Su Godel
ultimamente mi sono letto alcune cose (La Prova di Godel, Nagel & Newman e vari documenti trovati in rete) sul teorema di incompletezza di Godel (perdonate la mancanza della dieresi). alberga però in me la confusione, spero che qualcuno sappia illuminarmi.
riepilogando: Godel, attraverso la matematizzazione dei sistemi formali, è arrivato a costruire una proposizione che afferma la propria falsità, corrispondente del celebre paradosso di Epimenide "questa frase è falsa".
non capisco come da questo si giunga alla conclusione dell'esistenza in ogni teoria di proposizioni indecidibili che non siano autoreferenziali come l'enunciato di Godel, ad esempio il Teorema di Goodstein (http://en.wikipedia.org/wiki/Goodstein%27s_theorem)semanticamente vero nel sistema dell'aritmetica di Peano ma sintatticamente indimostrabile a partire dagli assiomi del sistema stesso.
spero di essere stato comprensibile nell'esporre questo dubbio.
riepilogando: Godel, attraverso la matematizzazione dei sistemi formali, è arrivato a costruire una proposizione che afferma la propria falsità, corrispondente del celebre paradosso di Epimenide "questa frase è falsa".
non capisco come da questo si giunga alla conclusione dell'esistenza in ogni teoria di proposizioni indecidibili che non siano autoreferenziali come l'enunciato di Godel, ad esempio il Teorema di Goodstein (http://en.wikipedia.org/wiki/Goodstein%27s_theorem)semanticamente vero nel sistema dell'aritmetica di Peano ma sintatticamente indimostrabile a partire dagli assiomi del sistema stesso.
spero di essere stato comprensibile nell'esporre questo dubbio.
Risposte
quote:
Originally posted by mariodic
allora CARO WEDGE, i miei messaggi avrebbero dovuto essere indirizzati a te.
mario1
non c'è problema. [;)]
ho letto con molto interesse i tuoi interventi.
quote:
Originally posted by mariodic
quote:
Originally posted by Mistral
quote:
Originally posted by mariodic
Caro Mistral,
....
Ho come la sensazione che più che "caro Mistral" dovevi scrivere "caro Wedge" e lui che l'ha buttata sulla filosofia e non io [:)]. In genere io evito accuratamente di scivolare su "bucce di banana" filosofiche e mi limito ad interventi di natura puramente matematica, così come lo è stato pure quest'ultimo che ho fatto in questo post di Wedge.
Saluti
Mistral
Ti prego di scusarmi
mario1
[/quote]
allora CARO WEDGE, i miei messaggi avrebbero dovuto essere indirizzati a te.
mario1
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Originally posted by Mistral
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Originally posted by mariodic
Caro Mistral,
....
Ho come la sensazione che più che "caro Mistral" dovevi scrivere "caro Wedge" e lui che l'ha buttata sulla filosofia e non io [:)]. In genere io evito accuratamente di scivolare su "bucce di banana" filosofiche e mi limito ad interventi di natura puramente matematica, così come lo è stato pure quest'ultimo che ho fatto in questo post di Wedge.
Saluti
Mistral
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Ti prego di scusarmi
mario1
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Originally posted by mariodic
Caro Mistral,
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Ho come la sensazione che più che "caro Mistral" dovevi scrivere "caro Wedge" e lui che l'ha buttata sulla filosofia e non io [:)]. In genere io evito accuratamente di scivolare su "bucce di banana" filosofiche e mi limito ad interventi di natura puramente matematica, così come lo è stato pure quest'ultimo che ho fatto in questo post di Wedge.
Saluti
Mistral
quote:Caro Mistral,
Originally posted by mariodic
quote:Caro Mistral,
Originally posted by mariodic
[quote]
Mistral
Premetto che scriverò questo mio intervento in due tempi per evitare la triste disavventura di ieri quando, avendo scritto un messaggio forse troppo lungo, dopo l’enter di invio, è scomparso salvo la firma automatica.
Ieri avevo scritto una risposta al tuo intervento che ha colto il centro dell’argomentazione da me sostenuta; mi è piaciuto che tu l’abbia ben sintetizzata come isoformismo di fondo tra il lavoro del matematico e quello del fisico.
