profana”. Sono 350 disegni periodici, 180 dei quali sono inediti.


Disegno di Escher dal libro Visioni della simmetria, Zanichelli.

La parte più originale della ricerca escheriana è quella riguardante la distribuzione del colore nei disegni periodici, per facilitare l’individuazione delle singole figure, ognuna delle quali deve svolgere alternativamente il ruolo di figura e di sfondo. Nei suoi Uccelli/pesci, ad esempio, gli uccelli sono acqua rispetto ai pesci e i pesci sono cielo rispetto agli uccelli. La sua teoria della “simmetria di colore” sui disegni periodici a due o più colori contrastanti, verrà scoperta solo parecchi anni dopo dai cristallografi che l’applicheranno con notevoli vantaggi nella classificazione dei cristalli e delle loro proprietà.
Quello che i matematici non hanno ancora approfondito è la transizione dinamica da un motivo all’altro. Escher stesso non chiarì molto bene le regole applicate al passaggio da una tassellatura all’altra, per riuscire a creare i suoi suggestivi mondi immaginari. Un piccolo paese della costa amalfitana, Atrani, che lo aveva colpito perché aveva ritrovato nella sua struttura molti elementi dei suoi paesaggi fantastici, è ad esempio il punto di partenza per il primo disegno di questo tipo, Metamorfosi I. Le case sul mare diventano scatole, perdono via via le loro caratteristiche, si trasformano in semplici cubi, in esagoni e alla fine in ragazzini cinesi.



Sono questi passaggi da una forma all’altra, dalla seconda alla terza dimensione che sconcertano l’osservatore. “Noi non conosciamo lo spazio – scrive Escher – non lo vediamo, non lo ascoltiamo, non lo percepiamo. Siamo in mezzo ad esso, ne facciamo parte, ma non ne sappiamo nulla... Vediamo soltanto sentieri, segni; non vediamo lo spazio vero e proprio”.
I suoi disegni sono provocazioni che egli crea per affinare la nostra percezione dello spazio, per svelare i limiti e le ambiguità delle nostre capacità percettive.
“Escher – osserva Douglas R. Hofstadter, autore del celebre saggio sull’intelligenza artificiale, Gödel, Escher, Bach, in cui fin dal titolo, accosta il suo nome a quello di un grande musicista e a quello di un grande musicista – ha creato alcuni disegni che sono concettualmente fra i più stimolanti di tutti i tempi [...]. Il genio di Escher consiste nella sua capacità di escogitare e allo stesso tempo realizzare figurativamente dozzine di mondi semireali e semi – immaginari nei quali sembra invitare i suoi spettatori a entrare”.
Il critico d’arte ha sempre guardato con un certo sospetto i lavori di Escher, un artista che non riesce a dimenticare la matematica; ma proprio questo lo rende il più amato dai matematici, per i quali i suoi disegni sono la dimostrazione che anche la matematica può essere arte.
“L’attenzione che avete tanto cortesemente dedicato alle mie fantasie – osservava Escher, nel suo intervento a un convegno scientifico – dimostra, per lo meno me lo auguro, che la scienza e l’arte talvolta possono incontrarsi, come due pezzi di quel puzzle che è la vita umana, e che può stabilirsi un contatto attraverso la frontiera che separa i nostri rispettivi campi d’indagine”.


Disegno di Escher eseguito secondo il sistema del “gioco delle composizioni” di Roger Penrose. Dal libro Visioni della simmetria, Zanichelli.

Uno degli ultimi lavori di Escher è una strana figura di “pesce volante” che ricopre il piano secondo uno schema che gli aveva suggerito un suo amico, il grande fisico e matematico della Oxford University Roger Penrose, un “gioco delle composizioni”, come lo definisce Escher. E’ un’opera diversa da tutte le altre, non esiste una regione del disegno che si ripeta periodicamente, non è possibile individuare una traslazione che porti il disegno a sovrapporsi a se stesso. E’ una tassellatura non periodica: “Peccato che Escher non abbia potuto studiare le mie tessere non periodiche - dice Penrose - ne avrebbe sicuramente ricavato qualcosa di molto interessante”.
Penrose comunque, attraverso le sue figure impossibili, suggerì a Escher alcuni dei suoi disegni migliori, come la celebre Cascata o il Belvedere.


M. C. Escher, Rettili, 1943
Una tassellatura “alla Escher” con PAINT, il programma in dotazione con WINDOWS.


Quella che segue è la proposta di un gioco, da realizzare con Paint, il programma che si trova su tutti i computer che hanno adottato il sistema operativo Windows. Il più semplice programma di grafica della Microsoft, facile da usare e utile per tentare l’esperimento di costruzione di una tassellatura “alla Escher”. E’ un gioco che potrebbe continuare con nuove invenzioni e che potrebbe diventare, come ha detto Escher, “un gioco serio”.


