Scappo, qui la ricerca è malata.

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Caro presidente Napolitano,
chi le scrive è una non più giovane ricercatrice precaria che ha deciso di andarsene dal suo Paese portando con sé tre figli nella speranza che un’altra nazione possa garantire loro una vita migliore di quanto lo Stato italiano abbia garantito al­la loro madre. Vado via con rab­bia, con la sensazione che la mia abnegazione e la mia dedi­zione non siano servite a nulla. Vado via con l’intento di chie­dere la cittadinanza dello Stato che vorrà ospitarmi, rinuncian­do ad essere italiana.

Signor presidente, la ricerca in questo Paese è ammalata. La cronaca parla chiaro, ma oltre alla cronaca ci sono tantissime realtà che non vengono denun­ciate per paura di ritorsione perché, spesso, chi fa ricerca da precario, se denuncia è auto­maticamente espulso dal «siste­ma » indipendentemente dai ri­sultati ottenuti. Chi fa ricerca da precario non può «solo» contare sui risultati che ottie­ne, poiché in Italia la benevo­lenza dei propri referenti è una variabile indipendente dalla qualità del lavoro. Chi fa ricer­ca da precario deve fare i conti con il rinnovo della borsa o del contratto che gli consentirà di mantenersi senza pesare sulla propria famiglia. Non può per­mettersi ricorsi costosi e che molto spesso finiscono nel nul­la. E poi, perché dovrebbe adi­re le vie legali se docenti dichia­rati colpevoli sino all’ultimo grado di giudizio per aver con­dotto concorsi universitari vio­lando le norme non sono mai stati rimossi e hanno continua­to a essere eletti (dai loro colle­ghi!) commissari in nuovi con­corsi?

Io, laureata nel 1990 in Medi­cina e Chirurgia all’Università di Pavia, con due specialità, in Pediatria e in Genetica medica, conseguite nella medesima Uni­versità, nel 2004 ho avuto l’onore di pubblicare con pri­mo nome un articolo sul New England Journal of Medicine i risultati della mia scoperta e cioè che alcune forme di linfo­ma maligno possono avere un’origine genetica e che è dun­que possibile ereditare dai geni­tori la predisposizione a svilup­pare questa forma tumorale. Ta­le scoperta è stata fatta oggetto di brevetto poi lasciato decade­re non essendo stato ritenuto abbastanza interessante dalle istituzioni presso cui lavoravo. Di contro, illustri gruppi di ri­cerca stranieri hanno conferma­to la mia tesi che è diventata ora parte integrante dei loro progetti: ma, si sa, nemo profe­ta in Patria.

Ottenere questi risultati mi è costato impegno e sacrifici: mettevo i bambini a dormire e di notte tornavo in laboratorio, non c’erano sabati o domeni­che...

Lavoravo, come tutti i precari, senza versamenti pen­sionistici, ferie, malattia. Ho avuto contratti di tutti i tipi: borse di studio, co-co-co, con­tratti di consulenza... Come ul­timo un contratto a progetto presso l’Istituto di Genetica me­dica dell’Università di Pavia, fi­nanziato dal Policlinico San Matteo di Pavia.

Sia chiaro: nessuno mi impo­neva questi orari. Ero spinta dal mio senso del dovere e dal­la forte motivazione di aiutare chi era ammalato. Nel febbraio 2005 mi sono vista costretta a interrompere la ricerca: mi era stato detto che non avrei avuto un futuro. Ho interrotto una ri­cerca che molti hanno giudica­to promettente, e che avrebbe potuto aggiungere una tessera al puzzle che in tutto il mondo si sta cercando di completare e che potrebbe aiutarci a sconfig­gere il cancro.

Desidero evidenziare pro­prio questo: il sistema antimeri­tocratico danneggia non solo il singolo ricercatore precario, ma soprattutto le persone che vivono in questa Nazione. Una «buona ricerca» può solo aiuta­re a crescere; per questo moti­vo numerosi Stati europei ed extraeuropei, pur in periodo di profonda crisi economica, han­no ritenuto di aumentare i fi­nanziamenti per la ricerca.

È sufficiente, anche in Italia, incrementare gli stanziamenti? Purtroppo no. Se il malcostu­me non verrà interrotto, se chi è colpevole non sarà rimosso, se non si faranno emergere i migliori, gli onesti, dare più soldi avrebbe come unica con­seguenza quella di potenziare le lobby che usano le Universi­tà e gli enti di ricerca come feu­do privato e che così facendo distruggono la ricerca.
Con molta amarezza, signor presidente, la saluto.

Rita Clementi
29 giugno 2009


( http://www.corriere.it/cronache/09_giug ... aabc.shtml )

Questo è un pò come scoprire l'acqua calda, però questa lettera mi ha colpito.

Risposte
GIBI1
Solo 3 flash:
1) La ricerca è quasi esclusivamente statale.
2) I concorsi vengono banditi per necessità (pochi) o per sistemate i conoscenti (molti).
3) Chi ‘vince’ un concorso è inamovibile.
Soprattutto la 3) ha di fatto sclerotizzato il sistema, impedendo il ricambio con forze fresche.
Questa è la situazione italiana, come uscirne, semplice: pregando e sperando in un intervento dal cielo.

Cmax1
X Alvinle88 : http://www-1.unipv.it/webdoc/ufficioconcorsi/RELAZIONE%20FINALE.GIUDIZI.MED.38.MEDICINA.pdf

X GIBI: al di là delle profezie di ritorno che stai dispensando generosamente (tanto non costano niente), ed anche considerando il fatto che la ricercatrice è più vicina ai 50 che ai 40 (ma ho il sospetto che a Boston lo sappiano già da soli), cosa intendi con ??? riferiti a «situazione in generale»?
Devo dire che la lettera ha lasciato un po' perplesso anche me, in quanto non ho elementi che mi consentano di distinguere tra un reale merito non riconosciuto od una spettacolarizzazione eccessiva, ma forse tu ne hai qualcuno in più, o anche qualche considerazione aggiuntiva, che tuttavia traspaiono poco nella forma vaga in cui li hai espressi.