Chi ha compreso il senso profondo della prova di Godel non può che abbandonare, prima o poi, l’ingenuo convincimento che il lavoro del fisico sia cosa qualitativamente diversa da quella del matematico; mentre, se differenza c’è, come in effetti c’è, si tratta di differenza esprimibile, come vedremo, in termini quantitativi.
Per dar ragione di questa “quantità” ricorro ad un familiare esempio: supponiamo che “IO” l’Osservatore (far caso all’enfasi data al pronome “IO”) dica a me stesso “entro sei mesi al massimo, con la probabilità del 90%, avrò una nuova automobile”; orbene, il valore di probabilità del 90% denuncia la quasi certezza dell’evento da “IO” auspicata, e questa “quasi” certezza non è che la sintesi olistica di tutta una storia che l’attore fondamentale “IO” ha modellato e “inciso” sul grande supporto costituito dall’intero universo, che poi è niente meno che il “corpo esteso” e generalizzato dell’Osservatore stesso, cioè l’Osservatore che possiamo senz’altro definire: Universale.
E’ potenzialmente possibile che l’Osservatore, cioè “IO”, impegni ulteriori risorse per fa sì che quel 90% si accresca, ma mai più può sperare di raggiungere la certezza assoluta di quell’evento “futuro”, infatti il sistema aleatorio descritto, essendo costruito con la finalità di “osservare” e favorire un evento futuro del mondo fisico, è, per questo, inevitabilmente aperto al possibile suo fallimento anche nell’ipotesi impossibile di ulteriori sforzi infinitamente intensi.
E’ chiaro che quel valore quantitativo del 90% è un valore di probabilità che sintetizza lo stato “Conoscitivo” dell’Osservatore “IO”. Una funzione semi-arbitraria di questa probabilità “p = 0.9” può essere interpretata come una “distanza” che separa l’evento “automobile nuova” dall’origine di una coordinata dello spazio della conoscenza; tale origine è nella “singolarità IO”. Per inciso, un esempio di tale funzione può essere: (1-p)/p ma potrebbe anche essere –k*ln (p).
Qui termino la prima parte dell’intervento.
Grazie per l’attenzione.
mario1
Riprendo con la seconda parte della mia risposta poiché, come ho gia detto, circostanze tecniche (volute o no) di questo forum, rendono rischioso l’invio di interventi non proprio brevi nel senso che talvolta vanno perduti.
Dicevo che la differenza tra il lavoro di un fisico e quello di un matematico non è qualitativa ma quantitativa. Nel precedente mezzo intervento ho fornito un criterio di misura (una specie di “distanza” nella metrica dello “spazio” della conoscenza, precisamente la coordinata della probabilità, cha ha origine nel punto della singolarità rappresentata dall’essenza ultima dell’Osservatore Universale) riguardante un evento del mondo fisico ma trasposto nello “spazio” del sistema di conoscenza dell’“IO”, cioè dell’Osservatore Universale la natura del quale va evidentemente definita nei termini fisico-matematici come appunto la sua duplice matura richiede; questo farò non ora, per ovvi motivi di spazio e di tempo.
Ora supponiamo che “IO” pensi ad un evento non fisico ma classicamente matematico, precisamente alla proprietà presunta che ogni numero pari sia costruibile come somma di due numeri primi, appunto la congettura di Goldbach. Sono in grado o c’è qualcosa che mi vieti di stimare un valore probabilità, cioè un mio livello di credenza, diciamo, del 99,999% che la congettura sia praticamente vera e del 65% che verrà effettivamente dimostrata entro un termine finito ma illimitato di tempo, profondendovi, è ovvio, adeguate risorse di impegno? Certamente niente mi vieta questo. Qui però sono state espresse due misure di probabilità: la prima rappresenta la fiducia nella verità pratica della congettura, sulla quale potrei fare, ove fossi un fisico, pieno affidamento per qualsiasi utilizzazione pratica nell’esercizio del mio lavoro, anche senza l’avvento di una dimostrazione. Nel mondo fisico, per inciso, le due probabilità si fondono in una. Orbene, se la matematica non avesse la stessa forma della fisica, come si è sempre fortemente creduto (e molti ancora credono), allora la prima stima di probabilità sarebbe stata lecita mentre la seconda non avrebbe avuto senso poiché il sistema matematico è sempre stato ritenuto chiuso e quindi una dimostrazione di validità o di non validità di un teorema, prima o dopo sarebbe venuta fuori. Ma Godel prova, niente meno, che a) nulla ci garantisce che gli assiomi di un sistema siano sufficienti per decidere su certe proposizioni, il ché significa che non solo non esiste modo di sapere se un sistema è chiuso o no ma che b) non esistono affatto sistemi assolutamente chiusi, e, qui aggiungo: in presenza dell’Osservatore; mentre in assenza dell’Osservatore la questione sarebbe priva di senso in quanto, evidentemente, non esisterebbero né mondi, né sistemi, né universo da osservare. Allora, concludo, c’è isoformismo, come tu hai ben detto, tra fisica e matematica.