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1) Si attiva il bottone “rettangolo” e si disegna un quadrato che con il bottone “riempi” si colora di nero.
2) Con “seleziona parte” si taglia il profilo del volto.
3) Si sposta la parte selezionata a sinistra del quadrato
4) Sempre con “seleziona parte” si taglia la parte inferiore del quadrato
5) Si sposta la nuova parte sopra il quadrato
6) Con “matita” e “pennello” si definisce il volto ottenuto
7) e 8) Si seleziona il nostro lavoro e con “taglia” e “incolla” dal menu “modifica” si fanno due copie del volto
9) e 10) Con “riempi” si dà un nuovo colore a uno dei due volti
11) Si uniscono i due volti e si ottiene la forma base che ripetuta, sempre con taglia e incolla ci consente di arrivare finalmente alla nostra tassellatura alla Escher.














Riportiamo l’articolo di Dario Pasquini, pubblicato da LA REPUBBLICA il 24/02/05, in occasione della mostra Nell'occhio di Escher, che si è tenuta a Roma dal 22/10/04 al 28703/05 ai Musei Capitolini.

ROMA - Le creazioni fantastiche di Escher? Merito del fascismo. Ovviamente è una provocatoria semplificazione. Tuttavia qualcosa di vero c'è in questa affermazione. Certo, i nostalgici non potranno collocare la produzione di Escher, insieme con il prosciugamento delle Paludi Pontine, i treni in orario, D'Annunzio e Marinetti, nel catalogo delle cosiddette "cose buone" del fascismo (verso le quali vale la famosa battuta di Benigni: "è come se un elettricista viene da me, mi uccide la moglie, mi stupra la figlia, però io dico che l'impianto l'ha fatto bene..."). Semplicemente perché il fascismo non agì su Escher come fonte d'ispirazione, bensì come un fetido odore che si propaga lentamente e finisce per tenerti alla larga. L'artista olandese infatti si stabilì a Roma dal 1924 al 1935, sino a che il clima oppressivo del regime non gli fece diventare davvero insopportabile il nostro paese, che pur tanto amava.


Fu così che Escher approdò a una radicale rottura con il suo stile naturalistico precedente. Contemporaneamente questo significò un approfondimento di un interesse per l'introspezione che fino ad allora era rimasto quasi latente. Colla partenza dall'Italia dunque non più paesaggi, soggetti biblici, studi realistici. Non più viaggi nello spazio fisico, ma solo esplorazioni nella mente umana, speculazioni sul modo in cui questa percepisce, e talvolta deforma, la realtà: un ripiegamento su se stessi, insomma. Ma quantomai fortunato, per Escher e per noi.


"Nell'occhio di Escher", e l'occhio è proprio il tramite tra la nostra mente e la realtà, s'intitola la mostra romana ai Musei Capitolini fino al 23 gennaio. Con circa cento opere grafiche esposte essa si propone di raccontare la parabola artistica dell'artista olandese, conclusasi in solitudine in una casa di riposo nel 1972, dagli esordi fino al successo internazionale. I disegni e le stampe in mostra provengono quasi tutti dalla Fondazione Escher di Baarn, in Olanda. Per quanto riguarda il numero di stampe di Escher esistenti, molte opere successive al 1937 sono state tirate in centinaia di copie mentre le prime opere sono state riprodotte solitamente tra i trenta e i cinquanta esemplari.


Nato nel 1898 a Leeuwarden nel Nord dell'Olanda da una famiglia benestante, Maurits Cornelis Escher studiò ad Haarlem alla Scuola di architettura, dove il maestro Jessurum de Mesquita lo avvicinò all'arte grafica, facendogli scoprire la sua vera strada. Ancora ventenne, i suoi genitori, preoccupati per l'isolamento e la conseguente depressione in cui era sprofondato dopo la scoperta della sua vocazione, lo convinsero ad accompagnarli per un viaggio in Italia. L'artista rimase profondamente affascinato dal paesaggio montuoso e verdeggante della Penisola, dalle architetture delle città e dei piccoli paesi e nel giro di pochi anni risolse di stabilirsi definitivamente nel Belpaese. Gli anni italiani costituirono per Escher un felice periodo di perfezionamento dello studio e di feconda produzione grafica. L'artista prediligeva per le sue escursioni luoghi poco noti dell'Abruzzo, della Sicilia, della Corsica e della Calabria, che divennero i soggetti principali del lavoro di questi anni. In mostra figurano, tra le altre, le litografie (stampe cioè realizzate con una matrice in pietra calcarea o zinco) raffiguranti i paesi di Goriano Sicoli (Aq), del 1929, Castrovalva (Aq) e Scanno (Ch), del 1930. In questo tipo di opere, dove la veduta è presa da molto in alto, Escher probabilmente fu influenzato, grazie anche alla sua passione per il volo aereo, dal movimento futurista dell'Aviopittura di Gerardo Dottori.


