Uomini "che fanno", uomini "che spiegano&quot

Paolo902
Dalle prime righe della sua "Apologia di un matematico" (1940):

"Godfrey H. Hardy":
La funzione del matematico è quella di fare qualcosa, di dimostrare nuovi teoremi e non di parlare di ciò che è stato fatto da altri matematici o da lui stesso. Gli uomini politici disprezzano i giornalisti, i pittori disprezzano i critici d'arte, i fisiologi, i fisici e i matematici hanno, in genere, un sentimento analogo. Non c'è disprezzo più profondo né, tutto sommato, più giustificato di quello che gli uomini "che fanno" provano verso gli uomini "che spiegano". Esposizione, critica, valutazione sono attività per cervelli mediocri.


Mi piacerebbe molto sentire le vostre opinioni in proposito.
:wink:


[size=75]P.S: non credo se ne fosse mai parlato (ho fatto una rapida ricerca prima di postare), in caso contrario chiedo scusa.[/size]

Risposte
Lord K
Io sono convinto che in matematica serve saper esporre (nel linguaggio della matematica) ma sia superfluo spiegare il tutto. Pensate al solo fatto, per esempio, di spiegare il Lemma di Yoneda ad uno per strada... che fate prendete una settimana di tempo per dargli tutto quanto gli serva per comprenderlo???

Alina81
Wow circa due settimane fa mi hanno proprio letto quell'incipit!

Non sono comunque d'accordo. Come è necessaria la scoperta, è necessario anche l'apprendimento. Tralaltro molti ricercatori sono anche insegnati e l'insegnamento non preclude la possibilità di nuove scoperte.

Cmax1
L'Apologia di un matematico è sicuramente l'opera pubblicata che più di ogni altra illustra il modo di pensare del working mathematician, e forse del working scientist in generale. Non so dire se questa caratteristica sia sufficiente a farne un libro guida. Per quanto ricordo, Hardy non fornisce un criterio dettagliato per definire "chi spiega", così alla fine il lettore finisce per identificare le categorie che preferisce. Personalmente vi ho visto le generazioni di storici e filosofi della scienza, talvolta senza nemmeno una formazione scientifica di base, che hanno scritto fiumi di libri, che rappresentano nel migliore dei casi una lettura piacevole e ricreativa, ma non certo utili alla comprensione degli argomenti cui si riferiscono.

Rggb1
Forse in quella traduzione "disprezzo" è un po' forte:
... there is no scorn more profound, or on the whole more justifiable, than that of the men who make for the men who explain. ...

E' comunque l'opinione di un aristocratico verso chi sente essere inferiore a lui; e sì: è "antica", ma spesso la sento riproporre e ne provo repulsione, pardon disprezzo.

blackbishop13
quando ho letto l'apologia mi sono sentito un po' deluso: tutti ne parlavano come libro guida per chi ama la matematica, io l'ho trovato non poi così illuminante, e a volte un po' troppo arrogante. questo è uno di quei casi.

come spesso fanno i matematici quando parlano di questioni "mondane", nel senso di mondo, (e molti esempi capitano sul nostro forum) cercano di dire cose vere, in senso assoluto, cioè inattaccabili: allora qual'è il senso di "coloro che spiegano" per Hardy?

non possono essere gli insegnanti, nè gli storici della matematica, sarebbe una posizione troppo forte secondo me, e poi credo sia ben chiaro che anche il più brilllante matematico ha necessità, al giorno d'oggi, di molti insegnanti e moltissimi libri per poter esprimere il suo genio.
chi scrive libri sulla matematica? non credo, lui entrerebbe nella categoria!

forse lui che vive in una società diversa dalla nostra ha altri a cui riferirsi, mi vengono in mente i Fellows della Royal Academy, associazione verso la quale si nota un certo disprezzo da parte sua in alcune occasioni (mi baso anche sul romanzo "il matematico indiano", che però non è vera storia, ma romanzato appunto; comunque la mia affermazione mi sembra ragionevole). anche se lui, come sappiamo, era proprio un Fellow.

in conclusione, la posizione di Hardy mi sembra poco attuale, non tanto per la Royal Academy, ma perchè lui scrive in tempi di versi dai nostri, e ha idee troppo precise su cosa sia un matematico (ovviamente lui che è un brillante ricercatore, vede nella scoperta l'unica via!).

gugo82
Se non ci fosse chi spiega, come si formerebbero le nuove generazioni?

In generale, il lavoro dell'insegnante è molto meno banale di quanto si pensi.
Esistono grandissimi Matematici che rasentano il minimo sindacale quando tengono lezioni (nascondono le idee di base facendosi prendere la mano dal formalismo, oppure si limitano a recitare articoli di ricerca come se fossero passi della Bibbia); sì come esistono Matematici mediocri che didatticamente sono molto validi.
Probabilmente Hardy non vedeva il problema: per lui i bravi Matematici erano anche bravi insegnanti, perchè lui era così oppure perchè riusciva a capire comunque qualsiasi cosa.

Poi val la pena di ricordare che l'università dell'inizio del 1900 era ben diversa da quella odierna; era sicuramente più aristocratica come istituzione. Quindi probabilmente sembrava teorizzabile, almeno in linea di principio, che le capacità didattiche potessero essere messe totalmente da parte in favore della ricerca.
Un ragionamento del genere può andar bene per gestire centri di eccellenza nella ricerca (che so, tipo la SNS o la SISSA, anche se lì molti docenti sono bravissimi anche a livello didattico), ma non credo sia del tutto praticabile quando si voglia organizzare un'università "di massa", non elitaria, come quella pubblica.



P.S.: [In riferimento ad alcuni commenti poco cordiali nei nostri confronti...] Probabile che alcuni ragazzi dell'OliForum abbiano letto troppo, e troppo superficialmente, l'Apologia di Hardy.

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