mario1
Nei miei due sopra riportati interventi ho dimenticato di premettere che, alla base delle considerazioni fatte, v'e un presupposto di base da definire: mi riferisco alla storica diatriba tra la corrente filosofica del realismo e quella dell'idealismo. La prima dice che il mondo è bello e fatto ma fuori ed indipendente dalla Mente pensante "IO" che però cerca di approprianrsene e fonderlo conoscitivamente; la seconda, invece, sostiene che il mondo è una costruzione (creazione) della Mente Osservante (IO). Ora, come si può facilmente constatare, non c'è modo di decidere quale delle due posizioni sia nel vero, pertanto l'assumere l'una o l'altra posizione filosofica non elimina il problema di fondo della Vita: quello della conoscenza. Tuttavia è possibile che una scelta accurata ci sembri meglio idonea a facilitarci il processo della conoscenza per qualche motivo contingente. Io ho scelto la posizione idealista perchè, credo, elimini lo scalino dell'apparente soluzione di continuità del percorso che va dal mondo fisico a quello delle idee. Quando il fisico pensa ad un suo problema, pensa ed osserva eventi materiali che cadono piuttosto lontano dalla singolarità centrale dell'IO; quando,invece, un matematico pensa, per esempio, ai numeri primi, egli lavora sugli, e osserva gli, oggetti logici da egli stesso costruiti e, proprio per questo più vicini (= più conosciuti) alla singolarità Osseervante "IO".
mario1
quote:Caro Mistral,
Originally posted by mariodic
[quote
Mistral
Premetto che scriverò questo mio intervento in due tempi per evitare la triste disavventura di ieri quando, avendo scritto un messaggio forse troppo lungo, dopo l’enter di invio, è scomparso salvo la firma automatica.
Ieri avevo scritto una risposta al tuo intervento che ha colto il centro dell’argomentazione da me sostenuta; mi è piaciuto che tu l’abbia ben sintetizzata come isoformismo di fondo tra il lavoro del matematico e quello del fisico.
Chi ha compreso il senso profondo della prova di Godel non può che abbandonare, prima o poi, l’ingenuo convincimento che il lavoro del fisico sia cosa qualitativamente diversa da quella del matematico; mentre, se differenza c’è, come in effetti c’è, si tratta di differenza esprimibile, come vedremo, in termini quantitativi.
Per dar ragione di questa “quantità” ricorro ad un familiare esempio: supponiamo che “IO” l’Osservatore (far caso all’enfasi data al pronome “IO”) dica a me stesso “entro sei mesi al massimo, con la probabilità del 90%, avrò una nuova automobile”; orbene, il valore di probabilità del 90% denuncia la quasi certezza dell’evento da “IO” auspicata, e questa “quasi” certezza non è che la sintesi olistica di tutta una storia che l’attore fondamentale “IO” ha modellato e “inciso” sul grande supporto costituito dall’intero universo, che poi è niente meno che il “corpo esteso” e generalizzato dell’Osservatore stesso, cioè l’Osservatore che possiamo senz’altro definire: Universale.