Nel 1924, dopo il matrimonio con la svizzera Jetta Umiker, conosciuta a Ravello, il pittore acquistò un appartamento a via Poerio nel quartiere romano di Monteverde, vicino al Gianicolo. Curiosamente però Escher non ebbe mai una grande passione per la Roma delle vestigia dell'antichità e della sovrabbondanza barocca: lo affascinava molto invece l'atmosfera notturna della città, con la nuova illuminazione pubblica e le grosse cupole delle chiese trasformate dal buio in inoffensive sagome. Quello che amava di più era disegnare seduto ad un caffè nell'oscurità con l'ausilio di una piccola torcia appesa alla giacca. Frutto di questa attività en plein air sono una serie di incisioni del 1934, dal titolo "Roma di notte". Il transetto della Basilica di San Pietro venne immortalato dall'artista con una veduta in mostra, attraverso un ardito scorcio dall'alto del camminamento della cupola.


Nella capitale Escher ebbe l'onore della prima grande mostra personale, a Palazzo Venezia nel 1926. L'esposizione, che riscosse un discreto successo di critica e di pubblico, fu organizzata dal Gruppo romano artisti incisori, promosso da Federico Hermanin, storico dell'arte scopritore del "Giudizio universale" di Pietro Cavallini nel sottotetto della Basilica di Santa Cecilia in Trastevere, e fondatore del Museo di Palazzo Venezia. A Roma Escher trovò un ambiente artistico vivace: celebri incisori, come Morbiducci, Viani e de Carolis, illustravano alcune riviste con le loro xilografie (cioè stampe con matrice in legno), il direttore dell'Istituto Olandese divenne suo amico e gli consigliò di seguire qualche lezione universitaria dello storico dell'arte Adolfo Venturi.


Lasciata l'Italia fascista nel 1935, Escher si traseferì prima in Svizzera e in Belgio e poi, dal 1941, in Olanda. In questo periodo, precisamente a partire dal 1937, l'artista iniziò un nuovo percorso stilistico, appena abbozzato prima dell'arrivo in Italia e subito abbandonato. Quando frequentava ancora la scuola di architettura ad Harleem aveva realizzato infatti due opere (purtroppo non in mostra) che tradiscono il suo precoce interesse per i fenomeni ottici e per lo studio della percezione visiva. Si tratta di un disegno della volta della chiesa di San Bavone, del 1920, e della xilografia "Otto teste", del 1922. Il disegno ha come protagonista un gigantesco lampadario al centro del quale è posta una sfera che riflette l'immagine dell'artista. Il precedente più celebre è quello del Jan van Eyck dei Coniugi Arnolfini (1434, Londra, National Gallery), dove il pittore è riflesso nello specchio convesso posto alle spalle dei due sposi. La sfera riflettente, la cui particolarità sta nella capacità di rappresentare sulla sua piccola superficie l'intera realtà circostante, è un tema ricorrente nella produzione di Escher: il più famoso esempio è l'autoritratto del 1935, in mostra, che riprende il dipinto di analogo soggetto del Parmigianino (Vienna, Kunsthistorisches Museum).


La xilografia "Otto teste" anticipa un altro tema che ha reso Escher famoso: è un esempio di percezione multipla, l'artista cioè, ha incastrato i volti di otto figure facendo corrispondere i rispettivi profili e creando un motivo replicabile all'infinito. Col tempo molti puzzle virtuosistici di questo tipo verranno realizzati da Escher: tra i più famosi ed elaborati "Cielo e Acqua I", del 1938, in cui negli spazi vuoti tra un pesce e l'altro si viene formando un'anatra e, viceversa, man mano appare un pesce nello spazio fra anatra e anatra.
Questa appassionata ricerca attraverso le crepe della percezione umana raggiungerà i suoi massimi vertici con le sue opere più famose, tutte rappresentate in mostra, e oggi apprezzatissime dal grande pubblico, oltre che "stra-citate" negli oggetti e nelle immagini d'uso più comune, dalle T-shirt, ai libri di divulgazione scientifica, fino alle puntate dei Simpson.


Partiamo con le "Metamorfosi". Alle serie inaugurate da "Otto teste" mancava la dinamicità, erano costruzioni statiche anche se infinitamente replicabili. Con le "Metamorfosi" Escher crea invece costruzioni finite, perfettamente compiute, dove attraverso vari passaggi un puzzle di figure incastrate si trasforma in qualcosa di completamente diverso. Al 1938 risale "Ciclo" in cui la sequenza di un omino che scende dalle scale si va a confondere in un incastro di cubi trasmutati, mentre del 1943 è "Rettili"con delle lucertole che si trasformano in disegni nel taccuino dell'artista.