Luca.Lussardi
Secondo me non è però un problema di soldi, come tanti dicono. La situazione denunciata da Fioravante è corretta, ed è reale purtroppo, ma il fatto che si diventi ricercatori tardi corrisponde al fatto che i posti per ricercatore vengono assegnati spesso a chi non se li merita, non dando il giusto riconoscimento a chi se lo merita. Se i concorsi fossero fatti come dovrebbero e chi non è in grado di far ricerca fosse consigliato di uscire a cercare dell'altro probabilmente la situazione sarebbe migliore. Il problema è che abbiamo avuto un periodo in cui troppi studenti hanno preso la strada della ricerca, e molti erano (e sono) scadenti, le loro pubblicazioni lo confermano: ci sono professori associati o ordinari che hanno a tutt'oggi quasi il mio stesso numero di pubblicazioni scientifiche.

Fioravante Patrone1
Uno degli aspetti negativi della situazione universitaria attuale è proprio l'invecchiamento degli aspiranti ricercatori che vengono trattenuti troppo a lungo in una situazione di precariato.

Anche il mio bravo "allievo" che a settembre comincerà a lavorare a Parigi è vicino alla soglia del 40 anni (per sua "fortuna" il posto ottenuto non è "entry level"). Ma sono tanti, troppi, quelli che riescono a ottenere un posto da ricercatore troppo in là con gli anni.

Al di là dello stato giuridico, dei nomi, delle "fasce" docenti, etc., ci sono delle fasi strutturali [tra parentesi quadre, sotto, i profili giuridici italiani attuali]:
- la fase di formazione (laurea specialistica, master, dottorato) nella quale uno deve mostrare capacità nell'affrontare temi di ricerca e ottenere risultati [dottorato, post doc]
- una sorta di fase intermedia, in cui abbiamo le prove di "buon ricercatore", ma manca ancora una piena autonomia di ricerca [ricercatore]
- la piena autonomia di ricerca, inclusa la capacità di guidare altri [associato, ordinario]

Il guaio è che in Italia chi si trova nella fase due (e a volte anche nella fase tre) non ha un riconoscimento a livello del posto di lavoro.
Faccio un esempio personale: io sono diventato assistente a 27 anni e associato a 32 anni. Età che a quei tempi erano sotto la media ma non molto discoste (sto parlando della matematica, i numeri per altri settori erano diversi). Ora questi numeri sono aumentati di troppo, e questa è una distorsione che pesa negativamente sul buon andamento della ricerca.

mircoFN1
"GIBI":

ps2. Nello specifico si tratta di una 'giovane' ricercatrice di 40anni, ma(i) sa che quelli di Boston fra poco ce la rimandano indietro.


Grande: una profezia ipotetica (con piccolo refuso di stampa)!

GIBI1
F.P. "Mi lascia molto perplesso."

? ? ?

ps1. I ? riguardano la situazione il generale.

ps2. Nello specifico si tratta di una 'giovane' ricercatrice di 40anni, ma sa che quelli di Boston fra poco ce la rimandano indietro.

Fioravante Patrone1
"alvinlee88":
dove si trovano questi verbali?

Da qui:
http://www.step1.it/tribu_di_zammu.php? ... t&id=28251

alvinlee881
dove si trovano questi verbali?

Cmax1
Io ho letto l'altro, in cui viene riconosciuto l'ottimo livello del lavoro pubblicato e delle capacità generali, ma le vengono attribuite delle prove d'esame non esaltanti (addirittura insufficienti le scritte). Delle quattro candidate, è l'unica verso cui la commissione si è mostrata così severa.

Fioravante Patrone1
Io mi sono letto i verbali di uno dei due concorsi fatti a Pavia in cui ha perso.
Mi lascia molto perplesso. L'impressione che ho è che il giudizio dato sul vincitore (un dottorando) sia stato stiracchiato molto in direzione dell'"ottimo", e viceversa nei suoi confronti. Mi fa impressione il modo in cui le sue (di lei) pubblicazioni di forte impatto vengano citate ma quasi controvoglia.

_prime_number
In bocca al lupo anche da parte mia Luca!
La lettera colpisce anche me, anche se erano cose che sapevo o immaginavo.

Paola

Leonardo891
In bocca al lupo Luca, se l'Italia avrà anche solo un po' di buon senso ti rimpiangerà!

Benny24
In bocca al lupo! Speriamo in tempi migliori (ma la vedo dura).

adaBTTLS1
congratulazioni e in bocca al lupo!

G.D.5
Beh, allora in bocca al lupo, Luca!

Fioravante Patrone1
"Luca.Lussardi":
Un posto da research assistant all'Università di Dortmund.
grat's

Luca.Lussardi
Un posto da research assistant all'Università di Dortmund.

Cheguevilla
"Luca.Lussardi":
Che dire... è la storia che si ripete. E' brutto essere costretti ad abbandonare il proprio paese se si vuole lavorare. A me l'Italia piace, ma da gennaio 2010 per un po' non mi vedrà più se voglio proseguire la carriera.
Dove andrai di bello?

Luca.Lussardi
Che dire... è la storia che si ripete. E' brutto essere costretti ad abbandonare il proprio paese se si vuole lavorare. A me l'Italia piace, ma da gennaio 2010 per un po' non mi vedrà più se voglio proseguire la carriera.

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