E’ potenzialmente possibile che l’Osservatore, cioè “IO”, impegni ulteriori risorse per fa sì che quel 90% si accresca, ma mai più può sperare di raggiungere la certezza assoluta di quell’evento “futuro”, infatti il sistema aleatorio descritto, essendo costruito con la finalità di “osservare” e favorire un evento futuro del mondo fisico, è, per questo, inevitabilmente aperto al possibile suo fallimento anche nell’ipotesi impossibile di ulteriori sforzi infinitamente intensi.
E’ chiaro che quel valore quantitativo del 90% è un valore di probabilità che sintetizza lo stato “Conoscitivo” dell’Osservatore “IO”. Una funzione semi-arbitraria di questa probabilità “p = 0.9” può essere interpretata come una “distanza” che separa l’evento “automobile nuova” dall’origine di una coordinata dello spazio della conoscenza; tale origine è nella “singolarità IO”. Per inciso, un esempio di tale funzione può essere: (1-p)/p ma potrebbe anche essere –k*ln (p).
Qui termino la prima parte dell’intervento.
Grazie per l’attenzione.
mario1
[/quote]Caro Mistral,
Riprendo con la seconda parte della mia risposta poiché, come ho gia detto, circostanze tecniche (volute o no) di questo forum, rendono rischioso l’invio di interventi non proprio brevi nel senso che talvolta vanno perduti.
Dicevo che la differenza tra il lavoro di un fisico e quello di un matematico non è qualitativa ma quantitativa. Nel precedente mezzo intervento ho fornito un criterio di misura (una specie di “distanza” nella metrica dello “spazio” della conoscenza, precisamente la coordinata della probabilità, cha ha origine nel punto della singolarità rappresentata dall’essenza ultima dell’Osservatore Universale) riguardante un evento del mondo fisico ma trasposto nello “spazio” del sistema di conoscenza dell’“IO”, cioè dell’Osservatore Universale la natura del quale va evidentemente definita nei termini fisico-matematici come appunto la sua duplice matura richiede; questo farò non ora, per ovvi motivi di spazio e di tempo.
Ora supponiamo che “IO” pensi ad un evento non fisico ma classicamente matematico, precisamente alla proprietà presunta che ogni numero pari sia costruibile come somma di due numeri primi, appunto la congettura di Goldbach. Sono in grado o c’è qualcosa che mi vieti di stimare un valore probabilità, cioè un mio livello di credenza, diciamo, del 99,999% che la congettura sia praticamente vera e del 65% che verrà effettivamente dimostrata entro un termine finito ma illimitato di tempo, profondendovi, è ovvio, adeguate risorse di impegno? Certamente niente mi vieta questo. Qui però sono state espresse due misure di probabilità: la prima rappresenta la fiducia nella verità pratica della congettura, sulla quale potrei fare, ove fossi un fisico, pieno affidamento per qualsiasi utilizzazione pratica nell’esercizio del mio lavoro, anche senza l’avvento di una dimostrazione. Nel mondo fisico, per inciso, le due probabilità si fondono in una. Orbene, se la matematica non avesse la stessa forma della fisica, come si è sempre fortemente creduto (e molti ancora credono), allora la prima stima di probabilità sarebbe stata lecita mentre la seconda non avrebbe avuto senso poiché il sistema matematico è sempre stato ritenuto chiuso e quindi una dimostrazione di validità o di non validità di un teorema, prima o dopo sarebbe venuta fuori. Ma Godel prova, niente meno, che a) nulla ci garantisce che gli assiomi di un sistema siano sufficienti per decidere su certe proposizioni, il ché significa che non solo non esiste modo di sapere se un sistema è chiuso o no ma che b) non esistono affatto sistemi assolutamente chiusi, e, qui aggiungo: in presenza dell’Osservatore; mentre in assenza dell’Osservatore la questione sarebbe priva di senso in quanto, evidentemente, non esisterebbero né mondi, né sistemi, né universo da osservare. Allora, concludo, c’è isoformismo, come tu hai ben detto, tra fisica e matematica.
mario1
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Mistral
[/quote]Caro Mistral,
Premetto che scriverò questo mio intervento in due tempi per evitare la triste disavventura di ieri quando, avendo scritto un messaggio forse troppo lungo, dopo l’enter di invio, è scomparso salvo la firma automatica.