L'altro ambito di indagine rispetto agli studi sulla riproduzione e il mutamento di un modulo-base, è quello dell'illusione ottica e del surreale, spesso sperimentato su uno sfondo e con figure di reminescenze italiane. Nella litografia "Concavo e convesso" (1955) è rappresentata una specie di corte moresca con un incrocio di scale e di piani. Le figure e gli oggetti che la animano disorientano implacabilmente l'osservatore poiché vivono in due mondi separati eppure sovrapponibili: per il mendicante il piano su cui è seduto è un pavimento, mentre per la lucertola si tratta di un soffitto su cui arrampicarsi.
Due litografie molto celebri, "Salita e discesa" (1960) e "Cascata" (1961), sono costruite in maniera simile: entrambe rappresentano delle archtetture con piani sovrapposti da cui scaturisce un'irrazionale e incomprensibile disposizione delle salite e delle discese: nella prima immagine ci sono delle figure incappucciate che salgono una rampa di scale, quando però sono arrivate al punto di partenza sono più in basso invece che più in alto di prima.


In "Cascata" l'acqua fa un percorso assolutamente irrazionale per scendere sulle pale del mulino e sembra autoalimentarsi. Il trucco sta in una sapiente conoscenza della geometria e delle leggi dell'illusione ottica, che fanno apparire la costruzione perfetta dal punto di vista formale, anche se essa si rivela totalmente illogica nei suoi effetti. Questo tipo di creazioni sono nate spesso su stimolo di articoli scientifici, o di discussioni che Escher ebbe con fisici e matematici. E d'altronde il suo interesse per la scienza si spiega con il clima che aveva respirato sin da piccolo, dove il padre e tre suoi fratelli si erano specializzati in materie scientifiche.
La più famosa fra le invenzioni dell'artista olandese però è probabilmente "Mani che si disegnano", di un'estrema semplicità ma sconcertante per la sua valenza simbolica, che coinvolge concetti come la realtà e la sua riproducibilità, il significato dell'arte.


Se c'è una costante nell'opera di Escher è forse il disvelamento dell'esistenza di più piani del reale, talvolta opposti e inconciliabili, e quindi di molteplici verità.
Questi concetti si collocano perfettamente nel quadro generale di inizio Novecento, assieme alla formulazione della teoria della relatività, allo sviluppo della psicanalisi, allo scontro tra opposte religioni politiche. In senso più traslato, Escher sottolinea soprattutto l'aspetto dualista del nostro mondo, fatto di mente e corpo, realtà e finzione, bene e male, vita e morte, e ci suggerisce che questi termini hanno più punti di contatto di quanto noi abitualmente crediamo.



L’USO DELLA DIVISIONE REGOLARE

Riportiamo alcune pagine del bel libro di Doris Shattschneider, Visioni della simmetria – I disegni periodici di M. C. Escher, Zanichelli, 1992, pp. 236 - 243. E’ la più accurata analisi dell’opera di Escher.

I disegni periodici come punto di partenza

Escher non considerò mai i propri disegni periodici come opere d'arte compiute, ma piuttosto come raffinate soluzioni agli esercizi fatti nei primi quaderni "Theorie", delle risposte ai promemoria sparsi in inchiostro rosso in quelle pagine: "voorbeeld maken!". Questi disegni gli suggerivano soprattutto idee per le stampe o per altri lavori; ogni volta che venivano esposti o pubblicati, li descriveva come bozzetti o studi preliminari e generalmente li collegava sempre a una composizione grafica compiuta.
È facile distinguere tra le opere eseguite dopo il 1936 e quelle precedenti; nel saggio "M.C. Escher al lavoro", il figlio George rievoca questa differenza nei propri ricordi d'infanzia:

Nei primi tempi, a Roma e in Svizzera, le stampe di mio padre erano raramente argomenti di discussione. All' epoca, il suo lavoro era per me una pura faccenda di suoni, odori e rituali...
Capitava di rado che qualcosa, nel soggetto di una stampa, mi colpisse abbastanza da catturare la mia immaginazione di ragazzino, tanto da ricordarla a cinquant'anni di distanza. Poi, avevo circa dieci anni, qualcosa cambiò: buffi ometti strettamente incastrati suscitarono all'improvviso il mio interesse. Ricordo le spiegazioni di mio padre sulla ripetizione per scorrimento, per riflessione o per rotazione attorno a dei perni. Il suo lavoro somigliava sempre più a una lotta, ma esprimeva un entusiasmo diverso da prima, un desiderio di comunicare, di usarci come cassa di risonanza per parlare di problemi che lui stesso capiva a malapena. Col passare del tempo, mi sono abituato alle idee più strane; anche se l'esecuzione materiale di una stampa non ha mai smesso di affascinarmi, era il contenuto intellettuale di una nuova opera che, da quel momento, produsse in me !'impressione più forte.