Ieri avevo scritto una risposta al tuo intervento che ha colto il centro dell’argomentazione da me sostenuta; mi è piaciuto che tu l’abbia ben sintetizzata come isoformismo di fondo tra il lavoro del matematico e quello del fisico.
Chi ha compreso il senso profondo della prova di Godel non può che abbandonare, prima o poi, l’ingenuo convincimento che il lavoro del fisico sia cosa qualitativamente diversa da quella del matematico; mentre, se differenza c’è, come in effetti c’è, si tratta di differenza esprimibile, come vedremo, in termini quantitativi.
Per dar ragione di questa “quantità” ricorro ad un familiare esempio: supponiamo che “IO” l’Osservatore (far caso all’enfasi data al pronome “IO”) dica a me stesso “entro sei mesi al massimo, con la probabilità del 90%, avrò una nuova automobile”; orbene, il valore di probabilità del 90% denuncia la quasi certezza dell’evento da “IO” auspicata, e questa “quasi” certezza non è che la sintesi olistica di tutta una storia che l’attore fondamentale “IO” ha modellato e “inciso” sul grande supporto costituito dall’intero universo, che poi è niente meno che il “corpo esteso” e generalizzato dell’Osservatore stesso, cioè l’Osservatore che possiamo senz’altro definire: Universale.
E’ potenzialmente possibile che l’Osservatore, cioè “IO”, impegni ulteriori risorse per fa sì che quel 90% si accresca, ma mai più può sperare di raggiungere la certezza assoluta di quell’evento “futuro”, infatti il sistema aleatorio descritto, essendo costruito con la finalità di “osservare” e favorire un evento futuro del mondo fisico, è, per questo, inevitabilmente aperto al possibile suo fallimento anche nell’ipotesi impossibile di ulteriori sforzi infinitamente intensi.
E’ chiaro che quel valore quantitativo del 90% è un valore di probabilità che sintetizza lo stato “Conoscitivo” dell’Osservatore “IO”. Una funzione semi-arbitraria di questa probabilità “p = 0.9” può essere interpretata come una “distanza” che separa l’evento “automobile nuova” dall’origine di una coordinata dello spazio della conoscenza; tale origine è nella “singolarità IO”. Per inciso, un esempio di tale funzione può essere: (1-p)/p ma potrebbe anche essere –k*ln (p).
Qui termino la prima parte dell’intervento.
Grazie per l’attenzione.
mario1
Mistral
[/quote]Caro Mistral,
Premetto che scriverò questo mio intervento in due tempi per evitare la triste disavventura di ieri quando, avendo scritto un messaggio forse troppo lungo, dopo l’enter di invio, è scomparso salvo la firma automatica.
Ieri avevo scritto una risposta al tuo intervento che ha colto il centro dell’argomentazione da me sostenuta; mi è piaciuto che tu l’abbia ben sintetizzata come isoformismo di fondo tra il lavoro del matematico e quello del fisico.
Chi ha compreso il senso profondo della prova di Godel non può che abbandonare, prima o poi, l’ingenuo convincimento che il lavoro del fisico sia cosa qualitativamente diversa da quella del matematico; mentre, se differenza c’è, come in effetti c’è, si tratta di differenza esprimibile, come vedremo, in termini quantitativi.
Per dar ragione di questa “quantità” ricorro ad un familiare esempio: supponiamo che “IO” l’Osservatore (far caso all’enfasi data al pronome “IO”) dica a me stesso “entro sei mesi al massimo, con la probabilità del 90%, avrò una nuova automobile”; orbene, il valore di probabilità del 90% denuncia la quasi certezza dell’evento da “IO” auspicata, e questa “quasi” certezza non è che la sintesi olistica di tutta una storia che l’attore fondamentale “IO” ha modellato e “inciso” sul grande supporto costituito dall’intero universo, che poi è niente meno che il “corpo esteso” e generalizzato dell’Osservatore stesso, cioè l’Osservatore che possiamo senz’altro definire: Universale.
E’ potenzialmente possibile che l’Osservatore, cioè “IO”, impegni ulteriori risorse per fa sì che quel 90% si accresca, ma mai più può sperare di raggiungere la certezza assoluta di quell’evento “futuro”, infatti il sistema aleatorio descritto, essendo costruito con la finalità di “osservare” e favorire un evento futuro del mondo fisico, è, per questo, inevitabilmente aperto al possibile suo fallimento anche nell’ipotesi impossibile di ulteriori sforzi infinitamente intensi.