Nell'introduzione a Grafiek en tekeningen, Escher descrive la forte differenza di impulsi che muoveva la sua grafica prima e dopo il 1936:

Ho scoperto che la padronanza tecnica non era più il mio unico scopo quando sono stato colto da un desiderio di cui non avevo mai sospettato l'esistenza. Ero preso da idee del tutto estranee all'arte grafica, concetti che mi affascinavano talmente da spingermi a comunicarli ad altri. Non potevo riuscirvi con le parole perché non erano semplici pensieri, ma immagini mentali di un genere che è possibile far capire agli altri soltanto una volta tradotte in immagini visive. Improvvisamente, il metodo con il quale andavano rappresentate divenne meno importante di prima...
Quando paragono la nascita di un'opera grafica del mio periodo tecnico con quella di una stampa che esprime un particolare corso di pensieri, allora capisco che esse sono quasi agli antipodi. Prima mi capitava spesso di scegliere da una pila di schizzi quello più adatto a essere riprodotto con la tecnica che al momento giudicavo particolarmente interessante. Ora, invece, fra le tecniche che ho padroneggiato (fino a un certo punto), scelgo quella che si presta meglio ad esprimere la particolare idea che ho in mente...
Lo sviluppo di un'immagine grafica avviene ormai in due fasi ben distinte. Il processo ha inizio con la ricerca della forma visiva che interpreti il più nitidamente possibile il filo del mio pensiero; generalmente passa molto tempo prima che io riesca ad averla chiara in mente. Ma un'immagine mentale è qualcosa di molto diverso da un'immagine visiva e, per quanti sforzi si facciano, non si riesce mai del tutto a raggiungere la perfezione che tormenta l'anima: una perfezione che possiamo "vedere" con l'occhio interiore. Infine, dopo una lunga serie di tentativi - quando sono ormai ridotto allo stremo - riesco a plasmare il mio bel sogno nella forma visiva imperfetta di un progetto dettagliato; dopo di che, con un senso di sollievo, giungo alla seconda fase: l'esecuzione della stampa, durante la quale l'anima può riposarsi mentre le mani svolgono il loro compito.

La famiglia di Escher era fin troppo consapevole delle varie fasi del lavoro, come ricorda vividamente George:

La creazione di una nuova stampa seguiva un andamento ricorrente, le cui tappe variavano di durata a seconda dell'entusiasmo di mio padre o delle difficoltà che incontrava. Un nuovo concetto poteva richiedere mesi, a volte anni di incubazione prima di visualizzarsi in una stampa; poteva affiorare inizialmente durante la prima colazione: mio padre si metteva a parlare concitatamente di un'idea meravigliosa apparsagli con limpidità cristallina quando si era svegliato nel mezzo della notte. Dopo l'entusiasmo iniziale trascorrevano diverse settimane, addirittura mesi, prima che ne sapessimo di più...
Poi arrivava il giorno in cui il nuovo progetto veniva affrontato seriamente. Seguivano settimane in cui il suo umore passava dall'astrazione irritata alla serena discussione di qualche piccolo problema, dal camminare inquieto dietro la porta chiusa del suo studio all'improvviso annuncio che aveva trovato una soluzione soddisfacente. Durante il periodo di gestazione, mio padre esigeva una calma assoluta e non doveva essere disturbato. La porta dello studio era chiusa a tutti i visitatori, famiglia compresa, e di notte addirittura sprangata...
Per alleviare la tensione, quasi ogni giorno, nel tardo pomeriggio, faceva una passeggiata a passo sostenuto nei bei vecchi boschi vicini, e tornava rilassato e pronto per una tazza di tè...
Un bel giorno, l'atmosfera di attesa della casa si rasserenava: la porta dello studio si apriva ed eravamo invitati ad ammirare il nuovo disegno, ancora sulla carta; veniva discusso, spiegato e talvolta portato nel lungo soggiorno per poterlo guardare di sera. Nelle settimane successive si poteva percepire il piacere, la rilassatezza che accompagnavano l'esecuzione della stampa, quando l'uso della mano e dell'occhio si sostituiva alla concentrazione mentale. Dallo studio proveniva un fischiettìo allegro, che accompagnava i rumori rituali dell'incisione del legno e della stampa. Le nostre attività in casa si svolgevano sullo sfondo del frusciare ritmico della carta vetrata fine che levigava il legno di pero, del suono lacerante delle sgorbie, del sibilo del rullo per inchiostrare o dell'odore greve dell'inchiostro da stampa.


Stemma del cantone svizzero del Vallese.
La conclusione del ciclo, quando ultimava la prima stampa, dava a mio padre una gioia mista a tristezza. Era emozionante e gratificante sollevare per la prima volta la carta dal blocco di legno inchiostrato, vedere la stampa finita, fresca e immacolata, apparire gradualmente ai bordi della carta che veniva cautamente sollevata. Ma mio padre provava sempre una sensazione di disappunto per non essere riuscito a rendere adeguatamente i propri pensieri: dopo tanti sforzi, quanto distava quel risultato dall'idea originale, così limpida nella sua ingannevole semplicità! [1986, pp. 1-2]

Se dopo il 1936 le idee grafiche di Escher sorgevano da una fonte interiore, il seme dal quale poi sarebbero cresciute poteva anche provenire dall'esterno. Poco dopo la guerra, durante una gita in montagna a Verbier, nel cantone svizzero del Vallese, Escher e i figli Jan e Arthur passarono accanto a una casa, sulla quale sventolava la bandiera cantonale. Egli disse ai figli che la bandiera, un perfetto esempio di scambio di colori tra stelle bianche e rosse, era stata all' origine della stampa Giorno e notte, ai tempi in cui abitavano nella vicina Chàteau-d'Oex. [G. Escher, 1989]


A volte, una stampa basata su un motivo di divisione regolare sembrava suggerita dai personaggi che lui stesso creava. Nel 1957 J.C. Ebbinge Wubben, in un articolo per Openbaar kunstbezit (Collezione pubblica d'arte), riferì la spiegazione data da Escher a proposito dell'evoluzione della litografia Predestinazione, a partire dal disegno n. 80.

L'idea per Predestinazione mi è venuta puramente e semplicemente dai personaggi, che avevo concepito come due figure animali. Può sembrare strano che forme tanto semplici siano dei personaggi, ma è ancor più strano il fatto che siano stati loro a creare se stessi. Provo le stesse sensazioni quando disegno delle figure per riempire regolarmente il piano: sembra che non sia io a inventarle, ma piuttosto che le chiazze piatte e innocenti sulle quali lavoro come uno schiavo abbiano una volontà propria, e che siano esse a guidare il movimento della mia mano mentre disegno.
Così mi sono accorto all'improvviso che mi stavo occupando di un pesce crudele e avido e di un timido uccello terrorizzato che, persino a quello stadio embrionale, sentiva i denti del nemico sfiorargli il collo. Che cosa mi restava da fare, se non tentare di far svolgere il dramma in modo chiaro?


Predestinazione, gennaio 1951. Litografia, 294 x 422 mm (cat. 372).
Mentre qualcosa mi imponeva il luogo della scena culminante, scelsi uno spazio aperto in primo piano, dove la fila di immagini si sdoppia. Perché l'attacco potesse aver luogo con forza bruta, gli uccelli e i pesci dovevano prima essere separati. Cosicché all'inizio avviene una metamorfosi, col risultato che all'estremità di destra della fila vi sono solo pesci e all'estremità di sinistra solo uccelli. Pian piano, le due correnti sfumano in lontananza, ma da ognuna sorge una figura che, simultaneamente, prende una forma plastica e si caratterizza in maniera più distinta: un pesce mostruoso, nero e diabolico, e un uccello bianco e innocuo, votato alla distruzione. Dato che sfrecciano l'uno verso l'altro, dovrebbero scontrarsi ma, in un primo momento, si sfiorano appena, la preda urla terrorizzata e sfugge per un pelo ai denti aguzzi del temibile attaccante; soltanto per ora, tuttavia, come entrambi ben sanno: essi procedono inevitabilmente lungo il tracciato che è stato loro predisposto. A ogni estremità della stampa, essi passano attraverso un muro perpendicolare, tornano su se stessi, attraversano il "muro" per la seconda volta, e collidono l'uno con l'altro nell' "arena" che è stata appositamente preparata. Qui si scopre il dramma: è una storia triste, ma cosa ci posso fare? Quanto avrei voluto vedere l'innocenza trionfare sul male! Qui, mi rincresce, accade esattamente il contrario. Ci sia di conforto il fatto che, nella vita reale, di solito i pesci finiscono mangiati dagli uccelli!

Nella litografia Escher rappresenta (aggiungendo il pericolo scampato per un pelo) l'esito logico della caccia quando vi è una preda e un predatore. Anche se il titolo Predestinazione riflette i ruoli irreversibili assegnati ai personaggi, esso potrebbe corrispondere alla voglia di irridere, sommessamente, un concetto spesso usato in modo troppo pomposo.

La maggior parte delle idee che Escher, dopo il 1937, tentò di esprimere nelle sue opere grafiche fa parte dell' osservazione, dell' esperienza e anche del sentimento comuni, eppure è impossibile catturarle appieno con le parole. Sono pensieri e percezioni che nei secoli hanno affascinato i filosofi e coloro che hanno riflettuto sulla poesia, sull' arte, la psicologia, l'ecologia, la chimica, la fisica, la medicina, la matematica... Le sue stampe rappresentano, e magari sfruttano, l'ambiguità nella quale gli esseri umani si dibattono quando osservano, rappresentano, interpretano e tentano di capire il mondo che li circonda. Come si può comprendere l'infinito? Esiste un confine tra due e tre dimensioni? Quello che vediamo è"reale"? Quali pensieri evoca una forma? La forma sullo sfondo ha una identità propria? Si può capire o sperimentare una cosa senza conoscerne l'opposto?
Nel 1965, a Hilversum, disse in pubblico:

Le leggi dei fenomeni che ci circondano - ordine, regolarità, ripetizioni cicliche e rinascite - hanno assunto per me un'importanza sempre maggiore. La consapevolezza della loro esistenza mi procura pace e conforto; con le mie stampe, cerco di testimoniare che viviamo in un mondo bello e ordinato e non in un caos senza forma, come sembra talvolta.
I miei soggetti sono spesso anche giocosi: non posso esimermi dallo scherzare con le nostre inconfutabili certezze. Per esempio, è assai piacevole mescolare sapientemente la bidimensionalità con la tridimensionalità, la superficie piana con lo spazio, e divertirsi con la gravità... È piacevole osservare che parecchie persone sembrano gradire questo tipo di giocosità, senza paura di cambiare opinione su realtà solide come rocce.