E’ chiaro che quel valore quantitativo del 90% è un valore di probabilità che sintetizza lo stato “Conoscitivo” dell’Osservatore “IO”. Una funzione semi-arbitraria di questa probabilità “p = 0.9” può essere interpretata come una “distanza” che separa l’evento “automobile nuova” dall’origine di una coordinata dello spazio della conoscenza; tale origine è nella “singolarità IO”. Per inciso, un esempio di tale funzione può essere: (1-p)/p ma potrebbe anche essere –k*ln (p).
Qui termino la prima parte dell’intervento.
Grazie per l’attenzione.
mario1
quote:
Originally posted by mariodic
quote:
Originally posted by wedge
ringrazio entrambi.
[quote]introdurre nel "sistema matematico", che vorremmo coerente e asettico, l'entità attiva e turbante dell'Osservatore, così come è avvenuto, in modo non indolore, nel mondo della fisica ed accettare, come inevitabile ovvia conseguenza, l'autoreferenza caratteristica del sistema stesso, l'autoreferenza, appunto, che l'osservatore introduce.
Mi piace concludere che se la fisica è la matematica applicata agli oggetti (o eventi) fisici, la matematica è, invece, la fisica applicata agli oggetti logici.
tu ritieni dunque che il mestiere del fisico e del matematico siano isomorfi: entrambi hanno il compito di produrre, a partire dall'analisi della realtà, una teoria da cui derivare un modello che soddisfi una serie di assiomi e che sia corrispondente con la realtà stessa (correggetemi se non sono stato rigoroso). la realtà che analizza il fisico è chiaramente quella dei fenomeni naturali, quella del matematico... i numeri?
ma Mistral mi informa che a partire dagli assiomi di ZF sia possibile costruire i numeri naturali, che dunque non esistono come realtà a-priori. (e del resto, secondo la MQ l'osservato si "determinizza" solo con la presenza dell'osservatore, e tale osservazione è necessariamente incompleta)
in sintesi arriviamo ad una prospettiva olistica?
citando Palomar di Calvino, "forse l'io altro non è altro che la finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo" ?
mario1
[/quoteNon capisco perchè, ma il mio piuttostollungo messaggio di risposta è andato perduto dopo l'enter ed è rimasta la sola citazione, ne sono rattristato. Spero di poter riprendere le file del discorso dopo.
mario1
quote:
Originally posted by wedge
ringrazio entrambi.
quote:
introdurre nel "sistema matematico", che vorremmo coerente e asettico, l'entità attiva e turbante dell'Osservatore, così come è avvenuto, in modo non indolore, nel mondo della fisica ed accettare, come inevitabile ovvia conseguenza, l'autoreferenza caratteristica del sistema stesso, l'autoreferenza, appunto, che l'osservatore introduce.
Mi piace concludere che se la fisica è la matematica applicata agli oggetti (o eventi) fisici, la matematica è, invece, la fisica applicata agli oggetti logici.
tu ritieni dunque che il mestiere del fisico e del matematico siano isomorfi: entrambi hanno il compito di produrre, a partire dall'analisi della realtà, una teoria da cui derivare un modello che soddisfi una serie di assiomi e che sia corrispondente con la realtà stessa (correggetemi se non sono stato rigoroso). la realtà che analizza il fisico è chiaramente quella dei fenomeni naturali, quella del matematico... i numeri?
ma Mistral mi informa che a partire dagli assiomi di ZF sia possibile costruire i numeri naturali, che dunque non esistono come realtà a-priori. (e del resto, secondo la MQ l'osservato si "determinizza" solo con la presenza dell'osservatore, e tale osservazione è necessariamente incompleta)
in sintesi arriviamo ad una prospettiva olistica?
citando Palomar di Calvino, "forse l'io altro non è altro che la finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo" ?
mario1
ringrazio entrambi.