Sebbene si servisse di una vasta gamma di accorgimenti grafici per scuotere l'osservatore e fargli vedere la "realtà" sotto una nuova luce, in circa 60 stampe l'elemento chiave è formato da frammenti dei disegni periodici. Molte di queste stampe sono riprodotte in formato ridotto nel capitolo 5; nel volume Leven en werk van M.C. Escher (La vita e l'opera di M.C. Escher) si possono trovare riproduzioni più complete e informazioni più dettagliate sull'intera sua opera grafica. Di rado le stampe si possono "leggere" al primo sguardo, invece accade spesso che si scopra qualcosa di nuovo ogni volta che se ne osserva una in particolare.
Escher voleva che le sue opere grafiche non soltanto dessero espressione visiva a concetti enigmatici, ma fossero veri e propri enigmi, e intendeva rivelare questa intenzione nel titolo del primo libro dedicato alla sua grafica. Nel 1958, mentre sceglieva le illustrazioni e predisponeva il testo che le accompagnava, scrisse al figlio George:

Il titolo [del libro] sarà probabilmente "Speelse verzinsels" [Invenzioni giocose]. L'editore non ne vuoI sapere, non lo giudica abbastanza serio; ma queste due parole si prestano così bene a formare un puzzle di lettere, che dovrà accettare. Ne ho fatto uno quadrato, sia Oey [un collega artista] che Terpstra ne sono entusiasti e spero che la riluttanza borghese della Erven Tijl [la casa editrice] verrà presto superata.


Puzzle con lettere (rifiutati dall'editore) composti da Escher per il titolo del volume dedicato alla sua opera grafica, 1959. Matita e inchiostro; "Speelse verzinsels" ("Invenzioni giocose") 50 x 50 mm; "Amazing Images" ("Immagini fantastiche") 106 x 106 mm.

Il puzzle di lettere destinato alla copertina, come il secondo: "Amazing Images" ("Immagini fantastiche"), probabilmente disegnato per la versione inglese del libro, non fu mai utilizzato. L'editore compassato prevalse, e il libro fu pubblicato nel 1960 con un titolo banale: Grafiek en tekeningen (che tradotto significa Grafica e disegni).
W. Jos de Gruyter, nella recensione a una mostra di stampe di Escher nel 1946, fornÌ una descrizione succinta e accurata del carattere insolito sia dell' artista che delle sue visioni.

Il creatore di stampe prosegue imperturbabile per la propria strada e appare come un moderno alchimista che, ingegnoso e fanatico, fa esperimenti con sfere magiche e specchi magici, animali e libri magici, motti magici (Verbum) e idee magiche (Ciclo, Incontro). Un personaggio meravigliosamente ostinato, metà artista e metà pensatore, filosofo sciamano che per enigmi grafici cerca di avvicinarci al significato nascosto della vita... Bisogna prenderlo com'è: un ricercatore intelligente e scrupoloso di tutte le possibilità di espressione artistica in un territorio in cui l'arte sfiora la matematica, la fisica, la decorazione, la musica e la filosofia. Un abitante astuto e divertente, ma anche solo con le proprie ossessioni.


Catturare l'infinito

L'infinito, possiamo soltanto immaginarIo e mai sperimentarlo. Il concetto permea il pensiero umano, eppure sfugge alla comprensione: lo si invoca per rispondere a domande altrimenti prive di risposte. Nel suo libro Against Infinity: A Cultural History of the Infinite (Contro l'infinito: una storia culturale dell'infinito), Eli Maor illustra i numerosi tentativi compiuti da filosofi, scienziati e artisti per descrivere, capire e usare il concetto di infinito. Maor dedica un capitolo al lavoro di Escher, che egli definisce un "maestro dell'infinito".
Gli scienziati catturano l'infinito in formule che descrivono e misurano; Escher cercò di rappresentarlo per immagini e scrisse in un saggio del 1959, "Oneindigheidsbenaderingen" ("L'approccio all'infinito"):