tu ritieni dunque che il mestiere del fisico e del matematico siano isomorfi: entrambi hanno il compito di produrre, a partire dall'analisi della realtà, una teoria da cui derivare un modello che soddisfi una serie di assiomi e che sia corrispondente con la realtà stessa (correggetemi se non sono stato rigoroso). la realtà che analizza il fisico è chiaramente quella dei fenomeni naturali, quella del matematico... i numeri?
ma Mistral mi informa che a partire dagli assiomi di ZF sia possibile costruire i numeri naturali, che dunque non esistono come realtà a-priori. (e del resto, secondo la MQ l'osservato si "determinizza" solo con la presenza dell'osservatore, e tale osservazione è necessariamente incompleta)
in sintesi arriviamo ad una prospettiva olistica?
citando Palomar di Calvino, "forse l'io altro non è altro che la finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo" ?
quote:
introdurre nel "sistema matematico", che vorremmo coerente e asettico, l'entità attiva e turbante dell'Osservatore, così come è avvenuto, in modo non indolore, nel mondo della fisica ed accettare, come inevitabile ovvia conseguenza, l'autoreferenza caratteristica del sistema stesso, l'autoreferenza, appunto, che l'osservatore introduce.
Mi piace concludere che se la fisica è la matematica applicata agli oggetti (o eventi) fisici, la matematica è, invece, la fisica applicata agli oggetti logici.
tu ritieni dunque che il mestiere del fisico e del matematico siano isomorfi: entrambi hanno il compito di produrre, a partire dall'analisi della realtà, una teoria da cui derivare un modello che soddisfi una serie di assiomi e che sia corrispondente con la realtà stessa (correggetemi se non sono stato rigoroso). la realtà che analizza il fisico è chiaramente quella dei fenomeni naturali, quella del matematico... i numeri?
ma Mistral mi informa che a partire dagli assiomi di ZF sia possibile costruire i numeri naturali, che dunque non esistono come realtà a-priori. (e del resto, secondo la MQ l'osservato si "determinizza" solo con la presenza dell'osservatore, e tale osservazione è necessariamente incompleta)
in sintesi arriviamo ad una prospettiva olistica?
citando Palomar di Calvino, "forse l'io altro non è altro che la finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo" ?
quote:
Originally posted by wedge
ultimamente mi sono letto alcune cose (La Prova di Godel, Nagel & Newman e vari documenti trovati in rete) sul teorema di incompletezza di Godel (perdonate la mancanza della dieresi). alberga però in me la confusione, spero che qualcuno sappia illuminarmi.
riepilogando: Godel, attraverso la matematizzazione dei sistemi formali, è arrivato a costruire una proposizione che afferma la propria falsità, corrispondente del celebre paradosso di Epimenide "questa frase è falsa".
non capisco come da questo si giunga alla conclusione dell'esistenza in ogni teoria di proposizioni indecidibili che non siano autoreferenziali come l'enunciato di Godel, ad esempio il Teorema di Goodstein (http://en.wikipedia.org/wiki/Goodstein%27s_theorem)semanticamente vero nel sistema dell'aritmetica di Peano ma sintatticamente indimostrabile a partire dagli assiomi del sistema stesso.
spero di essere stato comprensibile nell'esporre questo dubbio.
In ogni teoria che è in grado di costruire i numeri naturali esistono proposizioni indecidibili, cioè la cui verità non è decisa dagli assiomi della teoria stessa. Andrebbe precisato che ci riferiamo ad un linguaggio del primo ordine ma sorvoliamo. La teoria degli insiemi basata sugli assiomi di Zermelo-Fraekel (ZF nel seguito) consente di costuire i numeri naturali e di dimostarne tutte le proprietà che uno può dedurre con i soli assiomi di Peano. Però ZF consente di dimostrare anche risultati che gli assiomi di Peano non possono dimostrare, ad esempio il teorema di Goodstein. In ogni caso il teorema di Godel ci garantisce che anche in ZF esistono proposizioni indecidibili. Tra l'altro anche per ZF esiste un analogo del teorema di Goodstein per l'assiomi di Peano ed è l'ipotesi del continuo.
Segnalo subito la pagina di P.G. Odifreddi http://www.vialattea.net/odifreddi/
Per altri argomenti più tecnici chi è interessato mi faccia sapere.