Quando ci si tuffa nell'infinito, sia spaziale che temporale, sono necessari dei punti fissi, delle pietre miliari, altrimenti il movimento è simile all'immobilità. Ci si deve orientare con le stelle, che fanno da segnale per misurare la strada percorsa. Si deve suddividere l'universo in unità di una certa lunghezza, in compartimenti che si ripetono in una successione infinita. Quando si attraversa il confine tra questi compartimenti, l'orologio fa tic tac.
Chiunque voglia creare un universo su una superficie bidimensionale (e si inganna, perché nel nostro mondo tridimensionale non può esistere una realtà né a due né a quattro dimensioni) noterà che, mentre esegue un' opera d'arte, il tempo scorre. Quando avrà finito e osserverà ciò che ha fatto, vedrà qualcosa di statico e senza tempo: nella sua rappresentazione non vi sono orologi che fanno tic tac; è visibile soltanto una distesa piatta, senza moto...
Il ticchettìo dinamico e regolare dell'orologio che, nel nostro viaggio nello spazio, ci accompagnava quando attraversavamo ogni confine, ora tace; possiamo rimetterlo in moto, a livello statico, con la ripetizione periodica di figure congruenti sul foglio da disegno; disegneremo forme chiuse e confinanti che si definiscono reciprocamente e riempiono il piano in ogni direzione fino a dove lo si desideri.


La divisione regolare del piano era per Escher un mezzo per catturare l'infinito; la sua sfida consisteva nell'imprigionarlo in una composizione "chiusa": egli non tollerava di troncare brutalmente la ripetizione, teoricamente infinita, dei motivi periodici. Nel descrivere la genesi della divisione regolare del disegno del cavaliere, n. 67 (citata a p. 110), non conclude con la creazione di quello schizzo, ma prosegue così:

Il cavaliere è nato, ma anche se è racchiuso in un confine, il piano sul quale si muove è illimitato in ogni direzione e perciò possiamo anche utilizzarlo come frammento in un quadro.
Successivamente, lo si presenta come un'entità completa su una superficie limitata. Sono possibili molte soluzioni a tale problema, tutte mediocri. Il mio scopo principale era di mostrare chiaramente che le forme congruenti che si muovono in file alterne verso destra e verso sinistra sono in realtà ognuna il riflesso speculare dell'altra. Per riuscirci, ho raffigurato le due processioni su un nastro che, salvo al centro della stampa, sembra flessibile come un tessuto: la "figura" sul diritto ha lo stesso colore dello "sfondo" sul rovescio, e viceversa; cosicché ora le due processioni formano un anello chiuso. Nel centro, dove l'illusione tridimensionale sfuma in una superficie piana, esse si sono ovviamente integrate, sono cioè entrate a far parte di una singola divisione regolare del piano.


Studi preliminari per la xilografia Cavalieri, 1946. Matita, matita colorata
e inchiostro, 208 x 167 mm (ogni pagina).



Cavalieri, luglio 1946. Xilografia in rosso, nero e grigio, stampata con tre masselli, 239 x 449 mm (cat. 342).

Gli studi preliminari per la stampa mostrano chiaramente come egli abbia esplorato questa idea per rappresentare le processioni dei cavalieri.
La tecnica di Un ciclo, di Un anello chiuso, o il suggerimento di una processione ripetuta di figure che tornano su se stesse, sono stati tutti mezzi che egli utilizzò in altre composizioni che incorporano frammenti dei disegni periodici. In queste stampe, egli aggiunge anche un'illusione di tridimensionalità all'immagine bidimensionale: !'immagine e la divisione regolare sono nel piano, ma le figure prendono vita, come le carte da gioco in Alice nel paese delle meraviglie, e si muovono per completare i loro cicli. Nel suo volume Regelmatige vlakverdeling, Escher spiega:

Quando un elemento della divisione del piano mi suggerisce la forma di un animale, immediatamente penso a un volume. La "macchia piatta" mi irrita, come se stessi maltrattando i miei soggetti: "Sei troppo finto, per me; te ne stai lì immobile e saldamente incastrato; fa' qualcosa, vieni fuori, mostrami di che cosa sei capace!".
Così, li faccio saltar fuori dal piano. Ma lo fanno davvero? Al contrario, è chiaro che sto barando, che suggerisco la plasticità sul piano usando luci e ombre...
I miei oggetti, resi vivi in modo fittizio, possono ora proseguire per la loro strada come esseri plastici autonomi. Per esempio, se lo volessero, potrebbero anche tornare nel piano dal quale sono emersi e sparire nel loro luogo di origine. Un tale ciclo diventa allora un soggetto autosufficiente per una stampa. Se il riempimento del piano, che era stato il punto di partenza, consiste nella replica di due figure diverse per forma e per carattere, allora esse sono in grado di esprimere il loro eventuale antagonismo aggressivo distruggendo si a vicenda; o, se si preferisce una soluzione più pacifica, possono riconciliarsi in un abbraccio fraterno.

Le stampe cui Escher allude sono Rettili Cp. 113), Predestinazione Cp. 239) e Incontro Cp. 300). Altre stampe in cui prevale Un ciclo sono Ciclo Cp. 290), Pesci Cp. 295), Specchio magico Cp. 301) e Cigni Cp. 310). È interessante, per l'osservatore, seguire il percorso delle figure in movimento e scoprire se il ciclo può esistere davvero e, in tal caso, come possa venir costruito o intrecciato. fai questo ti mettereb 10 io lo fatto pure e ora sono all'universita scedimi buona fortuna :-)

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