Saluti
Mistral
quote:
Originally posted by wedge
ultimamente mi sono letto alcune cose (La Prova di Godel, Nagel & Newman e vari documenti trovati in rete) sul teorema di incompletezza di Godel. Alberga però in me la confusione, spero che qualcuno sappia illuminarmi.
riepilogando: Godel, attraverso la matematizzazione dei sistemi formali, è arrivato a costruire una proposizione che afferma la propria falsità, corrispondente del celebre paradosso di Epimenide "questa frase è falsa".
non capisco come da questo si giunga alla conclusione dell'esistenza in ogni teoria di proposizioni indecidibili che non siano autoreferenziali come l'enunciato di Godel, ad esempio il Teorema di Goodstein (http://en.wikipedia.org/wiki/Goodstein%27s_theorem)semanticamente vero nel sistema dell'aritmetica di Peano ma sintatticamente indimostrabile a partire dagli assiomi del sistema stesso.
Caro amico,
Come si sa una crisi analoga a quella innescata dalla prova di Godel avvenne qualche tempo prima nel mondo della fisica e accuratamente formulata dal principio di indeterminazione di Heisemberg ed alla reinvenzione di un sistema matematico d'approccio risultato subito miracolosamente idoneo a trattare i fenomeni quantistici.
Col senno di poi quel fatto ci appare oggi tanto ovvio da sembrar banale (almeno per coloro che nutrono un minimo di interesse per le cose della scienza). L'indeterminazione è, in buona sostanza, non altro che un fenomeno di autoreferenza, la quale ultima, è bene sottolinearlo sempre, viene introdotta nel sistema fisico dalla inevitabile presenza attiva dell'osservatore negli esperimenti (per inciso sarebbe meglio dire dall'Osservatore, con la O maiuscola, perchè questa entità non può essere ridotta a questa o a quella persona che fa esperimenti, una simile banalizzazione sarebbe causa di future inevitabili contraddizioni; inoltre, come parte attiva nell'esperimento, dovrebbe essere predefinito).
Per tornare al teorema di Godel, esso opera su tre fronti d'attacco, che forse sono tre facce dello stesso prisma: uno è la prova che qualsiasi sistema coerente di assiomi è necessariamente incompleto, nel senso che esistono enunciati veri che non possono essere dedotti da tali assiomi; il secondo è quello che non è possibile a priori dimostrare, quindi essere certi, che gli assiomi scelti non siano autocontradittori,in altre parole: che siano assolutamente reciprocamente indipendenti; il terzo fronte non è che un'estensione del primo: è possibile che il sistema di assiomi sia insufficiente per dimostrare enunciati (congetture) pur chiaramente descrivibili nei termini del sistema stesso.
Mi soffermerei un attimo su quello che ho chiamato "secondo fronte": come provare, infatti, se non sperimentalmente, che un sistema di assiomi sia non autocontraddittorio? Non ci rimane che fidarci dell'intuito dei matematici che li definirono e del fatto che nel tempo non siano emerse contraddizioni. Ogni parola pronunciata da quei matematici avrebbe dovuto essere essere sottoposta a d analisi critica al pari di ogni parola usata in questa critica. Ci troviamo, quindi, di fronte ad un atto di pura fiducia nei matematici che ci hanno preceduto ed in noi stessi, matematici o meno, che "crediamo" ed accettiamo la effettiva "evidenza" degli enunciati assiomatici.
Una cosa non è stata forse ancora apertamente fatta, infatti, a molti matematici,a causa delle inevitabili deformazioni professionali da a nessuno è facile sottrarsi, la cosa farà rizzare i capelli: introdurre nel "sistema matematico", che vorremmo coerente e asettico, l'entità attiva e turbante dell'Osservatore, così come è avvenuto, in modo non indolore, nel mondo della fisica ed accettare, come inevitabile ovvia conseguenza, l'autoreferenza caratteristica del sistema stesso, l'autoreferenza, appunto, che l'osservatore introduce.
Mi piace concludere che se la fisica è la matematica applicata agli oggetti (o eventi) fisici, la matematica è, invece, la fisica applicata agli oggetti logici.
mario1
nessuno? [V]